Terremoto Umbria e Marche - Università degli Studi di Firenze
Transcript
Terremoto Umbria e Marche - Università degli Studi di Firenze
Tecnologia Corrado Latina Murature in laterizio e resistenza sismica Dall’analisi del terremoto umbro-marchigiano una conferma sulle migliori prestazioni antisismiche degli edifici in muratura portante in laterizio Scene da un terremoto Il terremoto che ha flagellato senza requie le zone appenniniche di Umbria e Marche, nell’autunno del 1997, darà certamente materia di studio per anni a geologi e sismologi, e per la sua durata e per le sue peculiarità sismogenetiche. Ma anche la reazione complessiva della splendida gente che vive in queste terre e la solidarietà ad essa manifestata dal resto d’Italia e dall’estero (una presenza di volontari attivi e generosi, come non si vedeva dai tempi dell’alluvione di Firenze) meriterebbero di essere oggetto di analisi e di considerazione. Dalla mia prima visita di ricognizione, insieme alla delegazione americana in missione ufficiale,(1) sono tornato nelle zone sinistrate di Umbria e Marche in diverse altre occasioni. Eventi sismici di questa portata, per quanto drammatici e dolorosi, sono un‘occasione unica di ricerca, verifica e ap- La maggior parte dei crolli e dei danni più gravi ha riguardato costruzioni di epoca medievale con strutture murarie in pietrame sbozzato, principalmente in frazioni isolate, come nel caso di queste abitazioni rurali nella frazione di Forfi. prendimento, per chi si occupa di terremoti. I fenomeni sismici, la loro comprensione e l’interpretazione dei danni da essi causati presentano sempre (ancora oggi) un’alea di indeterminatezza e imprevedibilità tale da rendere ogni nuovo evento essenziale per progredire nella conoscenza, per saperne di più e meglio di quanto non si possa fare con la teoria, le indagini sperimentali, le simulazioni. Ma, dopo quasi vent’anni di esperienza maturata sul campo, devo ammettere che, oltre alle nuove “lezioni”, dallo studio dei terremoti ho appreso anche che vi sono alcuni principi generali e un insieme di esiti caratteristici a cui si conformano indistintamente, quando si va a fare il rilievo dei danni, tutti i fenomeni sismici. Per molti aspetti, gli effetti di un terremoto sull’ambiente costruito seguono invariabilmente un modus operandi drastico, mirato e determinato (“chi- 56 CIL 69 rurgico”, si potrebbe dire, adottando il termine di cui si abusa oggi per giustificare certe azioni di guerra), che lascia poco al caso e all’immaginazione. I terremoti colpiscono sempre sistematicamente e selettivamente, come un’epidemia. Aggrediscono per prime le costruzioni più deboli, malfatte e malfondate; si accaniscono sugli abusi edilizi e sulle incongruenze costruttive; dirigono la propria forza devastante su errori progettuali, esecutivi e manutentivi. È proprio in questo giustiziare impietosamente quanto è stato edificato dall’uomo (premiando il Buono e punendo il Cattivo) che risiede quel senso di catartico che nei “secoli bui” è stato associato ai terremoti, e che pure ci aiuta a capire meglio la vera causa di tanti danni sismici. E il terremoto umbro-marchigiano, in questo senso, non fa eccezione alla regola. La reiterazione delle scosse, per un Sequenza delle principali scosse nel periodo 26 settembre 14 ottobre 1997 (fonte: Istituto Nazionale di Geofisica). 1 Il terremoto senza fine Giorno Ora Magnitudo Richter Intensità Mercalli 26 settembre 02:33 5,5 VIII 26 settembre 11:40 5,8 VIII-IX 26 settembre 11:46 4,7 VII 26 settembre 15:31 4,1 V-VI 27 settembre 19:20 4,5 VI-VII 3 ottobre 10:55 4,8 VII 4 ottobre 18:31 4,3 VI 12 ottobre 13:08 4,5 VI-VII 14 ottobre 17:23 4,9 VII-VIII I resti di una costruzione in pietrame lungo la provinciale 3, tra Nocera Umbra e Gualdo Tadino. Alla scarsa qualità delle vecchie strutture murarie è da attribuire la completa dissoluzione di molte abitazioni come questa. Crollo di un’abitazione in corso di ampliamento, in località Boschetto. In casi come questo, dove è ben visibile la struttura spingente della copertura, la causa dei danni è da attribuire all’imperizia di