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http://ec.europa.eu/agricolture/rurdev/index.it.htm
Economia e politica agraria
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Vendita diretta
dei prodotti agricoli
Aspetti amministrativi e igienico-sanitari
a cura di Francesco Mazzeo
.
Progetto d’Integrazione e Modernizzazione dell’Agricoltura
per la Valorizzazione Equilibrata delle Risorse Agroambientali
Presidente
Virginio Brivio
Assessore Attività Produttive
Italo Bruseghini
Dirigente Settore Attività Economiche
Giuseppe Scaccabarozzi
Direttore Generale
Mauro Borelli
Direttore Dipartimento di Prevenzione Veterinario
Paolo Manzoni
Servizio Igiene degli Alimenti di
Origine Animale
Marco Marchetti
La presente pubblicazione è stata realizzata con la collaborazione del Dipartimento
di Prevenzione Veterinario dell'ASL della Provincia di Lecco
Autori
Francesco Mazzeo
Alfredo Longoni
Servizio Agricoltura e Foreste della Provincia di Lecco
Ringraziamenti
Si ringraziano per la preziosa collaborazione:
- il Dott. Paolo Manzoni e il Dott. Marco Marchetti del Dipartimento di
Prevenzione Veterinario dell'ASL della Provincia di Lecco;
- Dario Gerosa - Servizio Agricoltura e Foreste della Provincia di Lecco
- le aziende agricole che hanno consentito le riprese fotografiche
(Cascina Costa antica; Consorzio Terrealte; Dell’Adda; Due Soli;
Ghezzi ss.; Uberti Pieragelo; Valsecchi Celeste; Vigorelli Dario).
Fotografie: Archivio Provincia di Lecco
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Sommario
Presentazione
Introduzione
Parte prima
Aspetti amministrativi della vendita diretta
1 Il contesto socio economico e territoriale provinciale
1.1 Cenni sul contesto socio economico
1.2 Cenni sull’agricoltura e i caratteri insediativi del territorio
1.3 Cenni sulle caratteristiche strutturali delle imprese agricole lecchesi
1.4 Cenni sulle strutture aziendali di trasformazione dei prodotti
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2 Il paniere dei prodotti agroalimentari lecchesi
2.1 I prodotti di origine vegetale
2.2 I prodotti di origine animale
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3 Aspetti normativi e modalità di vendita diretta
3.1 Aspetti generali
3.2 Disciplina delle modalità di vendita
3.3 Aspetti operativi e considerazioni sulle diverse modalità di vendita diretta
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Parte seconda
La sicurezza alimentare dei prodotti venduti direttamente
1. Le regole.
1.1 Dove si trovano i testi delle normative?
1.2 Cos’è il “pacchetto igiene”?
1.3 Quali sono i contenuti del “pacchetto igiene” che riguardano più direttamente il produttore?
1.4 Quali sono le esclusioni dalla applicazione del pacchetto igiene?
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2. I concetti e le procedure.
2.1 Cosa si intende con “autocontrollo”?
2.2 Quali sono le caratteristiche principali di un buon piano di autocontrollo?
2.3 Cos’è la produzione primaria?
2.4 Cos’è la rintracciabilità?
2.5 Cos’è la rintracciabilità interna?
2.6 Cos’è il lotto di produzione?
2.7 Come va attuata la rintracciabilità?
2.8 Il prodotto deve essere contrassegnato?
2.9 Quando è prevista la “bollatura sanitaria”?
2.10 Quando è previsto il “marchio di identificazione”?
2.11 Cosa significano riconoscimento/registrazione?
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2.12
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2.21
Quali stabilimenti sono soggetti a registrazione e quali a riconoscimento?
Cos’è il sistema HACCP e chi è deve adottarlo?
Cosa si intende con “pericolo” e “rischio”?
Cosa si intende per “punto critico di controllo”?
Quali analisi deve prevedere il piano di autocontrollo e qual è la loro funzione?
Cosa sono le “analisi microbiologiche”?
Quante e quali analisi microbiologiche deve contenere il piano di autocontrollo?
Ci sono limiti di legge per la presenza di microrganismi negli alimenti?
Da dove possono venire le contaminazioni dell’alimento?
Sono previste delle sanzioni per chi non rispetta le disposizioni del pacchetto igiene?
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3. I comportamenti
3.1 Alcuni comportamenti per prevenire le contaminazioni degli alimenti durante la produzione
3.2 Alcuni consigli per produrre alimenti sicuri.
3.3 Alcuni consigli da dare al consumatore?
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4. Dalla trasformazione in poi
4.1 Il laboratorio di trasformazione
4.2 Le attrezzature per la trasformazione
4.3 La stagionatura dei prodotti;
4.4 Il confezionamento e l’etichettatura dei prodotti
4.5 Il trasporto dei prodotti alimentari
4.6 La vendita dei prodotti
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5. Aspetti particolari dei diversi settori produttivi
5.1 Principi di autocontrollo nella produzione e vendita diretta di latte e prodotti trasformati
5.1.1 Quali sono i pericoli specifici da tenere sotto controllo?
5.1.2 Cosa fare se il latte contiene più germi o più cellule del dovuto?
5.1.3 Quali sono i germi da cui stare maggiormente attenti?
5.1.4 Quali sono le misure da adottare per ridurre tali rischi?
5.1.5 Le regole per mungere in modo pulito
5.1.6 Alcune indicazioni per ridurre il rischio della presenza dei microrganismi patogeni
nelle fasi successive alla mungitura
5.2 Produzione e vendita diretta di carne e prodotti trasformati
5.2.1 Posso macellare in azienda i miei animali per poi vendere le carne ottenuta?
5.2.2 Quali sono i pericoli specifici da tenere sotto controllo nella vendita diretta
di carne e di prodotti trasformati?
5.2.3 Come tenere sotto controllo i pericoli nella vendita diretta della carne e dei
prodotti trasformati?
5.2.4 Come si effettua una buona frollatura della carne
5.2.5 Alcuni vincoli specifici per la trasformazione della carne in azienda.
5.3 La carne di pollame e conigli.
5.3.1 Si possono macellare in azienda i propri animali?
5.3.2 A chi si può vendere la carne ?
5.4 La vendita diretta delle uova
5.5 Produzione e vendita di vegetali freschi e prodotti trasformati
Note
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Presentazione
Questa pubblicazione sulla vendita diretta dei prodotti agricoli, che sono lieto
di presentare come un nuovo passo avanti nella direzione già intrapresa da qualche anno, mi permette di trarre un primo bilancio dei risultati ottenuti sulla
filiera corta. Essa giunge, infatti, dopo l’avvio di un percorso che diverse imprese agricole hanno iniziato con l’aiuto della Provincia di Lecco.
Questo tema è stato affrontato con pragmatismo, privilegiando “il fare”, nella convinzione che per le nostre piccole imprese agricole esso rappresenti un’interessante opportunità, economica e di nuova relazione con il territorio. Ho la
convinzione, infatti, che la filiera corta si intrecci fortemente con il tema della modernizzazione della nostra agricoltura, non solo come processo evolutivo interno al settore, ma anche per i nuovi rapporti che l’agricoltura può costruire con il territorio e i diversi attori presenti.
Il rapporto diretto con i consumatori da parte dei produttori determina, sia nell’immediato, sia in prospettiva, una serie di conseguenze positive che credo utile ricordare.
In primo luogo semplifica le relazioni commerciali, aumentando il reddito dei
produttori e fornendo ai consumatori prodotti freschi con rapporto qualità prezzo conveniente; i prodotti sono territorialmente caratterizzati e contribuiscono a ridurre l’impatto ambientale, per la coincidenza del luogo di produzione
con quello di consumo. Fra questi due attori, inoltre, la frequentazione diretta induce un maggiore senso di responsabilità nei produttori e quindi lo stimolo
a migliorare la qualità dei prodotti, ma anche una maggiore conoscenza dell’agricoltura da parte dei consumatori, con beneficio per il sistema delle relazioni e per la rinnovata considerazione sociale del settore agricolo.
I risultati di questa evoluzione si possono cogliere già dalle iniziative che abbiamo realizzato, con il concorso di alcuni enti, associazioni e produttori.
Il Mercato agricolo di Osnago, aperto nel 2005 con la collaborazione del Comune, della Fiera e dei produttori agricoli, dimostra che l’evoluzione nel senso prima indicato non è teoria ma fatto compiuto. Produttori e consumatori hanno espresso un elevato grado di apprezzamento dell’iniziativa, così come è stato riscontrato per la più recente Carovana dei produttori agricoli, che ha ri5
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
scosso un successo in parte inaspettato. Obiettivo di questa iniziativa, pienamente raggiunto, era quello di costruire un ponte fra produttori agricoli e Comuni, per contribuire a sviluppare progetti condivisi in grado di promuovere
lo sviluppo dell’agricoltura fornendo servizi utili alla popolazione lecchese.
L’avvio di un nuovo mercato ad Oggiono, organizzato mensilmente dal Consorzio dei produttori Terrealte con il consenso del Comune a seguito della nostra iniziativa, è un importante risultato che si aggiunge alle altre iniziative avviate a seguito dell’esperienza positiva di Osnago. Mi riferisco al mercato di Galbiate, organizzato ormai da oltre un anno dal Comune con i produttori locali,
al prossimo mercato che la Comunità Montana Lario Orientale è in procinto di
costruire a Ballabio e, per finire, al mercato che la Provincia ha promosso a Valmadrera, con la collaborazione del Comune e della Comunità Montana Lario
Orientale, che aprirà alla fine del 2009.
L’insieme di queste iniziative, nelle quali la Provincia ha espresso un forte ruolo di indirizzo e di coordinamento, oltre che di sostegno, è il risultato della condivisione di un percorso che si è reso possibile grazie al processo di aggregazione che abbiamo stimolato nei produttori. I produttori agricoli, infatti, hanno aumentato la capacità di gestire nuove relazioni e programmi e hanno accettato una sfida che a molti sembrava azzardata, ma la fiducia che hanno
riposto in se stessi, nel loro consorzio e nelle istituzioni locali, credo sia stata
ampiamente ripagata dai risultati finora ottenuti.
Penso che tutti, enti, associazioni e produttori, possano essere orgogliosi di questi risultati, che contribuiscono non solo a produrre importanti servizi per la
popolazione, ma anche a costruire opportunità economiche e a stimolare processi di modernizzazione dell’agricoltura, a salvaguardare l’ambiente e a promuovere nuovo sviluppo per il territorio.
I progetti sulla filiera corta collocano la nostra provincia all’avanguardia nazionale e perciò auspico che le imprese, le associazioni e le istituzioni per quanto resta ancora da fare trovino nello spirito di cooperazione e di fiducia l’ispirazione per continuare ad operare.
I prodotti agricoli del territorio rappresentano un importante terreno di cooperazione fra imprenditori agricoli, del commercio, della ristorazione e del turismo, che insieme possono promuovere meglio le risorse locali e fare crescere un’economia che le valorizzi. Questo è un tema che non credo debba essere trascurato, se si vuole dare un carattere strutturale alle azioni di sviluppo dell’agricoltura. Avere un’agricoltura vitale, produttiva e bene insediata nel territorio non è interesse solo degli agricoltori, ma di tutta la comunità locale: la
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popolazione può disporre di prodotti freschi ottenuti nel proprio territorio e godere di un ambiente migliore e di nuovi servizi; i prodotti tradizionali e tipici locali mantengono viva la cultura locale e la permanenza dell’agricoltura rende il territorio maggiormente attrattivo per
gli insediamenti produttivi innovativi e per il turismo. L’economia del
territorio, quindi, può avere nuove opportunità e può migliorare il benessere della popolazione.
Su questi temi la Provincia di Lecco continuerà a rappresentare un punto di riferimento e con lo stesso impegno fornirà stimoli, strumenti di
orientamento, supporto alle imprese e alle istituzioni locali, per progredire
nella cooperazione e nei risultati, a beneficio della nostra comunità e
del territorio.
Sono convinto che il bilancio di quanto è stato fatto sia positivo e che
nei prossimi anni questi risultati dovranno essere consolidati, soprattutto allargando la platea dei produttori agricoli che potranno vendere direttamente nei mercati degli agricoltori, sostenendoli nella realizzazione
di processi di innovazione e di miglioramento della qualità dei prodotti
locali. E’ necessario, anche, mantenere viva l’attenzione delle istituzioni
locali verso l’agricoltura e favorire la sua integrazione nel sistema economico locale, attraverso la cooperazione delle imprese agricole soprattutto con quelle del turismo, dell’artigianato e del commercio.
Con il convincimento che con la condivisione degli obiettivi e la cooperazione si potranno costruire nuove opportunità per l’agricoltura, invito gli agricoltori a cogliere e valutare i nuovi stimoli che riceveranno da questa pubblicazione.
Gennaio 2009
Italo Bruseghini
Vice Presidente e Assessore alle Attività Produttive
della Provincia di Lecco
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Introduzione
L’esperienza maturata localmente in oltre un triennio di attività di vendita
diretta in forma organizzata (Mercato degli agricoltori di Osnago) da parte
di circa 15 imprese agricole, realizzata a seguito di un’azione diretta provinciale
di assistenza tecnica nell’ambito della Misura N (1.14) del Psr 2000-2006, ha
dimostrato che la scelta di sviluppare la filiera corta può rappresentare una
risposta efficace alle aspettative economiche delle piccole imprese agricole,
oltre che un apprezzato servizio per i consumatori, se collocata all’interno
di una strategia di sviluppo durevole e organizzata. Nello stesso tempo tale
esperienza ha reso evidente la necessità di fornire alle imprese supporti e strumenti di orientamento, che hanno contribuito a produrre importanti risultati nell’organizzazione delle imprese e nei servizi attivati (costituzione del
Consorzio Terrealte, apertura del mercato degli agricoltori di Osnago, organizzazione delle fattorie didattiche, ecc).
Nel corso degli ultimi anni, inoltre, le norme in materia di sicurezza ed igiene alimentare hanno subito sostanziali modifiche (Regolamenti CE 178/2002,
852, 853, 854, 882/2004 e successive modifiche) e le imprese agricole avvertono la necessità di aggiornamenti e supporti orientativi. Gli imprenditori agricoli, inoltre, per adeguarsi ai cambiamenti e sostenere il confronto
sul mercato devono effettuare scelte produttive e gestionali che devono produrre redditi adeguati al mantenimento dell’attività.
In questo contesto si inserisce questa pubblicazione, indirizzata agli agricoltori
e finalizzata a promuovere lo sviluppo della vendita diretta dei prodotti, attraverso informazioni di base ritenute utili a favorire un orientamento da parte dei produttori agricoli.
La prima parte delinea il quadro territoriale e produttivo locale e soprattutto le modalità di vendita diretta dei prodotti agricoli, con riferimento all’attuale quadro normativo, escluso quello fiscale per il quale si rimanda al volume “Multifunzionalità in agricoltura dai concetti alle opportunità” nella stessa collana.
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Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
La seconda parte tratta il complesso tema igienico sanitario, con taglio ritenuto utile a fornire risposte ai quesiti che normalmente emergono dai produttori.
Il volume, concepito come strumento informativo di base, non esaurisce la
complessa tematica affrontata, così come non darà risposte ad ogni quesito, tuttavia si auspica che il lettore possa trarre elementi di riflessione utili
per effettuare scelte che, ovviamente, dovranno essere ulteriormente supportate
da puntuali e approfondite verifiche.
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Parte prima
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
1. Il contesto socio economico
e territoriale provinciale
1.1 Cenni sul contesto socio economico lecchese
Il territorio provinciale è per il 68,3% montano e per il 31,7% collinare ed è amministrato da 90 comuni, perlopiù di piccole dimensioni.
Il 33% della popolazione provinciale (331.607 abitanti1) vive in 6 comuni di oltre 10.000
abitanti, il 17% in 8 comuni con popolazione compresa fra i 5.000 e i 10.000 abitanti e per il 50% nei restanti 76 comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti. La
densità di popolazione è maggiore nelle zone collinari (circa 590 ab/Kmq) rispetto a
quelle montane (circa 315 ab/Kmq).
L’economia locale è caratterizzata dalla presenza di un tessuto produttivo di piccole e
medie imprese diffuso sul territorio, che genera un valore aggiunto di oltre 8 miliardi
di euro, al quale l’agricoltura concorre marginalmente, con lo 0,4%, e assicura un elevato livello occupazionale (tasso di disoccupazione di circa il 2,6%).
1.2 Agricoltura e caratteri insediativi del territorio
Il 55% del territorio provinciale è occupato da superfici forestali e naturaliformi (44.856
ettari), mentre quelle agricole interessano il 20 % della superficie territoriale (16.500
ettari).
La superficie agraria utile si estende per circa 12.000 ettari ed è destinata per il 73%
a colture foraggere, dominate da prati permanenti e pascoli; per il 23% a seminativi e
per il 4% a colture arboree e vivai.
Dal punto di vista territoriale l’agricoltura lecchese è caratterizzata dalla presenza dei
due grandi scenari, quello montano e quello collinare.
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Il territorio montano è dominato dai “fattori originari” che lo caratterizzano, cioè la
quota, la pendenza e l’accidentalità della superficie, il clima, l’orientamento dei versanti, la predominanza delle superfici forestali e di quelle destinate ad attività pastorale2 quali gli alpeggi, che impongono all’attività agricola limiti naturali e una maggiore rigidità nelle produzioni realizzabili. L’agricoltura della montagna è infatti legata alla produzione zootecnica, connessa alla predominanza di foraggere, dal fondovalle agli alpeggi3. La produzione da colture arboree è confinata lungo le sponde lacustri, con olivo e vite. Tali colture rivestono una significativa funzione per il legame con gli ambiti terrazzati del territorio, che costituiscono elementi di stabilità dei versanti e di difesa idrogeologica, oltre che di caratterizzazione paesaggistica.
Il territorio collinare, al contrario di quello montano, è caratterizzato dall’esteso sviluppo urbanistico che ormai delinea una città diffusa, costituita da un fitto reticolo di
costruzioni e infrastrutture che fagocita il territorio a scapito dello spazio destinato alla
produzione agricola4.
Questo modello insediativo origina un nuovo spazio “di contorno” a quello urbanizzato, lo spazio periurbano, all’interno del quale l’agricoltura subisce la pressione dei
più forti interessi della città, che si manifestano sotto forma di andamento del mercato fondiario e conseguente difficile accessibilità alla terra da parte dei coltivatori, di
vincoli edilizi e igienico sanitari, di condizionamento dell’impresa nelle scelte produttive. All’interno di questo spazio si origina il rischio di una forte spinta verso la marginalizzazione delle aree e delle attività agricole, che tende a relegare l’agricoltura a
mero aspetto folcloristico5.
A fronte di questi rischi concreti, tuttavia, esistono opportunità per l’agricoltura dovute alla vicinanza dei mercati di consumo per la vendita dei prodotti, alla crescente
sensibilità dei consumatori per la qualità e la sicurezza alimentare, alla domanda sociale di attività legate al tempo libero, alla formazione ambientale, ai servizi connessi all’area del disagio sociale e della salute, al turismo e a numerose altre necessità.
1.3 Cenni sulle caratteristiche strutturali delle imprese agricole lecchesi
Le imprese agricole lecchesi sono circa
1.230, per lo più di piccole e piccolissime
dimensioni e sono dislocate per il 42% in
montagna e per il 58% in collina.
Una quota significativa di imprese svolge
l’attività agricola in modo integrativo e
complementare, mentre solo una minore
parte di esse la svolge in forma esclusiva
e professionale. Un quadro più completo
della situazione emerge dalle analisi con13
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
dotte nell’ambito della predisposizione del Programma di sviluppo rurale 2007-2013 della Regione Lombardia, al quale si rinvia per gli approfondimenti (www.agricoltura.regione.lombardia.it).Circa 800 aziende, che rappresentano il 64% del totale, ma
conducono il 33% della Sau (circa 4.000 ettari, prevalentemente in montagna) sono
definibili come aziende di sussistenza. Le aziende professionali, caratterizzate da
una quantità di lavoro superiore all’unità lavorativa e con reddito agricolo quale fonte reddituale principale, sono invece il 22% (cioè 270 unità), ma conducono il 60%
della Sau (7.240 ettari, più o meno equamente distribuiti fra montagna e collina).
Marginali risultano, infine, altre due categorie di aziende: quelle per autoconsumo e
quelle definite come destrutturate che comprendono i gruppi caratterizzati da lavoro
inferiore ad una unità lavorativa.
Le aziende che verosimilmente sono in condizioni di attivare più agevolmente azioni
imprenditoriali volte a sviluppare nuovi servizi, quali la vendita diretta dei prodotti,
sono quelle professionali. Tuttavia, i maggiori benefici da politiche aziendali volte ad
erogare servizi si potrebbero ottenere da parte del più numeroso gruppo di aziende
classificate di “sussistenza”, nelle quali potrebbe essere ottimizzato l’impiego del fattore lavoro. Il maggiore reddito che potrebbero ottenere gli operatori agricoli, infatti,
potrebbe costituire valido motivo di permanenza nell’attività agricola, con conseguente
beneficio per il territorio. Per tali imprese le azioni di orientamento, di informazione,
di assistenza e di coordinamento operativo (ad esempio per la trasformazione dei prodotti presso altre aziende agricole locali, con possibilità di integrare la materia prima
aziendale nei limiti consentiti, si veda paragrafo n. 3.1), possono rappresentare un utile sostegno all’attuazione di politiche aziendali di sviluppo.
