Giocare con la sicurezza
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Giocare con la sicurezza
L’INDIPENDENTE ❖martedì 5 ottobre 2004 UN ESERCITO di 51mila persone: ogni giorno indossano giubbotti antiproiettili, trasportano milioni di euro in contanti, sorvegliano polveriere. E girano armati. Salvo, come purtroppo accade, nascondere nella fondina una pistola giocattolo. Sono i “soldati” della sicurezza privata, i vigilantes. Che potrebbero costituire una straordinaria risorsa per il Paese – e in parte lo sono, quando si trovano alle dipendenze di quella minoranza di istituti che assicurano livelli di qualità elevati – ma che il disordine del settore fa apparire talvolta come un esercito in disarmo. La vigilanza privata in Italia è un business con un fatturato che viaggia ormai intorno ai 3 miliardi di euro l’anno, una torta divisa, in modo disomogeneo, tra gli oltre 800 istituti che hanno una licenza. Ma a un settore produttivo così “affollato” manca un sistema di regolamentazione efficace e adeguato. Il riferimento normativo fondamentale è il Testo unico della pubblica sicurezza del 1931. Difficilmente applicabile al mondo degli apparati di monitoraggio satellitari. Una disegno di legge messo a punto dal ministero dell’Interno è in corso di discussione in Parlamento, con un deputato di An, Vincenzo Nespoli, che fa da relatore e un articolato che raccoglie le proposte già elaborate da altri esponenti di maggioranza e opposizione: da Antonio Pezzella, sempre di An, a Luigi Peruzzotti della Lega e Paolo Cento dei Verdi. Ma i problemi nel frattempo sono diventati talmente complessi, anche per le innovazioni tecnologiche intervenute negli ultimi anni, che si fa fatica a tenerli tutti dentro un unico testo, gli emendamenti si moltiplicano in modo frenetico e la possibilità, auspicata dal sottosegretario Alfredo Mantovano, di sottoporre la legge all’aula di Montecitorio entro la fine dell’anno è seriamente minacciata. VIAGGIO NEL MONDO DELLA POLIZIA PRIVATA/1 E Giocare con la sicurezza fosse disposto a restare per 7 ore di seguito in piedi e in silenzio davanti a una banca. Nei meccanismi di selezione e gestione della polizia di Stato si adotta in genere una rigidità burocratica ossessiva, nel caso degli istituti di vigilanza privata prevale una logica apparentemente liberista che poi in realtà corrisponde a una mancanza di controlli. Dovrebbero effettuarli i prefetti: lo imponeva una circolare del ministero dell’Interno che risale al 1998. Sostanzialmente trascurata in questi anni, in cui il settore ha conosciuto una nuova fase di espansione. Fino all’apertura del caso giudiziario più eclatante, la maxi inchiesta messa in piedi nella primavera scorsa dalla Procura di Milano e che alla fine di agosto ha portato alla richiesta di commissariamento per tre istituti. I cui vertici sono accusati di avere pa- Un esercito di 51mila vigilantes svolge compiti delicatissimi senza la copertura di una legge che dia ordine al settore gato tangenti per ottenere commesse da 15 milioni di euro dall’Esercito, dalle Poste, dalla Regione Lombardia e per la sicurezza negli aeroporti. Le quattro società di sicurezza coinvolte sono tutte riconducibili a un unico potente colosso, la holding Ivri, di Giampiero Zanè, arrestato insieme con altre dieci persone. Oltre alle accuse di corruzione, a gettare pesanti ombre sul mondo della vigi- lanza privata hanno contribuito fatti emersi nei mesi successivi all’inizio dell’inchiesta: a giugno si è scoperto che alcuni vigilantes dell’Ivri venivano spediti dall’azienda a sorvegliare l’aeroporto di Malpensa con una fondina vuota o con una pistola giocattolo. «E non si tratta di casi isolati», denuncia il segretario del Savip, il Sindacato autonomo di vigilanza privata, Vincenzo Del Vicario. «Ci mandano allo sbando, i controlli sono scarsi e se un dipendente segnala le precarie condizioni in cui è costretto a lavorare, si guadagna una bella sospensione da parte del datore di lavoro, come è accaduto di recente al nostro segretario provinciale di Salerno». Che possa accadere di trovare una guardia sostanzialmente disarmata anche davanti a obiettivi militari sensibili, Se la “nazionale delle rapine” va a colpo sicuro I SONO STATE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE assai rapide, in questi ultimi anni, nel settore dei sistemi di sicurezza. Ma la mancanza di una regolamentazione adeguata ha lasciato esposti i lavoratori alla ferocia delle bande che assaltano sistematicamente banche, furgoni portavalori o le casseforti degli stessi istituti di vigilanza. Le tecniche usate dai malviventi assomigliano a quelle di spietati guerriglieri, ma si arricchiscono di astuzie sempre più raffinate. Quando, venerdì scorso, è stato svuotato a Mesagne, nel Brindisino, un furgone che trasportava 470mila euro per conto delle Poste, gli assaltatori hanno collocato sulla statale i segnali che in genere indicano i lavori in corso, in modo da rallentare l’andatura del mezzo da rapinare. Colpo riuscito, un automobilista e tre vigilantes feriti. Il giorno dopo il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano ha convocato un vertice sulla sicurezza in Puglia a cui hanno partecipato prefetti, questori e comandanti dei C Superficialità e scandali Che cosa succede? Che negli anni scorsi l’importanza di questo settore è stata sottovalutata. Si è creduto che per garantire sicurezza bastasse affidare una pistola e un giubbotto antiproiettili a chiunque carabinieri. Al termine Mantovano ha definito «gravissimo» l’assalto del giorno prima, ma ha anche concluso che «l’episodio non può indurre a ritenere che in Puglia ci sia un’emergenza criminalità». Verissimo. L’allarme non riguarda una singola regione. Il livello di specializzazione di queste bande criminali presuppone infatti un “lavoro di squadra” tra malavitosi di tutta Italia. Gli investigatori ipotizzano, per esempio, che all’assalto di venerdì abbiano partecipato “esperti” provenienti dalla Sardegna, insieme con elementi della Sacra corona unita. È una specie di “nazionale italiana delle rapine” in cui si ritrovano soggetti espertissimi, quella che si arricchisce con questo genere di azioni. E che continuerà a colpire in condizioni relativamente comode fino a quando non verrà imposto agli istituti di vigilanza il rispetto di protocolli di sicurezza molto più rigidi di quelli attuali e rispettosi della vita di chi la mette a ri[E.N.] schio per poco più di mille euro al mese. è emerso non solo nell’inchiesta di Milano ma è stato denunciato anche dal segretario dell’Associazione nazionale dei funzionari di polizia, Giovanni Aliquò: «Il caso di Malpensa è il più eclatante, ma vigilantes senza pistola se ne sono visti anche a Roma, persino su grandi appalti pubblici. Almeno per il 30 per cento, i servizi di sicurezza privata non sono in regola». L’allarme è stato ripreso dal deputato di An Antonio Pezzella, che da marzo ha presentato tre interrogazioni ai ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture e che, per ovviare alle vertiginose falle che si sono aperte nei controlli sul settore, ha chiesto «la costituzione di una specifica Authority: il sistema va regolamentato, innanzitutto per dare certezza e protezione ai lavoratori». Caduti sul campo In questo mondo si ha a che fare con due cose, soprattutto: la vita delle persone e i soldi. Uno dei principali servizi assicurati dagli istituti di vigilanza è il trasporto di valori per conto delle Poste e delle banche. Questo denaro finisce in quantità preoccupanti nelle mani della malavita, le cui bande di assaltatori operano su tutta la Penisola e non sembrano fermarsi davanti ai sistemi di controllo satellitare dei veicoli. Negli ultimi dieci anni, al tributo in termini economici si è aggiunto quello tragico dei 34 poliziotti privati caduti sul campo. E in certi casi, la mancanza di regole e di garanzie ha avuto un’incidenza mortale, come avvenne il 23 aprile del 2001 al centro commerciale “I granai” di Roma: i rapinatori fecero esplodere una Fiat Panda all’arrivo del portavalori che doveva farsi consegnare l’incasso, poi cominciarono a tempestare i due vigilantes a colpi di kalashnikov uccidendone uno. La tragedia sarebbe stata evitata se il furgone si fosse avvicinato fino alle saracinesche del supermercato, ma l’assenza di regole fece prevalere una preoccupazione decisamente secondaria, quella di evitare che le perdite d’olio del portavalori sporcassero la pavimentazione del centro commerciale. I vigilantes furono costretti a scendere dal mezzo e a esporsi alla fatale tempesta di fuoco. E RRICO N OVI (1-continua) VITA DA RAI VITA DA CAMERA/1 VITA DA CAMERA/2 Diaco, un indipendente in tv Casini e Violante, esperti d’arte Beneficenza: la sfida alla Duma UTTO ERA PRONTO E TUTTO è andato a monte. Gigi Moncalvo c’è rimasto male e ancora di più Anna La Rosa che avrebbe dovuto condurre con lui la striscia serale di approfondimento di RaiDue. E ora? Flavio Cattaneo sta studiando il da