opere di ristrutturazione ai limiti dell’abusivismo. Un maggior rispetto della normativa sismica avrebbe certamente attenuato i danni non strutturali in questo edificio nella zona industriale di Verchiano, dove al primo piano sono state omesse le legature verticali dei tamponamenti esterni. periodo di tempo così lungo da mettere in crisi le ipotesi di modellazione più consolidate (precursori sismici scossa principale - sciame sismico di assestamento), ha rimesso in discussione, giorno dopo giorno, i rilievi e le stime dei danni fatti in precedenza. Come in uno spasmodico bollettino di guerra, lo scenario delle perdite sul campo è stato aggiornato e ri-verificato, senza soluzione di continuità, per mesi. La (relativa) anomalia del fenomeno ha dato luogo a speculazioni di varia natura: ipotesi di durata contraddette nel giro di poche ore; neoteorie sismogenetiche di dubbia scientificità; lamentele continue per predizioni mancate. Quando doveva passare il peggio e chi avrebbe dovuto saperlo ? In un paese in cui anche le previsioni del tempo hanno la certezza delle estrazioni del lotto, al sottosegretario Franco Barberi è stata persino imputata una sot- tovalutazione del fenomeno, solo per aver cercato di rassicurare la gente e non alimentare il panico. Come se la sismologia fosse una scienza esatta. Vero è che una dinamica del genere ha colto tutti di sorpresa, in primo luogo gli studiosi, anche se chi ne ha più subito le conseguenze sono state le popolazioni colpite, che, da un giorno all’altro, hanno visto peggiorare irrimediabilmente ciò che restava delle proprie abitazioni, per effetto di continue scosse. Contrariamente a quanto indicava l’esperienza, l’energia complessiva del terremoto non si è liberata in un’unica scossa principale, ma è stata rilasciata a più riprese, con una serie di eventi di magnitudo notevole (superiori al quarto grado della scala Richter) nel corso di più settimane (tabella 1). “Una fortuna”, commentò allora (a costo di apparire cinico) il presidente dell’Istituto Nazionale di Geofisica, Enzo Boschi, “Se tutta l’energia di questo terremoto si fosse scaricata in un sol colpo, ci saremmo trovati di fronte a un evento sismico delle dimensioni di quello dell’Irpinia”. Ciò spiega anche perché il livello dei danni provocati dalle scosse successive a quelle di magnitudo più alta (del 26 settembre) non si sia assestato, ma sia andato crescendo progressivamente, anche a seguito di scosse di magnitudo inferiori. La scala Mercalli misura un’intensità dei terremoti basata sulla valutazione degli effetti (sintomi e danni) in forma oggettiva, ma partendo da una ideale condizione di vulnerabilità iniziale, che cambia caso per caso e da zona a zona. Ma nel caso di più scosse ravvicinate di pari magnitudo, la vulnerabilità di riferimento si modifica di volta in volta, peggiorando dopo ogni nuova scossa. È per questo che, contrariamente a quello che si tende a credere, non esiste alcuna relazione di propor- 57 TECNOLOGIA zionalità diretta fra livelli di magnitudo Richter e gradi di intensità della scala Mercalli.(2) Il quadro dei danni Gli effetti complessivamente prodotti da questo sisma sull’ambiente costruito hanno fatto ipotizzare, a tutt’oggi, opere di ricostruzione per oltre 2.000 miliardi di lire. La zona sismogenetica ha avuto un’estensione di circa 30 chilometri, con vari epicentri, ma l’area di risentimento è stata ben più vasta. Dalle analisi, come era prevedibile (considerando le caratteristiche orografiche della zona colpita e la delimitazione territoriale del focolaio sismico), la distribuzione dei danni risulta quanto mai articolata. Il patrimonio edilizio e abitativo presente in questa fascia appenninica è notevolmente diversificato. Accanto a una serie di noti centri urbani, relativamente ben sviluppati e in buone “condizioni di salute” - grazie anche a fiorenti attività turistiche e ricreative -, il terremoto ha fatto scoprire la realtà di un diffuso sistema di piccoli comuni montani, spesso smembrati in una miriade di borghi e frazioni sparsi qua e là negli anfratti appenninici, in posizioni