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1.4 Cenni sulle strutture aziendali di trasformazione dei prodotti
Nell’ambito di un’indagine svolta dalla Provincia di Lecco, con l’intento di acquisire conoscenze dei prodotti ottenuti nelle aziende agricole lecchesi6, sono
stati rilevati, fra gli altri, dati relativi alle strutture aziendali destinate alla trasformazione e alla gestione dei prodotti (caseifici, macelli, laboratori di trasformazione, locali di stagionatura, celle frigorifere, magazzini e locali di vendita). Per ciascuna struttura è stata rilevata la consistenza, l’età, il livello di utilizzazione, l’adeguatezza e le esigenze di ammodernamento. L’indagine è stata
condotta su 67 aziende agricole che, sulla base di elementi di conoscenza da parte del Servizio Agricoltura provinciale, praticavano la trasformazione di prodotti e, con varie modalità e intensità, anche la vendita diretta. Sebbene il gruppo di aziende indagate non rappresenti la totalità delle aziende che attuano processi di trasformazione dei prodotti si ha ragione di ritenere che le informazioni disponibili derivanti dalla predetta indagine possano fornire un utile quadro
informativo (fatta eccezione per le imprese apistiche specializzate, che non sono
state comprese nell’indagine).
Laboratorio di
trasformazione
Locale di stagionatura
Cella frigorifero
Locale vendita
Numero
32
Totale superficie/
volume (mq;mc)
1.266
Media superficie/
volume (mq;mc)
40
Utilizzazione con
prodotti aziendali (%)
52
Strutture costruite
e/o ristrutturate dopo il 1995 (%) 63
Aziende con esigenze
di ammodernamento strutture (%) 9,4
Aziende con esigenze
di ammodernamento impianti (%) 3,1
Macello
Caseificio
Tabella 1: dati di sintesi delle strutture utilizzate per la trasformazione e la vendita dei prodotti aziendali.
5
25
25
21
26
340
1.988
843
816
618
68
80
34
39
24
56
41
45
78
100
60
68
56
71
62
33
16
12
5
15
33
12
12
0
23
Fonte: Ns. elaborazione dati “Indagine conoscitiva per la costruzione del quadro delle conoscenze per la definizione di disciplinari di produzione dei prodotti agricoli lecchesi”.
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Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
Dai dati dell’indagine, riportati sinteticamente
nella Tab. 1 emerge che nell’ambito delle imprese agricole provinciali si dispone di una
dotazione strutturale e impiantistica abbastanza recente, con realizzazioni o miglioramenti avvenuti perlopiù nell’ultimo decennio.
I locali e gli impianti generalmente sono di
piccole dimensioni e utilizzati pressoché
esclusivamente per le esigenze aziendali interne. La sola utilizzazione aziendale degli impianti, tuttavia, non sembra sfruttare in
modo ottimale la loro potenzialità, che consentirebbe di aumentare la capacità produttiva locale e di sfruttare maggiormente impianti e strutture senza o con minimi ulteriori investimenti, come sembra rilevarsi
dalle limitate esigenze di ammodernamento
dichiarate dalle imprese.
Il maggiore sfruttamento degli impianti può
avvenire attraverso l’aumento dell’attività
aziendale, oppure favorendo l’accesso agli impianti ad altre aziende. Tale accesso può
realizzarsi attraverso accordi che prevedano l’uso degli impianti da parte di altre imprese, lavorazioni per conto terzi, lavorazioni congiunte, ecc.
Attualmente questa modalità di collaborazione fra le imprese non trova una particolare diffusione, tuttavia essa potrebbe consentire, in condizioni adeguate, di contenere gli investimenti, ridurre i costi di produzione e di gestione dell’attività e favorire relazioni di cooperazione fra le imprese.
Inoltre, occorre considerare le disponibilità di strutture di trasformazione extragricole (macelli, caseifici, ecc) che costituiscono validi e utili alternative alla trasformazione interna all’azienda.
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2 Il paniere dei prodotti agroalimentari lecchesi
In questo capitolo sono prese in esame le produzioni agroalimentari locali, con l’intento di evidenziare qual è il “paniere dei prodotti agricoli locali”. I dati di produzione derivano da stime effettuate dal Servizio Agricoltura e Foreste della Provincia di Lecco, mentre quelli relativi ai consumi medi sono stati tratti da numerose fonti e, principalmente, da documenti pubblicati sui siti internet da associazioni di categoria (es.
Assocarni, Federalimentari, ecc).
Come è agevole rilevare, il confronto fra produzione e consumi pro capite ha il solo
scopo di mettere in evidenza la potenzialità del mercato locale di assorbire i prodotti
dell’agricoltura lecchese. E’ tuttavia evidente che il dato di consumo ha un significato
meramente statistico e, di per sé, non costituisce garanzia di successo delle politiche commerciali da parte dei produttori agricoli, che evidentemente devono rispondere ad un
complesso di esigenze e requisiti richiesti dal mercato e da categorie di consumatori.
2.1 I prodotti di origine vegetale
2.1.1 Cereali
La coltivazione dei cereali è praticata prevalentemente nell’area del
pianalto e della bassa collina brianzola, mentre risulta marginale
nelle zone montane del territorio. Prevalgono i cereali destinati all’alimentazione zootecnica (nell’ordine mais, orzo, triticale e l’avena). Il frumento tenero, invece, interessa una superficie di circa 450
ettari, con considerevoli fluttuazioni di superficie in relazione alle
congiunture di mercato.
2.1.2 Coltivazioni orticole
Le specie orticole sono variamente presenti sul territorio provinciale
(otre 60 ettari) e vengono coltivate su superfici medie aziendali piuttosto modeste, fatta eccezione per l’area collinare di Montevecchia
e il pianalto meratese e casatese, dove si collocano le principali aziende produttrici. Queste, benché pratichino la coltivazione orticola in
forma specializzata, restano tuttavia di piccole dimensioni. Fra i
prodotti primeggiano quelle da foglia e le aromatiche, per le quali l’area di Montevecchia presenta una riconosciuta vocazione. Alcune coltivazioni sono praticate in pieno campo, soprattutto le piante aromatiche (salvia e rosmarino), altre sia in pieno campo che in
ambiente protetto (coltivate prevalentemente in tunnel, come insalate, pomodori, spinaci, erbette, zucchine, melanzane, peperoni,
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Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
fagiolino fresco, cavolo, ecc.). In coltura protetta vengono
eseguiti diversi cicli colturali annui.
Rispetto alle potenzialità territoriali, sia in termini di superfici
coltivabili, sia in termini di espansione del mercato, soprattutto
attraverso forme di vendita diretta, queste colture localmente
presentano ancora un ampio margine di sviluppo.
2.1.3 Coltivazioni legnose agrarie
All’interno di questo raggruppamento colturale sono compresi gli oliveti, i vigneti e i frutteti, comprensivi anche
dei piccoli frutti o frutti di bosco.
Questo raggruppamento colturale tradizionalmente presente
nel territorio provinciale (soprattutto per quanto riguarda
vite e olivo, andate soggette per varie cause ad un decadimento, ma attualmente in significativa ripresa), è accomunato dalla limitata presenza di imprese che praticano la
coltivazione in modo professionale e specializzato. Fanno
eccezione poche realtà imprenditoriali consolidate che si
annoverano nel comparto vitivinicolo e in minore misura
nel comparto olivicolo. In quest’ultimo sono per lo più in fase di avvio alcune esperienze imprenditoriali, così come nella coltivazione dei piccoli frutti mentre, per quanto riguarda i frutteti specializzati in senso stretto, sono pressoché inesistenti, trattandosi perlopiù di coltivazione di alberi da frutta di diverse specie in maniera promiscua (fichi, ciliegi, prugne, albicocche, mele, pere, actinidia, ...).
La vite è presente in un’ampia area del territorio provinciale ma è concentrata prevalentemente nella zona collinare del Parco di Montevecchia e della Valle del Curone e lungo la riviera orientale del Lario. Da luglio 2008 il territorio
di 42 comuni della Brianza e di 27 della montagna lecchese rientra nella zona di produzione dell’Indicazione geografica tipica “IGT Terre lariane” a testimonianza del percorso
di miglioramento della qualità dei prodotti che le imprese vitivinicole hanno compiuto.
La superficie a vigneto, comprensiva delle vigne di superficie inferiore a 1000 mq e perciò esonerate dall’obbligo di
registrazione al catasto vitivinicolo (60,53 ettari), è stimata in circa 90 ettari.
La produzione stimata di uva è di circa 480 t, dalla quale si
ottengono circa 3.100 ettolitri di vino (di cui circa il 75% rosso), fra cui uno spumante molto apprezzato. La produzione
18
destinata al mercato è concentrata prevalentemente in pochissime aziende, che dispongono di prodotti di qualità
e che a partire dalla vendemmia 2008 possono fregiarsi dell“IGT Terre lariane”.
Per quanto riguarda la coltivazione dell’olivo, nel 2007
la superficie interessata da questa coltura è stata stimata
in circa 65 ettari. La produzione di olive nello stesso
anno è stata di circa 56,6 t, ma vi è da considerare che
questa coltura è soggetta ad alternanza di produzione
(annate di carica e annate di scarica). Nelle annate di
carica il dato si posiziona su circa 100 t di olive, che
danno un rendimento in olio variabile in funzione di
numerosi fattori, ma che mediamente si posiziona intorno al 15%. La disponibilità di
prodotto trasformato varia, quindi, tra 8.000 e 11.000 kg di olio.
L’area dove è maggiormente coltivato l’olivo rientra nella zona di produzione dell’olio
extra vergine a denominazione d’origine protetta (Dop) “Laghi lombardi”, con la sotto denominazione “Lario”.
La superficie investita a frutti di bosco (lampone, mirtillo, ribes comune e ribes nero,
more) nel 2007 ha raggiunto circa 9 ettari ed è in crescita. La coltivazione è praticata
soprattutto dalle aziende che svolgono, o che intendono svolgere in futuro attività agrituristiche, poiché consente di ottenere prodotti facilmente utilizzabili nella ristorazione, mediante la preparazione di dolci e confetture.
La superficie interessata da colture frutticole nel 2007 è stata stimata in circa 24 ettari, con prevalenza del castagneto da frutto che da solo occupa un quarto dell’intera
superficie (6 ettari). Seguono coltivazioni di mele da tavola (3 ettari), noci (1,9 ettari)
e altre specie coltivate all’interno di frutteti misti (pero, pesco, susino, ciliegio, albicocco, ecc).
Questo particolare comparto non ha ancora assunto una
vera e propria dimensione imprenditoriale e la produzione è destinata per lo più all’autoconsumo, ad eccezione dei limitati casi di trasformazione per la produzione di succhi e confetture destinate alla vendita diretta da parte del produttore.
2.1.4 Conserve dolci e salate
La produzione locale di conserve dolci è stimata in circa 8 t e si tratta in buona parte di prodotti collegati alla
coltivazione di piccoli frutti, oltre che allo sfruttamen19
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
to di piante da frutta isolate o di frutti selvatici. In
numerosi casi la produzione di conserve dolci è collegata all’attività di agriturismo, all’interno della quale questi prodotti trovano impiego per circa il 30%
nella preparazione di dolci utilizzati nell’attività di
ristorazione. Dall’indagine condotta dalla Provincia nel 2004, che per questi prodotti ha interessato 17 aziende, è emerso che essi sono costituiti da
succhi e da confetture, caratterizzate da un elevato contenuto in frutta.
Meno importante, dal punto di vista quantitativo
e per il numero di operatori coinvolti, è la produzione di conserve salate, consistenti prevalentemente
in sottoli e sottaceti la cui produzione, stimata in circa 4 t, è ancor più direttamente
collegata all’attività agrituristica e in particolare a quella di ristorazione.
2.2 I prodotti di origine animale
Per le caratteristiche ambientali e di destinazione colturale dei terreni, che vedono la
presenza di un’estesa presenza di colture foraggere, le produzioni animali rivestono una
particolare importanza per l’agricoltura lecchese. Infatti si può rilevare una diffusa presenza di allevamenti zootecnici, per lo più di piccole e piccolissime dimensioni. Dai dati
2007 risultano particolarmente diffusi gli allevamenti ovicaprini (1,050) e quelli bovini (974), con una significativa presenza di allevamenti equini (650) e suini (260). Non
trascurabile è il comparto apistico, dove operano circa 300 allevatori (di cui circa 25-30 professionali)
con oltre 430 postazioni, tra stanziali e nomadi.
Alla particolare diffusione territoriale degli allevamenti si contrappone una più modesta consistenza complessiva del patrimonio zootecnico provinciale, che vede la presenza di 15.000 capi ovicaprini (di cui 8.600 caprini e 6.480 ovini), 11.343 capi
bovini (di cui 4.103 vacche da latte), 2.620 suini
(di cui 400 scrofe), 2.110 equini. Naturalmente non
mancano le specie avicole presenti in 6 allevamenti
professionali, (40.000 ovaiole, 190.000 polletti, 1.000
tacchini, ecc), oltre ai numerosissimi allevamenti familiari perlopiù destinati all’autoconsumo, i conigli (con circa 6.500 fattrici e 40.000 capi di ingrasso)
20
e circa 10.000 arnie. Da questi dati derivano consistenze medie aziendali piuttosto modeste, che delineano un quadro imprenditoriale fatto soprattutto di piccole imprese, prevalentemente a carattere familiare. Tuttavia, i dati evidenziati non impediscono a diverse realtà imprenditoriali agricole di avere una dimensione produttiva ed economica di tutto rispetto.
All’interno di questo quadro strutturale dell’aggregato zootecnico, la provincia di Lecco dispone di un’ampia gamma di prodotti di origine animale, che tuttavia in alcuni
casi presentano una limitata disponibilità.
2.2.1 Carni
La capacità produttiva di carne dell’agricoltura lecchese, secondo le stime riferite al 2007,
ammonta complessivamente a circa 4.234 t. La disponibilità teorica pro-capite riferita alla popolazione residente è di circa 13 Kg/anno. Il dato riferito copre circa il 25%
del consumo medio procapite e evidenzia l’ampio divario esistente tra domanda potenziale e offerta reale che, nei limiti delle risorse territoriali locali, lascia intravedere non solo le potenzialità di crescita dell’offerta, ma anche quella di miglioramento
del prodotto per una sua maggiore valorizzazione.
Tabella 2: confronto fra produzione e consumo di varie tipologie di carne
Prodotto
Produzione locale ’07 (t) Disponibilità pro capite (Kg) Consumo pro capite (Kg)*
Carni bovine
Carni suine
Carni avicole
Carni cunicole
Carni ovi-caprine
Altre carni
Totale
1.392
635
1.571
315
217
104
4.234
4,3
2
5
1
0,7
0,3
25
32
27
4
1,5
n.d.
* Fonte: i dati sono stati rilevati da diverse fonti, perlopiù associazioni di categoria, e fanno riferimento alla media nazionale.
2.2.2 Salumi
La produzione di salumi viene praticata in alcune
decine di aziende, parte delle quali vendono anche
carne suina fresca. Una quantità limitata della produzione è impiegata direttamente dall’azienda
nella ristorazione agrituristica, mentre la maggior
parte è venduta prevalentemente in azienda e in minore misura nei mercati locali. In numerosi casi
la trasformazione viene effettuata esternamente all’azienda, all’interno di laboratori artigianali aven21
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
ti i requisiti igienico sanitari previsti e presso i quali si possono utilizzare
le competenze professionali di artigiani che tradizionalmente praticano l’arte della norcineria.
La quantità di salumi prodotta risulta di difficile stima; tuttavia, si ritiene
che essa sia di circa 50-60 t/anno ed è abbastanza omogeneamente distribuita nelle diverse aziende che praticano la trasformazione, fatta eccezione per una di esse che produce circa il 20% del totale.
Le potenzialità di incremento di questi prodotti sono rilevanti, considerato
che la trasformazione all’interno di aziende agricole riguarda meno del 10%
della produzione provinciale di carne suina.
2.2.3 Latte
Il latte è uno dei principali alimenti prodotti dall’agricoltura lecchese e quello vaccino è ottenuto in 134 aziende titolari di quota di produzione, con un
quantitativo di riferimento di 25.295,1 t e una produzione dichiarata nella
campagna 2006/07 di 26.457,8 t.
Le aziende titolari di “quota vendita” sono 73, con un quantitativo di riferimento di circa 2.685 t. La maggior parte del latte prodotto in quota vendite è avviato alla trasformazione, anche se negli ultimissimi anni è in progressiva crescita il quantitativo di latte alimentare venduto attraverso i distributori automatici, (circa 30 impianti collocati in oltre 20 comuni.)
Localmente è presente anche una discreta quantità di latte caprino, stimata in circa 900
t/anno, che viene avviata interamente alla trasformazione di formaggi, perlopiù freschi, particolarmente apprezzati dal mercato. Il trend della produzione di latte caprino è in crescita e vede impegnate molte giovani imprese.
2.2.4 Formaggi
Dal latte prodotto in quota vendita si stima derivino circa 300 t di formaggi di varia
natura. I produttori agricoli che trasformano direttamente il latte, infatti, ottengono
una notevolissima varietà di formaggi, i quali, anche se
a volte denominati nello stesso modo, sono in realtà il risultato di modalità di produzione che si diversificano sensibilmente da un’azienda all’altra. Normalmente, nelle
aziende montane che trasformano latte vaccino si riscontra
una minore varietà di prodotti e più uniformi sistemi di
lavorazione del latte (si produce quartirolo, taleggio, latteria magro e grasso, pasta per formaggini) mentre nelle aziende di collina si riscontra una produzione casearia più diversificata.
Classificando i tipi di formaggio in base al tipo di latte
22
impiegato (caprino, vaccino o misto), al tipo di pasta (dura, semidura e molle), alla cottura della cagliata
(cotta, semicotta e cruda), si trovano 15 tipologie di
formaggi (che diventano 28 se si distingue anche in
base al tempo di stagionatura). Tutto ciò può essere
indicativo di come le aziende cerchino di incontrare i gusti dei consumatori, cercando di attrarne il maggior numero offrendo una vasta gamma di prodotti,
Dal confronto fra disponibilità locale pro capite (circa 1 kg) e consumo medio nazionale pro capite (circa 24 Kg) emerge che per i formaggi prodotti direttamente dall’impresa agricola esista una potenzialità di mercato considerevole e che la crescita dell’offerta può essere sostenuta sia dall’incremento della quota vendite del latte (con contestuale riduzione della “quota
consegne”), sia dalla disponibilità di capacità produttiva dei
caseifici aziendali esistenti.
Oltre ai tradizionali formaggi diverse aziende agricole producono anche yogurt, di latte vaccino e caprino, naturale e
alla frutta. Per questo prodotto la domanda degli ultimi anni
è stata in crescita.
2.2.5 Uova
La produzione lecchese di uova è stimata in oltre 12 milioni di pezzi, pari a oltre 740 t.
La disponibilità teorica pro capite riferita alla popolazione residente è di circa 37
uova/anno, a fronte di un consumo nazionale medio pro capite di 225.
2.2.6 Miele
La produzione di miele da parte degli apicoltori lecchesi nel 2007 è stata stimata in 72
t, ma la campagna produttiva ha risentito di avverse condizioni meteorologiche che
hanno pregiudicato in modo rilevante i risultati produttivi. La quantità di prodotto locale che può assumersi ordinariamente disponibile è di circa 100 t/anno, a cui corrisponde una disponibilità pro capite riferita alla popolazione residente di circa 0,3 Kg,
in linea con i consumi medi nazionali.
Agli apicoltori lecchesi sono riconosciute elevate capacità tecniche e professionali e grazie alla diffusione del nomadismo, che interessa oltre un terzo delle arnie presenti (3.717,
collocate in 106 postazioni), si ottengono prodotti di elevata qualità, riconosciuta soprattutto nei mieli uniflorali (acacia, castagno, tarassaco, ciliegio, ecc).
Anche in questo comparto, caratterizzato dalla presenza di circa 300 apicoltori, numerosissimi sono gli hobbisti, mentre i professionisti rappresentano circa il 10% dei
produttori.
23
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
3 Aspetti normativi e modalità di vendita diretta
3.1 Aspetti generali
Nell’ambito dei rapporti dell’impresa agricola con il mercato, al pari delle altre imprese, la commercializzazione riveste una fondamentale importanza.
L’attività di commercializzazione dei prodotti agricoli si può qualificare come “agricola
per connessione”, a norma dell’articolo 2153 del codice civile, se riguarda i prodotti
ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento
di animali (elemento oggettivo) ed è esercitata dalla stessa impresa produttrice (elemento
soggettivo).
Per effetto del richiamo alla “prevalenza” da parte della norma, pertanto, non residuano
dubbi sulla possibilità per l’imprenditore agricolo di potere vendere i propri prodotti
affiancando alla sua produzione aziendale anche prodotti agricoli acquistati sul mercato, in misura non prevalente.
La principale norma di riferimento per la vendita diretta dei prodotti da parte degli imprenditori agricoli è contenuta nel D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 228 “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001,
n. 57” e precisamente nell’articolo 4 “Esercizio dell’attività di vendita”.
Tale articolo al primo comma prevede che gli imprenditori agricoli, singoli o associati,
iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580,
possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità. Il comma 5 precisa che la disciplina si applica anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici,
finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa.
L’articolo 4, comma 1 del D.Lgs 29 marzo 2004 n. 99 ha esteso la disciplina amministrativa in tema di vendita diretta
prevista dall’art. 4 del D.Lgs 228/2001 anche agli Enti e alle
Associazioni che vendono direttamente prodotti agricoli.
Il comma 6 dell’art. 4 del D.Lgs 228/2001 chiarisce che non
possono esercitare l’attività di vendita diretta gli imprenditori agricoli, singoli o soci di società di persone e le persone giuridiche i cui amministratori abbiano riportato, nell’espletamento delle funzioni connesse alla carica ricoperta nella società, condanne con sentenza passata in giudicato, per delitti in materia di igiene e sanità o di frode nel24
la preparazione degli alimenti nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività. Il divieto ha efficacia per un periodo di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
E’ da sottolineare che rispetto alla precedente Legge 9 febbraio 1963 n. 59 “Norme per
la vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti”, tuttora vigente, il D.Lgs. n. 228/2001 amplia l’ambito di applicazione
della vendita diretta dei prodotti agricoli, in quanto esenta chiaramente dalla materia
del commercio anche la vendita dei prodotti agricoli non provenienti dall’azienda, purché entro il limite seguente: i ricavi dell’anno solare precedente ottenuti dalla vendita di prodotti agricoli non provenienti dalla propria azienda deve essere inferiore a
160.000 euro per gli imprenditori individuali e a 4.000.000 di euro per le società, come
disposto dalla legge finanziaria 2007 (art. 1, comma 1064, L. 296/2006).