farsi, ma ha poco tempo a disposizione per risolvere il rebus. L’ex direttore della Padania era un giornalista schierato, mentre ora il direttore generale della Rai vorrebbe un nome indipendente. Perché non Pierluigi Diaco? Pur avendo simpatie per la sinistra, è senz’altro un giornalista indipendente (oltre che un ex dell’Indipendente). Alla Rai stanno pensando proprio al giovane conduttore di Sky, ma al momento non è stata ancora formalizzata alcuna proposta concreta. L’incarico da affidare è di quelli delicati, visto che i prossimi mesi saranno decisivi per le elezioni regionali. Se c’è Diaco, c’è più indipendenza. T D OMANDA: dove sono finite le opere di proprietà della Camera che sono state esposte mesi fa nel corso della rassegna “Montecitorio e la bella pittura”? Risposta: negli uffici di Casini e Violante. Già. Pare che il presidente della Camera e il suo predecessore, oggi capogruppo dei Ds, abbiano apprezzato così tanto quei quadri d’arte moderna da dirottarli dalla soffitta, dove erano destinati a tornare, ai rispettivi studi. E a giusta ragione. Almeno stando al successo di critica e pubblico ottenuto dalla mostra in programma tra il marzo e l’aprile scorso. Ben 23mila visitatori hanno potuto apprezzare opere di Giorgio Morandi, Giacomo Balla, Giorgio De Chirico, Mario Sironi, Carlo Carrà, Franco Gentili, Ottone Rosai e un inedito Ritratto di Anna di Modigliani. L’esposizione ora continua. Ma riservata a un pubblico molto più ristretto: Casini, Violante e rispettivi collaboratori. A CAMERA sfida la Duma, in un incontro di calcio. Anzi, in una “partita del cuore”, perché il ricavato della vendita dei biglietti andrà in beneficenza ai familiari delle vittime della scuola di Beslan. E Montecitorio è già in pieno clima prepartita. Il presidente della Camera Casini ha messo in campo tutti i suoi buoni uffici per avere la diretta Rai della manifestazione. È aperta la caccia alla madrina d’eccellenza. Con molta probabilità, sarà Simona Ventura. Rimane ancora da definire la selezione di parlamentari che scenderà in campo il prossimo 25 ottobre a Taranto. Alla formazione base, che si allena tutti i martedì sera alla base della Cecchignola, dovrebbero aggiungersi Francesco Rutelli, Roberto Maroni e Giancarlo Giorgetti della Lega. Il calcio d’inizio, e solo quello (“motivi anagrafici”, spiegano), toccherà a Ignazio La Russa e Clemente Mastella. L Dalle corrispondenze sui quotidiani italiani informazioni fuorvianti sul confronto tra George W. Bush e John F. Kerry Elezioni Usa: seguitele su internet P ER FORTUNA che c’è internet e che l’era telematica ci consente di collegarci tutti i giorni, comodamente dall’Italia, con i siti dei principali quotidiani statunitensi e anche quelli dei grandi istituti americani che effettuano sondaggi. Basta conoscere un po’ di inglese. È l’unico modo attraverso il quale l’osservatore italiano può farsi un’idea veritiera di quello che sta accadendo negli Stati Uniti a meno di un mese dal voto per l’elezione del nuovo presidente. Altrimenti a fidarsi dei giornalisti italiani dagli Usa le presidenziali americane rischiano di finire con l’essere lette con le lenti deformate della politica italiana. La stragrande maggioranza dei corrispondenti e inviati dei grandi quotidiani presenti oltreoceano appartengono alla conclamata egemonia di sinistra e spesso tendono a confondere i loro legittimi desideri di una sconfitta di George W. Bush con la realtà dei fatti. Un saggio lo si è avuto a proposito del primo dibattito televisivo che ha visto contrapposti il presidente e lo sfidante senatore democratico. John Kerry è sicuramente andato meglio, ma non ha prevalso nettamente. Questo giudizio ha trovato concordi i commentatori dei maggiori quotidiani statunitensi (New York Times, Washington Post, Los Angeles Times ecc.) e soprattutto ha trovato riscontro nei rilevamenti effettuati subito dopo il dibattito. Invece tutti i maggiori sondaggi generali, quelli riferiti al voto e non allo scontro televisivo, continuano a dare un vantaggio, sia pure risicatissimo, a Bush. Uno solo, quello del settimanale Newsweek, assegna un vantaggio generale a Kerry. Disporrebbe, al momento, del 49 per cento dei consensi contro il 46 del presidente. Ma, questa rilevazione, pubblicata sabato, è già vecchia. Mentre, quella di Gallup, fatta per Cnn e Usa Today, li vede esattamente alla pari nella percentuale: 49 a 49. La verità, come spiegano gli analisti americani, è che i confronti diretti possono influire ma non in maniera decisiva. Vengono visti da un numero elevato di telespettatori, ma bassissimo rispetto alla quota dei presumibili elettori complessivi che a novembre si recheranno alle urne. Inoltre, appassionano soprattutto il pubblico che segue la politica e che risulta già schierato, non l’elettore distratto che poi è quello che fa la differenza. In realtà, i commentatori italiani delle elezioni, consapevoli o meno, non precisano un punto decisivo: nelle presidenziali Usa non conta affatto la somma dei voti complessivi che ciascun candidato può riportare, bensì, contano gli Stati che si conquistano con il relativo numero dei Il primo confronto in tv tra il presidente e lo sfidante non ha spostato gli equilibri della sfida grandi elettori che portano in dote. Nel 2000, a esempio, Al Gore ottenne più voti di George W. Bush. Di conseguenza la vittoria delle presidenziali del 2 novembre appare sempre più in mano ai cosiddetti swing states (Stati incerti) nei quali i sondaggi danno i due candidati alla pari o su margini ristrettissimi. Si tratta di una decina di Stati, molto diversi fra loro, con marcate peculiarità. Il più importante è la Florida che ha una quota di ben 27 grandi elettori (quarta in assoluto dopo California, New York e Texas), dove il governatore è il fratello del presidente Jeb Bush. Qui conta l’elettorato cubano e i pensionati che negli Usa, per motivi climatici, si trasferiscono in questo Stato. Il secondo è la Pennsylvania, Stato di origine etnica tedesca a forte insediamento industriale, dove si eleggono 21 elettori. Quindi, il New Jersey con 15 elettori, che pur essendo uno Stato autonomo, è di fronte a Manahattan, qui il gruppo etnico più forte sono gli italoamericani, circa 2 milioni e mezzo. Seguono il Minnesota con 10 elettori e l’ispanico New Messico, con 5 grandi elettori. L’esito finale delle intere elezioni si deciderà, probabilmente, all’interno di questi Stati, dove non a caso in queste ore i candidati stanno concentrando la loro presenza fisica. L’altro fattore che viene scarsamente illustrato è il ruolo di Ralph Nader, il candidato indipendente proveniente dalla La mappa completa per orizzontarsi nella rete per tenere d’occhio l’andamento dei sondaggi sulle presidenziali Usa 2004 è www.gallup.com, che fa riferimento al più prestigioso istituto di sondaggi americani. La Gallup, opera in questo caso su commissione della Cnn e di Usa Today, l’unico quotidiano nazionale americano. Ogni grande quotidiano americano dispone di una sezione all’interno del proprio sito web interamente dedicata alle presidenziali con sondaggi, foto, notizie e commenti. Vale la pena di consultare www.nytimes.com, www.washingtonpost, www.latimes.com, www.sfchron.com, www.boston.com, www.herald.com, che I L SITO PIÙ ATTENDIBILE, sono i siti dei più noti quotidiani Usa: New York Times, Washington Post, Los Angeles Times, San Francisco Cronicle, Boston Globe, Miami Herald. Ancora, accanto a quello della Cnn, documentatissimo è www.msnbc.com, il sito della Nbc, grande network televisivo. In alcuni casi, come quello del quotidiano di Miami, vengono fatti rilevamenti di sondaggi con riferimento allo Stato in cui il giornale è radicato (in questo caso la Florida) e questo è molto interessante ai fini del dato finale. Altri siti interessanti, soprattutto per le curiosità legate al voto, sono The Drudge Report, Salon e Slate e portali come Yahoo! e Excite. La rete internet è cresciuta enormemente di ruolo nella politica americana, non solo ci sono i sofisticatissimi siti dei candidati e dei partiti che provvedono alla raccolta fondi, ma ci sono appositi siti che ospitano forum di politica (come Politicalwag e Talkcity) che ospitano confronti fra elettori capaci di influenzare le scelte dei frequentatori della rete. C’è da tenere presente che negli Stati Uniti si sta diffondendo una quota di popolazione, in particolare fra i giovani, che naviga in rete per molte ore durante la giornata, ma non guarda la televisione e [G.S.] nemmeno legge i giornali. sinistra ambientalista. Molto impropriamente lo potremmo definire il Bertinotti americano (non è certo comunista ma si muove nella sinistra ultrapacifista e no global). È il terzo incomodo che sottrae voti quasi esclusivamente ai democratici favorendo di fatto Bush. Si presenta in una trentina di Stati ma i pochi voti che è in grado di assorbire alla prova dei fatti potrebbero pesare in maniera decisiva. Nel 2000 Bush vinse le elezioni grazie alla conquista decisiva