difficilmente accessibili anche in condizioni normali. Un fenomeno insediativo policentrico, con caratteri di marginalizzazione, che accomuna le due regioni interessate dal sisma. Anche per questo la mappa dei danni fornisce dati disomogenei. La qualità delle costruzioni esistenti prima del terremoto, nel complesso, non consente di stabilire parametri qualitativi medi, ma presenta una gamma molto varia di situazioni edilizie, con livelli di affidabilità sismica diversissimi da una località all’altra, ma anche all’interno di uno stesso comprensorio territoriale. Senza dubbio, pur considerando le magnitudo del terremoto e le modalità dell’evento, i danni complessivi sono risultati inferiori a quelli che potevano essere se queste due regioni non aves- sero attuato da tempo una discreta politica di prevenzione sismica, per le nuove costruzioni e per quelle esistenti, sia come conseguenza della riclassificazione sismica del territorio dei primi anni ’80, sia per aver sperimentato terremoti di una certa intensità nell’arco degli ultimi vent’anni (fra gli altri, quello in Valnerina del 1979). A parte il numero relativamente basso di perdite umane (12 decessi, molti dei quali indotti sì dal terremoto, ma non determinati da crolli), sono state colpite oltre 400 località, fra centri urbani e frazioni, di cui più di 200 con danni stimati variabili dal X al VI grado della scala Mercalli.(3) I nomi di alcuni di questi luoghi (Cesi, Collecurti, Verchiano, Annifo, Sellano, Casenuove, Colfiorito, Preci, Serravalle di Chienti, Nocera Umbra, …) sono stati resi tristemente familiari dalle numerose cronache mediatiche. Dalle località visitate lungo la dorsale appenninica, nei luoghi maggiormente colpiti si può registrare un numero elevatissimo di edifici lievemente danneggiati, moltissimi edifici parzialmente danneggiati e una notevole quantità di costruzioni del tutto crollate o destinate ad essere demolite. Per quanto riguarda le vecchie costruzioni, all’estremo superiore si sono collocate generalmente le seconde case ristrutturate meglio e più di recente, spesso appartenenti a proprietari (stranieri, in particolare) che le utilizzano stagionalmente. All’altro estremo, gli edifici che hanno subito danni maggiori sono state abitazioni e annessi rurali, soprattutto di tipo isolato, ma anche edifici di località storiche meno interessate da attività turistiche intensive, in cui sono risultate evidenti carenze di manutenzione edilizia e di opere di ristrutturazione recenti.(4) A grande scala, il patrimonio storico prevalente è di epoca medievale e rinascimentale, con tipologie che comprendono il casalino, la casatorre colombara, la villa e il palazzo gentilizio. Materiali da costruzione 58 CIL 69 tradizionali sono tipicamente la pietra calcare (bianca e rosa), l’arenaria, pietre tufacee e laterizi.(5) La risposta di questi materiali all’azione sismica, con le dovute differenze determinate dalla maggiore o minore vicinanza all’area epicentrale, dalla posizione geo-topologica e dalle differenti situazioni costruttive (edifici isolati o aggregati), è stata nel complesso molto scarsa. In molti casi, e con particolare frequenza nel caso di edifici in pietrame, le strutture portanti presentavano apparecchiature murarie estremamente deboli, in pietra sbozzata o a sacco, del tutto inadeguate a resistere ad azioni orizzontali. La presenza di cantonali e rinforzi locali in pietra squadrata ha in molti casi contribuito a evitare danni più gravi. Benché meno frequenti nelle costruzioni più antiche, di epoca medievale, le strutture murarie in mattoni, più utilizzate in edifici di epoca rinascimentale o successiva, hanno ancora una volta confermato di fornire una risposta più efficace all’azione del terremoto. Ciò vale anche per edifici in pietrame sciolto che presentavano cantonali, riquadri di aperture o rifacimenti di pareti in mattoni. Un esempio eclatante di questa differenza di comportamento è stato rilevato nel centro storico di Nocera Umbra, dove la torre civica medievale, in pietrame sbozzato, è stata letteralmente dissolta dal terremoto, mentre a pochi