Relativamente all’esenzione dalla materia del commercio è tuttavia opportuno sottolineare che essa non è da intendersi in senso assoluto, ma correlata:
• al concetto di “prevalenza” della provenienza dei prodotti contenuto nel comma
1 dell’art. 4. Come chiarito dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 44 del
15.11.2004, la prevalenza può essere misurata o in termini di quantità, se i beni
da porre a confronto risultano omogenei (ad esempio le mele acquistate da terzi
da trasformare insieme a mele proprie per ottenere marmellata), o in termini di valore, se i beni non sono omogenei (ad esempio le pere acquistate da terzi da trasformare insieme a mele proprie per ottenere marmellata).
• alla natura agricola dei prodotti, intendendosi per tali solo quelli derivanti dall’attività
di “coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”, come indicato dall’articolo 2135 del codice civile.
Rispetto al rapporto intercorrente fra la vendita diretta dei prodotti agricoli e l’attività commerciale, il comma 7 dell’articolo 4 del D.Lgs 228/2001, stabilisce che alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli non si applicano le disposizioni in materia di commercio, come ad esempio i requisiti di accesso all’attività, la programmazione della rete distributiva, l’obbligo di chiusura settimanale e in generale l’osservanza
degli orari di apertura e di chiusura degli esercizi di vendita. In merito a quest’ultimo
aspetto, pertanto, l’attività di vendita diretta di prodotti agricoli non è sottoposta all’obbligo di chiusura domenicale e festiva (prescritto dall’articolo 11, comma 4, del D.lgs.
n. 114/1998) per gli esercizi di vendita al dettaglio. L’unico rinvio alla disciplina generale sul commercio riguarda l’assegnazione dei posteggi agli imprenditori agricoli
nelle aree mercatali pubbliche.
3.2 Disciplina delle modalità di vendita
Sempre all’articolo 4 del D. Lgs. n. 228/2001 si trovano menzionate le diverse modalità
con cui i produttori agricoli possono effettuare la vendita diretta dei prodotti agricoli.
25
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
3.2.1 Vendita diretta in forma itinerante.
Questa modalità di vendita si effettua con un mezzo mobile opportunamente attrezzato o mediante commercio elettronico (via internet). Chi
intende adottare questa modalità di vendita deve comunicarlo preventivamente al comune dove ha sede l’azienda di produzione. La vendita
può essere effettuata in tutto il territorio nazionale decorsi trenta giorni dal ricevimento della predetta comunicazione da parte del comune.
La comunicazione deve contenere le generalità del richiedente, le indicazioni dell’iscrizione nel registro delle imprese, gli estremi di ubicazione dell’azienda, la specificazione dei prodotti di cui s’intende praticare la vendita e le modalità con cui si intende effettuarla.
3.2.2 Vendita diretta in sede stabile
Questa modalità di vendita prevede che la comunicazione debba essere indirizzata al
comune nel cui territorio si intende esercitare la vendita, che può essere effettuata:
1. in locali aperti al pubblico, quali un negozio o lo spaccio aziendale;
2. su aree pubbliche, anche con l’utilizzo di un posteggio. In questo caso la comunicazione al comune deve contenere anche la richiesta di assegnazione del posteggio, secondo la disciplina regionale, in base alla quale i comuni fissano i criteri di assegnazione delle aree riservate agli agricoltori che esercitano la vendita
dei loro prodotti.
Per la Lombardia la L.R. 21 marzo 2000 n. 15 “Norme in materia di commercio
al dettaglio su aree pubbliche” e successive modifiche prevede che nei mercati
può essere riservato ai produttori agricoli fino ad un massimo del tre per cento
dei posteggi complessivamente disponibili per il settore alimentare e prodotti ortoflorofrutticoli. Essa prevede, inoltre, che qualora i posteggi disponibili siano inferiori al numero di domande, la loro assegnazione da parte del comune avvenga mediante una graduatoria redatta secondo i criteri di priorità indicati all’articolo 5 della stessa legge, cioè:
a) maggior numero di presenze maturate nell’ambito del singolo mercato;
b) attestato di frequenza ai corsi di formazione di cui all’articolo 1-bis, comma 9;
c) anzianità di registro delle imprese;
d) anzianità dell’attività di commercio su aree pubbliche attestata dal Registro delle Imprese.
3.2.3 Vendita diretta su superfici private all’aperto, anche esterne all’azienda agricola
Atteso che l’attività di vendita dei prodotti agricoli costituisce una “normale” attività agricola (attività connessa ex art. 2135 c.c.). la legge n. 81 del 2006 ha esentato
tale modalità di vendita dalle incombenze amministrative previste per le altre modalità, disponendo che “per la vendita al dettaglio esercitata su superfici all’aperto
26
nell’ambito dell’azienda agricola o di altre aree private di
cui gli imprenditori agricoli abbiano la disponibilità non
è richiesta la comunicazione di inizio attività”.
3.2.4 Aspetti amministrativi: la comunicazione al comune
Per la comunicazione da indirizzare al comune per l’esercizio della vendita diretta in forma itinerante o in sede fissa occorre utilizzare la modulistica predisposta dalla Regione Lombardia (Decreto del Direttore centrale16 luglio
2008 n.7813), pubblicata sul 2° supplemento straordinario al Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n. 31 del 29 luglio 2008.
Tale comunicazione prende il nome di Dichiarazione di inizio attività produttiva (DIAP)
e si compone di 2 modelli (A e B) e 5 schede. Per l’avvio dell’attività di vendita diretta da parte dei produttori agricoli occorre trasmettere al comune il Modello A e la scheda n. 4.
La modulistica può essere reperita presso il proprio comune o sul sito internet www.regione.lombardia.it (scrivere “diap” nel campo ricerca).
3.3 Aspetti operativi e considerazioni sulle diverse modalità di vendita diretta
In questa parte del volume si esaminano i diversi canali di commercializzazione dei
prodotti agricoli, con riferimento diretto ai cosiddetti “circuiti brevi”, all’interno dei quali si colloca la vendita diretta, cioè quella modalità di vendita che porta a diretto contatto il produttore e il consumatore. Tuttavia, in questa sede si ritiene opportuno fare
anche un cenno ad altre modalità di vendita e segnatamente attraverso i negozi e la
ristorazione, che sebbene non costituiscano una forma diretta di vendita dal produttore al consumatore finale, in quanto prevedono un passaggio intermedio, rivestono
una notevole importanza nelle strategie di commercializzazione dei prodotti locali.
Le diverse modalità di commercializzazione nell’ambito dei cosiddetti “circuiti brevi”
sono riconducibili a: vendita in azienda, vendita in negozio del produttore, vendita
nei mercati riservati agli agricoltori, vendita nei mercati locali, vendita nell’ambito di
fiere e mostre, vendita itinerante, vendita a gruppi di acquisto (GAS).
Inoltre si segnalano ulteriori modalità di vendita diretta che potrebbero essere prese in
considerazione da parte dei produttori: vendita per corrispondenza, e-commerce (vendita via internet).
3.3.1 Vendita in azienda con spaccio individuale o collettivo
Rientra nella forma di vendita in sede stabile su area privata in locale aperto al pubblico ed è la modalità di vendita più diffusa. Essa, tuttavia, presenta in generale diversi
limiti ovvero:
27
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
a.
generalmente il numero di prodotti posti in vendita da una singola azienda è limitato e non permette al consumatore di effettuare l’acquisto dei diversi prodotti di cui necessita;
b. il consumatore subisce il disagio di doversi recare in diverse aziende per completare la “borsa della spesa”;
c. le aziende agricole sono generalmente ubicate all’esterno dei centri abitati e con
possibili problematiche di viabilità.
Per il produttore, invece, il vantaggio della vendita in azienda è connesso ad una maggiore facilità di gestione dell’attività:
a. per la presenza dei prodotti posti in vendita sul luogo di produzione;
b. per la disponibilità in azienda di locali da adibire alla vendita in modo permanente o temporaneo;
c. per il risparmio di tempo connesso agli spostamenti al di fuori dell’azienda;
d. per l’eliminazione dei costi di trasporto (automezzo e carburanti) e di eventuale
personale.
A fronte di questi vantaggi generali occorre tuttavia considerare che per effettuare la
vendita in azienda spesso sono necessari investimenti che possono variare da poche
migliaia ad alcune decine di migliaia di euro, in funzione delle condizioni di partenza, con riferimento:
a. all’idoneità dei locali di vendita;
b. alla disponibilità di attrezzature di vendita (scaffali, banco frigo, cassette, ecc);
c. allo stato della viabilità per raggiungere l’azienda;
d. alla cartellonistica per informare e guidare in azienda i clienti;
e. alla pubblicità del singolo punto vendita.
In linea generale questa modalità di vendita può essere tanto più interessante quanto
più l’azienda agricola:
a. è facilmente raggiungibile dalle principali arterie viabilistiche;
b. dispone di una gamma di prodotti diversificata;
c. dispone di locali idonei;
d. offre al cliente servizi efficienti e apprezzati, quali ad esempio i servizi agrituristici, locali di vendita accoglienti, aree all’aperto per la sosta dei veicoli e per l’accoglienza, possibilità di degustare i prodotti, di vistare l’azienda e di conoscere meglio i
sistemi di produzione, ecc.
In altre parole, per effettuare con successo la vendita diretta in azienda, il produttore deve cercare di “compensare” il disagio del cliente a cui viene richiesto di recarsi
in azienda, offrendogli un “controvalore” allettante in servizi di qualità.
I possibili “correttivi” per aumentare la convenienza ad
effettuare questa modalità di vendita possono essere:
28
a.
b.
l’ampliamento della gamma dei prodotti posti in vendita, mediante l’acquisto di prodotti diversi da quelli di cui dispone l’azienda, nei limiti della prevalenza previsti dal D.Lgs. 228/2001 (si ricorda al riguardo
che i prodotti acquistati da terzi devono essere prodotti
agricoli).
Le decisioni su tipologia e caratteristiche dei prodotti da acquistare da altri produttori, ad integrazione della propria produzione, derivano dall’esperienza diretta di ciascuna azienda, in relazione alle richieste e alle
esigenze della propria clientela e alle politiche commerciali che ciascuna azienda intende adottare. Diverse aziende che praticano già
la vendita diretta fanno ricorso a queste forme di integrazione, sebbene non siano ancora molto diffuse. I prodotti già confezionati (ad esempio il miele, le confetture, le conserve salate, il vino, i formaggi stagionati, ecc) sono quelli più facilmente gestibili, così come il latte venduto attraverso distributori automatici;
l’ampliamento della gamma dei prodotti posti in vendita, mediante l’organizzazione di uno spaccio aziendale collettivo, realizzabile con il coinvolgimento
di più aziende aventi prodotti complementari e che partecipano paritariamente all’attività di vendita. Questa modalità consentirebbe di offrire alla clientela una gamma molto ampia di prodotti, che può essere realizzata anche con la collaborazione
di poche aziende agricole, opportunamente scelte per la diversità delle produzioni. Queste, inoltre, possono essere ulteriormente integrate con acquisti di prodotti
da terzi (sempre entro i limiti della prevalenza).
La realizzazione di questa modalità di vendita:
• richiede l’esistenza di un sistema di relazioni interpersonali fra gli imprenditori fondato sulla fiducia reciproca, sulla propensione alla cooperazione, su obiettivi comuni e condivisi;
• presuppone la disponibilità all’interno di un’azienda agricola, favorevolmente ubicata rispetto alle vie di comunicazione, di strutture adeguate a ospitare
le altre aziende partecipanti. Tali strutture possono essere anche di tipo leggero (casette in legno, tensostrutture, tettoie, ecc), rispondenti ai requisiti igienico sanitari, e collocate in un’area adeguata dell’azienda;
• permette di ridurre i costi di investimento e di gestione (energia, acqua, servizi di accoglienza per la clientela, attrezzature di vendita, pubblicità, cartellonistica, ecc), che sarebbero ripartiti fra più produttori;
• permette di ridurre l’impegno richiesto dall’attività di vendita (possibilità di fare
i turni) garantendo anche l’apertura dello spaccio per un maggior numero di ore;
• permette di ottimizzare l’uso di edifici e altre risorse strutturali esistenti all’interno delle aziende agricole;
29
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
• aumenta l’attrattività del punto vendita verso i clienti per effetto della diversificazione dei prodotti acquistabili e, conseguentemente, permette di incrementare
il volume degli scambi delle aziende, rispetto a quello che ciascuna di esse potrebbe realizzare autonomamente;
• favorisce la coesione sociale e fra le imprese agricole.
3.3.2 Vendita in locali aperti al pubblico fuori dall’azienda, in forma individuale o
collettiva
Questa forma di vendita si effettua su area privata in sede stabile esternamente all’azienda,
quale ad esempio un negozio posto all’interno di un centro abitato. Rispetto all’analoga formula in azienda presenta il vantaggio di essere collocata dove risiedono i consumatori, i quali sono facilitati nell’accesso ai prodotti locali, non dovendosi recare in
azienda per l’acquisto. In questo modo, perciò, è il produttore che porta nel luogo di
consumo i prodotti.
L’attivazione di questa modalità di vendita comporta costi rilevanti per il produttore,
connessi all’uso dei locali (affitto o acquisto, arredamento, attrezzature di vendita, spese di gestione, ecc), la cui entità può rivelarsi difficilmente sostenibile. Anche in questo caso una possibile “azione correttiva” può essere costituita dalla condivisione del
locale con altre aziende agricole, realizzando in tal modo un punto vendita collettivo.
In ogni caso occorre considerare che:
a. la localizzazione e la cura del negozio riveste una particolare importanza ai fini
del successo dell’iniziativa;
b. la vendita all’esterno dell’azienda agricola di produzione, con la quale la clientela non avrebbe occasione di relazione diretta, potrebbe indurre il consumatore
ad assimilare l’attività ad una normale attività commerciale;
c. per mantenere viva nella clientela la percezione del legame dei prodotti con il
territorio è quindi importante curare la comunicazione e le relazioni, con strumenti
quali audiovisivi, depliant, organizzazione di visite aziendali, ecc;
d. i costi per l’attivazione di questa modalità di vendita possono essere di entità tale
da richiedere un’elevata frequenza di vendita giornaliera, eventualmente non compatibile con la disponibilità di personale esistente all’interno dell’azienda. In tal
caso potrebbe essere necessario assumere personale che determinerebbe un aumento dei costi per l’impresa.
3.3.3 I mercati agricoli di vendita diretta
Una nuova e particolare forma di vendita in sede stabile, su area pubblica o in locali
aperti al pubblico, sono i mercati riservati alla vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli, previsti dall’art. 1, comma 1065 della Legge 27 dicembre 2006, n. 296
(legge finanziaria 2007).
In attuazione di tale norma il 20 Novembre 2007 è stato emanato il Decreto del Mi30
nistero delle Politiche Agricole e Forestali (GU n. 301 del
29.12.2007), con il quale vengono definite le linee di indirizzo per la realizzazione dei mercati riservati alla vendita
diretta da parte degli imprenditori agricoli.
Il decreto prevede che i comuni, anche consorziati o associati, di propria iniziativa o su richiesta degli imprenditori
singoli, associati o attraverso le associazioni di produttori e
di categoria, istituiscono o autorizzano i mercati agricoli di
vendita diretta che soddisfano gli standard previsti dallo stesso decreto e dispone che le richieste di autorizzazione si intendono accolte trascorsi sessanta giorni dalla richiesta senza comunicazioni contrarie.
I comuni istituiscono o autorizzano i mercati agricoli di vendita diretta sulla base di
un disciplinare di mercato che deve regolare le modalità di vendita, finalizzato alla valorizzazione della tipicità e della provenienza dei prodotti medesimi.
Nei mercati agricoli di vendita diretta, conformi alle norme igienico-sanitarie di cui
al Reg. n. 852/2004 e soggetti ai relativi controlli da parte delle autorità competenti,
possono essere posti in vendita esclusivamente prodotti agricoli conformi alla disciplina in materia di igiene degli alimenti, etichettati nel rispetto della disciplina in vigore per i singoli prodotti e con l’indicazione del luogo di origine territoriale e dell’impresa produttrice.
All’interno di tali mercati, oltre alla vendita diretta dei prodotti agricoli, è ammesso l’esercizio dell’attività di trasformazione dei prodotti da parte degli imprenditori agricoli nel
rispetto delle norme igienico-sanitarie; inoltre, possono essere realizzate azioni di informazione per i consumatori sulle caratteristiche qualitative dei prodotti agricoli posti in vendita, attività culturali, didattiche e dimostrative legate ai prodotti alimentari, tradizionali ed artigianali del territorio rurale di riferimento, anche attraverso sinergie
e scambi con altri mercati autorizzati.
I comuni favoriscono la fruibilità dei mercati agricoli di vendita diretta anche mediante
la possibilità, per altri operatori commerciali, di fornire servizi destinati ai clienti dei
mercati.
I soggetti ammessi alla vendita nei mercati agricoli di vendita diretta sono gli imprenditori
agricoli, iscritti nel registro delle imprese (art. 8 L. n. 580/1993), che rispettino le seguenti condizioni:
a. conducano un’azienda agricola ubicata nell’ambito territoriale amministrativo della regione o negli ambiti definiti dalle singole amministrazioni competenti;
b. vendano prodotti agricoli provenienti dalla propria azienda o dall’azienda dei soci
imprenditori agricoli, anche ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione, ovvero anche prodotti agricoli ottenuti nell’ambito territoriale di cui
alla lettera a), nel rispetto del limite della prevalenza di cui all’art. 2135 del codice civile;
31
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
c.
non siano incorsi in condanne per delitti in materia di igiene e sanità o di frode
nella preparazione degli alimenti nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività.
L’attività di vendita all’interno dei mercati agricoli di vendita diretta è esercitata dai
titolari dell’impresa, ovvero dai soci in caso di società agricola e di quelle di cui all’art.
1, comma 1094, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dai relativi familiari coadiuvanti,
nonchè dal personale dipendente di ciascuna impresa.
L’esercizio dell’attività di vendita all’interno dei mercati agricoli di vendita diretta non
e’ assoggettato alla disciplina sul commercio e i produttori possono accedervi nel rispetto delle comunicazioni previste dall’art. 4 del D. Lgs n. 228/2001.
3.3.4 Vendita in sede stabile su aree pubbliche con l’utilizzo di un posteggio (mercati rionali o cittadini)
Questa modalità di vendita si riferisce a quella comunemente utilizzata dai produttori agricoli che ottengono l’assegnazione di un posteggio nei mercati rionali o cittadini. Per l’assegnazione di un posteggio il produttore agricolo deve presentare la domanda
al comune in cui intende effettuare la vendita e poiché generalmente i posti disponibili per i produttori agricoli sono in numero limitato, il comune redige una graduatoria. Pur considerando che le possibilità di avere in assegnazione un posteggio sono realisticamente limitate, data la loro scarsa disponibilità, occorre considerare il ricambio
che naturalmente si determina fra le aziende nei mercati, a seguito del quale si rendono disponibili posteggi per i produttori agricoli in graduatoria.
Per la vendita nei mercati cittadini il produttore deve disporre di un automezzo per il
trasporto dei prodotti e di adeguate attrezzature per la vendita, fra cui banchi su cui
esporre i prodotti, eventuale frigorifero se richiesto, ombrellone o gazebo, cassette, bilancia, ecc.
Questa modalità di vendita è abbastanza impegnativa in termini di lavoro, per il trasporto, l’esposizione dei prodotti e il ritiro a fine mercato; inoltre, il contesto è generalmente fortemente concorrenziale e richiede una presenza costante per fidelizzare i
clienti. Infine, prima di scegliere se partecipare o meno, occorre considerare il bacino
di utenza di ciascun mercato, da cui dipende fortemente il volume complessivo degli
scambi e quindi la convenienza economia a parteciparvi.
Alcuni produttori agricoli lecchesi sono presenti in alcuni dei 67 mercati che si svolgono nelle diverse città e paesi della provincia di Lecco. Per visualizzare i comuni, il
luogo, il giorno di mercato e il numero di posteggi complessivi per ciascun mercato si
consulti l’elenco sul sito www.italiaambulante.com.
3.3.5 Vendita in occasione di fiere e mostre
Si tratta della vendita effettuata in occasione di manifestazioni organizzate da diversi soggetti (Associazioni, Pro loco, Comitati, ecc), nelle quali sempre più frequentemente
32
si registra la richiesta di partecipazione dei produttori agricoli locali. Alcune di queste
manifestazioni, organizzate con frequenza mensile o con maggiore occasionalità, sono
dei veri e propri mercati degli agricoltori.
3.3.6 Vendita diretta in forma itinerante
Il produttore agricolo che intende esercitare la vendita con questa modalità deve inoltrare comunicazione al comune dove è ubicata l’azienda e decorsi trenta giorni può
iniziare la vendita su tutto il territorio nazionale. Questa modalità di vendita richiede
l’uso di un automezzo opportunamente attrezzato per il trasporto e l’esposizione dei
prodotti. Il produttore agricolo può pertanto sostare per il tempo da egli ritenuto necessario al fine di avvicinare i clienti. E’ una forma di vendita che non riscuote particolare interesse presso i produttori agricoli lecchesi e pertanto è poco praticata. Tuttavia, in alcuni luoghi particolarmente frequentati con continuità o in determinati periodi (prossimità di impianti sportivi, impianti sciistici, spettacoli, ecc) potrebbe costituire un’interessante opportunità.
