maturita_disagio_giovanile

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DISAGIO GIOVANILE NEGLI ANNI 60:
LETTERATURA & MUSICA
INTRODUZIONE
Il fenomeno della Contestazione negli anni 60'
CONTESTO STORICO:
Kennedy & la guerra fredda, il Vietnam, Primavera di Praga, il 68'....
STORIA DELL'ARTE
Pop Art (espressione artistica di quegli anni)
LETTERATURA ITALIANA
Moravia & Pasolini
FILOSOFIA
Esistenzialismo
LETTERATURA INGLESE
Jack Kerouak (padre della beat generation)
LETTERATURA LATINA
Contestazione trattata nel De Bellum Catilinae di Sallustio
INTRODUZIONE
Il fenomeno della Contestazione negli anni 60'
Dalla fine della seconda guerra mondiale agli anni 60’ la cultura
è stata fortemente influenzata da fenomeni di costume che ne hanno
caratterizzato le svolte nei vari settori, dal letterario al musicale, al
figurativo, al teatrale.Alla base di questi fenomeni possiamo
individuare una tendenza generale: la contestazione. La cultura della
contestazione
ha
interessato
soprattutto
il
mondo
giovanile,
manifestandosi sia in America sia in Europa con atteggiamenti
ribellistici, provocatori, anticonformistici e trasgressivi. All’origine
della rabbia giovanile stava la contestazione del sistema borghese
capitalistico, l’ansia per un futuro su cui pesava il pericolo di una
guerra atomica e il violento scontro generazionale. Essi rifiutavano la
loro società, accusata di appiattire l’uomo, dequalificare l’intellettuale e
mercificare tutto, anche l’arte e il pensiero. Un fenomeno europeo di
protesta giovanile è stato quello dei ”giovani arrabbiati” (Angry
Young Men). Nasceva nel 1957 in Inghilterra ed era animato da uno
spirito trasgressivo nei confronti della morale tradizionale e del
conservatorismo della società inglese. Attraverso la drammaturgia e la
narrativa, questi giovani aggredivano il reale, presentandolo nella sua
forma più bassa e frustrante usando un linguaggio basato sullo slang,
in altre parole termini gergali e dialettali. Un similare fenomeno di
protesta socio-esistenziale, è stato quello della “beat generation”,
sviluppatosi in America fra la metà degli anni 50’ e 60’, con forti
concentrazioni a San Francisco e a New York; in esso interagiscono
fattori psicologici, di costume e di moda, e prese di posizione morali,
intellettuali ed artistiche. La società americana, di questo periodo, è
percorsa da mille contraddizioni che finiscono per bloccarla in un
immobilismo senza avvenire e senza speranza. Infatti, da un verso gli
USA, che hanno combattuto in difesa della democrazia contro le
barbarie naziste, sono considerati da molti il simbolo dalla libertà e
della giustizia; dall’altro vivono sotto l’incubo della guerra fredda,
costantemente minacciati dal rischio di un conflitto nucleare. Inoltre, la
paura del comunismo, scatena una vera e propria persecuzione nei
confronti di tutti coloro, in particolare intellettuali e artisti, che hanno
manifestato o manifestano simpatie per la sinistra (la cosiddetta “caccia
alle streghe” orchestrata dal senatore McCarthy). Tutto ciò crea un
clima pesante, che fa vacillare l’immagine del paese, da sempre
considerato la culla della libertà. Sul piano dei costumi, per un verso si
assiste al dilagare del consumismo, nel quale sembra essersi incarnata
la promessa di felicità, garantita dal primo articolo dalla Costituzione,
per altro persistono modelli di vita conformistici che bandiscono, come
attività pericolose e immorali, il ballo, le relazioni sessuali e le corse in
motocicletta. I giovani della beat generation non si riconoscono in
questo tipo di società ed esprimono il loro rifiuto con un atteggiamento
nel quale confluiscono spinte diverse: ribellione, manifestata attraverso
la scelta di un’esistenza vagabonda sulle strade e sui treni d’America e
attraverso la libertà sessuale, rinunzia, voglia di una vita sfrenata e
senza regole, esigenza d’autenticità e onestà in qualsiasi tipo di
rapporto, vita comunitaria ecc. Essi, infatti, ritengono che solo
rifiutando in blocco la civiltà moderna sia possibile salvare l’uomo
com’essere umano; scaturisce da qui quella che essi chiamano
“disaffilazione”, in altre parole un totale e consapevole estraniamento
dalla società. Si tratta di un atteggiamento volutamente passivo, che
non si propone di abbattere le istituzioni per stabilirne altre più
consone alle esigenze dell’uomo, ma contrappone, alla falsità della
società borghese, la chiusura in un proprio mondo solitario, del quale
fanno parte solo coloro che condividono gli stessi ideali. Ciò significa
che mancava alla beat generation quello spirito eversivo proprio delle
avanguardie storiche. Dietro i loro atteggiamenti provocatori, non
c’era la volontà ideologica di cambiare il sociale, ma solo il distacco e la
fuga dai modelli societari. A tutto ciò essi reagivano con “l’assenza, ”
una particolare categoria dello spirito, in cui coesisteva la fuga, il
viaggio e il nomadismo. I beatnik, com’essi amano definirsi, basavano
inoltre la loro esistenza su una socialità e moralità naturali, non
regolate da leggi, e su un’assoluta onestà e franchezza; sono pacifisti,
non hanno alcun interesse per il denaro, fanno uso di droghe e amano
la musica jazz. Tutti questi atteggiamenti, trovano proprio piena
espressione nel termine beat, che ha in inglese il significato di
“battuto” e al tempo stesso di “beato”. Vuole, cioè, esprimere da un
lato il rifiuto volontario di una società, nei confronti della quale ci si
sente necessariamente sconfitti e dall’altro la felicità che da
quest’atteggiamento ne deriva. La protesta beat investiva in primo
piano il comportamento e l’abbigliamento. Il linguaggio era aperto e
libero, non privo di termini volutamente osceni. L’abbigliamento era
dichiaratamente anticonvenzionale, basato su jeans e maglioni sdruciti,
scarpe da tennis o di corda, occhiali scuri e medaglioni attorno al collo;
la capigliatura tendeva a coprire le orecchie. Perciò si fabbricavano
medaglioni, pendagli, abbigliamento. Venivano costruite discoteche e
luoghi di ritrovo beat. Ciò creava un’ulteriore differenza con le
avanguardie storiche, poiché mentre esse creavano una netta
lacerazione con la società e la storia, il movimento beat apriva sempre
più le porte al consumismo contemporaneo. Dunque, il sospetto e il
rifiuto, di fronte ad una civiltà impregnata di razionalismo, sfociava
nell’interesse per le filosofie mistiche orientali, soprattutto per il
buddismo zen.
Il pensiero buddista sorse verso la fine del VI secolo a.C. Non
costituì, all’origine, un complesso organico di particolari verità rivelate,
e quindi di dogmi, né si presentò come una religione particolare
contrapposta alle altre.Secondo il suo insegnamento, la verità è
universale e a-temporale, al di sopra dei singoli insegnamenti.La legge
buddista è l’ordine delle cose. Le cose stesse sono dei dharma, giacché
“fissati” secondo questa legge. Il punto di partenza della riflessione
Buddista è la constatazione della presa del dolore nel mondo: la vita è
dolore. L’esistenza della sofferenza può essere considerata come la
diagnosi del male. Essa è la prima, delle quattro sante verità, in cui si
riassume la dottrina buddistica. Seguono l’origine del dolore,
l’eliminazione del dolore e il cammino che conduce all’eliminazione
del dolore. Quest’ultima è a sua volta divisa in otto tappe “perfette”.