metri di distanza la torre campanaria della cattedrale, del XVIII secolo, con struttura in mattoni, non ha subito danni evidenti. Questa diversità di comportamento è confermata anche dal relativo minor danno che hanno subito le località storiche che si sono sviluppate in epoche più recenti (come Fabriano), in cui prevalgono tecniche costruttive murarie basate sull’impiego più del laterizio che della pietra. I danni agli edifici “rinforzati” Nell’ambito delle costruzioni di epoca storica, un discorso a parte va fatto per Il caso di Sellano, ricostruita e consolidata dopo il terremoto del 1979 in Valnerina. Il semplice rispetto di norme antisismiche non può costituire per sé una garanzia a fronte di imperizie esecutive come quelle ravvisabili in questo edificio. Ma risulta essenziale quando l’intervento è attuato con particolare cura, come nel caso di questa costruzione, posta all’estrema punta del piccolo centro umbro, che non ha subito alcun danno. edifici che avevano subito interventi di miglioramento o rinforzo sismico negli ultimi decenni, sulla cui effettiva validità si è continuato a discutere in questi anni. Questo terremoto costituisce senza dubbio una verifica diretta dell’efficacia di questi interventi. Dal rilievo dei danni è emerso che in molti casi sono risultate danneggiate, a volte anche pesantemente, costruzioni che erano state rinforzate da pochi anni con criteri antisismici. Un caso che ha richiamato l’attenzione della stampa è quello di Sellano, piccolo centro umbro su un crinale isolato quasi al confine con le Marche, che era stato “ricostruito” completamente dopo il terremoto del 1979 in Valnerina (lavori ultimati nel 1995, per una spesa complessiva di circa 20 miliardi). Sellano è uno dei centri più danneggiati che ho avuto modo di visitare, e dal rilievo dei danni risulta evidente non solo l’inefficacia di alcuni interventi di consolidamento, Edificio lievemente danneggiato, a Nocera Scalo, in corso di rinforzo con rete elettrosaldata e betoncino. L’uso indiscriminato di questa tecnica di consolidamento è da sconsigliare. ma anche una loro probabile responsabilità nel peggiorare la resistenza degli edifici. Ma qui il discorso si fa ben più complesso. Mettendo da parte i casi di speculazione, che probabilmente saranno presenti in discreta percentuale nelle centinaia di vecchie costruzioni “consolidate” in tempi recenti e danneggiate ora dal terremoto, sui quali immagino stiano indagando più opportunamente magistrati e periti, la responsabilità principale di ciò che si può definire un fallimento è soprattutto della nostra cultura edilizia in materia di consolidamento. Ci sono, in primo luogo, le carenze normative. Le norme tecniche per interventi sulle costruzioni esistenti in zona sismica ci sono dal 1986 (il famoso punto C.9) e sono senza dubbio fra le migliori indicazioni progettuali e costruttive presenti nel nostro corpus normativo. Ma sono purtroppo arrivate dopo anni di bonifiche sismiche 59 TECNOLOGIA Un edificio indenne nel centro storico di Verchiano. Rispetto alle tradizionali costruzioni in pietrame, le strutture murarie in mattoni hanno generalmente dimostrato una maggiore resistenza al terremoto. attuate con tecniche di rinforzo, fondate prevalentemente su un radicale irrigidimento complessivo degli edifici, a base di iniezioni armate e lastre di rete elettrosaldata e betoncino. È a partire dal terremoto friulano del 1976 che (importando questa tecnica dalla vicina Jugoslavia) questa sorta di “bunkerizzazione” degli edifici diviene, per antonomasia, il rimedio principe per tutti i mali sismici. Prova ne sia che anche dopo i terremoti in Valnerina (1979) e in Irpinia (1980), sino ad arrivare ai nostri giorni, i rinforzi in cemento armato di fondazioni, muri, solai e coperture rappresentano una comoda soluzione priva quasi di alternative.