della Florida, dove ottenne un risicato vantaggio di 537 voti. In quello Stato la presenza elettorale di Ralph Nader fu devastante per Al Gore, in quanto il candidato indipendente ottenne ben 97mila voti, quasi tutti strappati all’area democratica. Non è un caso che John F. Kerry abbia messo in piedi un apposito e agguerrito staff che sta contestando e chiedendo la verifica, Stato per Stato, delle firme di sostegno alla candidatura di Nader. La storia delle elezioni americane viste dagli italiani è costellata da clamorosi flop. Quando nel 1980 Ronald Reagan divenne, a valanga, il quarentesimo presidente degli Stati Uniti, nessun giornale italiano lo aveva previsto. Nelle corrispondenze venne presentato come un’“americanata”, un ex attore di seconda serie, un cowboy. Eppure, Reagan era stato per due mandati il governatore della California, lo Stato più ricco e grande di tutti gli Stati Uniti. Allo stesso modo, quattro anni fa, era stata dato vincente Al Gore su George W. Bush. Tutto ciò non significa che la partita non sia apertissima a ogni esito. L’attesa, ora, è per i successivi dibattiti fra i due sfidanti: quello di venerdì a St. Louis in Missouri e quello del 13 ottobre a Tempe G EN NARO S ANGI U LIANO in Arizona. L’INDIPENDENTE ❖ giovedì 7 ottobre 2004 T VIAGGIO NEL MONDO DELLA POLIZIA PRIVATA/2 ROVARE UNA GUARDIA PRIVATA che fa la ronda per l’aeroporto di Malpensa con il tappo rosso sulla pistola giocattolo è un fatto agghiacciante. Un caso del genere è stato scoperto, in modo fortuito, nello scorso mese di giugno, da due ispettori dell’Inps di Varese, che hanno denunciato l’episodio alla Procura di Busto Arsizio. Sindacalisti come Giovanni Aliquò, segretario dell’Associazione nazionale dei sindacati di polizia, ritengono che nuove indagini porterebbero facilmente a scoprire «vigilantes senza pistola anche su grandi appalti pubblici». Cioè davanti a polveriere dell’esercito e persino davanti a basi della Nato. Dall’oligopolio al far west Come è possibile arrivare a un simile livello di abbandono e di illegalità in un settore delicato come la sicurezza? Si intrecciano due ragioni: da una parte l’evoluzione che il mercato ha conosciuto negli ultimi 5 anni, dall’altra la disattenzione, da parte degli apparati dello Stato, nell’attuare i controlli sul settore. La competitività c’è stata, tra gli istituti di vigilanza, ma in mancanza di regole, e di una normativa che il Parlamento tarda a approvare, ha assunto il carattere di un far west più che di un mercato regolato. Con il risultato che la ricchezza e gli appalti hanno continuato a beneficiare una ristretta cerchia formata da una ventina di gruppi, tra i quali si combatte una guerra spietata, senza lasciare spazio a altre piccole, ma spesso bene attrezzate, aziende. Sono i numeri, prima di ogni altra cosa, a dare il senso di questa anomalia. E a fornire una bussola per orientarsi tra cifre contraddittorie è Fulvio Valandro, che da piccolo imprenditore dei servizi di sicurezza è diventato editore e giornalista: pubblica un mensile, La ronda, che rappresenta uno dei punti di osservazione più attenti su tutto il settore. Ci sono poco più di 800 istituti di vigilanza realmente operanti in Italia, «eppure le licenze complessivamente in vigore sono oltre 1100: questo avviene perché di queste autorizzazioni, almeno 300 sono nelle mani di quei pochi gruppi che da soli Uomini d’arme o portieri? C Un esercito parallelo egemonizzano il mercato e lasciano poco spazio a chi tenta di emergere». L’egemonia, negli anni si è determinata con un meccanismo simile alla clonazione: le holding più solide creavano nuove società destinate a operare nelle diverse province. In pratica, il gruppo di interesse era sempre lo stesso, a cambiare erano solo le sigle. E a guadagnarsi la palma di campione assoluto è stata proprio l’Ivri, il gruppo di Giampiero Zanè finito nel mirino della Procura di Milano per un presunto giro di appalti e tangenti. Nella sua fase di massima a espansione, al gruppo Ivri si potevano fare risalire un centinaio di licenze sulle 1100 totali concesse in Italia. Il primato è diventato ancora più solido quando Zanè si è consociato con la Bsk, tra le aziende più affermate per il trasporto dei valori. Fino alla fine degli anni ’90, pochi altri gruppi sono stati appena in grado di scalfire lo strapotere dell’Ivri: tra questi la famiglia Gamberini, con solide basi in Toscana e ramificazioni in tutto il centro Italia, e la Securitas Metronotte, di Roma. Questi operatori di seconda fascia potevano arrivare al massimo a una ventina di licenze ciascuno. È intorno al 1998 – anno in cui il ministero dell’Interno emana una circolare che invita i prefetti a vigilare sul sistema degli appalti e delle licenze – che il mercato comincia a cambiare e a aprirsi a un’ulteriore cerchia di concorrenti. Ma la trasformazione avviene solo in parte per l’intervento degli apparati dello Stato: in realtà a incidere più di ogni altra cosa sono le nuove richieste dei committenti. Banche e aziende hanno sempre meno bisogno di guardie armate, grazie all’utiliz- questo il passaggio che mette in crisi gli operatori più grossi e che costringe anche loro a dotarsi di società satellite specializzate nel nuovo “prodotto”. Nel giro di pochi anni la proporzione dei semplici “portieri” rispetto a quella dei veri e propri vigilantes cambia a vista d’occhio. Ci sono istituti di vigilanza che, incalzati dal mercato, utilizzano semplici custodi al posto delle guardie giurate. Pure davanti alle polveriere zo di impianti di sicurezza più sofisticati e in grado di sostituire i vigilantes in carne e ossa. Cresce invece la domanda di semplici servizi di custodia, di portierato. Alcune società riescono a anticipare questa tendenza, si moltiplicano i “security service” che in realtà mettono a disposizione semplici e innocui custodi. È Tempi stretti e regole violate Dopo l’11 settembre, però, il mercato comincia gradualmente a invertire la tendenza. Ci vogliono di nuovo gli uomini d’arme, per proteggere obiettivi sensibili, sia pubblici che privati, dall’incubo degli attentati. Ma a questo punto gli istituti di vigilanza fanno una grande fatica a procurare il personale necessario. Concorrono e vincono appalti per la sicurezza davanti agli uffici postali come agli aeroporti, ma i tempi previsti dai contratti sono spesso troppo stretti rispetto a quelli necessari per formare una nuova guardia e ottenere un porto d’armi. «È proprio questo che può avere indotto alcune aziende a inviare nei siti loro affidati personale che non aveva la qualifica di guardia giurata. È così che si è potuti arrivare alla pistola con il tappo rosso trovata a Malpensa», osserva Fulvio Valandro. Si tratta di un meccanismo favorito sia dalla politica aggressiva che i gruppi più importanti sono costretti a fare per difendere la propria posizione egemonica, sia dalla obiettiva fatica incontrata dallo Stato nell’assicurare controlli adeguati. C’è una grande differenza tra un semplice custode, per il quale bastano 9 giorni di silenzio assenso della questura, e un vigilantes armato, riconosciuto come tale con un decreto della prefettura e per il quale bisogna aspettare dai 2 ai 5 mesi necessari a ottenere il porto d’armi. C’è una specifica professionalità che dovrebbe Tutto passa per la proporzionale Berlusconi «non è contrario». La riforma della legge elettorale (che conserva, però, lo spirito del maggioritario) ci sarà solo se sarà approvato il premierato F ISIOLOGICO O PATOLOGICO? Roberto Calderoli ricorda di essere un medico e fa ricorso al linguaggio clinico: «Se ci sarà uno slittamento dell’approvazione, dovrà essere fisiologico e non patologico». Ma che si tratti di un rinvio del tutto normale o che ci sia un virus da debellare, lo slittamento è ormai nei fatti. La data dell’8 ottobre, indicata come il termine ultimo per la prima approvazione del testo di riforma alla Camera, non potrà essere rispettata. Se la Casa delle Libertà è in salute, allora, il rinvio è una bazzecola. Se, invece, il centrodestra è malato, allora, la cosa si fa seria. C’è qualcosa ancora da chiarire nella maggioranza? Sì. Il nodo da sciogliere riguarda il rapporto tra premierato e legge elettorale. La giornata di ieri è stata movimentata. Il ministro Calderoli l’ha presa con la sua solita ilarità: «Sto buttando giù le ultime righe per migliorare il testo». Sui banchi del governo, infatti, il ministro, penna alla mano, si è “divertito” a limare il testo delle riforme. Il punto in discussione è quello che riguarda l’iter legislativo e, dunque, il rapporto tra la Camera, il Senato federale e l’esecutivo. A sollevare il caso è soprattutto l’Udc. Giampiero D’Alia, capogruppo del partito di Marco Follini in commissione Affari costituzionali, ritiene che il procedimento legislativo «possa e debba» essere migliorato. Ma insieme con questa modifica, D’Alia ritiene «utile limare alcune disposizioni sul premierato». È proprio qui c’è il tasto delicato. Il partito