L’esistenza del mondo è spiegata come una relazione di cause
(“coproduzione condizionata”), non esiste quindi una divinità
creatrice. All’origine della sofferenza vi sono le passioni e il desiderio.
Per raggiungere il Nirvana è quindi necessario rendersi conto di tutto
ciò ed eliminare ogni legame causale. Lo Zen rappresenta un ramo del
buddismo, esso nacque in Cina nel 520, per merito del monaco indiano
Bodhidharma. Noto al pubblico occidentale, soprattutto grazie alla
pubblicazione in lingua inglese dei Saggi sul buddismo Zen dello
studioso giapponese Deisetz Suzuki, alla fine della seconda guerra
mondiale, lo zen suscitò in Europa e negli Stati Uniti l’interesse
d’artisti, filosofi e psicologi, affascinati dalla suggestività della sua
pittura e della sua scultura, e dalla profondità di un pensiero in cui
venivano individuate presunte connessioni con alcune correnti della
filosofia contemporanea (Schopenhauer). La dottrina della filosofia Zen
consiste nella constatazione, che le cose di cui l’uomo fa esperienza,
non possono essere classificate per mezzo di dati empirici forniti dalla
percezione, poiché sono dotate di una realtà propria, più profonda e
universale. Il mondo deve, dunque, essere colto nella sua essenza, in
uno stato di “non mente” che lasci scorrere i pensieri senza
conservarne traccia. A differenza delle altre scuole buddiste, lo zen
sostiene che questo stato, irraggiungibile attraverso le pratiche rituali e
devozionali, è il frutto di una riflessione diretta e immediata, che
sottrae alle parole e alle azioni qualsiasi significato simbolico e
rappresentativo, impedendo che nella mente si generi una qualsiasi
forma di pensiero autonomo. Il pensiero zen intende liberare la mente
dai pericoli insiti in ogni processo d’elaborazione concettuale,
limitandosi a cogliere con distacco le forme della realtà esterna. D’altro
canto, sul piano letterario, il movimento è stato tipologizzato in alcune
opere del tempo, che sono diventate una sorta di Vangelo per i giovani
beat: “Il giovane Holden”, di Salinger, ove si descrive, con viva
adesione al mondo giovanile e al suo gergo (slang), il senso di disagio e
d’angoscia che caratterizzava le generazioni a contatto con la civiltà
consumistica, schiavizzata dal mito del denaro e del benessere.
Kerouac, in particolare, è l’autore di quella che può essere definita la
bibbia dei beatnik, il romanzo “Sulla Strada”, scritto nel 1951 e
pubblicato nel 1957. N’è protagonista Sal Paradise, il quale narra i suoi
viaggi attraverso l’America del nord, negli anni 47-50, e i suoi incontri
con Karl Marx e Dean Moriarty. I tre personaggi sono personificazioni
rispettivamente di Jack Kerouac, Allan Ginsberg e Neal Cassady. Nel
corso dei loro viaggi, compiuti coi mezzi più disparati, i tre giovani
ricercano tutti i piaceri che la vita può dar loro, da quelli intellettuali
alle visioni stimolate dell’alcol e dalla droga, alle eccitazioni provocate
dalla velocità nella guida e dalla musica jazz, al godimento sessuale
volto a colmare un profondo bisogno d’affetto. Al tempo stesso, però,
acquisiscono anche l’esperienza della vita vissuta dai vagabondi, dai
poveri, dagli emarginati dalla società e ne traggono un profondo senso
di compassione e solidarietà. Il romanzo si conclude con il ritorno alla
tristezza del vivere quotidiano. Sul piano cinematografico, la figura del
giovane ribelle, sensibile e infelice è stata incarnata da attori quali
James Dean, protagonista di “Gioventù bruciata” e da Marlon Brando
nel film “Il selvaggio”, divenuti entrambi simboli della rivolta
giovanile contro un mondo adulto visto come fonte di noia, di
sottomissione e viltà.
CONTESTO STORICO
Kennedy & la guerra fredda, il Vietnam, Primavera di Praga, il 68'....
A pesare ulteriormente, su questa condizione giovanile, fu la
scena mondiale di quegli anni. Generalmente, nei paesi occidentali,
quel periodo è spesso ricordato come un decennio felice, un momento
di grande sviluppo economico, civile e di grandi ideali. Sulla scena
internazionale, gli anni 60’ furono dominati dalla consolidata
coesistenza tra gli USA e l’Unione Sovietica, la quale generò il
cosiddetto “equilibrio del terrore”, poiché tale condizione si fondava
sulla consapevolezza, da una parte e dall’altra, di non poter prevalere
sull’avversario, senza mettere a repentaglio la propria sopravvivenza e
quella dell’umanità, e sull’equilibrio degli armamenti nucleari.
Numerosi, si rivelano, gli eventi importanti che caratterizzarono questo
decennio, dalle vicende dei Kennedy alla guerra del Vietnam, alle
rivolte giovanili e operaie del 68’. Infatti, nel novembre del 60’ salì alla
presidenza degli USA J.F.
Kennedy (democratico), il quale
proveniva da una ricca famiglia di origine irlandese e divenne a soli 44
anni il più giovane presidente americano. Appoggiato da gran
consenso e da gruppi di intellettuali, Kennedy cercò di continuare la
politica progressista di Wilson e Roosvelt. Tante furono, in politica
interna, le riforme applicate da Kennedy per aumentare la spesa
pubblica, soprattutto per ciò che riguardava le esplorazioni spaziali,
programmi sociali, e tentativi di integrazione razziale. La politica
esterna, invece, fu caratterizzata da una linea ambivalente, assunta da
Kennedy, tra quella pacifista, propensa alla distensione con l’est ed una
che salvaguardava gli interessi degli USA. Nel giugno del 61’, a
Vienna, ci fu il primo incontro tra Kennedy e Kruscev, che non ebbe
tuttavia gli esiti sperati; infatti, gli USA riconfermarono il loro
appoggio a Berlino Ovest e i sovietici in risposta alzarono un muro (di
Berlino) per evitare fughe (all’epoca molto diffuse dall’una all’altra
parte). Ma, in questo periodo, il momento più drammatico si ebbe in
America Latina, quando Kennedy (all’inizio della sua presidenza),
tentò di reprimere il regime socialista di Cuba, appoggiando vari
gruppi di esuli anti-castristi; questo tentativo si attuò nel 61’, nella
“Baia dei Porci”, ma si risolse comunque in un fallimento. L’Unione
Sovietica reagì installando, nella stessa Cuba, delle basi di lancio per
missili nucleari. Quando le basi furono scoperte dagli americani, fu
immediatamente ordinato un blocco navale intorno Cuba, in modo da
evitare che navi sovietiche raggiungessero l’isola. Per pochi giorni la
situazione si fece molto tesa, fino a quando Kruscev cedette,
acconsentendo allo smantellamento delle basi missilistiche, a patto che
gli USA si astenessero da azioni militari contro essa. Questa vicenda,
contribuì a creare una fase di distensione, tanto che nel 63’ USA&URSS
firmarono un trattato che sanciva la messa al bando degli esperimenti
nucleari nell’atmosfera. In questi anni, dunque, si accentuò il tono
pacifista, e l’antagonismo tra USA e URSS divenne chiave di
competizione economica tra i due paesi. Tuttavia, nonostante la sfida
lanciata da Kruscev verso i paesi capitalistici, il leader sovietico venne
smentito dall’andamento negativo dell’economia del suo paese e fu
dimesso. Poco tempo dopo, scomparve anche l’altro importante
protagonista di quegli anni, Kennedy, il quale fu assassinato nel Texas
a Dallas, da mandanti politici ancora oggi sconosciuti; stessa sorte
toccò al fratello R. Kennedy e al pastore di colore Martin Luther King
(leader del movimento anti-segregazionalista). Il successore di
Kennedy, fu Lynday Johnson, che, nonostante lo sviluppo di molti
progetti di legislazione sociale, commise l’errore di legare il proprio
nome alla sfortunata, quanto impopolare, missione in Vietnam.
