Un desiderio imperioso e insaziabile

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Un desiderio imperioso e insaziabile
“Un desiderio imperioso e insaziabile”
Note psicoanalitiche sull’avidità di denaro
Adriano Voltolin
L’autore apre il suo saggio con un riferimento
letterario, di Cormac McCarthy, in Non è un
paese per vecchi, fa dire a Chigurgh: “quando gli
oggetti corrono di mano in mano, mischiandosi
agli altri, allora niente è più come prima perché,
quando la singolarità va perduta, le cose si
separano dagli atti e non vi è quindi più
possibilità di imputare qualche cosa a qualcuno,
di porre una relazione esplicativa tra le cose. Un
giorno si fanno i conti, dice Chigurgh e non è più
possibile capire: come se le parti di un certo
momento della storia fossero intercambiabili con
quelle di un altro momento”. Lo smarrimento,
prosegue l’autore, perdere la presa sulla realtà,
il confine, ogni volta più labile, tra mondo
interno e quello sterno, fa sì che, “la crisi del
senso è determinato dalla perdita della capacità
soggettiva di discriminazione”.
Continua Voltolin, con l’ausilio della parola di altri letterati a farci capire che,
quando siamo “spenti dal buio della depressione”, quando la mozione viene
dall’interno verso fuori o al contrario: “è il mondo esterno con la sua serialità
confusiva, l’enorme accumulo delle merci, a non consentire più di distinguere cosa
da cosa”. In questo gioco, tra mondo interno ed esterno, s’interroga Voltolin, come
la società di oggi, porta a una confusione estrema, portando al soggetto, quando i
limiti si perdono, nell’inganno che tutto è possibile, che tutti i desideri si possono
realizzare, alla realizzazione del “desiderio astratto in sé”.
Passando dal denaro “privo di limiti” alle conseguenze nella psicopatologia di oggi,
dove “il bulimico appare essere la figura che meglio di ogni altra incarna il
desiderio di appropriarsi di ogni bene (nella sua forma primordiale di cibo) in
modo compulsivo”, l’autore continua le sue articolazioni sulla bulimia, sulla
pulsione orale e le scoperte Freudiane sul tema, fino ad arrivare a un’interessante
e particolare articolazione: “L’incessante appropriazione dei beni non è un modo
per goderne, il bulimico non gode della bontà o della ricercatezza del cibo
esattamente come l’avaro non gode del denaro: se il primo vomita per poter
tornare a mangiare, il secondo si priva del godimento anche della più piccola
parte della sua ricchezza per poter continuare ad accumulare”.
Per proseguire sul tema della pulsione orale e del rapporto del bambino con la
madre, Adriano Voltolin ci mostra la lettura accurata che ha fatto, non solo di
Freud, altresì di autori come Melanie Klein, Ferenczi, Bion, Eugenio Gaddini,
Renata De Benedetti Gaddini e così via, accompagnando i concetti teorici con
delle dimostrazioni cliniche, rendendo pertanto molto più comprensibile il lavoro.
Nel capitolo “Il denaro come legame sociale”, si affianca ad autori come Raymond
Quesnay, Marx e Aristotele, concludendo che “Come noterà puntualmente Georg
Simmel, il denaro sviluppa il massimo dell’individualità insieme con il massimo,
obbligato, di socialità”.
“Il leveller radicale”
In questo capitolo, l’autore comincia a dipingere le funzioni, le trattazioni del
denaro, sia come valore di scambio economico sia dal punto di vista
psicoanalitico. Fino a dimostrare come “l’ingordigia di denaro è ingordigia di ciò
che può dare ogni bene, e ogni bene in maniera infinita e universale, come aveva
ben capito lo zanni”. “Anche Freud accenna, nella Psicopatologia della vita
quotidiana, al legame del denaro con la voracità infantile”. Righe più avanti
Voltolin racconta come Freud dà prova dell’importanza, del significato del denaro
nella psicoanalisi: “riferendosi alla frequenza con la quale anche le persone più
corrette dimenticano di pagare o sbagliano a proprio favore nei pagamenti,
dimenticanza non inconsueta anche nelle signore che debbono pagare la parcella
al medico. Il non pagare starebbe a indicare il desiderio di essere curate per i
propri begli occhi. Esse per così dire pagano lasciandosi guardare. Qui Freud
mostra il reciproco di ciò che sostiene Marx nei Manoscritti: se il denaro è
l’equivalente universale, esso può essere sostituito, in un punto qualsiasi della
circolazione, da ciò che ha, a sua volta, sostituito”. E non c’è niente di più attuale
dell’interpretazione che segue: “Se il denaro può comprare il corpo femminile, il
corpo femminile equivale a un certo importo di denaro”.