di Gianfranco Fini non è disposto a fare altre concessioni sulla riforma della forma di governo perché ritiene che «il premierato è già un passo indietro rispetto al presidenzialismo». L’Udc, però, insiste. I democristiani di Follini utilizzano il caso dell’iter legislativo, mirano al premierato per ottenere quella che considerano la loro vera «bandiera» (l’espressione è di Follini): il ritorno alla legge elettorale proporzionale. Alla Camera non si sta discutendo delle modifica elettorale perché la riforma della Costituzione non prevede la legge elettorale. Una volta, però, cambiata la Costituzione sarà inevitabile riformare anche il sistema elettorale. Ecco perché c’è un tavolo tecnico che sta lavorando alle varie ipotesi di riforma elettorale. Martedì sera c’è stata negli uffici del gruppo di Forza Italia a Montecitorio la seconda riunione di questo gruppo di esperti di leggi e collegi elettorali. È stata una riunione lampo. Non c’era nulla da decidere e l’unica cosa che si poteva fare è stata quella di aggiornarsi al 19 ottobre. Per quella data ci sarà quell’elemento necessario per capire se si cambierà e come anche la legge elettorale: sarà stato approvato il premierato. «Le due cose, premierato e legge elettorale», dice Vincenzo Nespoli, l’esperto di An che siede al tavolo tecnico, «si tengono l’un l’altra e se non c’è il primo non ci sarà neanche la seconda». Tutto lascia pensare che alla fine l’accordo si troverà: ci sarà il premierato e ci sarà una nuova legge elettorale proporzionale che funzionerà, però, sul modello del collegio uninominale (sarà abolita la doppia scheda e il voto ai singoli partiti si estenderà automaticamente al candidato della coalizione). Silvio Berlusconi cosa ne pensa? «L’idea lo intriga» dice Nespoli, «diciamo che non è contrario». Si capisce perché: il capo del centrodestra conserva la scelta dei candidati nei collegi uninominali e, al contempo, raggiunge un compromesso con l’Udc sulla proporzionale. L’intesa dovrebbe reggere perché tutti riescono a GI DE portare qualcosa a casa. Colpi bassi tra Cheney e Edwards Elezioni Usa: confronto tra i vice. Lo sfidante democratico tira in ballo l’omosessualità della figlia del repubblicano. Risposta: «Non siete in grado di fronteggiare al Qaeda» I L BELLO, che fa sognare le teen ager americane e il duro, con la perenne aria del manager tagliateste. Queste, in due battute, le definizioni più ricorrenti per i due candidati alla vicepresidenza degli Stati Uniti. Lo sfidante, il democratico John Edwards e quello in carica, il repubblicano Dick Cheney, che si sono scontrati la scorsa notte nel loro unico faccia a faccia. Tom Brokaw, il più famoso tra gli anchormen della televisione americana, alla fine ha offerto il paragone più efficace: il vicepresidente americano Dick Cheney è sembrato George Foreman, un pugile in apparenza non letale, ma in realtà capace di sferrare il colpo risolutivo al momento giusto. Le reazioni, come accade spesso, non sono univoche nel valutare l’esito di questo confronto, ma se per il primo faccia a faccia fra George W. Bush e John Kerry, tutti erano stati d’accordo nell’assegnare una vittoria ai punti allo sfidante senato- re democratico, ora in molti sostengono che Cheney ha dato l’impressione di essere il più solido. Per il pubblico della Nbc e della Cbs ha leggermente prevalso il giovane senatore della North Carolina. Per l’Abc ha vinto l’attuale vicepresidente. La Cnn sostiene, invece, che sia finita pari. Edwards ha tentato di giocare all’attacco, con l’aria dell’avvocato di provincia, ma Cheney gli ha contrapposto la propria pluridecennale esperienza politica di profondo conoscitore dei problemi. I colpi migliori Edwards li ha dati quando ha toccato il tema ricorrente della credibilità dell’amministrazione Bush nel determinare la scelta della guerra in Iraq e ha accusato Cheney e il presidente di avere mentito sulle armi di distruzione di massa. Un tema non nuovo. Il vicepresidente ha replicato, con la pacatezza del professionista, che Kerry e Edwards non possono parlare di credibilità avendo cambiato costantemente posizione «secondo il vento che tirava sui giornali». Cheney è parso efficace quando ha rinfacciato a Edwards di avere votato contro il finanziamento alla missione in Iraq perchè in quel periodo lui e Kerry stavano cercando di prevalere nelle primarie democratiche su Howard Dean, all’epoca in testa ai sondaggi: «Se non siete in grado di sostenere la pressione di Dean, come pensate di fare fronte a quella di al Qaeda?». Gli analisti americani ritengono che questo dibattito alla fine potrebbe contare più del solito e, forse, ha ridato fiato alla coppia repubblicana. I grandi quotidiani americani, anche quelli che sostengono lo sfidante Kerry, non sembrano avere apprezzato l’attacco personale sferrato da Edwards a Cheney quando ha ricordato le tendenze omosessuali della figlia. Al New York Times e al Los Angeles Times è parsa un’inutile caduta di stile, che avvalorerebbe la tesi della inesperienza del candidato vicepresidente democratico. Domani, di notte per noi italiani, tocca di nuovo ai due candidati principali Bush e Kerry, che risponderanno questa volta alle domande di elettori indecisi all’interno della Washington University di St. Louis, in Missouri, moderatore Charles Gibson dell’Abc. Quindi, mercoledì prossimo, il gran finale all’Arizona State University di Tempe, dove il tema sarà la politica interna e il moderatore Bob Schieffer della Cbs. Ieri, parlando a Wilkes-Barre in Pennsylvania, Bush ha ricordato i caduti italiani [G.S.] di Nassirya definendoli eroi. nel Testo unico di pubblica di sicurezza del 1931: sono indicate come guardie rurali. E in effetti i primi vigilantes sono soprattutto sorveglianti utilizzati dai grandi proprietari agricoli per controllare il rispetto dei confini e tenere lontana la minaccia dei ladri di bestiame. A 75 anni di distanza, non è cambiato il riferimento legislativo fondamentale, visto che la normativa sulla sicurezza privata è ancora discussa in Parlamento, ma anche quella particolare tipologia di sceriffi a pagamento esiste ancora. È utilizzata soprattutto dalle grandi aziende agricole pugliesi, che si rivolgono a piccole agenzie con un organico limitato a 3 o 4 guardie. Il settore, in tutto questo periodo, ha conosciuto grandi processi di sviluppo. La svolta è arrivata con la stagione del terrorismo: intorno alla metà degli anni ’70 banche e aziende hanno sentito la necessità di proteggersi con personale privato dagli assalti delle bande armate, e il numero delle guardie giurate in Italia ha superato quota 70mila. Un vero e proprio esercito parallelo, i cui ranghi hanno cominciato a sfoltirsi negli anni ’80, quando sono stati introdotte le prime centrali dotate di sistemi per la telesorveglianza. Si è scesi nel giro di una quindicina di anni intorno alle 40mila unità. Il recente balzo in avanti che ha riportato l’esercito dei vigilantes sopra quota 50mila è legato, non a caso, alla minaccia del terrorismo. Quello internazionale dei fonda[ E . N .] mentalisti islamici, stavolta. OMPAIONO PER LA PRIMA VOLTA essere assicurata anche da periodi di formazione interna adatti a chi deve maneggiare una pistola. Lo Stato dovrebbe preoccuparsi di tenere sotto controllo un esercito privato così consistente. Ma in Italia, per le guardie giurate, non esiste nemmeno un albo. (2-continua) E RRICO N OVI POTERI FORTI Editoria: una scossa per la Rizzoli Come si stanno riposizionando i vertici della Rcs, a partire dal consiglio di amministrazione U N TERREMOTO costante sta ridisegnando gli assetti nei “supersalotti buoni” della finanza. Nel cuore dei poteri forti si stanno riposizionando i vertici di “Rcs media group” e di Mediobanca, i cui destini sono da sempre collegati. Gli effetti del dopo Agnelli, si stanno dipanando. Inoltre è finita l’era di un certo capitalismo dinastico e elitario, oggi chi mette i soldi sul tavolo alla fine pesa. Dopo un’estenuante mediazione sembra avere trovato “la quadra” il vertice di “Rcs media group”, la grande holding editoriale che controlla il Corriere della Sera, dove è iniziata l’era del nuovo amministratore delegato Vittorio Colao. Il problema che ha tenuto banco per mesi era l’entrata nel consiglio di amministrazione dei nuovi grandi azionisti del patto di sindacato. L’intesa, conseguita in questi ultimi giorni, è stata possibile grazie alla disponibilità di Francesco Merloni, che a nome del gruppo di Fabriano possiede l’1,5 per cento. Ha rinunciato a entrare subito nel cda accogliendo un rinvio a aprile, quando l’assemblea di bilancio dovrebbe decretare l’estensione del numero dei consiglieri. Questo passo indietro dell’industriale rende possibile l’ingresso immediato di 3 nuovi soci (gruppo Ligresti, Capitalia-Geronzi, Della Valle). A fare posto ai nuovi azionisti del patto saranno Nicolò Nefri, il già dimissionario Maurizio Romiti (uscito dalla carica di amministratore delegato con una consistente liquidazione) e