Quest’episodio, che si protrasse per oltre 10 anni, tra il 64-75’,
rappresenta il momento di scontro più acuto tra Usa e mondo
comunista, allora scisso tra Cina e Urss, ma comunque unito per
quanto riguarda i sostegni bellici ed economici verso le forze
antiimperialistiche. In base agli accordi di Ginevra (54’), il Vietnam era
diviso in due repubbliche, nord comunista e sud semidittatoriale
appoggiato dagli Usa, che cercava di sminuire l’influenza francese in
Vietnam. La situazione politica del Vietnam del Sud, suscitò forti
movimenti di guerriglie (VIETCONG), guidate da comunisti e
sostenute dal Vietnam del nord. Gli Usa, preoccupati da un’Indocina
completamente comunista, decisero di intervenire, mandando truppe
di “consiglieri militari”, costituite da circa 300mila uomini. Nel 65’
ebbero inizio i primi bombardamenti contro il Vietnam del Nord;
nonostante la consistenza delle truppe americane, queste ultime non
riuscirono comunque a predominare nella lotta, considerando
soprattutto che i vietcong godevano dell’appoggio delle masse
contadine, della repubblica nord vietnamita, della Cina e della Russia.
L’esercito americano si trovò in chiara difficoltà, non solo dal punto di
vista tecnico e bellico, ma anche da quello morale. L’opinione pubblica
dipingeva questo conflitto come “la sporca guerra”, decisamente non
coerente con la tradizione democratica degli Usa. Ci furono
manifestazioni di protesta, soprattutto tra i giovani, che spesso si
rifiutavano di indossare le divise militari e di scendere in guerra.
Intanto, nel conflitto, la situazione degli Usa si faceva sempre più
complicata, le truppe dei vietcong avanzavano sempre più,
fino a
colpire la capitale del Sud-Vetnam; a quel punto, il presidente Johnson
ordinò la sospensione di bombardamenti e in seguito decise di non
presentarsi nelle successive elezioni. Il successore Nixon avviò dei
negoziati col Vietnam del nord e col governo rivoluzionario
provvisorio (espressione politica dei vietcong). Solo nel 73’, a Parigi, fu
firmato l’armistizio che prevedeva un graduale ritiro delle truppe
americane dall’Indocina. Intanto gli scontri perdurarono per altri due
anni, fino a quando la totale assenza di forza americane riuscì a
garantire l’affermazione di un’Indocina comunista. Fu la prima
sconfitta nella storia degli USA. Altro importante evento di questi anni,
che veniva delineandosi, fu il contrasto, sempre più grave, tra le due
maggiori potenze comuniste: URSS & Cina (mentre l’Urss voleva
mantenere l’ordine mondiale “Bipolare” e voleva conservare il ruolo di
stato guida del mondo comunista, la Cina di Mao-Tse-Tung, contestava
gli equilibri internazionali e voleva proporsi come guida per i paesi in
via di sviluppo nella lotta all’imperialismo). Agli inizi del 60’, il
contesto economico cinese non era dei miglior,i soprattutto per la
scarsa produzione agricola; per tale ragione fu applicata una nuova
strategia: il ”grande balzo in avanti” (che si basava su un gigantesco
sforzo collettivo). L’esperimento, tuttavia, fu un fallimento e costrinse
la Cina a massicce importazioni dall’estero di cereali. Intanto, i rapporti
diplomatici con l’Urss si facevano sempre più difficili e il contrasto
divenne ormai esplicito quando quest’ultima, tra il 59-60’, ritirò i
propri tecnici, impegnati nell’industria pesante cinese, e rifiutò
qualsiasi assistenza alla Cina in campo nucleare. Le due nazioni si
scambiarono varie accuse e furono addirittura ridiscussi i loro confini.
Queste convergenze sfociarono in piccoli scontri armati lungo il fiume
Ussuri. In seguito, anche la situazione interna della Cina peggiorò,
infatti, i disordini e il dissesto economico, determinati dal “grande
balzo in avanti”, avevano portato, in qualche modo, all’ascesa dei
moderati del gruppo dirigente cinese; tuttavia, Mao, mise in atto una
forma di lotta inedita per un regime comunista, cioè mobilitare le
generazioni più giovani, in particolare studenti, contro le classi
dirigenti accusandole di voler costituire una nuova via capitalistica.
Iniziò così, tra il 66’-68’, la cosiddetta “rivoluzione culturale”, ovvero
una rivolta giovanile, apparentemente spontanea, ma, in realtà,
orchestrata dall’alto. Si formarono gruppi di guardie rosse(costituite
fondamentalmente da giovani) che, attraverso contestazioni e proteste,
determinarono un radicale cambiamento nella società e nella mentalità
collettiva. Raggiunto il proprio scopo, Mao riuscì a porre a freno il
movimento (rivoluzione culturale) e a stabilire l’ordine. Nel 70’, grazie
a Cha-En-Lai, si ebbe un processo di normalizzazione anche sul campo
internazionale, la Cina, infatti, si trovava in condizioni di isolamento, e
considerando i pessimi rapporti con l’Urss, si avvicinò agli Usa
entrando a far parte dell’ONU. Intanto in Russia, in seguito
all’allontanamento di Kruscev, l’Unione Sovietica fu sostenuta da una
direzione collegiale, nella quale emerse
il segretario dal P.C.U.S.
LEONID BREZNED. Con lui si cambiò radicalmente lo stile della
politica Krusceviana (meno iniziative clamorose, meno dichiarazioni
ottimistiche), anche se sostanzialmente rimase invariata. Furono
accentuate le misure di sicurezza contro i dissenzienti, in particolar
modo, intellettuali, spesso raggiungendo dei modi alquanto dubbi,
anche se, tuttavia, lontani dalla brutalità dei tempi di Stalin. I rapporti
con la Cina si mantennero statici, anche se, in campo estero, fu
applicata una più decisa politica di riarmo, che fece sentire i suoi effetti
sul bilancio statale. In particolar modo, i dirigenti Sovietici, si
mostrarono intransigenti verso l’ampio e interessante esperimento di
liberalizzazione della Cecoslovacchia, nel 68’, che culminò nella
cosiddetta “Primavera di Praga”. Gli eventi ebbero inizio nel Gennaio
del 68’, quando Dubcek sostituì Novatny nella carica di primo
segretario del partito comunista cecoslovacco. Dubcek, era in realtà
leader dell’ala innovatrice che, con l’appoggio entusiastico di studenti,
intellettuali e operai, introdusse nel sistema socialista, elementi di
pluralismo economico e politico. Egli annunciò, in un primo momento,
la soppressione della censura, in seguito fece emergere la volontà, sia
di riformare radicalmente l’economia del paese, abbandonando il
centralismo e l’industrializzazione presente, sia di espandere la libertà,
fino a favorire un’articolazione pluralista del sistema politico. Questo
nuovo orientamento fu definito “socialismo dal volto umano”. Questo
processo di liberalizzazione, a cui contribuirono in particolar modo gli
intellettuali, preoccupò i dirigenti sovietici, che intravidero nella
“Primavera di Praga” una minaccia per il regime comunista e per il
“patto di Varsavia”, temendo un “contagio” nel campo socialista.
