Programmazione cinema
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Programmazione cinema
Programmazione dei cinema convenzionati: On the Road: Stati Uniti. Seconda metà degli Anni Quaranta. Sal Paradise, dopo la morte di suo padre, incontra Dean Moriarty che un padre ce l'ha vivente anche se non sa dove. Sal è un newyorkese appassionato di letteratura e con aspirazioni da scrittore. Dean è giovane, bello e sposato con la disinibita e seducente Marylou che tradisce con la più 'borghese' Camille. I due uomini divengono subito amici comprendendo di condividere lo stesso desiderio di una vita liberata da vincoli e regole. La strada diventa così la casa che 'abitano' con Marylou. Hanno inizio innumerevoli peregrinazioni lungo le vie degli States e del Messico alla ricerca di un modo nuovo di vivere oltre che di se stessi. "On the Road" di Jack Kerouac è un libro che ha segnato un'intera generazione non solo sul piano letterario ma anche su quello di una ricerca di modalità di vita alternative. L'on the road è anche in fondo un genere cinematografico nel quale il viaggio diviene metafora di un movimento interiore che conduce a cambiamenti profondi. Quando in un film si rievocano poi personaggi come lo stesso Kerouac ma anche come Allen Ginsberg o William Burroughs (seppure sotto mentite spoglie) si può facilmente comprendere quanto l'operazione che prova a fondere questi elementi diventi complessa. Walter Salles ha deciso di affrontare la prova forte di almeno due altri film che implicavano l'immagine del viaggio: Central do Brasil e I diari della motocicletta. Portare sullo schermo lo spirito di ribellione di un'epoca evitando le trappole del biopic non è da tutti. La sceneggiatura si muove su una corda tesa sul baratro e riesce a conservare l'equilibrio narrativo dilatando i tempi di un film che avrebbe guadagnato da una maggiore asciuttezza. È il prezzo da pagare per descrivere la psicologia di personaggi complessi che commettono quelle che all'epoca erano considerate trasgressioni e che oggi sono viste come poco più che eccentricità. Salles si concentra sul rapporto tra Dean e Sal e sulla progressiva trasformazione di eventi e incontri in parole che non saranno più solo un diario privato ma si trasformeranno in un manifesto generazionale. Riesce così a trasmettere la sensazione, spiacevole forse ma necessaria, che per quante miglia di distanza si riescano a mettere tra se stessi e i luoghi, lo spazio che intercorre tra noi e noi stessi è sempre pari a un chilometro zero. Con tutti i tormenti e le contraddizioni che ciò comporta. In ogni epoca. • Multisala ARLECCHINO (SALA 1) Tutti i santi giorni: Guido è una persona gentile. Dotto e appassionato di lingue antiche e agiografia protocristiana, è portiere d'albergo e compagno innamorato di Antonia, che sveglia ogni santo giorno col caffè, due cucchiai d'amore e l'illustrazione di santi, eroi e martiri. Impiegata in un autonoleggio col talento per la musica, Antonia ricambia Guido col medesimo trasporto. Precari nella vita ma saldi nei sentimenti, Antonia e Guido spendono i loro giorni a troppe fermate d'autobus da Roma, condividendo affanni e giardino con un vicinato greve che prova a sopravvivere tra una partita della 'maggica' e un figlio sempre in arrivo. A non arrivare mai è invece il loro bambino, desiderato e cercato con ostinazione e pianificazione tra luminari in odore di santità e ginecologhe progressiste. Assistiti, nella fecondazione artificiale e nel quotidiano tangibile, dal loro inalienabile amore, Antonia e Guido si perderanno per ripartire un'altra volta, (ri)chiamando l'attacco della loro canzone. Si respira un'aria nuova nella commedia sentimentale di Paolo Virzì, che preferisce un percorso intimo, producendo la massima espressione di umanità incalzata da una realtà impoverita. Con toni morbidi ed eleganti che rivelano un chiaro intento introspettivo, Tutti i santi giorni è abitato da due ritratti complessi che si muovono tra espressioni d'amore e giornate niente affatto particolari. Perché Antonia e Guido vivono la dimensione liquida dell'impiego e agiscono nell'infinita e impersonale periferia romana, quella delle tangenziali, dei raccordi, dei centri commerciali, delle scale mobili, delle facciate a vetro, delle hall d'albergo, degli ospedali, delle stazioni. Diversamente da Tutta la vita davanti, di cui mantiene l'astrazione degli spazi, Tutti i santi giorni focalizza due protagonisti a partire dalla locandina con cui il film si presenta al pubblico. La affine disposizione prossemica dei personaggi dei film rivela una continuità e una congruenza nella produzione dell'autore livornese, sensibile alla rappresentazione dei precari in marcia verso un 'sol dell'avvenire' che tarda a venire. Comparando i due manifesti si osserverà alle