(6) Col senno di poi, ma soprattutto sulla scorta della più recente letteratura scientifica in materia, oggi siamo in grado di dire che non sempre queste tecniche sono benefiche, mentre nel caso generale rappresentano una estrema ratio alla quale bisognerebbe ricorrere solo in casi particolari e valutando attentamente “modalità di somministrazione e controindicazioni”. Se, come sembra, nella ricostruzione di Sellano, o più in generale, nella prassi delle due regioni, sono stati diffusamente operati rinforzi sismici di questa natura, non sorprende ora che l’efficacia di queste misure, alla prova del terremoto, non sia risultata conseguente alle aspettative. Circa la validità della riparazione di muri attuata con l’applicazione di “lastre in cemento armato o reti elettrosaldate” vorrei evitare fraintendimenti, trattandosi di un provvedimento utile a risolvere svariati problemi strutturali in edifici esistenti. Quando però se ne prevede l’adozione per incrementare la resistenza di un edificio ad azioni sismiche è necessario valutarne i benefici complessivi con molta attenzione. Nella scelta di tale intervento bisogna tenere conto dell’opposta influenza che hanno, sul comportamento dell’edificio nel suo insieme, gli incrementi e di “resistenza” e di “rigidezza”. Perché, se i primi migliorano certamente il comportamento strutturale dell’edificio, i secondi (spostandone i periodi propri nella zona di maggiore amplificazione dello spettro di risposta) esaltano in genere gli effetti sismici. Inoltre, nel concentrare la propria attenzione sul rinforzo dei setti murari, il progettista dimentica spesso il controllo di altri aspetti della resistenza sismica complessiva dell’edificio. Il metodo POR, com’è noto, pone ipotesi di comportamento e di verifica strutturale che mal si adattano a tutti i casi, e si basa su alcune ipotesi di modellazione (meccanismo di collasso di tipo tagliante; comportamento delle pareti a mensole incastrate; resistenza teorica a trazione della muratura, ecc.) che non sempre trovano fondamento dopo l’effettiva esecuzione delle opere di rinforzo; e, ove non bastasse, omette ipotesi di collasso determinate, ad esempio, da travi di collegamento “infinitamente rigide”, insufficiente collegamento tra solai e pareti, scollegamento tra pareti ortogonali, inadeguata rigidezza dei solai, e così via. L’applicazione indiscriminata del POR è stata ampiamente criticata nelle Raccomandazioni e direttive della Commissione Ballardini-Gavarini (1987-89) per interventi su edifici a carattere monumentale (tipologie specialistiche), ma l’estensione di quelle riserve a molti edifici comuni (come ha fatto la regione Basilicata) non sembra fuori luogo. Non è un invito ad abbandonare una tecnica che può essere (come si è rivelata) benefica in molti casi, ma un suggerimento a essere meno sbrigativi nel proporre misure di rinforzo che, nel caso generale, stravolgono l’impianto originario di un edificio in muratura con l’apporto di materiali e caratteristiche reologiche affatto diversi. Il problema, semmai, nasce dal determinismo progettuale con cui sono spesso attuati questi interventi di rinforzo, quando si attribuisce loro effetti strutturali taumaturgici (e questo ho personalmente rilevato in quelle zone, nei confronti di questa tecnica) o, peggio ancora, quando ci si sente rassicurati dal sottile fascino algoritmico di “verifiche numeriche” assistite da un programma di calcolo numerico. Quando si opera su edifici storici con strutture portanti disomogenee e discontinue, per contro, al progettista si impone grande cautela e minore speditezza, perché anche l’intervento più attento e discreto può alterare le probabili condizioni di assestamento costruttivo raggiunto dall’organismo edilizio nell’arco delle sue vicende storiche (che in molti casi comprendono anche terremoti superati con danni minori). La raccomandazione di fondo è di fare un’analisi “intelligente” dell’edificio, studiandone attentamente sia le caratteristiche individuali, sia l’integrazione con gli edifici adiacenti e con il terreno. Il che spesso e volentieri non succede, per la pessima abi- 60 CIL 69 tudine di procedere con analisi sommarie nella fase investigativa, proponendo acriticamente, a livello esecutivo, soluzioni standard riprese dalla manualistica corrente o suggerite per emulazione da altri contesti, senza porsi