L’esponente ceco, tentò invano di rassicurare i sovietici, poiché fra il
20-21 dell’agosto del 68’ le truppe del patto di Varsavia invasero la
Cecoslovacchia; tuttavia stroncare la “primavera di Praga” si rivelò più
arduo del previsto, in quanto era difficile individuare un gruppo
dirigente disposto a sostituire quello presente. Nonostante le pressioni
di Mosca la situazione rimase incerta per mesi, fino a quando fu
concretizzata la fase della normalizzazione nella Primavera del 69’ e
salì al potere Husek.
In ogni modo, fu proprio la fine di questo decennio a passare alla
storia come “il momento dei giovani”, forse, il più teso di quegli anni:
il 68’. Precisamente, quell’anno è passato alla storia come un periodo di
violente rivoluzioni, manifestatesi in grandi movimenti di massa che
hanno coinvolto gli studenti, gli operai e le donne. L’obbiettivo comune
era la lotta contro l’autoritarismo, l’ordine costituito e i valori
dominanti. Negli studenti, la contestazione si traduceva nel rifiuto di
una cultura verticistica e autoritaria, acritica e giudicata appartenente
al passato; negli operai, si risolveva nell’opposizione allo sfruttamento
operato dal potere padronale; nelle donne si esprimeva come ribellione
ad una cultura e ad un costume etico e sessuale prettamente
maschilistico.
Il
fenomeno
ebbe
espressioni
e
manifestazioni
eterogenee, toccò paesi geograficamente ed ideologicamente differenti
tra loro e si estese in vari modi nel decennio successivo. Le prime
manifestazioni si ebbero nel 64’ a Berkley, in California, con
l’occupazione
dell’Università.
Gli
studenti
chiedevano
di
compartecipare ai metodi d’insegnamento e alla scelta dei contenuti,
nonché di poter usufruire dell’ateneo come luogo per dibattere
problemi sociali. Ben presto la contestazione sfociò nella battaglia
contro la discriminazione razziale, nella difesa dei diritti civili e nel
rifiuto della guerra del Vietnam. In Francia, il movimento studentesco
aderiva fortemente alla tradizione culturale delle sinistre e nel maggio
del 68’ si trasformava in una vera e propria sollevazione contro il
governo. In Italia, la contestazione nasceva dal movimento studentesco
ed era sancita dall’occupazione dell’Università di Torino nel novembre
del 67’. Gli studenti, uniti in assemblee permanenti, contestavano il
sistema universitario, in quanto portavoce di una cultura reazionaria e
schiva del sistema borghese, inteso come gerarchico, burocratico,
spersonalizzante,
classista,
tendente
ad
ingabbiare
l’individuo
nell’unica logica del denaro e del benessere. Chiedevano, di contro,
una cultura basata sull’autogestione. Il movimento, intanto, si
collegava alle lotte operaie e sindacali, esplodendo in manifestazioni di
piazza e scontri con le forze armate, sino ad arrivare all’autunno caldo
del 69’, caratterizzato dalla mobilitazione degli operai nelle fabbriche
per il rinnovo dei contratti. L’eredità del 68’ sulle future generazioni è
stata diversa, perché portava in sé una serie di innovazioni: un costume
più aperto, rapporti sociali più flessibili, una cultura più libera, più
critica. La donna acquistava maggiore consapevolezza del proprio
ruolo nella società. Infatti, dopo le venate dell’estremismo femminista,
otteneva la legalizzazione dell’aborto e si conquistava un suo posto nel
lavoro, nei servizi sociali e nel campo familiare. In ogni modo, la
totalità di questi eventi, provocò una vera e propria rivoluzione in tutti
i campi della vita quotidiana. Innanzitutto, una componente
fondamentale, del nuovo universo culturale, fu costituita dalla nascita
della musica leggera. La canzone già aveva conosciuto una notevole
diffusione con la radio, ma con il perfezionamento degli strumenti di
riproduzione del suono conobbe un ulteriore sviluppo. Poi continuò
quel boom demografico, già iniziato con la fine della II guerra
mondiale, ma che interessò principalmente i paesi del Terzo mondo. I
fattori principali che lo determinarono furono il miglioramento delle
condizioni igieniche e la mancata educazione alla pianificazione
familiare, cosa che invece è avvenuta per gli stati industrializzati (per i
quali si prevedeva negli anni futuri una crescita zero, dovuta anche
all’introduzione dei contraccettivi orali -la pillola-). Ma più di ogni
altra cosa, gli anni 60’ rappresentano l’età del consumismo, il cui tratto
distintivo sta, non solo nella crescita globale dei consumi, ma anche
nella loro composizione. Infatti, i prodotti che venivano maggiormente
acquistati, non erano i generi alimentari, ma l’abbigliamento, gli
elettrodomestici, le automobili ecc.Questa crescita del commercio
venne favorita dai messaggi pubblicitari, amplificati dai mezzi di
comunicazione di massa. E’ questa la fase in cui comincia a diffondersi
il più grande tra i mezzi di comunicazione: la televisione. Il suo
avvento ebbe effetti rivoluzionari in tutti i campi, offrendo la
possibilità di mostrare le immagini di un evento, in tempo reale. Essa
portò lo spettacolo dentro le case, creando nuove abitudini familiari e
una nuova cultura di massa: una cultura in cui l’immagine tende a
prevalere sulla parola scritta.
STORIA DELL’ARTE
Pop Art (espressione artistica di quegli anni)
In effetti, sono questi i cambiamenti che ben presto porteranno
ad una nuova espressione dell’arte, del tutto originale, che si adatterà
alle nuove esigenze del mondo culturale: l’arte di tutti, alias Pop Art. I
pittori, infatti, erano diventati un tutt’uno col mondo fisico esterno,
tanto che era impossibile capire quanto fosse dovuto all’autore e
quanto lo influenzasse il mondo esterno; il perché di questo derivava
dal fatto che l’immaginazione di tutti, e in particolare dei pittori, era
stata impressionata dalle esplosioni nucleari, le quali non hanno
confini, fondono tutto alla loro elevata temperatura. Da ciò derivò
l’Espressionismo in cui nulla era distinguibile, tutto si consumava in
un unico fuoco. Ma, come abbiamo visto, all’alba degli anni 60’ tutto
cambiò, allontanato il terrore di una guerra atomica e cresciuta
l’approvazione per la tecnologia, vista come dispensiera d’abbondanza
e ricchezza, s’innescò il fenomeno del boom industriale e del connesso
consumismo. A questo punto, diveniva inutile “l’aggressione” alle cose
da parte degli artisti; era meglio ritirarsi e lasciarsi penetrare dalla
forza del progresso, rappresentata dagli oggetti prodotti in gran
numero dall’industrialismo rinnovato. Colui che riuscì a rappresentare,
nel migliore dei modi, questo mutamento repentino fu Roy
Lichtenstein (New York, 1923), infatti, con lui gli oggetti penetrano, si
stampano da protagonisti, nelle tele dell’artista. Ma, ad essere
rappresentati, non sono gli oggetti appartenenti ad uno stato di natura,
ma quelli usciti dal ciclo produttivo dell’uomo, definiti oggetti-cultura,
oggetti non”trovati” o “raccolti”, ma volutamente fabbricati per
soddisfare fabbisogni di massa, le merci appunto. Proprio da qui
giunge il connotato”popolare”di quest’arte, inteso non in senso di
degradazione, ma poiché si serviva di oggetti-merce, “popular”
appunto, dalla cui abbreviazione degli inglesi divenne POP. Obiettivo
di quest’arte era dunque quello di esaltare l’oggetto industriale
(trascurato dall’arte), estraniandolo dal proprio ambiente al fine di farci
notare la sua esistenza, concentrando su di esso la nostra attenzione. La
tecnica usata era quella dello straniamento ottenuta attraverso il
ricorso a diverse tecniche tutte atte a decontestualizzare gli oggetti
all’interno di una composizione artistica, in modo da giungere,
mediante la loro libera associazione, ad un significato inedito.