spalle dei protagonisti l'assenza di quel quarto stato inscenato due commedie fa. Tutti i santi giorni, altrimenti da Tutta la vita davanti, si incunea in quel ceto medio che è ormai classe unica e focalizza un uomo e una donna indagati dal di dentro e dentro il rapporto costitutivo col mondo. Antonia e Guido praticano l'esercizio dell'impegno come replica alla dissimulazione e agli incubi nascosti nei meandri dell'identità e della società. Sono persone vere che dall'interno di questo immenso ceto medio mondiale muovono una lotta propositiva, magari apprensiva, magari impacciata, contro le trappole e le insidie del quotidiano, contro l'inarrestabile (s)volgersi dei giorni e del tempo, che il regista sospende sulle note di Thony. Vere e proprie romanze che lasciano emergere i tempi dell'innamoramento. Tutto si muove intimamente nella commedia romantica di Virzì, fino a toccare le corde più sensibili di un'umanità essenziale: amore, ragione, sentimento, libertà, destino, desiderio (di essere madre, di essere padre), dolore (di non esserlo). Ogni scelta di regia sembra essere dentro le possibilità delle vite dei protagonisti, interrogandosi su come si parla oggi d'amore e come si parla oggi l'amore. Quali i tempi e i ritmi di queste parole, interpretate con sorprendente e ironico sentimento da Thony e Luca Marinelli, 'numero primo' portatore di uno sguardo vibrante e ipersensibile. Attingendo alla migliore tradizione della commedia all'italiana, senza sfuggire il mélo nell'eccesso narrativo, nell'accentuazione dei caratteri e nella predilezione del tessuto urbano, Virzì infila una storia che sa ascoltare e sa aspettare, una storia sul superamento del dolore mentre si è nella 'tragedia' attraverso le relazioni umane, una storia sulla possibilità dei legami nella possibilità del deserto del reale. Scritta a sei mani con Francesco Bruni e Simone Lenzi, autore del romanzo a cui il film è liberamente ispirato, Tutti i santi giorni è una commedia umana per chi non ha fretta e paura intellettuale del pathos. • Cinema FIAMMA Total Recall - Atto di forza: Doug Quaid è un operaio della Colonia, che ogni giorno viaggia attraverso il nucleo della terra verso l'Unione Federale Britannica, dove collabora alla costruzione degli automi che riempiono le fila della polizia federale. Di notte, invece, gli incubi non gli danno tregua. Per questo, nonostante la vicinanza della bella moglie e l'amicizia di qualche collega, una sera Doug si convince di aver bisogno di qualcosa di più e di meglio e si presenta nella sede della Rekall, azienda che impianta ricordi fittizi. Vorrebbe farsi "un viaggio" da spia, ma qualcosa va storto perché risulta possedere già dei ricordi da spia, che combaciano con i suoi incubi. È la sua vita quotidiana, allora, che gli appare improvvisamente come falsa e pericolosa. Remake del film di Verhoeven con Arnold Schwarzenegger che fece epoca al momento dell'uscita, l'Atto di Forza di Wiseman si allontana ancora di più dal racconto di Philip Dick che diede lo spunto all'originale (We Can Remember It For You Wholesale) e si configura piuttosto come un epigono della trilogia di Jason Bourne, a metà tra thriller psicologico e action che si avvia e si esaurisce nell'unico movimento dell'inseguimento. Se il primo tempo lascia ben sperare e non è privo di qualche buona idea riguardo all'architettura del mondo futuristico immaginato, questa speranza si disintegra presto contro un muro di ovvietà, la fantasia si spegne dentro un'indigestione di computer graphica e non si conta più un'idea originale che sia una (meno che mai nella rappresentazione della Resistenza). Colin Farrell non è senza perché, credibile tanto nella caratterizzazione sociale che in quell'aspirare ad un trasgressivo superamento del confine stabilito, in virtù di ruoli precedentemente interpretati e attraversati dalla stessa inquietudine, ma non basta certo a tenere in piedi un film troppo povero, che spreca imperdonabilmente un budget troppo ricco. La tematica del falso ricordo e dell'impossibilità di discernere tra illusione e verità, che in Dick è sinonimo tanto di paranoia quanto di pietà, perché metafora della condizione umana nel suo tragico complesso, qui non è che un espediente narrativo che si consuma in fretta, senza mai sfiorare la mente né il cuore dello spettatore. • Multisala ARLECCHINO (SALA 2) Ted: All'età di 8 anni, John Bennett è un bambino solo e impopolare, il cui unico amico è un orsetto di peluche. Tale è la forza con la quale John desidera che Ted possa parlare, che la sua speranza si avvera e l'orso prende vita. Trent'anni dopo, i due sono ancora migliori amici, fan scatenati di Flash Gordon e coinquilini dediti ad alcol e fumo da mane a sera. Uno stile di vita, questo, che rischia però di mettere seriamente a repentaglio la