il problema della reale efficacia dei provvedimenti adottati nel proprio caso. Se a ciò si aggiunge la frequente e incontrollata imperizia al momento della esecuzione in opera di queste soluzioni, appare evidente la delicata responsabilità che presiede all’attuazione di un intervento su un edificio esistente, specie quando sono in gioco probabili azioni sismiche di entità e natura preventivabili solo con grande approssimazione. Le stesse norme tecniche per costruzioni in zone sismiche, del resto, oltre a indicare i “provvedimenti tecnici di miglioramento e adeguamento intesi ad aumentare la resistenza strutturale”,(7) suggeriscono altri criteri di intervento (meno radicali, ma anche più complessi da concepire) destinati a ridurre (a monte) gli effetti sismici, comprendenti la riduzione delle masse non strutturali, la creazione e l’adeguamento dei giunti, la riduzione degli effetti torsionali e la modifica (o ridistribuzione) delle rigidezze. Ciò detto, è vero anche che molti edifici consolidati più di recente nelle zone terremotate hanno avuto un comportamento molto soddisfacente e non hanno subito danni di rilievo. E forse, dovremmo partire proprio dallo studio di questi casi per migliorare le nostre conoscenze sulle tecniche di rinforzo sismico. La risposta delle costruzioni in muratura di laterizio Nel quadro complessivo dei danni provocati dal terremoto, un caso a sé è costituito dalle nuove costruzioni, virtualmente (se non realmente) progettate e costruite secondo criteri antisismici, e quindi nel presunto rispetto delle norme tecniche, che sono risultate danneggiate oltre il dovuto. Assodato che lo spirito delle Gli edifici più recenti in muratura portante (anche non armata) ben progettati e costruiti in blocchi di laterizio hanno manifestato una notevole capacità di resistenza al terremoto. Nelle immagini, una costruzioni in prossimità di Sellano, in località Cerreto, in corso di ultimazione. Altra abitazione in corso di ultimazione in località Cerreto. In questo edificio, già in corso di finitura, neanche l’intonaco ha subito alcuna lesione. norme tecniche per costruzioni in zone sismiche è quello di garantire comunque la stabilità strutturale dell’edificio, ammettendo una possibilità di danni non strutturali, c’è da dire che la normativa in quanto tale non può essere concepita come deus ex machina che risolve una volta per tutte i problemi di una costruzione. Molti dei danni che ho avuto modo di rilevare, a conferma di alcuni principi antisismici dei quali sono fortemente convinto, sono da imputare a irregolarità di configurazione o a errori costruttivi ed esecutivi che poco hanno a che fare con le indicazioni normative. Il che vale soprattutto per le innumerevoli costruzioni abusive e autocostruite, letteralmente squassate dal terremoto, la cui povertà costruttiva avrebbe comunque costituito un rischio per gli abitanti indipendentemente da azioni di natura sismica. Nel novero degli esiti positivi evidenziati da questo terremoto deve essere invece incluso il buon comportamento delle costruzioni in muratura portante in mattoni e blocchi realizzate di recente, al cui dimensionamento progettuale hanno giovato non poco le norme tecniche del 1987. Un’affidabilità che è stata confermata anche nel caso di costruzioni in muratura semplice, sia in laterizio, sia in pietrame squadrato, progettate e costruite a regola d’arte, dotate di cordoli e di una adeguata distribuzione di rigidezze. I casi esaminati sono tanti, particolarmente nelle zone in cui sono stati registrati i danni maggiori. Il miglior comportamento degli edifici con murature in laterizio è stato verificato sia su edifici molto recenti, anche in fase di ultimazione, le cui caratteristiche costruttive erano pertanto rilevabili a vista, sia su edifici con qualche decennio di vita. Nel caso di costruzioni isolate, da uno o due piani, l’assenza di danni è stata riscontrata anche nel caso di 61 TECNOLOGIA morfologie edilizie non particolarmente semplici. Per edifici inseriti in comparti edilizi di maggiore estensione, inoltre, le migliori prestazioni di strutture