3.3.7 Vendita a Gruppi di Acquisto Solidali (GAS)
Un ulteriore canale di vendita diretta da parte dei produttori agricoli è rappresentato dai GAS, i quali privilegiano il rapporto con piccoli produttori locali per l’acquisto dei prodotti, per avere la possibilità di conoscerli direttamente, per ridurre l’inquinamento e il consumo di energia per il trasporto. I GAS generalmente sono orientati all’acquisto di prodotti biologici o ecologici, realizzati rispettando sia l’ambiente
che le condizioni di lavoro.
Un gruppo d’acquisto è formato da persone che decidono di acquistare collettivamente
prodotti alimentari o altri prodotti di uso comune, da ridistribuire tra loro secondo gli
ordini di acquisto di ciascun membro. Gli ordini e la consegna dei prodotti acquistati
viene fatta periodicamente, secondo calendari predisposti da ciascun gruppo
I partecipanti ai GAS condividono criteri di solidarietà come valori guida nella scelta
dei prodotti e dei produttori. Ogni GAS nasce per motivazioni proprie, spesso però alla
base vi è una critica al modello di consumo e di economia globale dominante, oltre
alla ricerca di alternative concretamente praticabili.
Molti GAS costruiscono importanti reti di relazioni locali, con associazioni ambientaliste, del commercio equo e solidale, dei consumatori, culturali, ecc, che danno vita
a iniziative quali ad esempio, campagne di informazione e di sensibilizzazione, eventi culturali, mostre, dibattiti, ecc.
I gruppi di acquisto sono collegati fra di loro in una rete che serve ad aiutarli e a diffondere questa esperienza attraverso lo scambio di informazioni.
Anche in provincia di Lecco operano numerosi GAS, per i quali le informazioni e i
relativi contatti sono reperibili su internet, ai seguenti indirizzi: www.retegas.org;
www.economia-solidale.org.
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Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
3.3.8 Vendita dei prodotti agricoli locali attraverso negozi e ristoranti
Questa modalità di vendita, sebbene non costituisca in senso stretto una forma diretta di vendita dal produttore al consumatore finale, in quanto prevede un passaggio intermedio, riveste una particolare importanza nelle strategie di commercializzazione dei
prodotti locali.
I vantaggi di questa modalità di vendita risiedono principalmente:
a. per i produttori, nella possibilità di allargare la platea dei consumatori, facendo
loro conoscere i prodotti locali in contesti qualificati e con clientela fidelizzata,
ai quali altrimenti avrebbero difficile accesso;
b. per i commercianti e i ristoratori, nella possibilità di valorizzare i propri negozi e
ristoranti e incrementare il volume delle vendite, attraverso la vendita di prodotti di qualità e fortemente legati al territorio;
c. per i consumatori, nella possibilità di accesso ai prodotti locali “sotto casa”, nello stesso luogo di acquisto di altri prodotti;
d. per il territorio, nella possibilità di costruire reti di relazioni economiche fra diversi operatori, che agiscono con strategie comuni per dare corpo ad un “sistema locale” orientato allo sviluppo dell’economia locale, attraverso la costruzione di sinergie fra agricoltura, commercio, turismo e artigianato, la promozione di
un sistema distributivo equilibrato che non veda penalizzati i piccoli produttori
locali, la valorizzazione delle tipicità e dell’attrattività del territorio, la valorizzazione di centri storici e negozi di vicinato, la fornitura di servizi alla comunità locale e ai turisti.
Questa modalità di vendita richiede l’attivazione di relazioni fra i diversi operatori che
prevedano:
a. momenti di incontro fra produttori agricoli e operatori del commercio (dettaglianti,
ristoratori, baristi, pasticcieri, panificatori, ecc), supportati dalle rispettive organizzazioni di categoria e dalle istituzioni pubbliche, al fine di accrescere la conoscenza
dei prodotti locali, consolidare le relazioni interpersonali fra gli operatori, ricercare soluzioni di problematiche organizzative e logistiche, favorire accordi e relazioni economiche, ecc;
b. la preparazione e la promozione, da parte della ristorazione locale, di piatti e menù
a base di prodotti del territorio;
c. la promozione nei negozi alimentari dei prodotti locali, sia in collaborazione con
i produttori, sia in abbinamento con altri prodotti maggiormente conosciuti;
d. la realizzazione di negozi dedicati ai prodotti locali e a basso impatto, soprattutto di materia di imballaggi (prodotti sfusi in appositi erogatori, venduti a peso secondo le specifiche esigenze di ciascun consumatore);
e. l’installazione di distributori automatici di latte all’interno dei negozi commerciali;
f. l’organizzazione congiunta di iniziative ed eventi pubblici di promozione e di divulgazione della conoscenza delle risorse enogastronomiche locali.
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Parte seconda
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
La sicurezza alimentare dei prodotti venduti direttamente.
In questa parte del volume sono trattati:
1. le regole, ovvero le principali normative che disciplinano la materia della sicurezza
alimentare dei prodotti venduti direttamente, l’ambito di applicazione, i principi generali;
2. i concetti e le procedure, le definizioni e gli aspetti procedurali e tecnici che derivano dall’applicazione delle norme;
3. i comportamenti generali da adottare al fine di perseguire l’obiettivo della sicurezza alimentare.
Per facilitare la lettura e semplificare la complessità dell’argomento trattato, il testo è
organizzato sotto forma di domande e risposte a specifici quesiti.
1 Le regole
La normativa sulla sicurezza alimentare trae origine da fonti comunitarie (regolamenti
della Comunità Europea), nazionali e regionali.
La normativa nazionale e regionale non può essere in contrasto con i regolamenti comunitari e può trattare aspetti non disciplinati dalle norme comunitarie o ad essa espressamente demandati.
1.1 Dove si trovano i testi delle normative?
È possibile recuperare su internet le varie norme collegandosi ai seguenti siti:
- per la normativa comunitaria: http://eur-lex.europa.eu/it;
- per la normativa nazionale: http://www.gazzettaufficiale.it (servizio a pagamento se pubblicata da più di 60 gg.) oppure http://gazzette.comune.jesi.an.it (servizio gratuito, dal 1998 in poi);
- per la normativa della Regione Lombardia: http://www.infopoint.it, oppure
http://www.sanita.regione.lombardia.it
Al termine del capitolo sono elencate le principali normative europee, nazionali e regionali sull’argomento.
1.2 Cos’è il “pacchetto igiene”?
Le regole che riguardano la sicurezza alimentare sono state ridefinite dalla Comunità
Europea attraverso l’emanazione di vari regolamenti tra loro collegati, conosciuti come
“pacchetto igiene”.
Il “pacchetto igiene” è composto da una norma di carattere generale (Reg. (CE) n. 178/2002)
che fissa i principi e i requisiti generali (tra cui l’analisi del rischio, il principio di pre36
cauzione, il principio di trasparenza, l’obbligo della rintracciabilità ecc...) cui hanno fatto seguito due regolamenti che riguardano i diversi soggetti che operano nel settore
alimentare. Il primo (Reg. (CE) n. 852/2004) fissa gli obiettivi di igiene e gli obblighi
che devono rispettare tutti gli operatori, indipendentemente dal tipo di alimento che
trattano. Il secondo (Reg. (CE) n. 853/2004) riguarda in modo specifico chi si occupa
dei prodotti di origine animale. Altri due regolamenti (Reg. (CE) n. 854/2004 e Reg.
(CE) n. 882/2004) riguardano invece le modalità di conduzione dei controlli ufficiali
(eseguiti per lo più dai Dipartimenti di Prevenzione Veterinaria o Medica dell’ASL). Infine vi sono diversi regolamenti che si occupano di aspetti tecnici particolari (tra i quali ricordiamo il Reg. (CE) n. 2073/2005 sui microrganismi che devono essere controllati negli alimenti e il Reg. (CE) n. 2075/2005 che si occupa dei controlli ufficiali relativi alla presenza di Trichine nelle carni).
Il ricorso al Regolamento comunitario, direttamente applicabile in ciascuno degli Stati
membri, permette di avere regole uniformi in tutta l’Unione Europea e di garantire sia il
consumatore, che può acquistare prodotti fabbricati nell’UE avendo le stesse garanzie di
sicurezza alimentare, sia i produttori, che sottostanno alle stesse regole di concorrenza.
1.3 Quali sono i contenuti del “pacchetto igiene” che riguardano più direttamente
il produttore?
I regolamenti del “pacchetto igiene” hanno ribaltato l’approccio che si applicava per garantire la sicurezza alimentare. Infatti, la normativa precedente stabiliva in modo preciso le condizioni e i requisiti che i produttori dovevano rispettare e si assumeva che,
una volta rispettati tutti i requisiti previsti, l’alimento sarebbe risultato sicuro. Il “pacchetto igiene”, invece, focalizza l’attenzione sugli obiettivi, lasciando al produttore la
facoltà di decidere come raggiungerli e come dimostrare all’Autorità competente l’efficacia dei metodi che adotta. Al produttore, quindi, è riconosciuta una maggiore libertà, ma su di esso incombe la totale responsabilità della sicurezza del proprio prodotto.
In sintesi, dal “pacchetto igiene” si rileva che:
1. sono norme orizzontali, cioè riguardano tutti i prodotti alimentari (di origine animale, vegetale, ecc.), a differenza delle precedenti disposizioni “verticali” e specifiche
per le singole filiere produttive;
2. l’obiettivo principale è la garanzia:
• del diritto dei cittadini ad avere accesso ad alimenti salubri e sicuri;
• del diritto dei cittadini ad essere informati (sulle caratteristiche degli alimenti e sui
possibili rischi per la salute);
• della libera circolazione degli alimenti sul mercato comunitario;
3. la responsabilità primaria della sicurezza dell’alimento è dell’operatore del settore alimentare (OSA), cioè “la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto
delle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suo
controllo”, intendendo come “impresa alimentare” “ogni soggetto pubblico o privato, con
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Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi
di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti” (art. 3 Reg. (CE) n. 178/2002);
4. l’approccio è complessivo e pertanto l’ambito di applicazione riguarda tutta la filiera, dalla produzione primaria alla vendita al consumatore finale;
5. prevede diversi strumenti da utilizzare per garantire la sicurezza alimentare dei prodotti, tra i quali: la rintracciabilità, l’autocontrollo, l’applicazione di procedure di corrette
prassi di lavorazione e igieniche, l’applicazione di procedure basate sui principi dell’HACCP
(tutti compiti in capo al produttore), la registrazione/riconoscimento dei luoghi dove vengono prodotti, trasformati o distribuiti gli alimenti (attività che coinvolge invece l’Autorità sanitaria). Si veda più avanti per gli approfondimenti su tali tematiche.
1.4 Quali sono le esclusioni dall’applicazione del “pacchetto igiene”?
Sono esclusi dall’applicazione del “pacchetto igiene”:
1. la produzione, preparazione, manipolazione e conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico privato; è cioè escluso chi produce solo per il proprio consumo, senza cedere, neppure gratuitamente, prodotti alimentari (ad eccezione del suino macellato a domicilio ad uso familiare che è assoggettato all’ispezione delle carni e alla ricerca delle trichine);
2. la fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale, o a dettaglianti locali che forniscono direttamente il consumatore finale. In questo caso, quindi, per essere esclusi dall’applicazione del “pacchetto igiene”
deve trattarsi di:
• un prodotto primario (si veda il punto 2.3);
• un piccolo quantitativo;
• consegna del prodotto ad un consumatore finale, definito dal Reg. (CE) n.178/2002,
art. 3 punto 18, come colui “che non utilizzi tale prodotto nell’ambito di un’operazione o attività di un’impresa del settore alimentare” oppure ad un dettagliante
locale, definito dal Decreto della Regione Lombardia nr. 1265 del 7.02.2006 come
“l’operatore economico del settore del commercio al dettaglio”, cioè la vendita o la
somministrazione degli alimenti al consumatore finale, che comprende “le attività condotte a livello dei terminali di distribuzione, gli esercizi di ristorazione, le mense di aziende e istituzioni, i ristoranti e altre strutture di ristorazione analoghe e i
negozi.” Il “livello locale” è definito come “il territorio della provincia nella quale
è situata l’azienda di produzione primaria e quello delle province contermini.”
2 I concetti e le procedure
2.1 Cosa si intende con “autocontrollo”?
Chi produce alimenti deve sapere cosa vuole ottenere (caratteristiche del prodotto) e come
intende ottenerlo, considerando che deve garantire i requisiti di sicurezza e salubrità.
Per “autocontrollo” si intende tutte le iniziative che il produttore di un alimento mette in atto per garantire e dimostrare che il prodotto finale risponde alle caratteristiche
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volute e che rispetta le norme in materia di igiene e salubrità.
Le procedure di autocontrollo, cioè applicate dallo stesso produttore, hanno una doppia funzione: aiutano a produrre bene e a dimostrare ad altri di avere prodotto bene.
Mettere in atto un piano di autocontrollo significa applicare un insieme di misure che
comprendono, ad esempio, corrette prassi di lavorazione e igieniche e procedure di gestione dei pericoli basate sul modello HACCP (si veda il punto 2.13).
Il Piano di autocontrollo è un documento scritto che comprende le procedure di controllo messe in atto, i risultati dei controlli e i provvedimenti adottati conseguentemente.
In pratica consiste nello scrivere quello che si fa e nel fare quello che si è scritto.
2.2 Quali sono le caratteristiche principali di un buon piano di autocontrollo?
Il Piano di autocontrollo deve essere:
• “personalizzato”, cioè riferito alle caratteristiche peculiari del processo produttivo (impianti, materia prima, procedimenti di fabbricazione, strutture). È un cattivo piano (soprattutto inutile a raggiungere gli scopi prefissati) quello che viene
copiato da altri;
• verificato nella sua efficacia e modificato di conseguenza;
• aggiornato, in funzione, ad esempio, di cambiamenti del ciclo produttivo, dei risultati positivi o negativi dei controlli, di cambi di fornitori di materie prime, di nuove disposizioni normative. Deve essere, cioè, un piano dinamico, mentre è un cattivo piano quello statico;
• costituito da un insieme di attività semplici, logiche, diversificate, corrette, pertinenti ed efficaci.
2.3 Cos’è la produzione primaria?
Con il termine “produzione primaria” si intendono “tutte le fasi della produzione, dell’allevamento o della coltivazione dei prodotti primari, compresi il raccolto, la mungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione e comprese la caccia e la
pesca e la raccolta di prodotti selvatici “ (Reg. (CE) n. 178/2002).
In pratica vengono compresi nella produzione primaria:
• per coloro che producono vegetali: tutte le operazioni di coltivazione, ma anche il
trasporto, il magazzinaggio e la manipolazione in azienda dei prodotti coltivati (a
condizione di non alterarne in modo sostanziale la natura), nonché le operazioni
di trasporto per la consegna dei prodotti dal luogo di produzione ad uno stabilimento;
• per coloro che producono alimenti di origine animale: tutte le fasi di allevamento, compresi la mungitura, la refrigerazione e lo stoccaggio del latte crudo e il trasporto degli animali vivi.
Non sono considerate “produzione primaria”:
• l’attività di macellazione, con la deroga per macellazione e cessione occasionale,
fino a 500 capi/anno, di pollame e conigli (si veda il punto 5.3.1);
• le attività di trasformazione e vendita dei prodotti.
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Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
Chi opera nella produzione primaria non è soggetto ad adottare un piano HACCP, ma
deve ugualmente adottare procedure di autocontrollo per assicurare l’igiene dei prodotti, applicando dei manuali di corretta prassi operativa, cioè procedure documentate che dimostrino di poter raggiungere gli obiettivi previsti dai regolamenti. Gli obblighi
degli operatori che effettuano solo la produzione primaria sono elencati nel Reg. (CE)
n. 852/2004 e si possono dividere in obiettivi generali in materia di igiene, che devono essere raggiunti da tutti gli operatori della produzione primaria, e misure specifiche da adottare in dipendenza del settore produttivo in cui si opera (prodotti primari
di origine animale o di origine vegetale).
2.4 Cos’è la rintracciabilità?
È la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento
attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione
e della distribuzione. La rintracciabilità di un alimento comprende
anche il mangime somministrato agli animali, gli animali stessi, gli ingredienti, gli additivi e tutto quello che può entrare a
far parte di quell’alimento. In pratica bisogna essere in grado
di individuare chi ha fornito un alimento (materia prima, ingrediente, semilavorato o alimento finito), cioè da dove arriva,
e a chi è stato consegnato (dove è andato). La filosofia è quindi quella di conoscere quello che succede “un passo indietro un passo avanti”.
Lo scopo della rintracciabilità è di tipo sanitario, collegato alle eventuali situazioni di
non conformità (il prodotto non è ritenuto rispondente ai requisiti previsti) e quindi
alla necessità di provvedere al suo ritiro (il prodotto è ancora presente nel circuito commerciale e non è stato venduto al consumatore finale) o richiamo (il prodotto potrebbe essere già stato venduto al consumatore finale).
Il criterio della rintracciabilità obbliga ad individuare anche il singolo coltivatore, cacciatore o allevatore che ha fornito la materia prima (es. il raccoglitore di funghi, il pescatore, ecc.)
Si precisa che l’obbligo d’individuare il destinatario dei prodotti sussiste solo se il prodotto è ceduto ad un’impresa alimentare, mentre non è prescritto in caso di cessione al
consumatore finale. Per cui, chi cede direttamente l’alimento al consumatore finale deve
mantenere la rintracciabilità a monte della produzione, ma non a valle.
2.5 Cos’è la rintracciabilità interna?
Per chi elabora il prodotto aggregando materie o ingredienti di diversa provenienza,
oltre alla rintracciabilità esterna (a monte e a valle della propria azienda) è molto importante attivare anche una rintracciabilità interna, cioè conoscere ogni lotto del singolo ingrediente in quale lotto del prodotto finale è finito (collegare, cioè, le materie
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prime con i prodotti). Questo è importante perché in caso
di obbligo di ritiro/richiamo dal mercato di un prodotto, ci si può limitare a ritirare/richiamare solo il lotto
che contiene l’ingrediente pericoloso.
2.6 Cos’è il lotto di produzione?
Per lotto si intende una quantità di prodotto omogeneo,
cioè ottenuto nelle medesime condizioni.
La definizione del lotto spetta al produttore. Può essere, ad esempio, il prodotto ottenuto in una giornata, o durante un ciclo di lavorazione. Più i lotti sono frazionati e
minore sarà il prodotto da ritirare/richiamare in caso di non conformità, tuttavia, poiché la separazione in lotti (e la conseguente gestione) rappresenta un costo, si può scegliere se affrontarlo preventivamente o in conseguenza dell’eventuale ritiro/richiamo del prodotto in caso di non conformità.
2.7 Come va attuata la rintracciabilità?
Il singolo imprenditore ha ampia libertà nella scelta di quali strumenti dotarsi per garantire la rintracciabilità, uniformandosi però a quanto contenuto in diversi provvedimenti regionali che forniscono indicazioni/prescrizioni sulle procedure da applicare.
Essenziale è che i sistemi utilizzati garantiscano:
• l’identificazione di tutti i fornitori di materie prime;
• l’identificazione dei destinatari dei prodotti finiti se non sono consumatori finali;
• la predisposizione di procedure che consentano il ritiro/richiamo dal mercato dei
prodotti non conformi;
In pratica è necessario:
• identificare e tenere traccia documentale di tutti coloro che hanno fornito animali, mangimi o alimenti che sono entrati a far parte della filiera (tenere schede aggiornate sui fornitori, complete di numeri di telefono, fax, indirizzi e-mail);
• identificare e tenere traccia documentale di tutte le imprese (non i singoli consumatori) cui sono stati ceduti alimenti (tenere schede aggiornate sui clienti, completi di numeri di telefono, fax, indirizzi e-mail per consentire di attivare veloci procedure di ritiro del prodotto);
• mettere la documentazione raccolta a disposizione delle autorità che ne facciano
richiesta ai fini della sicurezza alimentare;
• identificare la produzione, attribuendo i lotti e rispettando le disposizioni relative
all’etichettatura (si veda il punto 4.4);
• attivare procedure per il ritiro/richiamo del prodotto dal mercato e informare le autorità competenti qualora si venga a conoscenza che il prodotto non è conforme
alla norme di sicurezza alimentare.
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Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
2.8 Il prodotto deve essere contrassegnato?
Il “pacchetto igiene” dispone che i prodotti di origine animale manipolati in uno stabilimento riconosciuto (si veda il punto 2.12) devono
essere contrassegnati con l’apposizione di un “bollo sanitario”, o con
l’applicazione di un “marchio di identificazione”. Tale obbligo non sussiste per i prodotti ottenuti in stabilimenti soggetti alla registrazione (si
veda il punto 2.12). Questo significa, per esempio, che non è richiesto
il marchio di identificazione per i prodotti a base di carne (ad es. salumi) o per i prodotti a base di latte (ad. es. formaggi) se il laboratorio di
trasformazione in cui sono ottenuti non è soggetto a riconoscimento.
2.9 Quando è prevista la “bollatura sanitaria”?
Il bollo sanitario è applicato dal Veterinario Ufficiale ed è previsto per
i seguenti prodotti (articolo 5 comma 2 Reg. (CE) n. 854/2004):
• carcasse di ungulati domestici (bovini, ovini, caprini, suini, equini);
• carcasse di mammiferi di selvaggina di allevamento diverse dai lagomorfi;
• carcasse di selvaggina in libertà di grosse dimensioni (cervi, cinghiali, camosci ecc);
• mezze carcasse (mezzene), quarti o mezzene sezionate al massimo in tre pezzi.
2.10 Quando è previsto il “marchio di identificazione”?
Il marchio di identificazione è applicato dal produttore secondo le modalità indicate
nel Reg. (CE) n. 853/2004 (art. 5 c. 1 e allegato II sez. I) ed è previsto per tutti i prodotti di origine animale, manipolati in uno stabilimento riconosciuto, per i quali non
è prevista la bollatura sanitaria (fanno eccezione le uova, per le quali è prevista una
marchiatura particolare).
Il marchio va apposto prima che il prodotto lasci lo stabilimento. Non occorre apporre un nuovo marchio se ci si limita a ricevere e poi distribuire un prodotto già marchiato senza rimuovere l’imballaggio o il confezionamento.
