Nascita ed evoluzione della figura professionale dell`ingegnere

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Nascita ed evoluzione della figura professionale dell`ingegnere
Nascita ed evoluzione della figura professionale dell’ingegnere chimico
All’inizio del 19° secolo in Germania si ebbe un grande sviluppo della chimica e delle università ad
essa dedicate. Il principale responsabile della ricerca universitaria fu Alexander von Humboldt, un
eminente naturalista: studiando in Francia aveva avuto modo si constatare l’enorme potere di quella
nazione, anche dopo la sconfitta di Napoleone, in confronto alla scarsa unità e arretratezza della
Germania dell'epoca. Intuì quindi che le scienze avrebbero offerto alla Germania l’occasione di
mettersi alla pari con la Francia e soprattutto con la Gran Bretagna, vincitrice su Napoleone e
promotrice della rivoluzione industriale. Humboldt convinse un altro giovane, Justus von Liebig
(anch’egli studente in Francia, sotto la guida di Joseph Gay Lussac), a tornare in Germania per
fondare la prima scuola scientifica di Chimica all’università di Giessen alla fine degli anni '20. Il
suo metodo di insegnamento consisteva in esperimenti di laboratorio svolti con sistematicità e nella
ricerca di base. La sua influenza fu così grande che i suoi assistenti e allievi si diffusero nei vari
stati che costituivano la Germania e persino in Gran Bretagna, dove un suo assistente, Augustus
Wilhelm Hofmann, fondò il Royal College of Chemistry. Gli studenti provenivano da tutto il
mondo per studiare in Germania, anche dagli Stati Uniti dove le università dedicate alla ricerca
nacquero verso la fine del 19° secolo e dove il Massachussetts Institute of Technology (MIT) non
riuscì a dare il primo titolo di PhD (Doctor of Philosophy) fino al 1903, mentre in Germania ciò
avveniva già dai tempi di Liebig. Non stupisce quindi il fatto che l’industria chimica tedesca,
sviluppandosi dallo studio della chimica dei coloranti, dominasse fino alla prima guerra mondiale.
Nonostante lo sviluppo raggiunto dall’industria chimica, l’ingegneria in Germania non venne tenuta
in grande considerazione: la chimica era la scienza imperante mentre gli ingegneri dovevano essere
al servizio dei chimici per la progettazione degli impianti. Nell’era delle tinture, lo scale-up degli
impianti consisteva sostanzialmente nel ripetere su scala maggiore i processi di laboratorio e i
prezzi dei prodotti eccedevano di molto i modesti costi di produzione. I chimici occupavano le
posizioni di maggior rilievo e dominavano le organizzazione di ricerca. Così lo sviluppo
dell’ingegneria chimica in Germania avvenne non nelle università ma nelle industrie chimiche.
Le cose andarono diversamente negli Stati Uniti, dove la professione di ingegnere chimico iniziò
nel 1888. Nonostante il termine "ingegnere chimico" si fosse diffuso nei circoli tecnici già negli
anni '80, non esisteva nessuno speciale corso di laurea dedicato alla formazione di questa figura
professionale. L’ingegnere chimico di quei tempi era un ingegnere meccanico che aveva conseguito
alcune conoscenze nel campo delle apparecchiature dei processi chimici, o un capo di impianto
chimico con una grande esperienza ma scarsa preparazione scientifica, o ancora un chimico
applicato con conoscenze di reazioni chimiche nell’industria di grande scala. Nel 1880 George
Davis cercò senza successo di unire questi diversi professionisti in una Società di Ingegneri
Chimici. Questa situazione alquanto confusa cambiò nel 1888, quando il professor Lewis Norton
del MIT fondò il cosiddetto “Corso Dieci”, istituendo formalmente la laurea in Ingegneria Chimica.
Altri istituti, come l’Università della Pennsylvania e l'Università di Tulane, seguirono presto questo
esempio fondando corsi di laurea in Ingegneria Chimica nel 1892 e nel 1894.
La situazione che si determinò negli Stati Uniti fu dovuta alla diversa natura di questa nazione.
Essendo infatti molto estesa, ebbe il ruolo di pioniere nello sviluppo di produzioni di massa a basso
costo. A differenza della Germania e dell’Europa, gli ingegneri e l’ingegneria erano qui molto
rispettati.
Il termine "ingegnere chimico" fu usato anche in Inghilterra da George E. Davis dell’Università di
Manchester, anche se la disciplina non venne inserita in un curriculum di studi.