All’interno della pop-art ebbe successo il combine-paintings cioè
ricombinazioni di cose vere con la pittura. Gli autentici rappresentanti
della
pop-art
sono
stati
Oldenburg,
Warhol
e
il
suddetto
Liechtenstein, il primo prendeva le forme della vita, le isolava, le
ingrandiva e ne studiava i dettagli, il secondo rappresentava divi e
politici del tempo come Marilyn Monroe o Nixon,l’ultimo affrontò
l’intero mondo della mercificazione. Di fatti, una prima affermazione
di questi si compie attraverso i prodotti alimentari, come le carni, nei
supermercati, impacchettate nella plastica al pari di qualsiasi altro
prodotto confezionato ed ancora tutti gli altri prodotti esposti negli
stessi supermercati, materiale elettrico, bombolette spray, articoli
sportivi ecc., alla fine, quando poi la scena era già preparata ed
addobbata, si dedicò al protagonista: l’essere umano. Anche per
l’uomo era di scena la pubblicità, tuttavia lo riguardava anche un’altra
forma di consumo, la narrazione di storie sentimentali, infatti, in quegli
anni si consumava tanta stampa rosa, pagine e pagine di immagini
tracciate con linee larghe, flessuose e sintetiche rotte dal levarsi dei
fumetti, nuvolette che scandivano frasi stereotipate, che scorrevano in
sequenza. Intervenendo su un materiale del genere, Liechtenstein, si
fece forte di un nuovo strumento di “straniamento”: ingigantiva su tele
di ampio formato una singola casella di una “storia”, arrestando il
flusso mediante l’effetto del blocco. Anche in Europa si diffuse
rapidamente questo fenomeno, tuttavia andò trasformandosi in varie
tendenze che sconfinavano in altre (Nuovo realismo). Tra gli italiani
coinvolti troviamo Mimmo Rotella, Valerio Adamo ed Enrico Bay.
LETTERATURA ITALIANA
Moravia & Pasolini
Nel campo letterario si è notevolmente estesa, dopo la Seconda
guerra mondiale, la “cultura dell’impegno”, che ha portato alla nascita
di una classe di intellettuali engagés (impegnati). Essi hanno fatto del
rinnovamento della coscienza civile e della lotta ideologica il punto di
base della loro opera letteraria. In particolare, in Italia, l’impegno
neorealistico ha fortemente contribuito alla nascita di un modello di
intellettuale, che ha fatto della letteratura uno strumento per indagare
sul reale e cercare di migliorarlo. Tra quelli che hanno indagato
approfonditamente la realtà, spiccano i nomi di Moravia e Pasolini,
entrambi sperimentatori del male di vivere. Moravia è un neorealista,
Pasolini è un ermetico. I due analizzano il disagio del popolo e il
degrado delle classe “Borghese” come accade negli “Indifferenti” o in
“Ragazzi di vita”. Moravia fa parte di una schiera di poeti che
appartengono al Neorealismo. Ma cos’era questo Neorealismo? Il
Neorealismo, sorge nell’ambito degli scrittori appartenenti ad una
rivista fiorentina “Solaria”, fondata da Alberto Carocci nel 1926, per
caratterizzare la nuova narrativa sorta in quegli anni, volta a descrivere
o gli ambienti borghesi della città, come Moravia, o gli ambienti
provinciali. Esso sembrava essere un ritorno al Verismo, ma non è così.
Infatti,
in
quest’ultimo,
c’era
un’accettazione
rassegnata
della
condizione umana e un carattere nostalgico che non si trovava nel
Neorealismo. Tra i più grandi del Neorealismo figura il nome di A.
Moravia. Egli nacque a Roma nel 1902 e lì vi morì. La sua prima opera,
pubblicata a proprie spese, fu “Gli indifferenti”, in cui diede un’acuta
rappresentazione della società borghese moderna, scoprendone gli
idoli nel sesso e nel denaro. Il romanzo ebbe un’accoglienza pessima
almeno da alcuni critici di parte fascista, ma contemporaneamente la
critica più avveduta, da G.A. Borghese a S.Salmi a P.Pancrazi,
comprese immediatamente l’importanza dell’opera e cominciò a
mettere in luce le caratteristiche dell’arte moraviana, che erano
un’oggettività, dal punto di vista della scrittura, che si richiamava al
romanzo naturalista ottocentesco. Il titolo, “Gli indifferenti”, esprime
l’indifferenza dei personaggi verso tutto e tutti, il loro torpore
spirituale. Al centro dell’opera, vi è il personaggio del giovane Michele,
che vede, chiaramente, la negatività che lo circonda, ma non riesce a
stabilire
rapporti
col
reale,
finendo
col
perdersi
nella
sua
<<indifferenza>>. Michele è il figlio della vedova Mariagrazia, la quale
ha una relazione con Leo Merumeci. Quest’ultimo, annoiatosi della
relazione con la donna, decide di corteggiare la figlia Carla e ne diviene
l’amante. Michele che sa di vivere in una famiglia corrotta decide di
rimediare a questa situazione cercando di uccidere Leo. Arrivato a casa
di Leo, mentre gli sta per sparare Michele, si accorge di non aver
caricato la pistola, quindi da questo punto sprofonda di nuovo
nell’indifferenza. Il tipo di narrazione è quella naturalistica cioè
oggettiva e in terza persona con molto dialogo e con focalizzazioni
interne ai personaggi. Meno felice, fu la pubblicazione del secondo
romanzo, “Le ambizioni sbagliate”, che si trovava tra il “giallo” ed il
romanzo psicologico dostoievskiano, e che la critica ignorò quasi
completamente. Nell’opera “I sogni del pigro” il realismo cedeva ad
uno sperimentalismo surrealistico. La satira politica della Mascherata
(1941) fu sequestrato alla II edizione, poiché era centrata sulla grottesca
raffigurazione di un’immaginaria dittatura. Nel dopoguerra, Moravia
torna con il lungo racconto “Agostino”, in cui tratta i suoi temi più
propri, il sesso ed il denaro, individuando così nell’iniziazione
sessuale, parallela alla scoperta della proprietà privata e quindi delle
classi, l’iter attraverso cui l’adolescente entra nella società borghese,
ormai sapendo quali sono i valori con cui essa riscatta la sua cattiva
coscienza. Agostino è la storia della maturazione di un ragazzo
tredicenne, di famiglia agiata, che durante una vacanza al mare scopre
due aspetti da lui sino allora ignorati della vita, il sesso e l’esistenza
delle classi sociali. L’esperienza è traumatica e dolorosa, ma provoca in
Agostino una presa di coscienza. Venuto a conoscenza della vita reale e
conseguentemente, uscito dal limbo ovattato dell’infanzia, Agostino
sente un bisogno disperato di un paese innocente. Questo sogno di un
mondo immune della brutture della realtà, lo troviamo in Moravia
dagli “ Indifferenti” sino alla “noia”. Molto simile ad “Agostino”,
soprattutto nei temi, è il romanzo “La disubbidienza”. Nel clima
postbellico, dominato dalla speranza in una rigenerazione della società,
Moravia subisce l’influenza del populismo. E’ questo il periodo di
opere come la “romana” e la “Ciociara”. La prima opera è la storia di
Adriana, una ragazza del popolo, che lasciata dal proprio fidanzato,
diviene una prostituta, senza però perdere la sua naturale innocenza.