Il marchio di identificazione deve essere apposto direttamente sul prodotto, sull’imballaggio, sull’involucro, su un’etichetta o una targhetta inamovibile (dipende dal tipo
di prodotto) e deve avere le seguenti caratteristiche: caratteri leggibili, indelebile, chiaramente esposto, contenente nome o codice del paese (es. IT per l’Italia) e numero di
riconoscimento dello stabilimento, forma ovale, sigla “CE”.
2.11 Cosa significa riconoscimento/registrazione?
Ogni luogo in cui si producono manipolano e preparano alimenti (fatte salve le esclusioni, si veda il punto 1.4) deve essere riconosciuto o registrato da parte dell’Autorità competente (Dipartimento di Prevenzione Veterinaria per gli alimenti di origine animale, Dipartimento di Prevenzione Medica per gli altri alimenti).
Il produttore che gestisce uno stabilimento soggetto a riconoscimento deve ottenerlo
prima di poter iniziare ad operare, mentre chi gestisce uno stabilimento soggetto a re42
gistrazione può iniziare ad operare senza pareri o autorizzazioni preventive, deve però
notificare l’inizio dell’attività produttiva e conseguentemente l’Asl provvederà alla registrazione e attiverà i controlli relativi
2.12 Quali stabilimenti sono soggetti a registrazione e quali a riconoscimento?
Ogni struttura nella quale si svolge una qualunque attività nel settore alimentare è soggetta a registrazione: “ogni operatore del settore alimentare notifica all’opportuna autorità competente, secondo le modalità prescritte dalla stessa, ciascuno stabilimento posto sotto il suo controllo che esegua una qualsiasi delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti ai fini della registrazione del suddetto stabilimento.”
(Reg. (CE) n. 852/2004, art. 6).
Sono soggetti a registrazione gli stabilimenti nei quali si svolga una delle seguenti attività (elenco non esaustivo):
• allevamento o coltivazione;
• vendita al consumatore finale, sia in spaccio vendita aziendale che in sede fissa o
su aree pubbliche;
• macellazione in azienda sino a 500 capi anno di pollame e lagomorfi (conigli) seguita da vendita diretta della carne al consumatore finale o ai laboratori annessi
agli esercizi di commercio al dettaglio;
• sezionamento delle carni, trasformazione (di carne, latte, vegetali) seguite da vendita dei prodotti al dettaglio (in annesso spaccio vendita o in altri punti vendita
funzionalmente collegati) o in piccoli quantitativi presso dettaglianti situati nel
proprio comune o in comuni limitrofi;
• fornitura di piccoli quantitativi di selvaggina selvatica o di carne di selvaggina selvatica direttamente al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale che riforniscono il consumatore finale;
• ristorazione (agriturismo);
• magazzinaggio o stagionatura dei prodotti a temperatura ambiente o anche in cella frigorifera se seguita da vendita dei prodotti al dettaglio;
• trasporto dei prodotti alimentari.
Gli stabilimenti soggetti a riconoscimento sono invece quelli per i quali l’allegato III
del Reg. (CE) n. 853/2004 prevede dei particolari (e specifici) requisiti (elenco non esaustivo): macelli, impianti di sezionamento carni e laboratori di trasformazione delle carni o del latte diversi da quelli sopra citati, impianti frigorifero per la conservazione delle carni o dei prodotti a base di carne o latte diversi da quelli sopra citati, centri di imballaggio uova (sono tutti stabilimenti che trattano prodotti di origine animale).
Per quanto riguarda le procedure per il riconoscimento o la registrazione e i diversi modelli da utilizzare occorre:
• per l’istanza di riconoscimento o per aggiornarla: rivolgersi al Servizio Igiene degli Alimenti di Origine Animale dell’Asl;
43
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
• per la notifica di inizio attività produttiva e la conseguente registrazione: rivolgersi
agli Sportelli Unici per le Attività Produttive o ai Comuni (si veda Parte I, punto 3.2.4).
2.13 Cos’è il sistema HACCP e chi deve adottarlo?
La sigla HACCP è l’acronimo di “Hazard Analysis and Critical Control Points”, traducibile con “Analisi dei Pericoli e Punti Critici di Controllo”.
L’art. 5 del Reg. (CE) n. 852/2004 stabilisce che il sistema HACCP deve essere adottato da tutti gli operatori del settore alimentare, ad esclusione di chi opera solo a livello di produzione primaria (si veda il punto 2.3).
Il sistema HACCP è stato messo a punto per fornire uno strumento utile a prevenire i
problemi di natura sanitaria che si possono verificare nel corso dei processi di produzione degli alimenti, studiato per gestire i rischi e per ottenere alimenti sicuri. In pratica risponde a queste domande fondamentali:
• quali sono i pericoli presenti nel processo produttivo?
• quali punti del processo si possono controllare e gestire per annullare o ridurre
ad un livello accettabile i pericoli identificati?
• come si deve intervenire se in tali punti si riscontrano anomalie?
• come si fa ad essere sicuri che il sistema di controllo è efficace?
Il sistema, quindi, è di grande aiuto per il produttore perché gli consente di lavorare bene
e di verificare la qualità del proprio operato; inoltre applicandolo egli dà evidenza che
il processo produttivo è assolutamente sotto controllo e offre sufficienti garanzie di raggiungere gli obiettivi posti dai regolamenti in materia di sicurezza alimentare.
Il sistema HACCP è basato sulla applicazione di sette principi:
• identificare ogni pericolo che deve essere prevenuto, eliminato o ridotto a livelli
accettabili;
• identificare i punti critici di controllo nella fase o nelle fasi in cui il controllo stesso si rivela essenziale per prevenire o eliminare un rischio o per ridurlo a livelli accettabili;
• stabilire, nei punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabilità e l’inaccettabilità ai fini della prevenzione, eliminazione o riduzione dei rischi
identificati;
• stabilire ed applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di controllo;
• stabilire le azioni correttive da intraprendere nel caso in cui dalla sorveglianza risulti che un determinato punto critico non è sotto controllo;
• stabilire le procedure, da applicare regolarmente, per verificare l’effettivo funzionamento delle misure suddette;
• predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa
alimentare, al fine di dimostrare l’effettiva applicazione delle misure suddette.
Alcuni concetti importanti:
• il sistema HACCP deve essere preceduto dall’applicazione di una serie di procedu44
•
•
•
•
re che sono definite “procedure prerequisito”. Esse comprendono, per esempio, le
procedure di pulizia e sanificazione, la lotta agli infestanti, la formazione del personale, la selezione dei fornitori e delle materie prime, l’applicazione di corrette prassi igieniche e di lavorazione;
i pericoli non sempre si possono eliminare, bisogna però sempre ridurli a livelli accettabili: nel caso in cui non si possa ottenere questo risultato, cioè produrre in sicurezza, non è consentito produrre alimenti;
i punti critici di controllo sono punti del processo dove effettivamente è possibile
intervenire con azioni concrete per risolvere un eventuale problema;
il piano deve tener conto delle peculiarità dell’azienda, evitando l’applicazione di
procedure non pertinenti alla realtà produttiva;
occorre evitare procedure troppo complicate che risultano poi difficilmente applicabili nella realtà.
2.14 Cosa si intende per “pericolo” e “rischio”?
• «pericolo»: ciò che, presente nell’alimento, potrebbe arrecare danno alla salute, come
agenti biologici (batteri, virus, parassiti, miceti), chimici (tossine, residui di pesticidi, farmaci, sostanze tossiche quali diossine, metalli pesanti) o fisici (pezzi di vetro, schegge di legno o di osso, frammenti di plastica o di metallo, ecc), o condizione in cui un alimento si trova (es. temperatura), in grado di provocare un effetto nocivo sulla salute (Reg. (CE) n. 178/2002).
• «rischio»: funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute,
conseguente alla presenza di un pericolo (Reg. (CE) n. 178/2002). Il rischio si considera più o meno elevato tenendo conto sia della probabilità che l’effetto nocivo si verifichi, sia della sua gravità, nel caso dovesse verificarsi (art. 3 c.9 Reg. (CE) n.178/2002).
L’identificazione dei pericoli si ottiene con un’analisi che considera, in modo sistematico, tutti i pericoli che possono essere presenti in un alimento, le condizioni che portano alla loro presenza e il rischio effettivo che essi si realizzino. Lo scopo è valutare
se i pericoli sono significativi e devono essere gestiti nell’ambito delle procedure HACCP.
2.15 Cosa si intende per “punto critico di controllo”?
Un punto critico di controllo (CCP) è una fase del processo nella quale è possibile esercitare un controllo per prevenire, eliminare o ridurre ad un livello accettabile un pericolo identificato, cioè è un punto nel quale si può agire per contrastare il pericolo. I
punti critici di controllo si identificano con un’analisi basata su conoscenze tecniche, professionali e scientifiche relative al ciclo produttivo. Ogni punto critico rappresenta un impegno per l’attività di monitoraggio e registrazione; se l’impegno necessario per gestire correttamente e compiutamente i punti critici identificati è eccessivo, difficilmente si riuscirà a gestirli e l’intero HACCP sarà pregiudicato. Non serve, ad esempio, prevedere una successione di punti critici con i quali gestire lo stesso
45
pericolo; sarebbe opportuno individuare e gestire il punto critico di controllo posto più
a valle del processo produttivo e gestirlo correttamente.
2.16 Quali analisi deve prevedere il piano di autocontrollo e qual è la loro funzione?
Il piano di autocontrollo può contenere diversi tipi di analisi: ricerche microbiologiche, di tossine, contaminanti, residui di farmaci, ecc.
Le analisi perseguono due obiettivi:
1. garantire il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza alimentare disposti dalla normativa;
2. validare le procedure e il piano di autocontrollo in atto, cioè valutare se esso, nel
suo complesso, è in grado di gestire adeguatamente i pericoli.
2.17 Cosa sono le “analisi microbiologiche”?
Le analisi microbiologiche permettono di individuare i microrganismi presenti in un
campione (una certa quantità di un prodotto: carne, salume, formaggio, latte; un tampone eseguito su una superficie: carcassa, piano di lavoro, attrezzatura).
L’analisi microbiologica richiesta può essere di due tipi:
• quantitativa: permette di conoscere il numero di determinati batteri presenti nel campione per unità di misura (ad esempio coliformi per grammo di prodotto) e fornisce
informazioni sull’igiene del processo produttivo e sulla qualità igienica del prodotto;
• qualitativa: permette di conoscere quali batteri sono presenti nel campione ed è solitamente riservata alla ricerca di batteri dannosi per la salute (ad esempio la salmonella).
2.18 Quante e quali analisi microbiologiche deve contenere il piano di autocontrollo?
Il Reg. (CE) n. 2073/2005 stabilisce che gli operatori del settore alimentare effettuano
nei modi appropriati le analisi per verificare il rispetto dei criteri microbiologici contenuti nell’allegato I del Regolamento, per convalidare e controllare il corretto funzionamento delle loro procedure.
46
La frequenza delle analisi è definita dalle norme solo in determinati casi (ad es. macelli, latte crudo venduto direttamente), mentre negli altri il produttore ha il dovere
di stabilirla nel contesto del piano di autocontrollo, adattandola alle dimensioni e alla
natura dell’impresa senza compromettere la sicurezza dei prodotti (“Gli operatori del
settore alimentare stabiliscono la frequenza con la quale effettuare i campionamenti
[...] Essi prendono questa decisione nel contesto delle loro procedure basate sui principi HACCP e sulla corretta prassi igienica, tenendo conto delle istruzioni per l’uso del
prodotto alimentare in questione. La frequenza del campionamento può essere adattata alla natura e alle dimensioni dell’impresa purché ciò non comprometta la sicurezza dei prodotti. (Art. 4 c.2 Reg. (CE) n. 2073/2005).
Il Reg. (CE) n. 2073 /2005 stabilisce alcune ricerche analitiche precise da eseguire, in
base alla tipologia di prodotto, cioè quali microrganismi ricercare, in che modo, come
valutare i risultati. Oltre a queste, obbligatorie per legge, il produttore decide quali altre analisi eseguire, basandosi sul proprio piano di autocontrollo.
2.19 Ci sono limiti di legge per la presenza di microrganismi negli alimenti?
Per alcuni microbi sono fissati limiti di legge, che dipendono anche dal prodotto considerato. La normativa di riferimento è il Reg. (CE) n. 2073/2005, che fissa limiti microbiologici:
• sul prodotto finito, cosiddetto “criterio di sicurezza alimentare”, che per un dato
microrganismo è il limite di accettabilità del prodotto, superato il quale ne è previsto il ritiro/richiamo dal mercato in quanto considerato non sicuro;
• sul processo produttivo, cosiddetto “criterio di igiene di processo”, finalizzato a dimostrare che il processo produttivo garantisce gli standard microbiologici prefissati. Si valuta, cioè, la quantità di particolari “germi indicatori” in diverse fasi del
processo e, in caso di mancato rispetto dei limiti prefissati, l’operatore deve compiere le azioni correttive necessarie a riportare il processo sotto controllo.
Per entrambi i criteri, ferme restando le competenze dell’autorità di controllo, l’operatore economico è tenuto ad eseguire le opportune verifiche e controlli.
2.20 Da dove possono venire le contaminazioni dell’alimento?
I microrganismi possono provenire:
- dall’animale il quale è malato o portatore, ad esempio di Salmonelle, Campylobacter, Brucella ecc.;
- dalla persona che manipola l’alimento, cioè malata o portatrice di agenti patogeni:
Staphylococcus aureus (pelle, gola), Salmonella, Shigella, Clostridium perfrigens, Vibrio cholerae, Escherichia coli (intestino);
- dall’ambiente (acqua, terreno, superfici di lavoro, utensili, aria, contenitori, roditori,
mosche, blatte, uccelli, cani, gatti, ecc).
Tra i numerosi microrganismi patogeni alcuni, per diffusione o per il pericolo che rap47
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
presentano, hanno una importanza maggiore: Staphylococcus aureus, Salmonella, Listeria monocytogenes, Escherichia coli.
Staphylococcus aureus (coagulasi positivo)
Fonti di contaminazione: persone infette ( starnuti, colpi di tosse, mani), latte.
Principali alimenti a rischio: latte e formaggi freschi o a breve periodo di maturazione, carni (alimenti molto manipolati e trasformati, quali arrosti freddi,
pasticci, carni macinate), salumi, prodotti a base di uova (creme, gelati).
Danni: alcuni ceppi di stafilococco sono in grado di produrre una tossina, resistente alla cottura, la cui azione tossica sull’intestino causa nausea, mal di
testa, dolori addominali, diarrea.
Salmonella spp.
Fonti di contaminazione: mani sporche di feci, contaminazione crociata (ad es.
per contatto tra cibi cotti e crudi), carenze igieniche durante le operazioni di
macellazione, insetti.
Principali alimenti a rischio: uova crude e cibi a base di uova crude, frutti di
mare, carne poco cotta (specialmente pollame e maiale), latte e latticini, ortaggi inquinati da liquami di fogna.
Danni: può causare una tossinfezione, con sintomi gastroenterici (vomito, diarrea, dolori addominali) malessere generale, febbre alta, cefalea.
Listeria monocytogenes
Fonti di contaminazione: suolo e acque, animali infetti.
Principali alimenti a rischio: formaggi molli a crosta fiorita, carne cruda, verdure crude contaminate.
Danni: nelle persone che si trovano in uno stato di abbassamento delle proprie difese immunitarie, quali donne in stato di gravidanza, neonati, anziani
e soggetti già debilitati per altre patologie, può causare meningiti, aborti, setticemia , sintomi simil influenzali. La malattia è mortale nel 30% dei casi.
Escherichia coli
Solo alcuni sierotipi sono in grado di causare malattia.
Fonti di contaminazione: materiale fecale (contaminazione con liquami, carenze
igieniche durante le diverse fasi della filiera: mungitura, macellazione, trasformazione).
Principali alimenti a rischio: tutti gli alimenti crudi (ortaggi, latte, carne).
Danni: dalle comuni forme di dissenteria a problematiche più gravi quali infezioni dell’apparato urinario, meningiti, infezioni generalizzate (setticemia).
48
2.21 Sono previste sanzioni per chi non rispetta le disposizioni del pacchetto igiene?
Il mancato rispetto delle norme contenute nel “pacchetto igiene” è soggetto a sanzione, prevalentemente di natura amministrativa (ad es. D.Lgs. n.190/2006 per quanto riguarda le violazioni del Reg. (CE) n.178/2002, D. Lgs 6 novembre 2007 n. 193 per quanto riguarda le violazioni dei Regg.(CE) 852 e 853/2004).
È inoltre prevista la possibilità che l’autorità competente (Asl), nei casi di mancato rispetto dei requisiti di igiene e di predisposizione del sistema di autocontrollo, prima di
sanzionare fissi un congruo tempo entro il quale tali inadeguatezze devono essere eliminate (“Nel caso in cui l’autorità’ competente riscontri inadeguatezze nei requisiti o
nelle procedure fissa un congruo termine di tempo entro il quale tali inadeguatezze devono essere eliminate.” Art 6 c.7 D. Lgs n. 193/2007).
3 I comportamenti
3.1 Alcuni comportamenti per prevenire le contaminazioni degli alimenti durante
la produzione:
1. utilizzare materia prima sana (carne, latte, uova, pesce);
2. indossare vestiti adeguati e puliti, (l’utilizzo di vestiti chiari permette di visualizzare più facilmente lo sporco); evitare maniche “penzolanti”; cambiare le scarpe
ogni volta che si entra in laboratorio;
3. lavare spesso le mani utilizzando prodotti detergenti e disinfettanti: tenere le unghie corte e curare la pulizia anche sotto ed intorno ad esse; eventualmente ricorrere
all’uso di guanti;
4. lavare accuratamente le mani dopo l’uso dei servizi igienici;
5. non manipolare gli alimenti se non si è in perfetta salute (astenersi se si ha raffreddore, tosse, mal di gola, diarrea, ferite);
6. mantenere puliti i locali, evitando le pulizie prima di iniziare a lavorare o in presenza di alimenti;
7. mantenere pulite le superfici e le attrezzature; almeno alla fine di ogni turno di lavoro pulire a fondo con apposite soluzioni detergenti, effettuando disinfezione
periodiche. Utilizzare prodotti studiati appositamente per la tipologia di superficie; sostituire i piani di lavoro e gli utensili rovinati;
8. usane taglieri separati per i diversi alimenti e mantenere separate le aree dove vengono lavorati, al fine di evitare le contaminazioni crociate;
9. conservare gli alimenti in condizioni ambientali di temperatura e umidità idonee;
munirsi di strumentazione adeguata per la misurazione dei parametri di conservazione (termometri, igrometri);
10. proteggere gli alimenti da contaminazioni utilizzando appositi contenitori, involucri ecc.; ridurre quanto possibile il contatto diretto dell’alimento con superfici e
persone;
11. attuare efficaci azioni di lotta a insetti e altri animali.
49
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
3.2 Alcuni consigli per produrre alimenti sicuri.
- Usa la testa oltre alle mani;
- rispetta il giusto ritmo del lavoro che stai facendo: lavora senza fretta;
- chiediti se l’azione che stai compiendo potrebbe avere
conseguenze negative;
- non dire mai: chi se ne frega, tanto si sistema tutto alla
fine;
- chiediti se saresti contento di mangiare quello che stai
producendo;
- non fare cose solo perché “si è sempre fatto così”, ma perché hai dei buoni motivi;
- non fare cose solo perché “altri fanno lo stesso”, ma perché hai dei buoni motivi;
- ogni passaggio è importante;
- è meglio evitare che qualcosa entri nell’alimento piuttosto che tentare poi, a fatica,
di toglierla;
- meno incontri fa l’alimento meglio è;
- essere dei giudici severi rispetto al proprio operato;
- pensare al peggio aiuta a fare il meglio;
- favorire i microrganismi utili (ad esempio lattobacilli) e sfavorire quelli dannosi o patogeni;
- la tua azienda è unica, il tuo prodotto è unico: quello che va bene per altri non è detto che vada bene per te e viceversa;
- ogni cosa va applicata con buon senso ma anche con rigore;
- le dita raramente stanno ferme in un posto: è impressionante quanti posti vanno a
visitare e quante cose trasportano con loro.
3.3 Alcuni consigli da dare al consumatore
Indicazioni utili da fornire al consumatore su come comportarsi nell’utilizzo dei prodotti acquistati, al fine di mantenerli in condizioni ottimali e poterli consumare in sicurezza, possono essere:
• Conservare i cibi a temperatura idonea, che dipende dalle loro caratteristiche. Alcuni cibi (ad es. carne fresca, formaggi freschi), per evitare che si alterino, devono essere mantenuti costantemente a temperatura di frigorifero (4° C). Il cliente è
bene che sappia che deve evitare di lasciare in automobile troppo a lungo il prodotto. D’estate sarebbe utile che si doti di una borsa termica;
• Cuocere: alcuni cibi richiedono la cottura, che deve essere eseguita correttamente. Per esempio occorre porre attenzione alla cottura della carne macinata che deve
perdere il caratteristico colore rosa;
• Separare: è importante mantenere separati gli alimenti diversi, per esempio le carni crude dalle verdure e dai cibi cotti o comunque pronti al consumo. La carne ac50
quistata dovrebbe essere mantenuta nella confezione e riposta con attenzione nel
frigorifero in modo tale da non metterla in contatto con altri alimenti che non richiedono cottura;
• Lavare: coltelli, taglieri e tutte le superfici e gli utensili che sono stati a contatto con
gli alimenti, soprattutto con la carne cruda, vanno sempre lavati accuratamente. Possibilmente usare taglieri separati per la carne. Lavarsi accuratamente le mani prima di manipolare alimenti e dopo aver toccato carne cruda. Lavare accuratamente frutta e verdura, soprattutto se sono del tipo che non viene sbucciato o cotto.