murarie in mattoni o blocchi risultavano evidenti al confronto diretto con contigui edifici in pietrame sbozzato o anche a struttura intelaiata in calcestruzzo armato. Quando disporremo di analisi più dettagliate e complete sui danni relativi agli edifici più recenti, progettati in base a precisi criteri normativi, è probabile che sia confermata una di quelle regole a cui non sfugge alcun terremoto, e cioè che il livello dei danni risulterà inversamente proporzionale al periodo normativo di costruzione. Come è stato verificato nel corso di tutti i terremoti di questo secolo, a livello internazionale, l’evoluzione delle norme tecniche se, da una parte, migliora progressivamente la qualità delle nuove costruzioni, dal- 1 2a 2c 3 2b 1. Edificio artigianale a Ponte Parrano, privo di danni. Da notare la buona qualità esecutiva di queste, pur modeste, costruzioni, in cui i dettagli costruttivi sono eseguiti a regola d’arte, nel rispetto delle indicazioni normative. 2. Altre abitazioni in muratura in blocchi di laterizio prive di danni, nella zona epicentrale, a Colle (a), Corcia (b) e Verchiano (c). 3. La caserma dei carabinieri a Casenove, devastata dal terremoto. Un caso limite di carenza (o totale assenza) di misure di prevenzione sismica. l’altra, non avendo valore retroattivo, crea di fatto una condizione di “vulnerabilità d’ufficio” per tutti gli edifici, costruiti precedentemente, che non sono in condizione di soddisfare i nuovi livelli di sicurezza. Così è stato, nel 1985, per il terremoto di Città del Messico; così è stato, nel 1995, per il terremoto di Kobe in Giappone. Ritorna quindi il problema della prevenzione, in forma di monitoraggio delle costruzioni esistenti, e non solo di quelle più antiche, ma anche di quelle realizzate solo dieci anni fa. Un problema che, come ha messo tragicamente in luce l’ultimo episodio di crollo “spontaneo” di una palazzina a Roma, nel dicembre 1998, non riguarda solo gli edifici esposti al rischio sismico ma tutte le costruzioni in genere. ¶ Note 1. La prima spedizione ricognitiva statunitense era formata da Stephen Tobriner, Mel Green e Mary Comerio, in rappresentanza di EERI (Earthquake Engineering Research Institute), CUREE (California Universities for Research in Earthquake Engineering) e NSF (National Science Foundation). 2. Facciamo un esempio. Se nel comune X una scossa di magnitudo Richter 5.0 produce effetti (danni) corrispondenti al VII grado della scala Mercalli, nulla vieta che, il giorno dopo, una scossa di magnitudo minore, diciamo 4.4, produca ancora effetti pari al VII grado o anche dell’VIII: perché la seconda scossa colpisce edifici che sono più vulnerabili, in quanto già danneggiati, del giorno prima. Fra l’altro, poiché l’intensità Mercalli si valuta rilevando oggettivamente gli effetti provocati da una scossa, a meno che non sia stata fatta una valutazione tempestiva dei danni subito dopo la prima scossa, risulta difficile, dopo la seconda, discernere gli effetti prodotti dalla seconda da quelli della prima. 3. Questa stima è stata fornita in rete dal sito Internet del Servizio Sismico Nazionale. Per quanto di tratti di un’area che negli ultimi decenni ha risentito con frequenza di eventi sismici, bisogna risalire al 1791 per trovare – nel Catalogo Storico - un 62 CIL 69 terremoto di simile intensità (VII-VIII grado MCS). 4. Un confronto esemplare, in questo senso, è quello fra i centri storici di Nocera Umbra e Spello: nel primo il livello dei danni è risultato elevatissimo, nel secondo minimo. A parte specifiche condizioni insediative, che hanno certamente influito sulla risposta locale al terremoto, è soprattutto al diverso livello di conservazione e di qualità manutentiva che si deve questa differenza di comportamento. 5. Un’interessante disamina dei tipi costruttivi storici colpiti dal sisma è stata fatta da Alfio Moretti in uno dei primi convegni sul tema indetti dopo il terremoto dall’ANIDIS e dal Servizio Sismico Nazionale (Edifici in muratura in zona sismica: Interventi di rafforzamento e ricostruzione, Perugia e Ancona, 27-28 novembre 1997). 