La “Ciociara” è un romanzo sullo “stupro” subito dall’Italia nella
seconda guerra mondiale, nel quale, per l’unica volta, compare, nella
figura di Michele ripresa in parte da quella omonima degli indifferenti,
il personaggio positivo, che professa una nobile fede per la quale
sacrifica anche la vita. In questo romanzo, il mito della naturale sanità
del popolo si incrina: Cesira, diviene disonesta per avidità, Rosetta (la
figlia), dopo aver subito uno stupro, diviene una prostituta. Pur
influenzato dal populismo, Moravia non smette di scrivere romanzi
con tema la borghesia come nel “Conformista” (1951) e nel
“Disprezzo” (1954). I temi precedentemente trattati negli “Indifferenti”,
vengono ripresi ed aggiornati nella “Noia” (1960), attraverso l’utilizzo
di strumenti culturali quali la filosofia esistenzialista ed il marxismo.
Esso è un romanzo sull’impossibilità di stabilire rapporti naturali con
la realtà sociale. La storia è incentrata sulla figura di Dino, che,
nonostante appartenga alla ricca borghesia, per vincere il disgusto, si
stacca da essa, pur sfruttandone il denaro che gli passa la ricca madre,
e vive solo e malvestito in studio di Via Margutta. Ma né l’attività di
pittore né l’amore per una ragazza, Cecilia, già amante del suo collega
pittore, Balestrieri, ed ora divisa con l’attore Luciani, libera Dino dalla
sua apatia. Fallito il tentativo di suicidio quando tenta di schiantarsi
contro un albero con la propria auto, decide di accettare passivamente
la realtà. Per Moravia il sesso è un mezzo conoscitivo. Dopo la “Noia”
si dedica ad un altro romanzo “L’attenzione” mette in questione la
forma stessa del romanzo. Le ultime opere sono un monotono ritorno a
temi già trattati, anche se fervida fu la sua produzione saggistica.
Per ciò che riguarda Pasolini, sappiamo che nacque a Bologna
nel 1922 da famiglia borghese. Si laureò in lettere con una tesi su
Pascoli. Negli anni ’40, trasferitosi dalla madre, visse in stretto contatto
con l’arcaico mondo contadino che costituì un momento essenziale
della sua esperienza. Trasferitosi a Roma, cominciò ad affermarsi come
scrittore grazie soprattutto ai due romanzi: “Ragazzi di vita” e “Una
vita violenta”. Agli inizi degli anni ’60 si dedicò alla regia
cinematografica, con una serie di film che suscitarono scalpore ad
anche scandalo (“Accattone”, “Il Vangelo secondo Matteo”, “Uccellacci
e uccellini”, “Decameron”). Pasolini è stato un protagonista della vita
culturale italiana, alla ribalta sia per la sua omosessualità e sia per le
sue posizioni polemiche nei confronti della società contemporanea, che
suscitarono reazioni violente e astiose. La formazione giovanile di
Pasolini è inserita nel clima dell’Ermetismo ed è incentrata sulla
“venerazione della poesia” vista come valore assoluto e sacro. A questa
fase corrispondono varie opere in dialetto friulano (poesie “A
Casarsa”, “La meglio gioventù”) ma anche in lingua italiana
(“l’usignolo della chiesa cattolica”). Il poeta vide l’arcaico Friuli
contadino come un mondo incontaminato trasformato nella sua
contemplazione in un Eden mitico, identificandolo con la sua stessa
giovinezza; siamo quindi nell’ambito di una sensibilità ancora
romantico-decadente. Nonostante la mentalità giovanile nei versi delle
prima opere, tuttavia si può notare come in esse si vela qualcosa di
torbido e di sofferto: l’ombra del peccato e della morte. Pasolini, infatti,
non è mai riuscito a vivere il suo slancio sensuale con immediata
innocenza e spontaneità: il suo vitalismo è sempre stato turbato dal
senso di colpa che ha le radici nella formazione cattolica. Dal punto di
vista ideologico il poeta bolognese, come molti altri scrittori del
dopoguerra, sentì il fascino dell’ideologia di sinistra. Per lui però il
marxismo fu fondamentalmente, non ideologia vissuta in modo totale,
ma
uno
stimolo
all’impegno
civile.
Elemento
fondamentale
dell’ideologia di Pasolini è la contraddizione di fondo tra slancio
irrazionalistico e senso di colpa presente in se, ma fu sempre
consapevole di ciò, dell’inconciliabile opposizione tra le due tendenze;
frutto di questo rapporto conflittuale sono le sue poesie migliori (“Le
ceneri di Gramsci”
e “La
religione
del mio
tempo”).
Tale
inconciliabilità è evidente anche nelle prove narrative più importanti
del letterato (“Ragazzi di vita” e “La vita violenta”). Elemento che
accomuna Pasolini alla narrativa di questi anni è il populismo, con la
differenza che il sottoproletariato per lui non è portatore di valore
sociali positivi nei valori della borghesia ma è qualcosa di
irrimediabilmente “altro” rispetto ad essa, una negazione totale e
oggettiva dei suoi valori. Anche l’uso insistito del dialetto romanesco
non risponde alle esigenze realistiche e documentarie del naturalismo
ottocentesco o neorealismo contemporaneo; infatti, se da un lato è una
squisita operazione letteraria basata su una ricerca filologica dall’altro
corrisponde a un bisogno di immersione totale in quella materia così
vitale e torbida al tempo stesso, di regressione in quella pura fisicità al
di qua di ogni coscienza. Durante gli anni 60’ la posizione di Pasolini
nei confronti della società muta radicalmente. Egli si rende conto
dolorosamente che con il boom economico e l’affermarsi della civiltà
dei consumi il sottoproletariato è venuto ad appiattirsi nella società,
perciò Pasolini decide di condurre una lotta più accanita contro il
“nuovo fascismo” consumistico che punta all’omogazione totalitaria
del mondo cancellando ogni differenza individuale, sociale e negando
la libertà.
FILOSOFIA
Esistenzialismo
Dal punto di vista filosofico, proprio in questi anni, trova
maggior espressione l’atmosfera esistenzialista.
Questo è un indirizzo filosofico contemporaneo, che trova le sue
premesse nelle concezioni di E.Kant e di S.Kierkegaard, in quanto da
essi deriva che l’esistenza non è essere ma solo possibilità di essere e
quindi, talvolta, anche non essere. Di qui la conclusione della
problematicità della realtà umana, che pone l’esistenzialismo in stretto
contatto con altri movimenti filosofici moderni, col pragmatismo
inglese in special modo col positivismo logico. L’esistenzialismo si
esprime però attraverso vari indirizzi. Quello di M.Heidgger, che
sostiene non essere possibile divenire più di nulla; quello di Jassen, ad
esso assai simile, che nega la possibilità di essere, quello di N.