• Consumare: i cibi deperibili vanno consumati in tempi brevi;
• Congelare: evitare di scongelare un cibo e poi ricongerlarlo; scongelare gli alimenti
in frigorifero (dopo averli posti in un contenitore che raccolga l’acqua). È possibile scongelare l’alimento nel microonde, ma in tal caso occorre cucinarlo immediatamente. Evitare di scongelare un alimento in acqua calda o a temperatura ambiente, perché potrebbero svilupparsi microrganismi.
Normativa comunitaria (“pacchetto igiene”).
N.B. molte delle normative elencate sono state oggetto di modifiche e integrazioni con atti successivi, che
non vengono qui richiamati per semplicità e ai quali si rimanda.
Atto normativo
Oggetto
Riferimento pubblicazione
Regolamento (CE) 178/2002
Stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce, l’EFSA e
fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare
Igiene dei prodotti alimentari
Norme specifiche in materia di igiene per gli
alimenti di origine animale
Norme specifiche per l’organizzazione dei
controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano
Controlli ufficiali intesi a certificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul
benessere degli animali
Criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari
modifica il regolamento (CE) n. 2073/2005 sui
criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari
Norme specifiche applicabili ai controlli ufficiali relativi alla presenza di Trichine nelle
carni
Disposizioni transitorie per l’attuazione dei regolamenti (CE) n. 853, 854, 882/2004
Direttiva che abroga alcune direttive recanti
norme sull'igiene dei prodotti alimentari
GUCE L 31 del 1 febbraio 2002
Regolamento (CE) 852/2004
Regolamento (CE) 853/2004
Regolamento (CE) 854/2004
Regolamento (CE) 882/2004
Regolamento (CE) 2073/2005
Regolamento (CE) n. 1441/2007
Regolamento (CE) 2075/2005
Regolamento (CE) n. 2076/2005
Direttiva 2004/41/CE
51
GUCE L 226 del 25 giugno 2004
GUCEL 226 del 25 giugno 2004
GUCE L 226 del 25 giugno 2004
GUCE L 191 del 28 maggio 2004
GUCE L 338 del 22 dicembre 2005
GU Unione europea L 322 del 7.12.2007
GUCE L 338 del 22 dicembre 2005
GUCE L 338 del 22 dicembre 2005
GUCE. L 195 del 02/06/2004
Tabella 3:
principali
normative
relative alla
sicurezza
alimentare dei
prodotti
venduti
direttamente
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
Normativa nazionale.
N.B. molte delle normative elencate sono state oggetto di modifiche e integrazioni con atti successivi che
non vengono qui richiamati per semplicità e ai quali si rimanda.
Atto normativo
Oggetto
Riferimento pubblicazione
Legge 30 aprile 1962, n. 283
Disciplina igienica della produzione e della ven- G. U. 4 giugno 1962, n. 139
dita delle sostanze alimentari e delle bevande
Decreto del Presidente della Repubblica 26 marzo 1980, n. 327
Regolamento di esecuzione della Legge 283/62 G.U. 16 luglio 1980, n. 193.
D. lgs 27 gennaio 1992, n. 109
Attuazione delle direttive 89/395/CEE e G. U. 17 febbraio 1992, n. 39, S.O.
89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.
D.lgs 6.11.2007 n. 193
Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativa G.U. 9 novembre 2007, n. 261, S.O.
ai controlli in materia di sicurezza alimentare
e applicazione dei regolamenti comunitari
nel medesimo settore
Alcune delle disposizioni regionali
Atto normativo
Oggetto
Riferimento pubblicazione
Decreto del Dirigente di Unità Organizzativa –Direzione Generale
sanità della Regione Lombardia del
31 luglio 2002 n. 14572
“Approvazione delle Linee Guida per la tra- BURL n. 35 SEO del 26.08.2002
sformazione degli alimenti di origine animale nelle aziende agricole
Circolari della D.G Sanità nr. 39
del 2004, 20/SAN/05, 19/SAN/07
del 28.06.07
vendita di latte crudo nelle aziende e requisi- BURL n. 49 SEO del 29.04.2004;
ti del latte crudo
BURL n. 24 SEO del 13.06.2005;
BURL n. 28 SEO del 09.07.2007;
circolare n. 52/SAN/2005
introduzione dell’obbligo di registrazione e ri- BURL n. 3 SEO del 16.01.2006
conoscimento per le imprese del settore alimentare.”
Decreto Direzione Generale Sanità
n. 1265 del 7.05.2006
“definizione dell’ambito di applicazione dei Re- BURL n. 10 SEO del 6.03.2006
golamenti (CE) n. 852/2004 e 853/2004
Decreto Direzione Generale Sanità
n. 6397 del 08/06/2006
Adattamento di alcuni requisiti di cui all'alle- BURL n. 25 SEO del 19.06.2006
gato III al regolamento (ce) n. 853/2004 e (latte prodotto in alpeggio)
“Disposizioni in materia di attività sanitarie e BURL n.14 SO 1 del 6.04.2007
socio-sanitarie”
l.r. 2 aprile 2007 n. 8
Circolare n. 11/SAN/2007 del 6 aprile 2007
Applicazione della lr 8/2007
Decreto Dir. Struttura n. 6 del
02/01/2008
Approvazione del documento contenente de- BURL n. 4 SEO del 21.01.2008
roghe per la produzione tradizionale di pollame
e lagomorfi parzialmente eviscerati.
Decreto Dir. U.O. n. 187 del
16/01/2008
Disposizioni sul trasporto della carne appena BURL n. 5 SEO del 28.01.2008
macellata
BURL n. 17 SEO del 23.04.2007;
52
4 Dalla trasformazione in poi
Aspetti generali concernenti strutture, attrezzature e attività della trasformazione e vendita dei prodotti alimentari
4.1 Il laboratorio di trasformazione
Lo stabilimento di trasformazione è soggetto a registrazione se i prodotti trasformati
sono venduti o somministrati direttamente al consumatore finale o ceduti in piccoli
quantitativi a dettaglianti situati nel proprio comune o in comuni limitrofi. Negli altri casi il laboratorio è soggetto a riconoscimento.
Nella realizzazione di un laboratorio di trasformazione occorre conformarsi alle norme urbanistiche, di igiene pubblica, tutela ambientale, tutela della salute nei luoghi
di lavoro e igienico sanitarie, pertanto è necessario rivolgersi preventivamente al Comune (o Sportello Unico delle attività produttive se attivato), ASL e ARPA.
Per i requisiti strutturali dei locali si applica il Reg. (CE) n. 852/2004, allegato II, capitolo II (al quale si rimanda per i dettagli), precisando che si tratta di indicazioni che
lasciano la possibilità all’operatore di adottare proprie soluzioni costruttive dei locali, purché idonee.
I locali dove gli alimenti sono preparati, lavorati o trasformati devono poter consentire un’adeguata manutenzione e pulizia, in modo da evitare le contaminazioni degli
alimenti.
Alcuni requisiti particolari:
• pavimenti: devono essere di materiale resistente, non assorbente, lavabile e non scivoloso; la superficie deve assicurare lo scolo dell’acqua e impedire che si formino
ristagni;
• pareti: devono essere facili da pulire, di materiale resistente, non assorbente, lavabile, con superficie liscia fino ad un’altezza adeguata a renderne facile la pulizia;
• soffitti ed eventuali attrezzature sopraelevate: devono essere costruite in modo da
evitare l’accumulo di sporcizia e ridurre la condensa, la formazione di muffa e la
caduta di particelle;
• finestre e altre aperture: devono essere costruite in modo da impedire l’accumulo
di sporcizia ed essere munite di barriere anti insetti facilmente rimovibili per la pulizia;
• porte: devono avere superfici facili da pulire, lisce e non assorbenti e quelle che
danno verso l’esterno è utile siano dotate di barriere anti insetti;
• superfici nelle zone di manipolazione degli alimenti e, in particolare, quelle a contatto con questi ultimi, devono essere facili da pulire, di materiali lisci, lavabili, resistenti alla corrosione e non tossici.
In definitiva, occorre progettare locali con geometria semplice, che non favoriscano l’ac53
Vendita diretta dei prodotti agricoli
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cumulo di sporcizia, evitando angoli difficilmente raggiungibili, fessure, superfici sconnesse. Occorre porsi la domanda: ci sono punti dove sarà faticoso pulire? Le superfici lisce con angoli smussati faranno risparmiare molto tempo e fatica per la pulizia.
I locali devono avere adeguati sistemi di aerazione e di illuminazione. Questo è importante
non solo dal punto di vista igienico ma anche per poter lavorare in un ambiente confortevole: ciò che fa bene al prodotto, in fondo fa bene anche all’operatore.
Oltre ai locali destinati alla lavorazione occorre prevedere altri locali, ed in particolare: un numero adeguato di gabinetti, che non immettano direttamente nei locali di lavorazione; uno spogliatoio; un ripostiglio per gli attrezzi e i prodotti per la pulizia. Locali separati possono sembrare un aggravio, ma sono garanzia di igiene e di comodità di lavoro: avere uno spazio apposito, anche piccolo, dove potersi cambiare scarpe e vestiti all’inizio e alla fine del lavoro risulta comodo, oltre che utile.
4.2 Le attrezzature
I requisiti generali per le attrezzature sono stabiliti dal Reg. (CE)
n. 852/2004, allegato II, capitolo V.
Esse devono essere costruite ed installate in modo da consentire
un’adeguata e facile pulizia ed essere fabbricate con materiali che rendono minimo il rischio di contaminazione se vengono sottoposti a regolare manutenzione, pulizia e sanificazione. In pratica, anche in questo caso si devono evitare il più
possibile punti delle attrezzature che non siano raggiungibili, preferendo apparecchi
semplici da smontare e rimontare, nei quali sia osservabile facilmente lo stato delle
superfici che entrano in contatto con alimenti. Quindi, oltre al materiale, è importante come sono fatte. Le tubazioni devono essere facili da sostituire periodicamente. Una
cosa semplice ma importante è evitare di poggiare per terra cose che devono successivamente essere prese in mano, (per esempio un secchio, di cui si prende in mano la
parte inferiore per rovesciarlo). Per ogni attrezzo è opportuno chiedersi qual è il posto ideale per appoggiarlo quando non si usa: è utile studiare ganci, appendini, rialzi,
che tengano gli attrezzi sollevati da terra e dalle superfici di lavoro, e comodi da prendere.
Per gli scarti di lavorazione occorre dotarsi di contenitori possibilmente coperti e funzionanti a pedale.
4.3 La stagionatura dei prodotti.
La stagionatura è una fase importantissima nella produzione degli alimenti (formaggi, salumi), perché in questa fase nel prodotto si verificano le modificazioni (microbiologiche, fisiche, chimiche) che gli conferiscono le caratteristiche organolettiche peculiari. La maturazione è un processo enzimatico dovuto in gran parte ai microrgani54
smi presenti, che derivano dalla materia prima (latte, carne), dal processo di lavorazione. dagli ambienti di stagionatura. I microbi presenti sono fortemente condizionati, nel loro sviluppo, sia dalla composizione del prodotto (percentuale di sale, grassi,
proteine, acqua), sia dalle condizioni ambientali dei locali, in particolare dalla temperatura e dall’umidità. È quindi fondamentale controllare tali parametri, senza per forza costruire delle celle di stagionatura ad atmosfera controllata, ma dotandosi di strumenti di misurazione (termometro e igrometro) che permettono di tenere periodicamente
registrati i valori e di intervenire quando si discostano significativamente da quelli ritenuti ottimali. Può non essere sufficiente affidarsi alle proprie sensazioni e alla propria memoria: è invece molto utile costruirsi una serie di dati storici rispetto al proprio prodotto, per saper associare ad un risultato finale (un salame, un formaggio) e
alle sue caratteristiche organolettiche, la sua storia produttiva, cioè tutto ciò che ha influenzato le sue proprietà. Sono importanti i dati, per esempio, relativi alle diverse percentuali degli ingredienti utilizzati, i tempi e le temperature di lavorazione, la temperatura, l’umidità e la durata della stagionatura, i trattamenti a cui è stato sottoposto
(rivoltamenti, spazzolature, salature, oliature...). L’investimento nella raccolta e nella
valutazione dei dati permette di crescere nella consapevolezza di quello che si sta facendo, affidandosi sempre meno al caso o a fattori non
controllati e sempre più alle proprie capacità.
I requisiti strutturali generali dei locali per la stagionatura dei prodotti sono contenuti nell’allegato II, capitolo II del Reg. (CE) n. 852/2004. Si rimanda, a tale
proposito, a quanto detto per i locali di trasformazione,
essendo i requisiti previsti gli stessi, per quanto applicabili.
Per i prodotti considerati tradizionali è possibile applicare deroghe per alcuni requisiti delle strutture e
delle attrezzature, come previsto dal Reg. (CE) n.
852/2004 e dall’ articolo 7, comma 2 del Reg. (CE) n.
2074/2005, al fine di permettere l’applicazione di metodi di produzione tradizionali. La Regione Lombardia, con il Decreto D. G. Sanità n. 2337 del 6.3.2006, ha individuato i prodotti tradizionali, per i quali, quindi, sono applicabili le deroghe.
I prodotti tradizionali sono quelli riconosciuti DOP/IGP (ai sensi del Reg. (CE) n.510/2006)
o iscritti negli elenchi dei prodotti riconosciuti tradizionali. In Lombardia tale elenco
comprende 228 prodotti tra i quali, per esempio, 65 prodotti di carne e derivati (salumi vari) e 64 derivati del latte, tra i quali il formaggio d’alpe, (grasso, semigrasso, misto), il formaggio nostrano, lo stracchino, la semuda, la ricotta artigianale, ecc. L’elenco è reperibile sul sito http://www.agricoltura.regione.lombardia.it.
Gli stabilimenti che trattano prodotti tradizionali possono derogare alle caratteristiche
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Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
dei locali di stagionatura e, in particolare, dei pavimenti, delle pareti (comprese le porte) e dei soffitti. Le deroghe possono riguardare l’impiego di materiali di rivestimento
che non siano lisci, impermeabili, non assorbenti e di facile pulizia. Si possono quindi anche utilizzare pareti, soffitti e pavimenti geologicamente naturali.
Inoltre si può derogare alle caratteristiche delle superfici, comprese quelle delle attrezzature
e delle confezioni, destinate a venire a contatto con i prodotti tradizionali. Le deroghe
possono riguardare l’impiego di materiali che non siano
lisci, non assorbenti e resistenti alla corrosione, compreso l’utilizzo del legno, della pietra e di altri materiali tradizionalmente impiegati nella fabbricazione, manipolazione,
conservazione e confezionamento dei prodotti.
In pratica per questi prodotti è consentito utilizzare i locali di stagionatura tradizionali, con le pareti in pietra e
le scalere in legno, nonché attrezzi e ripiani per la lavorazione tradizionali, anche in legno. Questo, però, non significa che non bisogna curarne l’igiene e la pulizia; anzi,
bisogna essere ancora più attenti.
Normativa di riferimento:
• Decreto D. G. Sanità della Regione Lombardia n. 2337 del 6.03.2006, “Concessione
di deroghe al regolamento (ce) n. 852/2004”;
• D.d.u.o. n. 3392 del 7.4. 2008 D. G. Agricoltura della Regione Lombardia “Quarta revisione dei prodotti agroalimentari tradizionali della Regione Lombardia”
4.4 Il confezionamento e l’etichettatura dei prodotti
Il confezionamento dei prodotti
Con il termine “confezionamento” si intende “il collocamento di un prodotto alimentare in un involucro o contenitore posti a diretto contatto con il prodotto alimentare
in questione.” (Reg. (CE) n. 852/2004 art. 2 lettera j)
In base alla legge un prodotto alimentare può essere presentato alla vendita in tre modi
diversi:
• preconfezionato: è un prodotto alimentare messo in vendita dentro un contenitore costruito in modo tale che non sia possibile accedere al prodotto senza che la confezione
venga aperta o alterata (art. 1 comma 2 lett. b del D.Lgs 27 gennaio 1992 n. 109), come
ad es. un barattolo di marmellata o una bottiglia di salsa di pomodoro (viceversa le
mele in una cassetta non sono un prodotto preconfezionato). I prodotti preconfezionati devono riportare sulla confezione le indicazioni previste dalla legge;
• preincartato: è un prodotto venduto avvolto in un incarto (carta per uso alimentare) nel punto vendita (art. 1 comma 2 lett. d D.Lgs 27 gennaio 1992 n. 109), come
ad esempio un pezzo di formaggio, salame, bistecche, ecc;
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• sfuso: sono considerati sfusi i prodotti non preconfezionati o che lo erano ma che
vengono venduti frazionandoli. Sono considerati sfusi anche i prodotti che vengono confezionati solo al momento della vendita (esempio il prosciutto affettato
e confezionato al momento della vendita).
Per i prodotti preincartati e sfusi la legge prevede che sia presente nel punto vendita un cartello con una serie di indicazioni (si veda più avanti).
I materiali devono essere idonei, cioè autorizzati per il contatto con alimenti. In particolare essi non devono trasferire all’alimento componenti tali da costituire un pericolo per la salute umana, o da comportare una modifica inaccettabile della composizione del prodotto o un deterioramento delle sue caratteristiche organolettiche.
Occorre verificare che il materiale che si acquista e che si intende utilizzare per incartare il proprio prodotto sia accompagnato dalla dicitura “per contatto con i prodotti
alimentari” oppure dal simbolo a lato:
Quindi, in base al prodotto si sceglie il tipo di confezionamento più adatto ad evitare
contaminazioni: una fetta di formaggio, un salame, un pezzo di carne vanno preincartati (per frutta o verdura si utilizzano sacchetti di carta o di plastica autorizzati per
il contatto con alimenti), per i prodotti confezionati, come ad esempio miele e confetture, occorre anche porre attenzione al rispetto delle norme sull’etichettatura della confezione.
Alcuni riferimenti legislativi
• Reg. (CE) n. 852/2004, allegato II capitolo 10: elenca i “Requisiti applicabili al confezionamento e all’imballaggio di prodotti alimentari:
1. I materiali di cui sono composti il confezionamento e l’imballaggio non devono costituire una fonte di contaminazione.
2. I materiali di confezionamento devono essere immagazzinati in modo tale da non
essere esposti a un rischio di contaminazione.
3. Le operazioni di confezionamento e di imballaggio devono essere effettuate in modo
da evitare la contaminazione dei prodotti. Ove opportuno, in particolare in caso
di utilizzo di scatole metalliche e di vasi in vetro, è necessario garantire l’integrità del recipiente e la sua pulizia.
4. I confezionamenti e gli imballaggi riutilizzati per i prodotti alimentari devono essere facili da pulire e, se necessario, da disinfettare.”
• Reg. (CE) n.1935/2004: “riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari”;
• Decreto Ministeriale 21 marzo 1973, modificato dal D.M. 25 settembre 2007 n. 217
“disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili, destinati a venire in contatto
con le sostanze alimentari”.
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aspetti amministrativi e igienico-sanitari
L’etichettatura dei prodotti
Per etichettatura si intende l’insieme delle indicazioni riportate sull’etichetta o sull’imballaggio dei prodotti posti in vendita. L’etichetta informa il consumatore sul prodotto che acquista e gli consente di scegliere quello che maggiormente risponde alle
proprie esigenze, quindi ha lo scopo di fornire informazioni e di istituire un rapporto
di trasparenza tra produttore e consumatore.
Non è obbligatorio etichettare tutti i prodotti alimentari. Per esempio, è obbligatoria
l’etichettatura per le carni bovine e per i formaggi a pasta filata (tipo mozzarella) e
per tutti i prodotti alimentari venduti preconfezionati. Non è invece obbligatoria l’etichettatura per i prodotti venduti “sfusi”, per i quali è prevista l’apposizione nel punto
vendita di un cartello che riporti alcune diciture.
Contenuti dell’etichetta
L’etichetta dei prodotti alimentari preconfezionati deve obbligatoriamente contenere le
seguenti informazioni relative al prodotto:
• cos’è e come si chiama (denominazione di vendita);
• di cosa è fatto, cioè l’elenco ingredienti, riportati in ordine di quantità decrescente;
• la quantità netta;
• fino a quando si può consumare apponendo la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il...” (rappresenta il cosiddetto “termine minimo di conservazione”)
che indica fino a quando il prodotto conserva le sue caratteristiche (di sapore, consistenza ecc.). Oltre quel termine non significa che il prodotto diventa dannoso, ma
che non ha più le stesse qualità. Se invece è un prodotto altamente deperibile si
deve apporre la dicitura “da consumarsi entro il...” ed è il termine oltre il quale
non deve essere consumato (rappresenta la “data di scadenza”). Oltre tale data, infatti, il prodotto potrebbe non solo essere alterato, ma risultare anche dannoso. La
data di scadenza non è obbligatoria per i prodotti ortofrutticoli freschi e interi;
• chi lo ha prodotto: nome e sede del produttore;
• il lotto di produzione (si veda punto 2.6);
• le modalità di conservazione o di utilizzo;
• l’indicazione del luogo di origine del prodotto (es. prodotto in Italia) o della materia prima se è un prodotto trasformato (L. 3 agosto 2004 n. 204 art. 1bis).
Per alcuni prodotti la normativa specifica in modo più particolareggiato i contenuti obbligatori dell’etichetta. Ad esempio, per la carne bovina venduta al dettaglio deve essere indicato, con etichetta sul prodotto o con cartellino esposto:
• il codice identificativo del capo (marca auricolare);
• il paese di nascita dell’animale;
• il paese in cui ha avuto luogo l’ingrasso;
• il paese di macellazione e il numero di riconoscimento dello stabilimento di macellazione;
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• il paese di sezionamento delle carni e il numero di riconoscimento del laboratorio;
• la specie;
• lo stato fisico (se fresca, congelata o scongelata).
Per i prodotti sfusi o preincartati non è richiesta l’etichettatura, ma deve essere presente un cartello che riporti le seguenti informazioni:
- cos’è e come si chiama (denominazione di vendita);
- di cosa è fatto, cioè l’elenco ingredienti, riportati in ordine di quantità decrescente;
- le modalità di conservazione, per i prodotti rapidamente deperibili.