Il capitolo successivo: “Keynes e la preferenza per la liquidità”, conclude, a mio
avviso, con il concetto, che centra il valore fondamentale dell’articolo di Adriano
Voltolin. “La redistribuzione della ricchezza è allora un problema ineludibile per
qualsiasi governo e per qualsiasi politico che non sia un demagogo: si debbono
fissare delle regole che limitano la voracità”.
In “Creare dal nulla”, il tema susseguente, l’autore analizza un’altra questione, gli
“strumenti finanziari che non hanno lo scopo di creare ricchezza reale, quella cioè
alla quale pensava Carl Schmitt, ma di far arricchire nel minor tempo possibile,
anche in pochi minuti, qualcuno a spese di altri”. Proseguendo con l’intenzione di
farci capire il pericolo della caparbietà pulsionale, illusoria, che spinge il
consumatore all’accumulo di oggetti, come un seno inesauribile, che un giorno gli
darà tutto. “Il desiderio di un seno colmo di ogni ricchezza e inesauribile è
soddisfatto”.
Adriano Voltolin, nella parte successiva “O ricchi o indennizzati una teoria
bioniana del denaro”, ricerca gli effetti della pulsione orale, connessa
all’arricchimento, quando passa dall’economia della produzione a quella del
consumo, arrivando a dimostrare che quello che sostiene tutto ciò è l’angoscia.
L’autore giunge ad articolazioni molto precise e singolari tra assicurazione,
scommessa, avidità e invidia. Per concludere, nelle ultime righe di questo brano,
con la spiegazione che il “meccanismo di ingurgitazione coatta non distingue
nessun oggetto da un altro, per divorarli tutti quanti: nella nostra società non è
certo difficile trovare delle manifestazioni di voracità onnivora: soldi, case, gioielli,
automobili, barche e così via, tutto fa parte di un’accumulazione coatta e senza
fine. Ha notato acutamente Lacan come in tal modo si cancella il desiderio nella
sua natura di agalma per lasciare il posto all’oggetto dell’equivalenza, del
transitivismo dei beni, della transazione sulle cupidigie”.
L’ultimo capito, “Greed is good”: storie di ordinaria avidità”. Lo psicoanalista
Adriano Voltolin ricorda che “l’esaltazione delle pulsioni come direttrici di vita e
come cosa sostanzialmente buona in sé non era in realtà una novità assoluta. In
altre epoche storiche l’eccitazione proveniente dall’allentamento delle regole e
dalla più libera manifestazione pulsionale aveva creato slogan e parole d’ordine
paradossali e assurde se viste nel quadro della vita collettiva”. Così memorizza
Voltolin, l’arricchitevi del capitalismo montante, al viva la muerte dei falangisti
spagnoli, passando per un Hitler, quando proclamava che l’essere spietati e
crudeli era l’unica vera forma umanitaria di fare la guerra e la guerra nei Balcani
come umanitaria, fino al Greed is good, come un “anello da aggiungere alla triste
collana”.
Nel momento di concludere, lo stimolante e attuale saggio di Voltolin ci presenta
tre casi, accurati, per poter evidenziare il nesso tra potenza immaginaria del
denaro e avidità. Nel Caso A sviluppa “alcune considerazioni di una paziente sul
costo delle sedute e sul loro pagamento illustrano bene il nesso tra invidia,
desiderio di svuotamento e senso di colpa”. Nel Caso B “una paziente di
quarantacinque anni viene in seduta all’inizio di luglio, poco meno quindi di un
mese prima della sospensione estiva e dice che, facendo un po’ di conti, ha ben
poco da stare allegra”. Questa volta i conti sono con l’età: invecchiare la porta a
invidiare la giovinezza della figlia. E, nel terzo e ultimo Caso, il C, l’autore
indirizza con il racconto del lavoro con un paziente, nel quale un “atteggiamento,
indubbiamente patologico, appare del tutto normale”, per la gente comune, sulla
“pulsione all’arricchimento”.
In punto d'arrivo possiamo porci un’ulteriore domanda, l’esperienza analitica può
deviare un destino segnato così fortemente per la pulsione di morte? Scommettere
sul desiderio, su un’etica che non ceda di fronte alle difficoltà, a un analista che
ravvivi il riconoscimento del desiderio e non cerchi il desiderio di riconoscimento.
Gli autori offrono nella lettura pausata di questo libro, la prova di poter sviscerare
“l’intreccio tra pulsione, regole di funzionamento sociale e ideologia”, “al livello del
soggetto inteso come luogo in cui questo intreccio diviene un precipitato visibile”.
Per concretare che: “La psicoanalisi contemporanea non si trova più di fronte al
compito di rendere cosciente delle pulsioni rimosse (…) bensì di mostrare come
l’eclissi della rimozione non produca un individuo e un mondo più liberi, ma, al
contrario, uno scenario nel quale, se Dio è morto, tutto è lecito”.
eva gerace