La prima Società di Ingegneri Chimici (American Institute of Chemical Engineers, AIChE) fu
fondata nel 1908 a Filadelfia dal professor William H. Walzer del MIT, che aveva ottenuto il PhD
in Germania a Göttingen. Egli dovette combattere con l'American Chemical Society (ACS) per il
dominio sull’ingegneria chimica americana. In Gran Bretagna l’istituzione di una società degli
ingegneri chimici avvenne solo dopo la prima guerra mondiale, nel 1922, sulle linee guida
dell’AIChE. La professione ebbe tuttavia difficoltà a diffondersi. Le università britanniche,
governate a Oxford e Cambridge, non appoggiavano questo tipo di ingegneria. Anche la chimica
non era enfatizzata come le lauree in campo umanistico e classico, che avevano tradizioni secolari.
L’industria chimica britannica fu divisa e poco competitiva fino a che il governo, allarmato
dall’avanzare della chimica e dell’industria chimica tedesca, fondò l’Imperial Chemical Industries
(ICI) riunendo quattro organizzazioni minori. Finalmente la Gran Bretagna poteva opporsi al
cartello della I.G. Farben formato nel 1925 da compagnie precedenti già molto forti.
Negli Stati Uniti l’intervento del governo non fu necessario. Le piccole compagnie private si
accorsero della loro debolezza e il risultato fu la formazione, dopo la prima guerra mondiale, di
grandi compagnie come la Union Carbide, L’American Cyanamid e altre, mentre la DuPont iniziò
la sua espansione del campo delle tinture e dei polimeri e fece numerose acquisizioni. Nel 1920 il
MIT fondò il primo Dipartimento di Ingegneria Chimica totalmente indipendente e la domanda di
laureati in ingegneria chimica superò presto quella di laureati in chimica, invertendo la situazione
esistente prima della Grande guerra. Le altre università seguirono poi l'esempio del MIT.
L’evoluzione dell’ingegneria chimica negli Stati Uniti fu fortemente legata all’industria del petrolio.
La Esso si accorse delle proprie carenze culturali in seguito all’esplosione dell’uso delle automobili
dopo la prima guerra mondiale: era essenziale imparare a produrre grossi quantitativi di benzina e
per questo nel 1919 venne fondata la Esso Research and Engineering, appoggiandosi al MIT per lo
sviluppo dei nuovi processi. Così l’insegnamento e la ricerca si svilupparono di pari passo. Il primo
libro di questa nuova disciplina fu Principles of Chemical Engineering (1923) scritto da Walzer,
Lewis e William McAdams. Anche nei laboratori di ricerca chimici fu ritenuto essenziale
l’inserimento di ingegneri chimici per trasferire su scala industriale le scoperte scientifiche.
È utile ricordare che questi sviluppi e le loro basi sulle operazioni unitarie erano ampiamente
incentrati sulle operazioni fisiche (distillazione, trasferimento di calore, termodinamica,
fluidodinamica, filtrazione, evaporazione, macinazione e simili). C’erano corsi sulla combustione e
sulla progettazione dei forni tenuti dal professor Hottel al MIT, ma l’ingegneria delle reazioni
chimiche non assurse a dignità propria fino al 1947 con il testo di Hougen e Watson.
La Germania conobbe uno sviluppo differente. In Europa infatti solo la Gran Bretagna seguì un
percorso simile agli Stati Uniti, essendo anch’essa interessata all’industria del petrolio attraverso la
British Petroleum e la Shell.
Nel 1908 Fritz Haber sviluppò un processo di laboratorio per utilizzare l’azoto atmosferico nella
sintesi dell’ammoniaca. Lo sviluppo del processo su scala industriale richiedeva grande abilità
ingegneristica ma nessuno aveva competenze in questo campo. Haber condivise quindi il suo
processo con Carl Bosch della BASF. Bosch poteva vantare nel curriculum di studi sia la laurea in
Chimica che quella in Ingegneria Meccanica, cioè, in un certo senso, era quello che attualmente si
intende per ingegnere chimico. Bosch utilizzò le grandi risorse della BASF e nel 1911
commercializzò un piccolo impianto (avente però già scala industriale) per produrre ammoniaca. Lo
sviluppo richiese molti esperimenti sulla catalisi della reazione, aprendo in questo modo la via alla
catalisi eterogenea industriale su larga scala. Haber e Bosch ricevettero entrambi il premio Nobel.
Durante la prima guerra mondiale il governo del Kaiser Guglielmo ordinò molti impianti di questo
tipo a causa del blocco alle importazioni di fertilizzanti a base azotata operato della Gran Bretagna.
Alla fine della guerra si verificò un eccesso di produzione di ammoniaca in Germania, così Bosch e
il suo gruppo si dedicarono allo sviluppo di altri processi ad alta pressione. Svilupparono il processo
di produzione del metanolo, l’idrogenazione del carbone, la chimica dell’acetilene eccetera.