Vi è poi la possibilità di aggiungere informazioni facoltative, quali esempio la modalità di lavorazione o la presenza di marchi di qualità o d’origine.
Normativa di riferimento
Normativa generale riguardante tutti i prodotti: L.283/1962, D.lvo 27 gennaio 1992
n. 109, D.lvo 23 giungo 2003 n.181, L 3 agosto 2004 n.204, Reg. (CE) n. 853/2004
(con riferimento alla marchiatura, si veda apposita scheda);
Normative particolari, ad es. uova (Reg. (CE) n. 2295/2003), Carne (Reg. (CE)
n. 1760/2000, Reg. (CE) n. 1825/2000 DM 30 agosto 2000), Miele (D.L.vo 21
maggio 2004 n. 179);
Approfondimenti
Ministero Politiche Agricole e Forestali: www.politicheagricole,it;
Movimento consumatori: www.movimentoconsumatori.it;
Unione nazionale consumatori: www.sicurezzalimentare.it
4.5 Il trasporto dei prodotti alimentari.
L’attività di trasporto dei prodotti alimentari è soggetta a registrazione ai sensi del Reg.
(CE) n. 852/2004 (si veda punto 2.12).
I criteri generali ai quali uniformarsi per le operazioni di trasporto sono esplicitati nell’allegato II, capitolo IV del Reg. (CE) n. 852/2004 e perseguono l’obiettivo di “rendere minimo il rischio di contaminazione” dei prodotti trasportati; trattandosi di criteri generali, sono spesso indicati con la dicitura “se necessario”. Di seguito si segnalano i punti principali:
1. i vani di carico dei veicoli e/o i contenitori utilizzati per il trasporto di prodotti alimentari devono essere mantenuti puliti, sottoposti a regolare manutenzione al fine
di proteggere i prodotti da fonti di contaminazione e devono essere, se necessario, progettati e costruiti in modo tale da consentire un’adeguata pulizia e disinfezione;
2. i vani di carico dei veicoli e/o i contenitori non devono essere utilizzati per tra59
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sportare qualsiasi materiale diverso dai prodotti alimentari, se questi ultimi possono risultarne contaminati;
3. se i veicoli e/o i contenitori sono adibiti contemporaneamente al trasporto di altra merce in aggiunta ai prodotti alimentari, o di differenti tipi di prodotti alimentari,
si deve provvedere, ove necessario, a separare in maniera efficace i vari prodotti;
4. se i veicoli e/o i contenitori sono adibiti al trasporto di merci che non siano prodotti alimentari o di differenti tipi di prodotti alimentari, si deve provvedere a pulirli accuratamente tra un carico e l’altro, per evitare il rischio di contaminazione;
5. i prodotti alimentari nei veicoli e/o contenitori devono essere collocati e protetti
in modo da rendere minimo il rischio di contaminazione;
6. i vani di carico dei veicoli e/o i contenitori utilizzati per trasportare i prodotti alimentari,
ove necessario, devono essere atti a mantenere questi ultimi in condizioni adeguate di temperatura e consentire che la temperatura possa essere controllata.
Relativamente alla temperatura da mantenere durante il trasporto, l’allegato II, capitolo 9, comma 5 del Reg. (CE) n.852/2004 dispone che “le materie prime, gli ingredienti,
i prodotti intermedi e quelli finiti, in grado di consentire la crescita di microrganismi
patogeni o la formazione di tossine non devono essere conservati a temperature che potrebbero comportare rischi per la salute. La catena del freddo non deve essere interrotta.
È tuttavia permesso derogare al controllo della temperatura per periodi limitati, qualora ciò sia necessario per motivi di praticità durante la preparazione, il trasporto, l’immagazzinamento, l’esposizione e la fornitura, purché ciò non comporti un rischio per
la salute.”
Per quanto riguarda le condizioni e i requisiti specifici da rispettare nelle operazioni
di trasporto della carne, il Reg. (CE) n. 853/2004, allegato III, Sezione I capitolo VII,
dispone che il trasporto debba avvenire a temperatura di refrigerazione, cioè non superiore ai 7 °C. Tuttavia, il trasporto può ugualmente essere autorizzato dall’autorità
competente, ma solo ai fini della produzione di prodotti specifici, se le carni lasciano
il macello immediatamente e il trasporto non dura più di due ore. Con il Decreto della D. G. Sanità della Regione Lombardia n. 187 del 16/01/2008 è stato disposto che:
• l’operatore del settore alimentare che effettua il trasporto delle carni appena macellate, che non abbiano ancora raggiunto la temperatura di 7 ° C, deve essere preventivamente autorizzato dal Servizio Veterinario competente, previo accertamento della sussistenza di tutti i requisiti previsti con particolare riguardo alle misure predisposte e attuate dall’operatore per garantire la sicurezza e l’integrità dei prodotti;
• il trasporto deve avere inizio immediatamente dopo il termine delle operazioni di
macellazione e, se del caso, di sezionamento. Nel caso in cui, per motivi organizzativi, il trasporto incominciasse al termine delle operazioni di macellazione della giornata, l’operatore responsabile del macello o del laboratorio di sezionamento valuterà, nell’ambito delle proprie procedure di controllo, l’opportunità che le
60
carni macellate in attesa di essere spedite siano ricoverate in cella in modo da garantirne comunque l’inizio del processo di raffreddamento prima del trasporto;
• gli automezzi impiegati per il trasporto delle carni che non abbiano ancora raggiunto la temperatura di refrigerazione devono essere muniti di gruppo refrigerante
dimensionato per assicurare adeguate condizioni di conservazioni delle carni durante il trasporto;
• la durata massima del trasporto (due ore) deve essere calcolata dal momento in cui
ha termine il carico dell’automezzo.
4.6 La vendita dei prodotti
L’attività di vendita è soggetta a registrazione ai sensi del Reg. (CE) n. 852/2004.
Per l’attività di vendita la Regione Lombardia con la l.r. 2 aprile 2007 n. 8 “Disposizioni in materia di attività sanitarie e socio-sanitarie” ha abolito l’autorizzazione sanitaria di cui all’art. 2 della Legge 30 aprile 1962 n. 283 e del suo regolamento di esecuzione (DPR 26 marzo 1980 n. 327) e con la Circolare n. 11/SAN/2007 del 6 aprile
2007, ha disposto che il titolare presenti Dichiarazione di Inizio Attività Produttiva (DIAP)
presso il Comune, o lo Sportello Unico per le Attività Produttive se attivato, il quale
provvederà ad inoltrare tale dichiarazione all’ASL. La DIAP costituisce in questo caso
notifica dell’attività ai sensi dei Regolamenti comunitari. L’Asl provvederà a registrare l’attività nel proprio database anagrafico e ad effettuare l’attività di controllo ufficiale sulla base del livello di rischio assegnato all’impianto stesso.
I requisiti dei locali di vendita, stabiliti da diverse norme, rappresentano un aiuto per
lavorare meglio: locali facili da pulire, luminosi e areati danno meno problemi per lo
svolgimento dell’attività e per la gestione dei prodotti. Il concetto non è quindi fare qualcosa solo perché lo impone la legge, bensì fare qualcosa da cui deriverà un concreto
beneficio.
Generalmente si fa riferimento al Reg. (CE) n. 852/2004; si rinvia ai requisiti dei locali di trasformazione trattati in precedenza, per quanto applicabili ai locali vendita. In
particolare è necessario considerare che spesso nel locale vendita sono presenti diverse tipologie di prodotti (carni di diverse specie animali, prodotti a base di carne, uova,
formaggi, frutta e verdura...), che devono essere mantenuti separati, per evitare una eventuale contaminazione crociata.
Normativa di riferimento.
• Regolamento edilizio comunale: si veda nel singolo comune;
• Regolamento Locale d’Igiene: si veda nel singolo comune/ASL, altrimenti si applica
il Regolamento Locale d’Igiene Tipo approvato con D.G.R. n. 3/49784 del 28 marzo 1985 e successive modifiche;
• Reg.(CE)n. 852/2004: allegato II capitolo I “Requisiti generali applicabili alle strutture destinate agli alimenti”.
61
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
Le attrezzature per la vendita:
• vetrine o banchi frigoriferi: devono essere provvisti di mezzi idonei all’adeguata conservazione degli alimenti, in relazione alle loro caratteristiche. In particolare:
- la vendita e la conservazione delle carni di volatili deve effettuarsi in settori separati rispetto alle altre carni, per cui occorre dotarsi di più banchi frigoriferi se
si vendono carni bovine, suine, ovine e caprine fresche e carni avicole;
- i banchi devono garantire una temperatura di +2°/+4° (devono essere dotati di
termometro di controllo) e devono essere costruiti con materiale inalterabile, impermeabile, lavabile e disinfettabile;
inoltre, devono essere dotati di apposite vetrine per evitare contaminazioni esterne.
• piani di lavoro e ceppaie: devono essere lisci, in materiale atossico, lavabile, disinfettabile ed inossidabile e diversificati per il pollame;
• attrezzatura varia: coltelleria, affettatrici, deve essere lavabile, disinfettabile e inossidabile;
• per i prodotti ortofrutticoli occorre prevedere scaffalature che consentano di collocare le cassette ad un’altezza
adeguata, possibilmente sollevate da terra.
5 Aspetti particolari dei diversi settori produttivi
5.1 principi di autocontrollo nella produzione e vendita diretta di latte e prodotti
trasformati
5.1.1 Quali sono i pericoli specifici da tenere sotto controllo?
I pericoli da controllare possono derivare dalla presenza di:
contaminanti, cioè qualcosa che nel latte o nel formaggio normalmente non dovrebbe esserci.
• Può trattarsi di:
- contaminanti biologici: insetti o loro larve e uova, frammenti di materiale organico
di provenienza animale o umana, ecc;
- contaminanti fisici: paglia, frammenti di legno, ecc.;
- contaminanti chimici: residui di antiparassitari, aflatossina M1 (dovuta a consumo
di alimenti contaminati e/o ammuffiti), sostanze antibiotiche (per mungitura di animali prima del tempo di sospensione), residui di sostanze sanificanti (per scorrette operazioni di risciacquo durante i cicli di sanificazione delle attrezzature), ecc.
La presenza di contaminanti dipende dall’applicazione di scorrette operazioni igieniche di mungitura, trasporto, filtrazione, stoccaggio e per scarsa igiene di ambienti, attrezzature, personale;
62
• microrganismi patogeni o loro tossine (Escherichia coli, Salmonella spp., Listeria,
stafilococchi, ecc.).
La loro eventuale presenza rappresenta il rischio da tenere maggiormente in considerazione nella produzione di latte e derivati, distinguendo fra prodotti freschi (formaggi freschi, burro) e stagionati. Infatti i germi patogeni, eventualmente presenti nel
formaggio fresco, nel corso del processo di stagionatura vengono comunemente sopraffatti dai germi non patogeni (ad esempio lattobacilli) che si moltiplicano. Si ritiene che un periodo di 60 giorni di stagionatura sia in grado di ridurre molti dei possibili rischi ad un livello accettabile. Questo non significa che
il produttore di formaggio stagionato può lavorare in modo
meno igienico, perché spesso il formaggio con problemi microbiologici durante la stagionatura subisce delle alterazioni
che lo rendono invendibile (gonfiore, occhiature anomale, spaccature, sapore amaro...).
Per contrastare i germi patogeni nel formaggio i batteri non
patogeni sono preziosi alleati, il cui sviluppo è quindi da favorire.
I due fattori principali da prendere in considerazione per garantire la produzione di formaggi sicuri sono:
1. la qualità igienico-sanitaria del latte utilizzato (che dipende
dallo stato sanitario degli animali, dall’igiene della mungitura e della conservazione del latte). A tale proposito i requisiti del latte crudo
sono definiti dal Reg. (CE)n. 853/2004, allegato III, sezione IX;
2. l’igiene durante il processo di trasformazione e commercializzazione.
5.1.2 Cosa fare se il latte contiene più germi o più cellule del dovuto?
Il latte non conforme ai requisiti di tenore in cellule somatiche e germi a 30°C, stabiliti dal suddetto Regolamento, può essere impiegato esclusivamente per la produzione di formaggi con almeno 60 giorni di stagionatura (Decreto D. G. Sanità della Regione Lombardia n. 6397 del 08.06.2006 “adattamento di alcuni requisiti di cui all’allegato
III al regolamento (CE) 853/2004 e relative definizioni”).
La crema, o gli zangolati di preburrificazione ottenuti dal latte suddetto devono essere sottoposti ad un trattamento termico avente un effetto almeno equivalente alla pastorizzazione.
Il siero e gli altri prodotti ottenuti dalla lavorazione del latte non conforme devono essere sottoposti, prima o nel corso del processo di trasformazione, a un trattamento termico avente un effetto almeno equivalente alla pastorizzazione (per es. nel processo
produttivo della ricotta si utilizzano temperature tali da essere considerate equivalenti ad una pastorizzazione, in questo caso quindi il siero non va preventivamente pastorizzato. In altri casi la pastorizzazione è invece da prevedere).
63
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
5.1.3 Quali sono i germi da cui stare maggiormente attenti?
I principali germi patogeni che si possono ritrovare nei prodotti lattiero caseari sono:
Staphylococcus aureus (coagulasi positivo), Salmonella, Listeria monocytogenes,
Escherichia coli.
Nel latte crudo e nei prodotti freschi possono poi trovarsi, con minore frequenza, molti altri germi patogeni (Yersinia enterocolitica, Bacillus cereus, Campylobacter jejuni,
Brucella abortus e melitensis, Coxiella burnetii, Mycobacterium tuberculosis, Mycobacterium bovis).
5.1.4 Quali sono le misure da adottare per ridurre i rischi?
La cosa più importante è chiedersi sempre: c’è qualcosa qui che può finire nel latte o
nel formaggio? La miglior prevenzione è infatti la testa del produttore, la sua capacità di immaginare cosa potrebbe succedere e quindi di trovare un modo per evitarlo.
Inoltre è necessario:
• mungere in modo igienico (si veda il punto 5.1.5); evitare prima della mungitura
di eseguire lavori che sollevano sporcizia (scopare per terra, muovere il fieno) e utilizzare per mungere attrezzature pulite;
• filtrare il latte prima di lavorarlo, cambiando ogni volta il filtro, altrimenti è peggio. Uno dei nemici peggiori del casaro sono i peli: nel formaggio fanno fare brutta figura;
• conservare e manipolare il latte in locali puliti e con attrezzature pulitissime, ponendo attenzione alle cose che possono cadere dall’alto, o che
possono venire sollevate per aria (tutto ciò che c’è
sul pavimento o su una mensola può darsi che non
rimanga lì per sempre);
• applicare reti antimosche alle finestre e sistemi per evitare che dalla porta possano entrare insetti;
• stagionare il formaggio in locali e su mensole puliti, poiché non è vero che il formaggio acquista
un sapore più caratteristico se il locale di stagionatura non viene mai pulito. La semplice pulizia
previene la contaminazione del formaggio con cose indesiderate e non elimina la
flora microbica utile per il sapore del formaggio;
• le scalere vanno periodicamente lavate e spazzolate con acqua calda, lasciandole asciugare prima di rimetterle a posto. In presenza di muffa eccessiva, le assi di
legno possono essere lavate con candeggina diluita, risciacquandole bene;
• un particolare contaminante del latte può essere il residuo di farmaci somministrati
agli animali; per evitarlo occorre rispettare il “tempo di sospensione”.
64
5.1.5 Le regole per mungere in modo pulito
• pulire le mani lavandole accuratamente, oppure usare guanti, da risciacquare periodicamente (ad es. ogni 5 vacche) con una soluzione disinfettante;
• la mammella deve essere pulita e pertanto nella stalla le vacche devono disporre
di un’area di riposo dove possano coricarsi senza imbrattarsi con le feci;
• gli animali mastitici vanno munti per ultimi e il loro latte non deve essere utilizzato;
• osservare e toccare la mammella per rendersi conto di eventuali anomalie quali gonfiori, arrossamenti, indurimenti ed eseguire un rapido massaggio;
• per la pulizia del capezzolo usare un fazzoletto di carta monouso, o salvietta con soluzione disinfettante, evitando assolutamente stracci e simili da usare su più animali;
• i capezzoli molto sporchi vanno lavati usando poca acqua, senza bagnare tutta la mammella, e vanno poi asciugati bene, altrimenti lo sporco si concentra nelle gocce che
scendono proprio sulla punta del capezzolo;
• spremere i primi getti di latte su una superficie scura e osservare se si vedono coaguli di sangue o altre cose anomale;
• iniziare la mungitura trascorso circa un minuto dal primo contatto con la mammella;
• evitare di mungere a vuoto (usare mungitrici con stacco automatico);
• terminata la mungitura applicare un apposito disinfettante sul capezzolo.
5.1.6 Indicazioni per ridurre il rischio della presenza dei microrganismi patogeni
nelle fasi successive alla mungitura
Conservazione del latte prima della lavorazione
Durante questa fase i microrganismi presenti nel latte, sia quelli utili alla produzione
del formaggio sia quelli patogeni, si moltiplicano. La velocità di moltiplicazione dei microbi dipende dalla temperatura del latte. Il Reg. (CE) n. 853/2004 allegato III sezione
IX, prevede che il latte, immediatamente dopo la mungitura, sia posto in un luogo pulito, progettato e attrezzato per
evitare le contaminazioni e sia raffreddato a temperatura non
superiore a 8 °C.
In linea generale:
• sotto i 4°C i batteri patogeni non si sviluppano, quindi
è importante tenere il latte sempre a temperatura di refrigerazione (controllare con un semplice termometro!);
• vi sono però alcuni batteri particolari, detti “psicrofili”,
che possono moltiplicarsi anche alle basse temperature
65
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aspetti amministrativi e igienico-sanitari
e causare problemi alla caseificazione; per questo è importante evitare di conservare il latte per più di 12 ore, cioè caseificare il latte di più di due mungiture;
• se la tecnologia di lavorazione prevede di mantenere il latte a “maturare” per un
certo tempo a temperature superiori (tale prassi deve comunque essere consentita dall’autorità competente), occorre tenere presente che al di sopra dei 16 °C i batteri iniziano a moltiplicarsi molto rapidamente e quindi evitare di conservare il latte a più di 12 °C. Il latte così conservato arriverà alla caseificazione con un contenuto di germi (sia quelli utili che quelli patogeni eventualmente presenti) più elevato rispetto al latte di partenza. Per aumentare la sicurezza del proprio prodotto
è allora utile utilizzare innesti, cioè dei batteri selezionati che possano contrastare gli eventuali germi patogeni presenti;
• se si produce formaggio con un periodo di stagionatura inferiore ai 60 giorni e si
usa latte crudo (cioè senza pastorizzarlo) e senza usare innesti è rischioso conservare il latte prima della lavorazione.
Caseificazione del latte
Per la caseificazione:
• utilizzare secchi, attrezzi e superfici puliti e disinfettati con prodotti specifici, risciacquandoli bene;
• utilizzare eventualmente innesti;
• utilizzare in modo corretto caglio prodotto da ditte autorizzate;
• indossare un abbigliamento adeguato e pulito;
• pulire frequentemente le mani;
• utilizzare acqua potabile.
5.2 Principi di autocontrollo nella produzione e vendita diretta di carne e prodotti trasformati
5.2.1 Si possono macellare in azienda i propri animali per venderne le carne?
La macellazione di animali a scopo di vendita deve avvenire in macelli riconosciuti ai
sensi del Reg. (CE) n. 853/2004. L’imprenditore agricolo che intende commercializzare la carne di animali allevati nella propria azienda, indipendentemente dalla sua capacità di lavoro, deve dotarsi di un macello riconosciuto, oppure deve utilizzare impianti riconosciuti.
Per gli avicunicoli, fino alla macellazione di 500 capi/anno, si
applicano regole diverse (si veda il punto 5.3).
Anche il sezionamento, cioè la suddivisione delle mezzene in
più di tre pezzi, deve essere eseguito presso laboratori di sezionamento riconosciuti, salvo che questa operazione venga eseguita in appositi locali annessi al proprio spaccio per la vendita diretta al consumatore.
In pratica, l’allevatore può vendere direttamente la carne fre66
sca dei propri animali che devono essere macellati in un macello riconosciuto, interno o esterno all’azienda. Nel secondo caso deve provvedere a trasportare l’animale al
macello, dove verrà eventualmente anche sezionato. In seguito preleverà la carne ottenuta e la trasporterà in azienda (si veda il punto 4.5).
I requisiti strutturali degli impianti di macellazione e degli impianti di sezionamento,
valutati dal Servizio veterinario dell’ASL, sono indicati nell’allegato III, Sezione I, capitoli II e III del Reg. (CE) n. 853/2004.
5.2.2 Quali sono i pericoli specifici da tenere sotto controllo nella vendita diretta
di carne e di prodotti trasformati?
Per il consumatore i principali pericoli che possono essere presenti nella carne fresca e
nei prodotti trasformati da essa derivati sono distinguibili in biologici, chimici e fisici.
A titolo di esempio, la tabella riporta alcuni pericoli riscontrabili nella carne fresca. Si ricorda che i pericoli dipendono dalla specifica situazione di ogni produttore e sono identificabili solo a seguito di un accurato processo di analisi.
Pericoli biologici:
Batteri Salmonella spp. (spt. carni avicole)
Escherichia coli EPEC, ETEC, EIEC, EHEC (Escherichia coli O157:H7)
Aeromonas spp.
Campylobacter jejuni (spt. carni avicole)
Shigella spp. (spt. carni avicole)
Yersinia enterocolitica (suino)
Clostridium botulinum
Clostridium perfringens
Staphylococcus aureus (tossina)
Brucella suis
Listeria monocytogenes
Virus
Rotavirus
Epatite A
Miceti Muffe micotossinogene
parassiti Taenia spp.(spt. bovino e suino)
Trichinella spiralis (suino e equino)
Toxoplasma condii (spt. suino)
Pericoli chimici
Residui di antibiotici, ormoni di crescita
Residui di fungicidi, insetticidi, pesticidi
Metalli pesanti
Residui di Detergenti, disinfettanti, lubrificanti
Pericoli fisici
Frammenti di metallo
Frammenti d’osso
67
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
5.2.3 Come tenere sotto controllo i pericoli nella vendita diretta della carne e dei
prodotti trasformati?