6. Altra situazione in cui si sta abusando impropriamente di questa tecnica, in questo periodo, è quella della Sicilia sudorientale, per la riparazione degli edifici danneggiati dal terremoto del dicembre 1990. 7. D.M. 16.01.1996, punto C.9.3 (Provvedimenti tecnici di intervento). Terremoti, prevenzione e cultura della sicurezza Ho appena finito di assistere ai notiziari televisivi serali.* Davanti agli occhi mi sono passate scene strazianti a cui dovrebbe avermi assuefatto la mia esperienza di studio sui disastri, e sui terremoti in particolare, eppure non posso fare a meno di sentirmi profondamente turbato e indignato. Da stanotte migliaia di umbri e marchigiani dormiranno all’addiaccio. Domani sui quotidiani di tutta Italia inizierà il solito ‘barnum’ di polemiche, accuse, ricerche di responsabilità, di capri espiatori. I partiti di opposizione avranno un efficace argomento per mettere sotto accusa il governo, mentre questi farà l’impossibile per dimostrare che è stato fatto tutto il possibile. La verità è che siamo tutti un po’ responsabili, di questo e dei tanti altri disastri che funestano questo martoriato Paese: governanti e governati. Perché bisogna proprio cercare in realtà socialmente ed economicamente arretrate, da terzo e quarto mondo (senza offesa per alcuno), per trovare livelli di incuria e spregio della sicurezza paragonabili a quelli che esistono in Italia. Ma non tanto, o non solo, per “quello che non è stato fatto in passato” (e, guarda caso, sempre da qualcun altro) ma per quello che facciamo o, più che altro, non facciamo tutti indistintamente nel presente. Ho assistito (allibito) alla scena dei tecnici e dei monaci seppelliti dal crollo della volta della Basilica di San Francesco ad Assisi. Ma è mai possibile che nell’ispezionare un edificio di quel genere, già danneggiato dalla prima scossa, nessuna di quelle persone avesse in testa un casco di protezione ?... Chi può avere interesse per la sicurezza collettiva quando pochi si curano della propria sicurezza ? Siamo uno dei pochi Paesi al mondo in cui le cinture di sicurezza non le mettono neanche poliziotti e vigili urbani… Sono convinto che il professor Barberi farà, come ha già fatto, molto meglio dei suoi predecessori in quel ruolo: è competente e con opportune sovvenzioni o mutui agevolati ? Perché mai ogni nuovo adeguamento a norme di sicurezza (antincendio, barriere architettoniche, cantieri e quant’altro) deve essere attuato in forma coercitiva, per risolversi sempre in un aumento dei costi di progettazione e realizzazione, così favorendo l’elusione ? “Gli eventi che oggi saranno attribuiti alla volontà divina”, ammoniva Notorius Ambraseys, “domani saranno considerati solo atti di criminale negligenza”. Se il verificarsi di un disastro ha finito per essere una condizione essenziale (se non la sola) per intervenire, non fa la cresta sulle commesse della protezione civile. Anche perché è il primo a ripetere, convinto e sconsolato, che il problema della salvaguardia dai grandi rischi non può essere confinato alla gestione delle emergenze: bisogna prevenire. E per prevenire bisogna investire in prevenzione. Studiare la vulnerabilità del territorio, pianificare l’adeguamento dell’ambiente costruito, agevolare finanziariamente gli interventi di tutela e di bonifica. E, per quanto riguarda la sicurezza sismica, soprattutto quelli dei privati, dei piccoli proprietari, sul patrimonio edilizio diffuso, e non solo quelli sugli edifici monumentali. Possibile che si trovi il modo di favorire il rinnovo del parco automobilistico nazionale con incentivi sulla rottamazione, mentre non si è mai minimamente affrontato il problema del miglioramento sismico delle abitazioni c’è solo da augurarsi che questa nuova sciagura induca il governo, dopo tante promesse, a dare seriamente una mano al settore edilizio per farlo uscire dal coma in cui langue da anni, attuando anche - a partire dalla Finanziaria in discussione – consistenti misure di incentivazione di interventi di prevenzione sismica e di salvaguardia degli edifici esistenti. 63 TECNOLOGIA * 26 settembre 1997, ore 20:30