relazione sentimentale che John ha intrapreso da qualche anno con Lori. La ragazza, esasperata, arriva dunque a porgli il terribile ultimatum: crescere, abbandonando l'orsetto al suo destino, o rinunciare per sempre a lei. Il creatore dei Griffin trasferisce il suo umorismo irriverente dalla tv al cinema, dalla formula seriale a quella unitaria (anche se di questi tempi non è mai detto e probabilmente il sequel è già alle porte), senza per questo annacquare l'inchiostro: nulla sfugge alla sua ironia, né gli ebrei né l'11 settembre, non c'è tabù che regga. L'orsetto di peluche prende il posto della famigliola animata e gioca lo stesso gioco, ovvero sfruttare l'apparenza innocua e infantile per rendere ancora più speziate le cattiverie e il turpiloquio. Nonostante alcune siano più riuscite ed altre meno, sarebbe stupido e impossibile non ammettere che Ted è imbottito di scene esilaranti. Siano quelle a sfondo sessuale o quelle che coinvolgono Sam Jones alias Flash, ce ne sono per tutti i gusti: gratuite, fastidiose, facili, perverse o irresistibili. Sul versante del racconto-contenitore il film non ha invece la stessa carica inventiva e si appoggia alla classica favoletta di fantasia del desiderio magicamente esaudito (e la seconda volta è davvero poco credibile) e del bambinone che non ha voglia di crescere (un po' come nel recente film dei Muppet con Jason Segel). Si obietterà che non è questo il punto, che la commedia è nella polpa e il resto è pura spina dorsale, però la sensazione che Seth MacFarlane potesse fare qualche metro in più, nella sua operazione di deragliamento, da qualche parte rimane. Funziona certamente il buddy movie della strana coppia resa ancora più strana dall'appartenenza di uno dei due membri ad un altro mondo, e fa ridere e riflettere il finale, nel quale, ipotizzando un futuro per alcuni personaggi, il film ci ricorda che di stranezze ce ne sono già parecchie in giro, ma le prendiamo per buone, ne facciamo addirittura delle star. E allora perché non un orsetto di peluche? • Cinema GOLDEN Reality: Luciano Ciotola vive a Napoli in un palazzo fatiscente con la moglie e i figli avendo come coinquilini numerosi parenti. Gestisce una pescheria mentre con la moglie ha attivato un traffico illegale di prodotti casalinghi automatizzati. Luciano ha una vocazione per l'esibizione spettacolare così il giorno in cui i familiari lo sollecitano a partecipare a un casting de ¨"Il Grande Fratello" non si sottrae. Entra così in una spirale di attese che trasformerà la sua vita. Matteo Garrone ha dichiarato "Dopo Gomorra volevo fare un film diverso, volevo cambiare registro così ho deciso di tentare la via della commedia". Sul piano formale ha sicuramente affermato il vero ma su quello del contenuto profondo non è così. Reality è, anche se potrebbe sembrare impossibile, un film ancora più tragico di Gomorra. Perché se la camorra è un fenomeno delinquenziale nei confronti del quale si sono prodotti, in vasti strati della popolazione, i necessari anticorpi non altrettanto è avvenuto nei confronti dei reality in genere. Siamo di fronte a una distorsione della percezione del reale che ha metastatizzato una vasta fascia della cosiddetta 'audience'. Non importa se in questa fase trasmissioni come quella oggetto del film o altre simili stanno subendo sensibili cali di ascolto. Ciò che conta è che il seme è stato deposto e le sue radici sono ben salde. Attraverso le vicende di Luciano (uno straordinario Aniello Arena che ha costruito la sua professionalità attoriale in carcere) Garrone non ci racconta solo Napoli. Gira in una città che ormai conosce bene e che gli offre un ritmo recitativo che sarebbe difficile trovare altrove ma è dell'Italia tutta che ci offre uno squarcio doloroso. Sarebbe facile definire Luciano, sua moglie Maria e tutte le figure che li circondano come personaggi che sarebbero piaciuti a Eduardo ma qui si va oltre. Pirandello (con il suo confine labile tra ragione e follia) si sposa con Orwell (che finalmente vede riscattare il titolo del suo romanzo grazie all'ossessione che si impossessa del protagonista) mentre la colonna sonora di Alexandre Desplat va alla ricerca di sonorità che ci rinviano a quelle del Danny Elfman del Nightmare Before Christmas burtoniano. Perché è un incubo quello in cui precipita Luciano e in cui dissolve ciò che resta della sua famiglia e della sua vita sociale. Un incubo costruito da continue attese, da 'stazioni' come quelle della Via Crucis della Settimana Santa, cerimonia che finisce con l'acquisire un valore simbolico. Dopo non ci può essere che una resurrezione; ma quella che la civiltà dell'immagine produce può avere luogo solo in un paradiso ineluttabilmente falso. • Cinema ARISTON **Per questa settimana il cinema ABC effettuerà una proiezione in 3D**