Occorre agire lungo tutto il percorso che il prodotto compie prima di essere venduto,
ponendo quindi attenzione non solo a quello che succede dopo la macellazione, ma
anche in tutte le fasi precedenti.
La prima condizione è allevare animali sani e questo significa:
• curare l’alimentazione, gestire correttamente i mangimi e i foraggi;
• applicare in azienda valide misure di biosicurezza, cioè tutti gli accorgimenti che
si possono mettere in atto per ridurre il rischio che nell’allevamento possano verificarsi problemi sanitari. Tutto ciò che entra in contatto con l’allevamento è potenzialmente in grado di portare con sé dei problemi e va “sorvegliato”. Si possono certamente dare indicazioni sulle misure da adottare, ma è l’intelligenza e la preparazione dell’allevatore che lo porterà a decidere quali misure applicare nella propria azienda.
Nell’allevamento entrano:
• animali da allevare (se non è un allevamento a ciclo chiuso);
• altri animali: uccelli, insetti, roditori, e a volte anche gatti, cani, ecc. ;
• alimenti (fieno, mangimi) e acqua;
• persone (visitatori, personale tecnico quali mangimisti, veterinari, commercianti,
raccoglitore del latte);
• materiali e macchinari vari.
Lo stesso allevatore si reca all’esterno dell’allevamento, per poi tornarvi, magari avendo visitato altri allevamenti o fiere del bestiame. In alcuni casi sono i propri animali
ad uscire dall’allevamento (pascolo, alpeggio, fiere), per poi ritornarvi. Tutto questo andirivieni deve essere conosciuto e gestito, curando anche l’applicazione delle normative relative (anagrafe degli animali, movimentazioni animali, tracciabilità dei mangimi, ecc).
Inoltre occorre:
• gestire correttamente le sostanze chimiche utilizzate (concimi, fitofarmaci, farmaci veterinari, detergenti, ecc.);
• garantire agli animali elevati standard di benessere,
curando le condizioni in cui sono stabulati (spazi e
lettiera adeguati, illuminazione, aerazione, umidità
e temperatura, ecc);
• mantenere pulite e in ordine le strutture, gli impianti, le attrezzature;
• utilizzare acqua potabile;
• gestire correttamente le deiezioni (letami e liquami).
68
Dal punto di vista normativo l’allegato I del Reg. (CE) n. 852/2004 riporta i requisiti generali in materia di igiene previsti per gli allevamenti.
Il secondo aspetto riguarda il trasporto dell’animale al macello, regolato nell’Allegato III sezione I, capitolo I del Reg. (CE) n. 853/2004. In particolare:
• durante la raccolta e il trasporto, gli animali devono essere manipolati con cura,
evitando inutili sofferenze;
• gli animali che presentano sintomi di malattia, o provenienti da allevamenti che
risultano contaminati da agenti nocivi per la salute pubblica, possono essere trasportati al macello solo con l’autorizzazione dell’autorità competente.
È importante che l’animale arrivi alla macellazione in condizioni di benessere, perché la qualità della carne è influenzata dallo stato dell’animale: animali maltrattati, spaventati o stressati prima della macellazione daranno una carne che non sarà
in grado di frollare correttamente, cioè non andrà incontro a quei processi chimici
che le consentiranno di dare un buon prodotto (si veda il punto 5.2.4). Gli animali,
inoltre, possono essere macellati solo se sono puliti, perché è impossibile ottenere carne con pochi microbi partendo da animali sporchi. Prima della macellazione gli animali devono essere sottoposti ad una visita del veterinario ufficiale dell’Asl (visita ante
mortem), il quale giudica se l’animale è in condizioni idonee per essere macellato.
Il terzo aspetto riguarda la macellazione, da eseguire nel pieno rispetto delle vigenti norme igienico sanitarie. Fermo restando che il macello sia riconosciuto dall’Asl,
la normativa di riferimento sull’igiene della macellazione è contenuta nell’Allegato
III sezione I, capitolo IV del Reg. (CE) n. 853/2004. L’igiene della macellazione è importantissima per evitare contaminazioni microbiche eccessive della carne: il muscolo
dell’animale in buona salute prima della macellazione è privo di microrganismi; con
la macellazione, di fatto, si possono solo peggiorare le cose. Le contaminazioni della carcassa possono provenire dalle superfici di lavoro, dalle attrezzature (coltelli ecc),
dal personale (cute, vie respiratorie ecc), dall’aria ecc. ed è ovviamente impossibile
evitare che la carne, alla fine della macellazione, almeno in superficie sia contaminata. Tuttavia è importante evitare una presenza eccessiva di microrganismi, soprattutto
patogeni.
Al termine della macellazione la carcassa e i visceri devono essere ispezionati dal Veterinario ufficiale dell’Asl (visita post-mortem), il quale giudica se la carne e le frattaglie ottenute sono idonee al consumo.
Il quarto aspetto riguarda la successiva manipolazione della carne che può prevedere: il trasporto, nel caso in cui ci si appoggia ad un macello esterno all’azienda; il magazzinaggio (refrigerazione e frollatura); il sezionamento; la lavorazione, se si realizzano prodotti trasformati.
69
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
5.2.4 Come si effettua una buona frollatura della carne?
La frollatura della carne è essenziale per ottenere un buon prodotto. Durante la frollatura nella carne avvengono diverse reazioni chimiche, non del tutto note. È un fenomeno enzimatico, cioè si liberano dalle cellule muscolari alcune sostanze, dette appunto enzimi, che hanno la capacità di demolire le proteine, liberando dei composti
più piccoli (peptidi e aminoacidi). Per effetto della frollatura le carni diventano più tenere e aromatiche.
Le condizioni per una buona frollatura sono:
• la qualità della carne di partenza: carne di buona qualità igienica, ottenuta da animali in buono stato di salute e di nutrizione, macellati in modo ottimale (animali non stressati prima della macellazione e dissanguati in modo ottimale);
• acidificazione della carcassa: carne che dopo la macellazione è andata incontro ad
una corretta acidificazione. Infatti, in animali macellati in buone condizioni di salute il glicogeno dei muscoli viene demolito ad acido lattico, portando il pH della
massa muscolare intorno al valore di 5,5, che risulta particolarmente utile dal punto di vista della sua conservazione, poiché ritarda lo sviluppo dei batteri putridogeni. È inoltre utile dal punto di vista tecnologico, perché si ottiene una carne che
mantiene meglio il colore, cala meno di peso con la cottura (trattiene meglio l’acqua) e reagisce meglio con il sale e i nitriti se lavorata;
• raffreddamento della carcassa: perché si verifichi una buona acidificazione è necessario che la temperatura della carcassa, poco dopo la macellazione, scenda in
modo costante e uniforme, evitando un raffreddamento troppo spinto o troppo lento. Se la carcassa non viene raffreddata, infatti, acidifica troppo rapidamente e risulterà fibrosa, mentre se viene raffreddata rapidamente (0-1° C) il processo di acidificazione si blocca e la carne non raggiungerà il pH voluto. Le carni raffreddate troppo rapidamente vanno incontro alla cosiddetta
“contrattura da freddo”, e risulteranno dure e con tendenza a perdere
acqua. Per avere una buona carne bisogna quindi prestare particolare
attenzione alla curva di raffreddamento della carcassa. La normativa (Reg.
(CE) n. 853/2004 allegato III Capitolo VII), prevede che la carcassa debba essere immediatamente raffreddata, secondo una curva continua di
diminuzione della temperatura sino a 7° C, che non deve in seguito essere superata durante il magazzinaggio.
• durata della frollatura: la durata ottimale deve essere stabilita in
funzione di numerosi parametri, fra i quali il più importante è la temperatura di conservazione; più è bassa e più la frollatura procede lentamente. Vi sono però molti altri fattori importanti da considerare, tra
cui l’età dell’animale, lo sviluppo delle masse muscolari, lo stato di ingrassamento e le caratteristiche di razza. La durata ottimale dovrebbe
quindi essere decisa dal produttore, tenendo conto della particolarità
della carne che produce e della propria esperienza, valutando l’andamento
70
del processo in carcasse campione mantenute in condizioni ben definite fino al raggiungimento delle caratteristiche di tenerezza, succulenza e sapore desiderate. In
definitiva il periodo di frollatura, considerando quanto sopra, può oscillare da 3 a
15 giorni.
5.2.5 Alcuni vincoli specifici per la trasformazione della carne in azienda
Relativamente alla materia prima utilizzata per i prodotti trasformati, il Reg. (CE) n.
853/2004 dispone, in particolare, cosa non può venire utilizzato per la preparazione dei
prodotti a base di carne (gli organi dell’apparato genitale maschile e femminile, ad esclusione dei testicoli, gli organi dell’apparato urinario, ad esclusione dei reni e della vescica, la cartilagine della laringe, della trachea e dei bronchi extralobulari, gli occhi e
le palpebre, il condotto auditivo esterno, i tessuti cornei, ad es gli unghielli) e che tutte le carni utilizzate per la produzione di prodotti a base di carne devono soddisfare i
requisiti prescritti per le carni fresche (allegato III sez. VI del Regolamento).
5.3 Carne di pollame e conigli
5.3.1 Si possono macellare in azienda i propri animali?
La macellazione degli avicunicoli presso l’azienda agricola viene trattata in modo particolare dalla normativa vigente. Infatti il legislatore ha considerato che la macellazione
di tali animali, e la successiva cessione delle loro carni direttamente al consumatore
finale, è una pratica comune presso molte popolazioni rurali e ha scelto di non appesantire con vincoli eccessivamente rigidi tali attività. Per questo motivo la macellazione
in azienda di piccoli quantitativi di pollame e lagomorfi (conigli), è stata esclusa dall’ambito di applicazione dei regolamenti del “pacchetto igiene”.
In base al Decreto della D. G. Sanità della Regione Lombardia n. 1265 del 7.02.2006,
sino al limite di 500 capi annui è consentito macellare pollame e conigli in azienda in
assenza di strutture e attrezzature dedicate. La macellazione deve però avvenire in presenza del consumatore finale o del dettagliante a livello locale; questo significa che non
è consentito procedere alla macellazione di capi avicunicoli da immagazzinare in azienda in attesa della vendita.
5.3.2 A chi si può vendere la carne?
I capi macellati, oltre all’autoconsumo, possono essere destinati:
• al consumatore finale, definito dal Reg. (CE) n.178/2002, art. 3 punto 18, come colui “ che non utilizzi tale prodotto nell’ambito di un’operazione o attività di un’impresa
del settore alimentare”;
• al dettagliante a livello locale
L’allevatore può quindi rifornire oltre che il singolo acquirente che si presenta in azienda, anche negozi, ristoranti e agriturismi della zona.
71
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
Oltre il suddetto limite di 500 capi annui la macellazione degli avicunicoli rientra nel
campo di applicazione del “pacchetto igiene”, in particolare del Reg. (CE) n. 853/2004
per i requisiti relativi ai macelli e all’igiene della macellazione (allegato III, sezione II,
capitoli II e IV).
5.4 La vendita diretta delle uova
È possibile la vendita diretta delle uova nel luogo di produzione.
La normativa attuale sulla commercializzazione delle uova è abbastanza rigida e dispone diversi adempimenti rispetto all’imballaggio e all’etichettatura. Tuttavia i produttori che vendono direttamente le proprie uova e i piccoli allevatori sono stati esonerati da gran parte degli adempimenti.
In particolare è stato disposto che:
• le uova vendute direttamente dal produttore al consumatore finale nel luogo di produzione, o nel raggio di 10 km (presso un mercato o porta a porta), devono essere marchiate con il solo codice del produttore;
• ai produttori che hanno meno di 50 galline ovaiole non si applicano né le norme
sulla commercializzazione, né quelle sulla stampigliatura delle uova. Nel punto vendita deve però essere indicato il nome e l’indirizzo del produttore (in pratica le uova
si possono vendere così come sono, in azienda ma anche porta a porta, informando
l’acquirente sulla loro provenienza);
Normativa di riferimento:
Decreto Ministeriale 13 novembre 2007 (G.U. 22.12.2007 n. 297) “Modalità di applicazione di disposizioni comunitarie in materia di commercializzazione delle uova [...];
Regolamenti (CE) n. 1028/2006 e n. 557/2007; D.lgs. 29 luglio 2003 n. 267;
5.5 Produzione e vendita di vegetali freschi e prodotti trasformati
Cenni sui principali aspetti igienico-sanitari.
Anche per i prodotti vegetali valgono le raccomandazioni generali di igiene e pulizia,
nonché le nozioni di rischio e pericolo, indicate per i prodotti animali, al fine di assicurare adeguate condizioni di igiene e sicurezza alimentare.
Di seguito sono indicati i principali pericoli connessi agli alimenti di origine vegetale:
• chimici: residui di fitofarmaci, insetticidi, concimi, contaminanti e inquinanti ambientali, micotossine;
• biologici: batteri, virus, protozoi, insetti adulti e loro larve;
• fisici: presenza di corpi estranei (sassolini, schegge, frammenti metallici, ecc).
Al fine di limitare la presenza di residui chimici è necessario seguire le buone prati72
che di coltivazione (le cosiddette BPA: buone pratiche agricole). Il rischio dell’eventuale
presenza di residui di fitofarmaci è da tenere in massima considerazione, gestendo tali
prodotti in modo corretto (stoccaggio, dosaggi, modalità di esecuzione dei trattamenti, tenuta delle registrazioni, rispetto dei tempi di carenza). I prodotti fitosanitari molto tossici, tossici e nocivi (cosiddetti “in classe”) possono essere acquistati e impiegati solo dall’operatore in possesso dell’autorizzazione (cosiddetto “patentino”), rilasciata dalla Provincia. I fitofarmaci devono essere conservati in un apposito locale, arieggiato e asciutto, chiudibile a chiave o chiusi a chiave in un armadio in metallo dotato di idonee feritoie. Vige l’obbligo della tenuta del registro dei trattamenti dei fitofarmaci (cosiddetto “quaderno di campagna”) dove devono essere annotati tutti gli interventi effettuati (data, nome commerciale del prodotto, quantità impiegata, superficie trattata, avversità che rende necessario il trattamento, persona che effettua il trattamento, coltura trattata e fase fenologica in cui si trova). Il registro dei trattamenti deve
essere compilato anche quando gli interventi fitosanitari vengono eseguiti per la difesa delle derrate alimentari immagazzinate.
I pericoli biologi sono diversi in dipendenza della tipologia di prodotto.
Negli ortaggi freschi tra i microrganismi patogeni sono riscontrabili: E.Coli, Salmonella, Listeria (si rimanda al punto 2.20), Shigella,e Vibrio cholerae.
Oltre ai germi patogeni sui vegetali possono ritrovarsi microrganismi alteranti, cioè
che non sono fonte di pericolo diretto per il consumatore ma che, alterando l’alimento,
possono comunque essere all’origine di problematiche alimentari. Tra questi vi sono
i batteri che causano marciumi (Erwinia e Pseudomonas) e diverse muffe (Botrytis, Bremia, Sclerotinia spp).
Tra i diversi ortaggi quelli in foglia (ad es. insalate) sono più soggetti alle contaminazioni, sia perché sono più vicini al terreno, sia perché sono più delicati. Inoltre non
sono acidi (al contrario, ad esempio, dei pomodori) e quindi non contrastano la moltiplicazione batterica.
Tali alimenti devono essere perciò
manipolati con attenzione sia in
fase di raccolta che durante le operazioni di conservazione, lavorazione e confezionamento.
I tuberi, come le patate, pur derivando dal terreno, difficilmente risultano contaminati perché hanno
una buccia resistente, inoltre il fatto che vengano consumati cotti li
rende meno pericolosi. Tuttavia se
danneggiati possono essere invasi da
germi e muffe alteranti (causano an73
Vendita diretta dei prodotti agricoli
aspetti amministrativi e igienico-sanitari
nerimenti, rammollimenti, putrefazioni). Un altro potenziale pericolo è rappresentato dalle oocisti del protozoo Toxoplasma gondii, che si possono riscontrare a seguito di contaminazione dei vegetali con le feci di gatti (è quindi importante impedire l’accesso alle coltivazioni a tali animali).
Per la gestione dei predetti pericoli biologici è importante l’applicazione di corrette pratiche agronomiche, in particolare concimazioni organiche e irrigazioni,
e l’esecuzione di adeguate modalità di raccolta, mondatura, pulizia e lavaggio dei vegetali.
Nella frutta fresca i pericoli biologici sono in genere limitati ai germi alteranti e in particolare alle muffe (Botrytis, Phytophthora). Tuttavia, alcune specie frutticole (fragola o altri piccoli frutti), crescendo vicine al terreno, possono venire contaminate, attraverso la terra o l‘acqua, con microrganismi patogeni (E.Coli, Salmonella, Listeria ). I microrganismi presenti sulla superficie possono penetrare nel frutto attraverso eventuali lesioni della buccia e
pertanto occorre evitare la raccolta di frutti danneggiati o molto maturi e porre molta cura in tutte le manipolazioni (raccolta, movimentazione, conservazione, confezionamento). Un pericolo particolare è rappresentato da muffe produttrici di micotossine (patulina, ocratossina).
Nei cereali (mais, frumento, orzo) il pericolo maggiore è rappresentato dall’eventuale presenza di micotossine, in seguito allo sviluppo di muffe tossinogene (Claviceps purpurea, Fusarium, Aspergillus, Penicillium, Stachybotrys).
Esse si sviluppano in seguito a errate modalità di conservazione (umidità e temperatura).
Nelle conserve vegetali il rischio microbiologico più grave è rappresentato dall’eventuale presenza della tossina prodotta dal Clostridium botulinum. Questo
batterio vive normalmente nel terreno e quindi può ritrovarsi facilmente sui
vegetali, soprattutto quelli coltivati a terra. Quando si trova in condizioni sfavorevoli (per es. a contatto con l’aria) forma una spora molto resistente.
Essa può successivamente germinare se le condizioni tornano ad essere favorevoli
(per esempio nel barattolo sottovuoto) producendo la tossina. Il piano di autocontrollo deve tenere in considerazione il pericolo rappresentato dall’eventuale formazione di tossina botulinica.
74
Note
1
Popolazione residente al 31 gennaio 2007 (ISTAT)
2
Dalle analisi condotte per l’adeguamento del Piano territoriale di coordinamento
provinciale (Ptcp), le aree candidate a divenire agricole, ai sensi della L.R. 12/2005
riguardante il governo del territorio, nell’ambito montano interno e periclacuale
ricoprono poco più di 1.600 ettari, cioè circa il 3% della superficie territoriale montana.
3
Dall’inventario delle malghe e degli alpeggi della Regione Lombardia si ricava che
la superficie complessiva degli alpeggi lecchesi ammonta a 10.592 ettari, di cui 2.849
pascolabile
4
Le aree candidate dal Ptcp a divenire agricole, ai sensi della L.R. 12/2005 nel territorio collinare della provincia lecchese ricoprono circa il 25 % della superficie territoriale collinare.
5
Il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), in un suo parere per un’iniziativa sull Agricoltura periurbana scrive, tra l’altro: “Ai problemi tradizionali delle
zone agricole periurbane va aggiunto un problema le cui prime manifestazioni sono
più recenti e che consiste nella difesa degli spazi liberi intorno alle città, non prevedendo però il loro sfruttamento agricolo. Si tratta di un’idea del territorio come
“parco tematico” in cui tutto risulterà artificiale, fuori contesto e impersonale, un’idea
motivata con determinati criteri estetici falsamente supportati da norme improntate alla preservazione della biodiversità o ad una concezione del paesaggio che
cerca di emarginare l’attività agricola o relegarla a mero aspetto folcloristico.”
6
Provincia di Lecco - Servizio Agricoltura e Foreste, 2004 Indagine conoscitiva per
la costruzione del quadro delle conoscenze per la definizione di disciplinari di produzione dei prodotti agricoli lecchesi
75
Volumi pubblicati nella collana Pr.I.M.V.A.V.E.R.A.
(Progetto d’Integrazione e Modernizzazione dell’Agricoltura
per la Valorizzazione Equilibrata delle Risorse Agroambientali)
SEZIONE GESTIONE INNOVAZIONE E SVILUPPO AGRICOLO
1. Agriturismo in provincia di Lecco – Idee per lo sviluppo e la valorizzazione
2. Sicurezza e salute in agricoltura – Informare, prevenire, proteggere
SEZIONE VALORIZZAZIONE RISORSE AGRICOLE
1. La gestione dei reflui d’allevamento per la valorizzazione delle risorse aziendali
2. Il florovivaismo lecchese – Prodotti e servizi del comparto
6. I funghi in provincia di Lecco – Conoscenza e valorizzazione delle risorse
9. Antiche varietà frutticole lecchesi - conoscere e valorizzare l’agro-biodiversità
SEZIONE AGRICOLTURA, TERRITORIO AMBIENTE
5. I suoli della Brianza lecchese – Caratteri agronomici *
7. Gli alberi monumentali della provincia di Lecco
10 . L’Agricoltura, i segni e le forme - Idee per valorizzare il paesaggio agrario
SEZIONE ECONOMIA E POLITICA AGRARIA
8. Multifunzionalità in agricoltura: dai concetti alle opportunità
11.Vendita diretta dei prodotti agricoli. Aspetti amministrativi e igienico-sanitari
* A partire da 5° volume la numerazione della collana prosegue
in ordine progressivo e non per singola sezione.
I volumi sono reperibili su http://www.provincia.lecco.it/Pagine/US22/new_volumi.htm
Impaginazione e stampa:
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Stampa su carta ecologica Chlorine Free