Paolo Mieli che lascerà la vicepresidenza del gruppo. L’ex direttore del Corriere otterrebbe in cambio un ampliamento dei poteri di coordinamento e supervisione delle aree di business del gruppo, fatta eccezione per “Rcs quotidiani”. Dunque, per il momento, appare accantonata l’idea di tenere subito un’assemblea per allargare il consiglio da 18 a 21 consiglieri, mentre è imminente il rimpasto dei 3. Nei piani alti di Rcs è stata risolta anche un’altra questione, quella dell’uscita dell’amministratore delegato della “Rcs quotidiani”, Gianni Vallardi, che avrebbe raggiunto l’intesa sulla sua liquidazione. Le sue deleghe, che poi rappresentano il nocciolo del potere editoriale dell’intero gruppo, andranno direttamente nelle mani di Colao. In un sistema di convergenze parallele, di morotea memoria, si muovono anche altri assetti. Esattamente fra una settimana, giovedì 14 ottobre, è convocata l’assemblea plenaria degli aderenti al patto di sindacato che regge le sorti di Mediobanca. L’appuntamento è importantissimo in quanto, in vista dell’assemblea di bilancio del 28 ottobre, bisognerà procedere alla designazione di 5 consiglieri destinati a sostituire quelli in scadenza (Casare Geronzi, Monella Ligresti, Roberto Colaninno, Achille Marmotti e Berardino Libonati). I nuovi azionisti sono Diego Della Valle, la Finendo di Vittorio Merloni, il gruppo Amenduni, Oscar Zannoni, il gruppo Mais di Isabella Seragnoli, la Finiper di Marco Brunelli, la Toro Assicurazioni della DeAgostini e la Vittoria Assicurazioni. Il patto dovrà, inoltre, confermare la presenza in consiglio di Gianluigi Gambetti, entrato a seguito della morte di Umberto Agnelli, mentre non appaiono consistenti le voci che volevano in pericolo la poltrona del presidente Gabriele Galatei e l’uscita, verso il San Paolo di Torino, del direttore generale Alberto Nagel. F EDERICA C ORSI N I L’INDIPENDENTE ❖ martedì 12 ottobre 2004 non si scherza. Almeno, non si dovrebbe. Invece in Italia la questione della sicurezza privata è stata gestita, finora, con eccessiva leggerezza. Ci sono alcuni istituti di vigilanza che assicurano livelli di qualità elevati, ma rappresentano l’eccezione. Ce ne sono molti altri, sulle oltre 800 aziende presenti sul mercato, che operano in modo approssimativo, nella esecuzione dei servizi ma anche nella selezione e nella gestione del personale. E dal momento che si ha a che fare con il trasporto di soldi e con l’uso di armi, questa approssimazione può avere conseguenze sociali assai pericolose. Il problema di fondo è la grande fatica incontrata dal ministero dell’Interno e dagli altri apparati dello Stato nell’esercitare le funzioni di controllo su queste imprese. Tra le ricadute più gravi che derivano da questo inopportuno spazio di libertà concesso agli operatori, c’è un sistema di “reclutamento” delle guardie giurate poco selettivo. Per finire con una fondina e un giubbotto antiproiettile davanti all’ingresso di una banca, basta avere il casellario giudiziario pulito. Della formazione interna si fa a meno con eccessiva facilità, ma manca, soprattutto, un approfondito esame psico attitudinale che dia garanzie sull’equilibrio del neoassunto. «Di fatto non c’è selezione», denuncia il segretario del Savip, il sindacato autonomo dei vigilantes, Vincenzo Del Vicario, «la stragrande maggioranza degli istituti assume senza seguire nessun particolare criterio se non quello delle raccomandazioni, che magari arrivano dai piani alti delle questure o delle prefetture. Il risultato è che chiunque può trovarsi con una pistola in mano, anche un folle». C VIAGGIO NEL MONDO DELLA POLIZIA PRIVATA/3 ON LE ARMI Agenti scelti. A caso La mancanza di controlli consente agli istituti di vigilanza di ignorare i più elementari criteri di prudenza nella selezione del personale: spesso le pistole finiscono nelle mani di psicolabili re l’arma contro se stesso. L’allarme, secondo Del Vicario, è giustificato anche dai turni di lavoro massacranti: «Una nostra iscritta di Cecina, che da poco ha cambiato istituto, va avanti con questo ritmo: dalle 8 e 30 alle 13 e 50 davanti a una banca e dalle 15 alle 23 a vigilare su una polveriera. Pare che molti datori di lavoro ragionino proprio in questi termini: spremere come limoni le persone per poi sostituirle dopo qualche mese, visto che nessuno impone il rispetto di particolari criteri nelle assunzioni e il ricambio può avvenire dunque con grande fa- Secondo una psicologa che ha intrapreso uno studio sul settore, quella delle guardie giurate è una categoria «esposta più di altre al rischio suicidio per le insostenibili condizioni di lavoro» cilità». Non è difficile trovare persone disposte a sottoporsi a queste sevizie. Si tratta di un lavoro per il quale non sono chieste particolari qualifiche. Isabella Corradini, psicologa che fa parte di un’associazione di ricerca, “Themis”, nata per studiare i problemi legati al mondo della sicurezza, fa notare come la facilità di ac- cesso al mestiere di guardia giurata sia un elemento pericolosissimo: «Chi lavora in questo settore non ha particolari motivazioni, se non quelle legate a uno stato di necessità economica. Naturalmente chi proviene da condizioni di vita disagiate può essere più vulnerabile agli enormi carichi di stress che comporta questo lavoro. Ecco perché si tratta di una categoria in cui i casi estremi come il suicidio incidono persino di più di quanto non avvenga tra le forze dell’ordine». Il nodo da scogliere, anche secondo la psicologa, resta quello della selezione: Il leghista Peruzzotti: non li mandano neanche al tiro a segno urgente. Il senatore della Lega Luigi Peruzzotti è firmatario di una delle proposte che poi sono state integrate nel ddl del governo sulla riorganizzazione della sicurezza privata. «Il testo contiene norme più precise sui corsi di formazione, dà un riconoscimento giuridico alla categoria delle guardie giurate. Ma ridare ordine a questo mondo», dice il parlamentare del Carroccio, «non è so- U Il sindacato: «Turni massacranti» E negli ultimi anni l’incidenza dei suicidi, in questo settore, è cresciuta in modo preoccupante. Se ne contano ormai una quindicina l’anno, con casi in cui il gesto estremo di una guardia si trasforma in una strage, come è accaduto nel maggio del 2002 a Cuneo, quando il dipendente di un istituto di vigilanza è tornato a casa e ha ucciso 8 persone prima di punta- NA LEGGE È ASSOLUTAMENTE lo una questione formale: sono gli istituti di vigilanza a dovere investire di più nella preparazione del personale. Questi agenti, invece, non vanno nemmeno a fare esercitazioni al tiro a segno, non seguono corsi di aggiornamento». La nuova normativa dovrebbe imporre anche verifiche più accurate sull’equilibrio psichico di questi poliziotti privati: «È indispensabile, non possiamo dare la pistola a per- sone psicolabili. Anche in questo caso, però, il passo in avanti deve essere fatto dalle aziende, innanzitutto: non è possibile sottoporre il personale a turni che in casi estremi arrivano a 18 ore nell’arco di una giornata. Bisogna responsabilizzare gli istituti, e lo Stato deve vigilare: non basta spedire corone di fiori quando i vigilantes muoiono dopo gli assalti ai portavalori. È dal 1931 che questo settore aspetta di essere regolamentato». [ E . N .] VITA DA CAMERA/1 VITA DA CAMERA/2 Il profondo rosso di Storace E le convenienti amnesie di Marrazzo I N TRANSATLANTICO l’hanno già ribattezzata “profondo rosso”. È la nuova campagna di affissioni della “lista Storace”, rivolta agli indecisi. «Per chi non vuole astenersi», è lo slogan scritto in bianco su campo rosso intenso. In sottofondo una gigantografia del presidente del Lazio volutamente sgranata. Il poster, che ha già invaso Roma e provincia, raccoglie giudizi contrastanti. C’è chi lo definisce geniale. C’è chi lo scambia per la locandina di un film di Dario Argento. E chi, come qualche vecchio camerata capitolino con poca dimestichezza col colore rosso, storce il naso. Ma se l’obiettivo era quello di non passare inosservati, allora Storace ha colto nel segno. E non solo per la scelta cromatica dei manifesti “sei per tre” della lista che porta il suo nome e che lo appoggia per le prossime elezioni regionali. Pare che il governatore in persona abbia consigliato ai grafici di riciclare le foto della campagna della tornata del 2000. Quelle, cioè, che lo ritraevano in perfetta forma dopo un prodigioso dimagrimento. Ben 21 chili in pochi mesi. Quasi tutti, purtroppo per lui, riacquistati dopo 5 anni di governo. «Abbiamo intrapreso uno studio sull’attività dei vigilantes, sulle loro condizioni di lavoro», aggiunge la dottoressa Corradini, «e ne abbiamo anche intervistati diversi: ci dicono che gli esami psicotecnici vengono esauriti come una fastidiosa formalità, in certi casi non avvengono affatto, come ci ha testimoniato una guardia che fa da 8 anni questo lavoro e non se ne è mai visto somministrare uno». Tragedie evitabili Ci sono episodi che dimostrano quanti disastri possano