Nonostante i progressi dell’ingegneria chimica nell’industria, le università tedesche e gli istituti
tecnici non avevano ancora corsi di ingegneria chimica. La collaborazione che c’era stata fra
università e industria all’inizio del 19° secolo per lo sviluppo dei coloranti era venuta a mancare. La
BASF aveva investito molto nello sviluppo dei processi ad alta pressione e, anche dopo la sconfitta
del 1918 e l’apertura dei suoi impianti e dei suoi brevetti, custodiva gelosamente con Bosch molti
segreti. Bosch non vedeva infatti alcun vantaggio nell’addestrare persone all’università, perché
questo avrebbe inevitabilmente reso disponibile a tutti il suo know-how. In ogni modo il successo
della Germania nell’industria chimica organica, nei coloranti e nella tecnologia dei processi ad alta
pressione, convinse le compagnie tedesche della scarsa necessità di collaborare con l’università. In
questo modo non era possibile la diffusione e lo sviluppo intellettuale della disciplina. Così la figura
professionale dell’ingegnere chimico comparve in Germania solo dopo la seconda guerra mondiale.
L’ingegneria chimica in Italia nacque nel 1900 con la creazione di una sottosezione per ingegneri
chimici al Politecnico di Milano. Nel 1906 il Politecnico di Torino istituì anch’esso la laurea in
Ingegneria Chimica. L’ingegneria chimica italiana ebbe grande successo ed espansione a livello
mondiale grazie al lavoro dell’ingegnere Giacomo Fauser. Studente al Politecnico di Milano quando
i tecnici tedeschi avevano appena iniziato il "miracolo" di sostituire con l’ammoniaca sintetica il
nitrato che non arrivava più dal Cile, Fauser, che aveva già condotto studi sull’elettrolisi dell’acqua,
mise a punto un metodo originale per produrre ammoniaca. Si trattava di un procedimento ardito
che faceva uso di pressioni e temperature realizzate prima di allora soltanto per brevi istanti nelle
bocche da fuoco, e mai in modo permanente e continuo. Nell’officina paterna, con apparecchi
adattati o costruiti su suoi disegni, iniziò a fare esperienze utilizzando un cannone da 250 mm,
perché la parete doveva resistere a 300 atmosfere. Quel primo apparecchio produceva 4 kg/ora di
ammoniaca, cosa che a quel tempo (1920) era considerata con rispettosa meraviglia. Dall’incontro
tra Fauser e Donegani, magnate industriale esperto anche di ingegneria chimica, nacque la Società
Elettrochimica Novarese (1921) di cui era azionista di maggioranza la Montecatini. L’azoto
rappresentava allora per l’industria chimica una delle nuove sfide. Mentre in Germania l’idrogeno
veniva prodotto da carbone, in Italia si otteneva per elettrolisi, cosicché le materie prime per
produrre ammoniaca erano acqua e aria. Nel 1924 gli impianti per la produzione di azoto secondo il
brevetto Fauser avevano raggiunto la potenzialità di 12 tonn/h mentre si costruivano impianti per
l’acido nitrico, l’acido solforico, il solfato e il nitrato ammonico. Nel 1930 la Montecatini vendeva
ormai i suoi impianti in tutto il mondo: Giappone, Svezia, Germania, Polonia, Belgio. La
Montecatini fu la prima a produrre ammoniaca da metano (1949), come avviene ancora ai nostri
giorni.
Un personaggio di grande spicco nel mondo dell’ingegneria e dell’industria chimica fu Giulio
Natta, il quale nel 1954 ottenne per la prima volta la fibra di polipropilene, aprendo all’industria
chimica italiana la frontiera della produzione di polimeri. Nel 1963 Giulio Natta ricevette il premio
Nobel per la chimica per le sue ricerche sulla polimerizzazione stereospecifica.
Un ulteriore salto di qualità dell’ingegneria chimica avvenne nel 1960 con la pubblicazione del testo
Transport Phenomena di R. Byron, W.E. Stewart and E.N. Lightfoot, con il quale cambiava il
punto di vista della cultura dell’ingegneria chimica. Mentre prima si studiavano empiricamente le
operazioni unitarie, ora si puntava sulla comprensione dei principi fondamentali che le regolano
(fenomeni di trasporto, termodinamica, cinetica, progettazione di processo e teoria del controllo).
Tale sviluppo fu concomitante alla nascita dei computer. Da quel momento l’ingegneria chimica si
avvarrà sempre più della modellazione matematica.
Il primo impianto industriale per la produzione
dell’ammoniaca sintetica (1921)