Abbagnano, che sostiene la possibilità di scelta dell’essere a patto che
si sappia garantire e consolidare tale scelta senza essere portati al suo
annullamento; ed infine quello di J.Paule Sartre
che, riconoscendo
l’equivalenza delle possibilità esistenziali, giustifica qualunque scelta
come frutto di una libertà di indifferenza. Ne deriva che, mentre i due
primi indirizzi riducono la libertà umana alla necessità, l’Abbagnano
sostiene la possibilità dell’esistenza della struttura del mondo umano,
mentre Sartre, riduce tutto esclusivamente a libertà di indifferenza.
Quest’ultimo esistenzialismo è pertanto più diffuso, sia per la sua
facilità di interpretazione e per il terreno nel quale ha potuto
germogliare, nella gioventù, cioè, priva di senso di misura dei valori
morali, cresciuta tra gli orrori della guerra sia, in modo particolare, per
la fama letteraria di Sartre. Egli infatti non si è limitato a diffondere la
propria teoria attraverso testi specifici quali “L’etre et néant” (l’essere e
il nulla) e “L’existentialisme est un humanisme” ( L’esistenzialismo è
un umanismo) ma ha contribuito a farla praticamente conoscere per
mezzo di opere assolutamente letterarie, accanto ad altri insigni artisti
come Simon de Beauvair, Reymond Aron e Maurice Merleu-Panty, che
collaborarono anche alla rivista esistenzialista “Les temps modernes”.
L’esistenzialismo è stato interpretato come filosofia della crisi, e certo
esso si è sviluppato nel secolo scorso, anzitutto, nell’opera di alcuni
autori come Kirkegard, proprio per rispondere alla lancinante
delusione provocata dal crollo dei sistemi filosofici o al sentimento di
una colpa originale, acutizzato dalla coscienza che l’uomo è in quanto è
legato, figlio di tale colpa. E’ una corrente ideologica a sfondo
irrazionale. L’esistenza, per l’esistenzialismo, è spesso un qualche cosa
negativamente determinato, irriducibile alla ragione. Da questo
concetto è facile passare alla confusione romantica, al
lirismo
esistenzialista o ad altre forme peggiori di degenerazione. Se all’inizio
l’esistenzialismo poteva essere un antidoto giusto e utile contro
l’universalismo filosofico è poi divenuto un attacco contro la realtà,
una esaltazione dell’irrazionalismo: per questo è divenuto un fatto
relativo.
LETTERATURA INGLESE
Jack Kerouak (padre della beat generation)
Jack Kerouac was born in Lowell , Massachusetts, in 1922,the son
of french canadian immigrants. He received a stern catholic upbringing
and was educated at local schools and then he went to Columbia
University. At the end of the war he started to travel back and forth
across the states, and in New York he started lasting friendships with
the poet Allen Ginsberg, the novelist William Burroughs and the
intellectual Neal Cassady. Kerouac was influenced a lot from Cassady;
his total lack of inhibitions, his enthusiasms, a sort of permanent wild
excitement, his love of adventure make Kerouac idolize him. With
Cassady, Kerouac began his first hitch- hiking crossing of America,
which inspired his best-known novel “On the road”. After travelling
for four months, in October 1947 Kerouac came back to New York and
there completed
“the town and the city”. This novel was
autobiographical. In his works Kerouac introduced slang and
colloquial words, abolished punctuation and syntactical words and
followed free mental associations. In the meantime he continued to
work on “On the road”, narrating all that had happened during the
journey with Cassady. When the novel was published in 1957 it had a
great success; the book became a best seller and represented the “bible”
of beat generation. The popularity frightened the writer who started to
lead a solitary and crumbled life because of the abuse of alcohol and
drug. After “On the road” followed “The Dharma Bums” and “The
Subterraneous”, “Big Sur” which contains an account of the
disintegration of all hopes and “Desolation Angels”. He died in 1969
for the excessive abuse of alcohol and drug, which caused a
haemorrhage. Kerouac was the first to coin the expression “Beat
Generation”.
The word “Beat “had different meanings; it meant
“tired”, “dissatisfied”, “defeated”, and it also suggested the idea of
living to the “quick” rhythm of jazz music. The “Beatniks “ were a
group of people who reacted against the way they saw society
developing. They felt controlled, restricted, by the spread of capitalism
and puritanical standard middle- class values, which they described as
“square “. They acted on first impulse, did whatever they felt like
doing, explored nudity, sexuality and pushed their senses to the limits
of understanding; when they reached these limits, they used to take
hallucinogenic drugs and alcohol to expand their world and to became
familiar with new landscapes. They often attracted attention because of
their being different; in a period, in which there was the cult of
“masculine” virtues in America, the Beatniks used to wear their hair
long, grow beards, and wear worn-out jeans; old t-shirts and sandals
were their almost standard uniform. They advocated escapism and
created a so-called “underground culture”, which included jazz, poetry
and the oriental philosophy Zen Buddhism. The literary innovation
represented by Beats, can be seen a reaction to the academic school of
T.S. Eliot and Ezra Pound. Both Kerouac and Ginsberg, the most
important writers of the beat generation, used a so-called “hip
language”, which was vital, alive, authentic and individual, as opposed
to conventional language, which was too dull, conservative, boring,
and inadequate to express their new intense experience of reality.
“On the road” ’s text analysis
“On the road” represents the “sacre text” of the beat generation.
It was a great best seller and it is a diary – like account of Kerouac’s
wanderings across North America with Neal Cassidy. The novel lacks
a central plot, since its structure is episodic. However, three structural
elements give it cohesion:
The theme of journey, symbol of the escape from the city;
The narrator Sal Paradise, who stands for Kerouac himself;
The same group of friends who don’t always have a destination
and find nothing at the end of their journey.
The hero of the book is Dean Moriarty, a fictionalised Neal
Cassidy. Kerouac’s prose in this novel is spontaneous. His language
was vital, alive, authentic and individual, as opposed to conventional
language, which was too dull, conservative, boring, and inadequate to
express his new experience of reality. In this tales, drawn from “On
the road”, the protagonists are a group of friends who are travelling in
a car across the U. S. A. (Texas), driving from one city to another. In the
car, which is not reliable, because it was old there are three youths: Sal
Paradise (Kerouac) who has already visited Texas, Dean Moriarty
(Neal Cassidy) and Stean. They cross a lot of towns: Dalhart, Amarillo,
Childress,
Paducah,
Guthrie,
Abilene,
Coleman,
Brady
and
Fredericksburg, but they are without destination. About the narrative
tecnique, the narrator is Sal Paradise. The main narrative mode is
description, which conveys a contrast between the urban and country
setting. In the text there are expressions referring both to nature and
town.
Nature: the land by moonlight was all mesquite and wastes (line
4), on the horizon was the moon (line 4), from Fredericksburg we
descended the great western high plains (line 47).
Town: Across the immense plain of night lay the first Texas
town, Dalhart (line 1), empty cracker box town (referring to Dalhart:
line 7).