derivare da questa superficialità nei meccanismi di selezione: la scorsa settimana, una guardia giurata di 27 anni si è tolta la vita dopo avere ucciso un transessuale che era nell’appartamento con lui. Gli investigatori hanno scoperto che l’autore del gesto aveva tentato già il suicidio in passato. Una anamnesi fatta al momento dell’assunzione avrebbe probabilmente evitato di consegnare un’arma da fuoco nelle mani di quella guardia. «Sarebbe anche necessario effettuare dei controlli periodici sulla salute psichica di queste persone», dice la psicologa, «reazioni estreme come il suicidio hanno come sottofondo uno stato di depressione. Basterebbe stilare un profilo della personalità all’inizio, ma un certo tipo di gesti sono sempre preannunciate da frasi e segnali che andrebbero colti. È vero anche che i carichi di responsabilità sono pesantissimi: chi rischia ogni giorno la propria vita per strada li subisce in modo decisamente più gravoso di quanto non avvenga per un libero professionista». A destabilizzare una persona già strutturalmente vulnerabile può bastare, secondo la dottoressa Corradini, «persino il fatto, che capita a molte guardie impegnate davanti agli istituti di credito, di trascorrere buona parte del proprio tempo senza dire una parola. Altri sono dislocati a vigilare su strutture militari e trascorrono molte ore completamente isolati. Da quando studio questo settore, mi capita di provare un senso di angoscia, quando passo davanti a una banca, perché mi chiedo se la persona messa lì sia adeguata a una situazione così pesante». E RRICO N OVI (3-continua) ON LO MANDA RAI TRE. Lo manda Bettino. E così si scopre che Piero Marrazzo non sarebbe un giornalista prestato alla politica. Semmai il contrario. Almeno stando a quanto rivelano Bobo Craxi e l’assessore agli Affari istituzionali e enti locali della giunta Storace, Donato Robilotta. Ieri i due hanno deciso di bacchettare Marrazzo, oggi giornalista televisivo di successo e candidato alla presidenza della Regione Lazio per il centrosinistra. Negli anni ’80, hanno ricordato, aderiva in maniera «piena, incondizionata e non priva di coerenti e legittimi vantaggi sul piano professionale» (parole di Bobo e Robilotta, ndr) al Psi di Bettino Craxi. E fin qui nulla di male. Il problema, secondo Bobo, sorge quando il “candidato presentatore” tenta di accreditarsi verginità politiche che non gli appartengono. Quello che più scoccia ai rappresentanti del Nuovo Psi è che Marrazzo, «nel rifarsi alla sua militanza socialista», dà infatti l’impressione di volere prendere le distanze da Craxi. Eppure, ricorda il secondogenito di Bettino, «qualche vantaggio in Rai, forse, lo ha avuto. Come tutti i figli della Prima Repubblica». N L’imposta dell’ottimismo Prodi, il capo senza idee La CdL alla ricerca di un’intesa sul fisco N OVELLO TONINO GUERRA, ieri Silvio Berlusconi ha spiegato al Paese che meno tasse per tutti vuole dire «avere più soldi in busta paga. E più soldi significa più ottimismo». Lo stesso concetto lo ripeterà quando i segretari dei partiti del centrodestra, saranno convocati a Palazzo Chigi per trovare un accordo sulla riduzione fiscale. La data avrebbe dovuto essere oggi, ma c’è stato un rinvio. Berlusconi ricorderà pure che nel 2006, con meno soldi nel portafogli, gli italiani saranno meno ottimisti verso la Casa delle Libertà. Di questo ne sono convinti ormai anche gli alleati, che hanno superato i dubbi sul taglio delle imposte. Restano le differenze su come farlo. Silvio Berlusconi metterà sul tavolo la sua proposta di tre aliquote per l’Irpef, la tassazione per i cittadini: 23 per cento per chi guadagna 26mila euro, il 33 per chi arriva a 32.600, il 39 per chi dichiara di più. Quindi confermerà la volontà di ridurre il monte Irap, l’imposta per le aziende, di un miliardo di euro. In tutto 6 miliardi in meno per l’Erario. Alleanza nazionale chiede invece uno sforzo in più per ceti medi, famiglie e non abbienti. Anche alla Lega e alla Udc sta a cuore il problema, con il Carroccio che non si straccerebbe le vesti se venissero alleggeriti i più ricchi e le aziende. In Forza Italia le ultime uscite degli alleati sono viste come «un gioco delle parti non concordato». Al ministero dell’Economia sono preoccupati. Il sottosegretario alle Finanze, Giuseppe Vegas, ripete appena può: «La riforma fiscale ha senso se aumenta il potere di acquisto o le possibilità di investimento. Non bisogna confonderla con interventi a carattere sociale». Il piano del governo ha infatti R OBERTO D’A GOSTI NO un costo contenuto rispetto a uno con aliquote più basse verso le fasce con minore reddito. E Berlusconi proverà a vincere le resistenze di An, Lega e Udc, promettendo una compensazione verso i più poveri con l’aumento dell’assegno per gli incapienti, che potrebbe salire a 600 euro, o con il bonus di 500 euro per il primo e il secondo figlio. Da capire pure come il governo coprirà la manovra: il grosso dei 6 miliardi arriverà dalla rimodulazione degli incentivi alle imprese. Il ministro Siniscalco si affiderà anche alla ripresa. Spiegano da via XX settembre: «Secondo le previsioni, il Pil nel 2005 dovrebbe crescere del 2 per cento. Questo basterebbe per rilanciare la produttività e i consumi. Se si fabbricano e si comprano più beni aumentano le entrate attraverso le imposte indirette. In fondo sarà così che recupereremo i soldi [PAC] per tagliare le tasse». L COSÌ Romano e Francesco hanno fatto la pace. «Qui sono a casa mia» ha detto il Professore entrando al gruppo della Margherita a Montecitorio, «sì, questa è casa tua», gli ha risposto Rutelli, «e noi vogliamo contribuire a migliorarla, come vogliamo contribuire al tuo prossimo viaggio in Italia». Questo quadretto idilliaco è andato avanti per una decina di minuti. Da una parte, Prodi con il suo sorriso bonario, dall’altra, Rutelli pronto a segnare il territorio affinché il Professore capisca che «la Margherita», dice un ex democristiano vicino a Franco Marini, «non è E un taxi da cui si può salire e scendere a piacimento». Il nodo politico della giornata di ieri è qui: il centrosinistra si ritrova unito nella figura di Prodi, ma qual è il prezzo di questa unità? L’ex presidente del Consiglio dell’Ulivo, che fu mandato a casa dalla sua stessa maggioranza e dai voti contrari di Rifondazione comunista, alla fine del vertice di ieri ha lanciato la formula della «grande alleanza democratica». Prodi ha ottenuto ciò che voleva: entro febbraio del 2005 si faranno le primarie per «scegliere il candidato a presidente del Consiglio» che Le Maserati di palazzo Chigi: c’è chi va e chi viene MASERATI che Luchino di Monteparioli ha fornito a Palazzo Chigi non è piaciuta a Silvio Berlusconi. La potente autovettura è servita solo qualche giorno a scarrozzare il presidente del consiglio, poi è stata dimenticata nel cortile dell’edificio di piazza Colonna. Il motivo di tanta disaffezione è legato a un fatto puramente tecnico o – se vogliamo – acustico. Il rombo del motore della Maserati, infatti, disturbava le conversazioni telefoniche del Cavaliere. Ora, però, la fuoriserie è riapparsa sulla scena: porta in giro il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta. Ma nel cortile di palazzo Chigi c’è un altro Maserati-boy: è il ministro Frattini. Che ha battuto sul filo di lana Marzano, anche lui voglioso di avere un bolide. A E Rutelli paga il conto dell’alleanza Una risposta catodica alla scelta dell’Ulivo (Piero Marrazzo) arriva dal presidente Berlusconi che sta pensando di candidare Annuzza La Rosa per la Regione Calabria. Si stanno facendo sondaggi… Che ci facevano Luca Cordero di Montezemolo e Paolo Mieli a via Veneto, dopo l’incontro di Monteprezzemolo a Palazzo Chigi? Giovedì scorso uno strano terzetto avanzava verso il capannone dell’impirellata Bicocca che ospita le sculture del picasso teutonico Kiefer. Il padrone di casa Carlo Puri Negri faceva da cicerone a Gad Lerner e Alessandro Profumo. Che hanno risparmiato i 6 euro dell’ingresso. è lo stesso Prodi. Vi parteciperà anche Fausto Bertinotti, ma già si sa che il vincitore sarà chi le ha proposte e volute: Prodi. A cosa servono le primarie se il nome del vincitore già si conosce in partenza e, per contratto, non può essere diverso? La risposta è semplice: servono a fare apparire Prodi forte, mentre in realtà è debole. È un caso strano, ma comprensibile. Prodi, scottato dalla brutta esperienza del passato, vuole che i suoi stessi alleati gli manifestino fiducia in anticipo. In questo modo le primarie evidenziano una debolezza, non certo forza e sicurezza. Prodi le ha ottenute a un prezzo alto: spostando sempre più a sinistra il baricentro politico della «grande alleanza democratica». Se lui lo ha fatto con una certa normalità, la Margherita ha compiuto il passo con tanti dubbi. La locomotiva politica del centrosinistra è la sinistra più radicale, quella che va da Fabio Mussi a Bertinotti passando per il Pdci di Cossutta e Diliberto. La Margherita quanto resisterà? Prodi è un capo senza programma. È bravo a dire molti «no»: alla Finanziaria, alle riforme, alla presenza militare italiana in Iraq. Perché non dice mai «sì»? Per fare un programma politico servono interessi e valori comuni. Il centrosinistra che si prepara a scendere in piazza contro il governo Berlusconi è la stessa «grande alleanza democratica» che con Bertinotti vuole la GI DE patrimoniale. L’INDIPENDENTE ❖ martedì 19 ottobre 2004 U VIAGGIO NEL MONDO DELLA POLIZIA PRIVATA/4 N PASSO IMPEGNATIVO, ma che in Italia può rappresentare una svolta modernizzatrice: affidare il controllo del territorio anche agli istituti di vigilanza. Sollevare almeno in parte le forze dell’ordine dal pattugliamento delle strade per impiegarle nelle attività investigative, che rappresentano evidentemente lo strumento più efficace nella lotta al crimine. Il ricorso alle società di sicurezza per garantire non solo la tranquillità del singolo privato che paga, ma di interi quartieri, è diffuso da tempo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Da noi si cerca il modo per introdurre questo sistema: una delle ipotesi percorribili è quella avanzata dal deputato Antonio Pezzella, che prevede la «defiscalizzazione degli oneri investiti dagli imprenditori nei servizi di sicurezza. Le sentinelle private, se professionalmente corrette e preparate», dice il parlamentare di An, «potrebbero essere di grande aiuto alle forze di polizia». Liberare le forze dell’ordine La proposta di legge è in discussione alla Camera, e integra il disegno di legge che dovrebbe riformare tutto il settore della vigilanza privata. In effetti il criterio della detassazione si basa su una logica semplice: è vero che lo Stato incasserebbe di meno, ma la possibilità di liberare e impiegare nell’investigazione i poliziotti che oggi invece vagano per le strade in attesa di imbattersi in qualche scassinatore, avrebbe un ritorno incalcolabile. Colpire in modo più scientifico e meno casuale gli interessi della criminalità assicura di per sé benefici enormi all’economia nazionale. Si tratta di lasciare a negozianti, aziende, privati cittadini, l’onere di investire di più per il semplice pattugliamento del territorio, con l’opportunità però di pagare meno tasse. Il discorso piace un po’ meno all’opposizione, compresi quei parlamentari del centrosinistra che da tempo si occupano dei problemi della vigilanza privata, come il deputato dei Verdi Paolo Cento: «Sono favorevole all’impiego dei vigilantes nelle grande manifestazioni, quelle sportive o i concerti musicali, ma La giungla della sicurezza Ripartire dalla formazione Che serva una svolta in termini di garanzie e di qualità, lo sanno anche le aziende più attrezzate. «L’immagine di tutto il settore rischia di essere compromessa dal modo di procedere di tanti nostri concorrenti», dice Claudio Noziglia, nuovo presidente della “Ivri holding”, vero colosso italiano della sicurezza, con oltre 60 società collegate per un totale di 7500 dipendenti. L’Ivri è uno di quei gruppi che VITA DA CAMERA/1 L’internazionale nerazzurra e comunista A COMUNICAZIONE POLITICA costa. E pure Roberto Formigoni se ne è dovuto fare una ragione, quando lo hanno aggiornato sullo stato del fondo per la comunicazione della Lombardia. Nel bilancio per il 2004 la Regione ha destinato ben 12 milioni e 477mila euro al capitolo. A tutt’oggi restano solo le briciole. I primi a farne le spese i giornalisti delle Tv private, che alla vigilia del viaggio di Formigoni in Cina si sono visti revocare l’invito del Pirellone. Una settimana fa a Praga l’ufficio stampa della giunta dà appuntamento ai cronisti al seguito del governatore in un ristorante di lusso. Ma prima di sedersi a tavola un avvertimento: «Ragazzi, qui pagate voi». E tutti hanno dovuto mettere mano alle carte di credito. L A Nega ogni esigenza di innovazione sociale. Critica la politica economica del governo ma conosce bene l’urgenza di riformare il mercato del lavoro, la previdenza e la scuola vede nella manifattura il centro dell’economia e che quindi appoggia una specie di patto industriale difensivo tra grandi imprese, banche e sindacati. Un problema reale in questo campo c’è. Nasce dalla riluttanza delle grandi industrie a investire nell’innovazione e ora si chiede allo Stato di rimediare, naturalmente a spese dei contribuenti. Alla fine qualcosa sarà necessario fare anche in questa direzione, ma quello che conta davvero, in un Paese in cui la manifattura pesa per meno di un quinto sul prodotto globale, è l’ammodernamento complessivo delle reti sociali, da quella del mercato del lavoro alla scuola, al sistema previdenziale. Quando ha R OBERTO D’A GOSTI NO LFONSO GIANNI, deputato di Rifondazione, ha due grandi passioni. Il comunismo e l’Inter. Talvolta capita che si intreccino. L’altro giorno, felice come un bambino, gironzolava per il Transatlantico con una copia della Gazzetta dello Sport in mano, aspettando al varco i colleghi interisti della Casa delle Libertà. Il primo che è riuscito a intercettare è stato il coordinatore nazionale di Alleanza nazionale, Ignazio La Russa. Come lo ha visto Gianni gli ha spalancato davanti un titolo a tutta pagina: “Hasta la victoria, Inter”. «Hai letto? La nostra squadra aiuta il subcomandante Marcos» . E l’altro, rattristato: «Ecco lo sapevo. Inter stava per internazionale comunista». La sinistra conservatrice C Nei Paesi anglosassoni i vigilantes sostituiscono la polizia di Stato. I nostri istituti passano invece per complici dei rapinatori governato la sinistra si è resa conto che questo è il tema centrale, l’aveva scritto Paolo Onofri, il tecnico di Romano Prodi nel libro bianco sul welfare. Continua a spiegarlo Nicola Rossi, economista dalemiano. Le loro idee, però, sono rimaste lettera morta, travolte dai no della Cgil e dalla caparbia autodifesa delle grandi potenze finanziarie, non a caso alleate nella conservazione. Quando Prodi ha tentato di limitare l’assistenzialismo è stato affondato da Rifondazione, quando Massimo D’Alema ha spiegato, con l’estremismo del neofita, ai giovani che non potevano puntare al “posto fisso” è stato subissato da una platea che si è poi riconosciuta nella piattaforma antiriformista di Cofferati. Ora i capi dell’opposizione sembrano avere imparato la lezione: appoggiano ogni rivendicazione, negano ogni esigenza di reale innovazione sociale. Quella lezione, però, è radicalmente sbagliata, i maggiori governi di sinistra d’Europa, quello tedesco e quello britannico, l’hanno abbandonata, scontrandosi con le centrali sindacali che pure, in quei Paesi, sono legate ai partiti socialisti. Da noi il coraggio di questo confronto è sempre mancato, e le conseguenze si vedono. S ERGIO S OAVE Pubblicità negativa In ogni casa un impianto di allarme, videosorveglianza a tappeto: in questo modo davvero si realizzerebbe l’integrazione tra società private e polizia di Stato. Ma in Italia uno scenario del genere sembra davvero lontano se, come riconosce lo stesso presidente dell’Ivri, «la guardia giurata qui, per tradizione negativa, passa ancora per il palo dei ladri». Investire in comunicazione sarebbe sensato, ma piuttosto che adottare questa semplicissima strategia, spesso gli istituti si sono resi addirittura protagonisti diretti di episodi gravi. Come capitò l’anno scorso a Avellino, dove venne svaligiato un portavalori della “Irpinia Security” che trasportava 900mila euro in contanti destinati agli uffici postali: parte del denaro venne ritrovato all’interno degli uffici dell’istituto. Licenza ritirata e 30 dipendenti rimasti senza lavoro. Fino a quando si adotteranno questi sistemi, piuttosto che promuovere un’immagine affidabile, sarà difficile ottenere la fiducia dei cittadini e trasformare queste aziende in fornitori di sicurezza globale. E fino a quando lo Stato non sarà in grado, anche attraverso una nuova legge, di vigilare sul rispetto delle regole, difficilmente le guardie giurate potranno essere utilizzate in modo da consentire alle forze dell’ordine di occuparsi di investigazione. E di non sprecare pattuglie nella speranza di intercettare qualche scassiE RRICO N OVI natore notturno. (Le altre puntate sono state pubblicate il 5, 7 e 12 ottobre) VITA DA CAMERA/3 Fassino irritato dalla Gad, un acronimo perdente P IERO FASSINO non è convinto per niente della nuova creatura partorita dalle fertili menti del centrosinistra. Alla fine l’hanno chiamata Grande alleanza democratica (Gad), ma al segretario dei Ds non va giù. Soprattutto perché hanno ricordato che esibizioni di grandeur, a sinistra, portano male. Vedi la fine che ha fatto la Gmg, la Gioiosa macchina da guerra di Occhetto. Fassino avrebbe preferito Ad, Alleanza democratica. Senza la “g” di “grande”. Ma anche qui c’è un precedente disastroso. Quello del partito meteora di Ferdinando Adornato. Aveva quindi deciso di optare per Vasta alleanza democratica. L’acronimo, però, non ha convinto. Vad ricorda vagamente l’incipit di un diffusissimo