LETTERATURA LATINA
Contestazione trattata nel De Bellum Catilinae di Sallustio
Anche nell’antichità si è avuto il fenomeno della contestazione,
il De Bellum Catilinae di Sallustio ne è un esempio poiché tratta la
figura di un personaggio, Catilina, in conflitto con la società; lui cerca
di cambiarla radicalmente con una congiura. Questo è grosso modo il
suo contenuto, ma è d’obbligo fare una panoramica su tutta l’opera. Il
BELLUM CATILINAE è una delle due monografie scritte da Sallustio
tra il 43 ed il 40. Alle sue due monografie Sallustio antepone un
proemio di una certa estensione, nel quale egli vuole giustificare la sua
decisione di aver abbandonato la vita politica per dedicarsi alla stesura
di opere storiche. I proemi sallustiani rispondo all’esigenza profonda,
di dare conto della propria attività di intellettuale di fronte ad un
pubblico come quello romano. Egli attribuisce alla storiografia, un
valore minore rispetto alla politica: per lo scrittore la storiografia è
strettamente legata alla prassi Politica. Nei proemi delle monografie vi
sono pochi cenni autobiografici, che per la maggior parte spiegano
l’abbandono della vita politica con la crisi, che ha irrimediabilmente
corrotto le istanze e la società. In essi, Sallustio denuncia l’avidità di
ricchezza e di potere come i mali che avvelenano la vita politica
romana. La nostra attenzione si focalizza sul “Bellum Catilinae” che
illumina il punto più acuto della crisi, il delinearsi di un pericolo
sovversivo di qualità finora ignota allo stato romano. L’opera di
Sallustio ci fornisce molte informazioni sulla lotta delle partes degli
ultimi anni della Repubblica. Questa è in breve il riassunto dell’opera:
dopo il proemio, Sallustio traccia il ritratto di Catilina, un personaggio
contraddittorio, di animo energico, ma irrimediabilmente degenere (è
un aristocratico di antica famiglia, favorito dal regime sillano, ma poi
rovinato dai debiti). I facinorosi che Catilina ha raccolto attorno a sé,
cercano un mezzo per sfuggire alla miseria o ai tribunali, e sono
aristocratici corrotti dal nuovo costume decaduto, conseguenza del
dilagare del lusso e delle ricchezze. Catilina organizza la congiura ma
viene tradito, scoperto, condannato e costretto a sfuggire. In Senato,
intanto, si dibatte sulla sorte di quei congiurati che, meno fortunati di
Catilina, sono stati arrestati. Spiccano, messi a confronto, i discorsi di
Cesare e Catone; il primo chiede una condanna mite, il secondo insiste
per la condanna a morte.(Il ruolo d Cicerone è poco più quello
dell’onesto magistrato, capace di fare il proprio dovere). I complici di
Catilina vengono giustiziati. Lo stesso tenta di rifugiarsi in Gallia, ma
viene intercettato da un esercito al comando del nuovo console,
Manlio; costretto ad accettare battaglia presso Pistoia, muore
combattendo valorosamente. Dai discorsi che Catilina pronuncia nella
monografia sallustiana, affiorano più di una volta i motivi profondi
della crisi che da qualche tempo travaglia lo stato romano: da una parte
pochi potenti che monopolizzano cariche politiche e ricchezze,
dall’altra una massa senza potere, coperta di debiti e priva di vere
prospettive future. L’immagine, che lo storico ci da di Catilina, è
dominata dall’esigenza moralistica; mentre descrive l’operato del suo
personaggio, Sallustio lo giudica. Il tentativo di Catilina, serve a
Sallustio per condurre un’appassionata analisi della decadenza
repubblicana, del degenerare delle lotte, della corruzione diffusa,
questo è il primo excursus. Un secondo excursus, collocato al centro
dell’opera, denuncia la degenerazione della vita politica romana nel
periodo, che va dalla dominazione di Silla alla guerra civile fra Cesare
e Pompeo. Proprio da Cesare, Sallustio auspicava l’attuazione di una
politica autoritaria che sapesse porre fine alla crisi dello stato,
ristabilendo l’ordine della res pubblica, rinsaldano la concordia fra i
ceti possidenti, restituendo prestigio e dignità al senato. Nel “Bellum
Catilinae” vi è una parziale deformazione del personaggio di Cesare,
purificandolo da ogni contatto e legame con i catilinari ed evitando la
condanna esplicita della sua politica come capo dei populares.
Significativa, per capire la posizione di Sallustio, è anche la
contrapposizione dei ritratti di Cesare e Catone, che egli delinea subito
dopo il loro intervento in senato, a proposito della sorte da riservare ai
catilinari. Sallustio, sembra essere stato il primo a tentare una
riflessione serena sui due personaggi, che erano stati fieramente
avversi, e arriva ad una sorta di <<ideale>> conciliazione fra i due.
Differenziando i mores dei due personaggi, Sallustio voleva affermare
che entrambi erano positivi per lo stato romano, anzi nelle loro virtù
individua virtù complementari. I capitoli del “De Coniuratione
Catilinae” che più, a nostro avviso, riguardano il disagio giovanile
sono il III, 3-5; IV, 1-5. Se mettiamo a confronto uno dei capitoli del
proemio del “De Coniuratione Catilinae” con l’introduzione alla rivolta
vera e propria: c’è un legame politico tra la generazione di Sallustio e
quella di Catilina; a Sallustio appartengono, infatti, le stesse aspirazioni
alla trasformazione dello Stato e del senato, fino a un certo punto anche
lo stile e i metodi di Catilina, finché non si riveleranno soltanto un
pericolo, perché incapaci di produrre un nuovo ordine. Nei capitoli
introduttivi (I-IV), Sallustio giustifica il suo otium collegandolo al suo
passato di studioso e di filosofo. Il giovane provinciale sabino, infatti,
aveva in un primo tempo aderito al cenacolo pitagorico di Nicola
Figulo, filosofo dagli accesi ideali repubblicani e convinto sostenitore
della assoluta autonomia dell’intellettuale. Più tardi, la vita politica
aveva attirato Sallustio (III, tre), che si era trovato nel pieno della
trasformazione del costume politico di quei tempi, condizionato da
ambitio…invidia… (III, 4-5), tutte malattie che il giovane condividerà
con gli altri ambiziosi della sua generazione. In questa chiave, lo studio
della congiura di Catilina, assume subito il carattere dell’exemplum :
tratta di un delitto senza precedenti, novitate periculi (IV, quattro),
segno
di
un mutamento
di costume
morale
e
politico.
La
partecipazione di Sallustio a quello stesso clima, al sua contiguità con
gli ambienti descritti, da cui lo storico dice di aver ormai preso le
distanze, è testimoniata dal riferimento ad altri. Il capitolo III del “De
Coniuratione Catilinae” è il seguente: Ma io giovane, dapprima come i
più fui trascinato dall’ambizione alla vita pubblica e qui molte
avversità incontrai. Infatti la temerarietà, la prodigalità, l’avarizia
dominavano al posto della virtù, del perdere, della moderazione. I
quali mali, sebbene l’animo non esperto delle arti malvagie
disprezzasse tuttavia l’età acerba corrotta era dominata dall’ambizione
e, benché vi scostassi dai cattivi costumi degli altri, il desiderio di onore
non meno tormentava me con la stessa cattiva reputazione e la stessa
maldicenza con cui gli altri. Il contenuto del Capitolo IV che è il
proemio dell’opera è: Dunque, quando l’animo ebbe pace dalle molte
difficoltà e dai pericoli ed io decisi di tenere la restante vita lontano
dalla cosa pubblica, non ebbi l’idea di consumare il buon tempo libero
in pigrizia, né, in vero, ebbi l’intenzione di passare la vita coltivando
un campo o cacciando, (che sono) occupazioni da schiavi; ma, essendo
ritornato a quella stessa impresa e passione dalla quale mi aveva
allontanato la cattiva ambizione, decisi di scrivere, per sommi capi, le
imprese del popolo Romano, come cose che sembravano degne di
memoria, tanto più perché il mio animo era libero dalle speranze, dai
timori e dai divisamenti della repubblica. A dunque, esporrò
brevemente della congiura di Catilina, quanto più veracemente potrò;
infatti io ritengo soprattutto memorabile quel misfatto per la
inusitatezza del crimine del pericolo. Prima di dare inizio alla
narrazione devo esporre poche cose nei confronti del costume di
quell’uomo.