insulto. Veltroni, Kyoto e l’aria di Roma L’ambientalismo del sindaco capitolino. Un progetto per censire le emissioni di anidride carbonica, mentre la capitale è soffocata dai gas tossici. E i romani si avvelenano tutti i giorni VELTRONI è un uomo generoso. L’amore per l’umanità e l’interesse per il futuro del pianeta appartengono al suo carattere. Se amministrasse l’universo lo renderebbe equo e felice. Purtroppo per adesso amministra solo Roma. Lui però è convinto che la missione del sindaco sia salvare il mondo. La sua ultima trovata è un progetto per prevenire i cambiamenti climatici del globo terrestre. Si chiama “Roma per Kyoto”. Prevede che il Comune attivi interventi, da definire in futuro, dopo avere effettuato un censimento delle emissioni di anidride car- W ALTER bonica. All’apparenza nulla di nuovo. Da sempre in Italia si affrontano le questioni ambientali annunciando leggi, decreti e provvedimenti urgenti il cui primo atto (che spesso rimane l’unico) è il solito censimento. I mali di Roma sono ben altri e, a differenza del clima, non riguardano l’atmosfera in generale ma proprio gli strati più bassi della troposfera (quelli da cui attingiamo l’aria per respirare) di cui il sindaco di una città, come massima autorità sanitaria, dovrebbe principalmente preoccuparsi. Non sono fenomeni a lungo termine, ma hanno conseguenze immediate sulla vita stessa dei cittadini: si pensi all’azione tossica I diessini scartano Pecoraro Scanio e si mangiano il dentice ENERDÌ SERA intorno alle 21, attovagliati da Fortunato al Pantheon, due deputati diessini hanno commentato a lungo le riforme approvate in mattinata. «Bene che vada, se il referendum confermativo si terrà prima delle elezioni del 2006, il premierato entrerà in vigore con la prossima legislatura. E fare tutto questo casino contro i poteri del primo ministro significa essere davvero fessi, significa fare vedere a tutti che temiamo che Berlusconi vinca anche le prossime elezioni nel 2006». E l’altro di sponda: «Se infatti credes- V Potenziale sprecato Ci sono diverse ipotesi per ampliare il giro d’affari di questo settore: coinvolgere nelle proprietà degli istituti anche le aziende che producono gli impianti di sicurezza. In questo modo è possibile fornire alla clientela apparati di sicurezza assolutamente avveniristici, come quelli per il riconoscimento biometrico, che attraverso l’identificazione del tracciato facciale consentono l’ingresso in un ufficio solo alle persone autorizzate. Il fatturato complessivo degli istituti di vigilanza in Italia sfiora i 3 miliardi di euro l’anno, ma se si includessero anche i produt- VITA DA CAMERA/2 Formigoni finisce i soldi, giornalisti a terra HE LA SINISTRA, quando è all’opposizione, trovi “iniqua” la politica sociale, “intollerabile” la condizione di vita degli strati popolari, “fatiscente” l’economia e “minacciose” le prospettive, non è una novità. Se qualcuno dovesse riscrivere la storia economica dell’Italia sulla base della collezione delle annate dell’Unità, non si accorgerebbe nemmeno che il Paese è passato dalla miseria disperata del dopoguerra alla società dei consumi. Quando poi la sinistra si è trovata nella maggioranza di governo, dal 1976 al 1978 e dal 1995 al 2001, ha adottato politiche economiche restrittive, basate sull’unico imperativo di abbattere l’inflazione e questo ha determinato fasi di netto contenimento della dinamica delle retribuzioni reali. Ora l’obiettivo principale sembra quello di impedire una riduzione dell’imposizione fiscale sui redditi personali, in nome della priorità della lotta contro il “declino” industriale. Alla base di questa deriva propagandistica c’è una preoccupazione sincera, ma obiettivamente conservatrice. In discussione è il modello industrialista tradizionale, quello che cerca di mantenere livelli di qualità e di aggiornamento tecnologico elevati, ma ha dovuto darsi un nuovo vertice in seguito all’inchiesta aperta dalla Procura di Milano per un presunto giro di tangenti. «Abbiamo dovuto correggere la rotta sotto tutti i punti di vista», dice Noziglia, «è cambiata la struttura dirigenziale e l’obiettivo è quello di lavorare in modo diverso anche sulla comunicazione. Al di là del fatto che il caso giudiziario non ha per nulla scalfito la fiducia dei nostri clienti». Non si può prescindere dalla qualità della formazione, e l’Ivri assicura di seguire già percorsi rigorosi: «Il nostro personale viene istruito in base alle funzioni da svolgere: gli agenti impegnati, per esempio, all’interno degli aeroporti, seguono corsi di antiterrorismo. E c’è un numero di tiri con cui esercitarsi al poligono al di sotto del quale nessuno dei nostri dipendenti che abbia un porto d’armi può scendere». Sul caso dei vigilantes che alla Malpensa si trovavano senza pistola, il presidente dell’Ivri spiega che «con la Sea, che gestisce l’aeroporto, ci eravamo accordati per inviare anche personale disarmato. Poteva servire come deterrente». credo che la tutela generale dell’ordine pubblico debba essere demandata solo allo Stato». Solo un ausilio occasionale alle forze dell’ordine: i tempi, secondo Cento, non sono maturi per spingersi oltre. Eppure, dice il parlamentare, «proprio certi eventi possono diventare l’occasione per sperimentare l’affidabilità e la professionalità di questi agenti privati: se la verifica fosse positiva, allora si potrebbe pensare anche a forme di affiancamento diverse». L’affidabilità, questo è il punto. Nella percezione generale che ne hanno gli italiani, gli istituti di vigilanza non rappresentano ancora una garanzia. Il personale è spesso dequalificato, si verificano con frequenza sempre maggiore episodi sconcertanti. Qualche giorno fa, all’esterno di una discoteca di Bussolengo, è partito un colpo di pistola a una guardia giurata che però, in quella circostanza, lavorava come semplice buttafuori. Dunque non poteva usare l’arma. Il proiettile ha ferito in modo grave un ragazzo di 20 anni. «Bisogna dare certezze ai lavoratori del settore, anche nel senso che bisogna rendere ineludibili certi percorsi formativi», dice Pezzella, «bisogna obbligare le aziende a servirsi di uomini dello Stato per addestrare i vigilantes all’uso delle armi». tori di impianti, fa notare per esempio Fulvio Valandro, l’editore del periodico di settore La ronda, si arriverebbe all’astronomica cifra di 50 miliardi. Tutto questo, d’altra parte, non può ancora bastare a rassicurare i cittadini e a allargare la clientela. «In questo settore nessuno spende un centesimo per la comunicazione, noi vogliamo lavorare seriamente su questo fronte», dice Noziglia, «e il modello da seguire deve essere quello svedese, dove l’azienda “Securitas” fornisce assistenza a 7 milioni di abitanti, quasi il 90 per cento della popolazione». simo un po’ di più nella vittoria di Prodi non diremmo stronzate come “silvierato”, daremmo per scontato che dal 2006 lì ci sarà Romano. E il premierato lo avevamo proposto proprio noi diessini». Battuta finale dell’altro: «Ma ti rendi conto insieme a chi ci presentiamo? Con i Pecoraro Scanio. La verità è che è più facile che Nader diventi presidente degli Stati Uniti, piuttosto che questa armata brancaleone del centrosinistra vinca le elezioni. Mangiamoci il dentice, va, che è meglio così». delle polveri sottili, il cui limite stabilito dalle direttive europee e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) viene regolarmente superato. L’anidride carbonica cui si vuole dichiarare guerra favorirebbe l’effetto serra e quindi, a lungo andare, cambiamenti climatici mondiali. Ma non peggiora in nessun modo la salute di chi la respira, perché è innocua per l’uomo nelle concentrazioni atmosferiche. Per migliorare la qualità dell’aria serve ridurre i gas tossici: l’ozono, il biossido di azoto, il monossido di carbonio. Urgenza più concreta rispetto al destino delle glaciazioni. Nell’ottica del sindaco di Roma un buon amministratore deve conseguire non il bene di chi lo ha eletto o della comunità che presiede, ma il bene assoluto, il bene cosmico. Questo punto di vista è un segno dei tempi. Ci dice che stiamo entrando in una nuova epoca di grandi ideali, sacrifici, missioni. La recente iniziativa capitolina ne è un esempio: eroica e solitaria, si annuncia come soluzione di un problema che l’Italia ha difficoltà a affrontare, che la Russia deve ancora sviscerare, che gli Stati Uniti temono perfino di chiamare per nome. Annunciando che ci si adeguerà volontariamente ai limiti di Kyoto si travisa però lo spirito del protocollo: quei limiti in sé portano più svantaggi economici che vantaggi ambientali e hanno senso solo perché, se messi a norma di legge su scala planetaria, incentiveranno la ricerca di tecnologie alternative. Basti sapere che nell’atmosfera ci sono circa 3mila miliardi di metri cubi di anidride carbonica. La quantità prodotta annualmente dall’uomo è di appena 6 miliardi e scenderebbe di 0,15 miliardi se l’obiettivo del protocollo venisse raggiunto. F RANCESCO F U MAROLA