Leggi l`elaborato - Fogli di Viaggio
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Leggi l`elaborato - Fogli di Viaggio
13 agosto 2015: mi trovo in preda ad un colpo di sole nella semisconosciuta cittadina di Galéria, Corsica, in una camera d’albergo da me momentaneamente convertita in cripta chiudendo tutti i tendaggi, modello The Others. Ad aggravare la situazione, avevo sempre pensato che gli amici immaginari fossero creature docili e affettuose che forniscono conforto nei momenti di solitudine e all’occorrenza scompaiono discretamente o dormono per terra come fidati cani da compagnia: il mio essere immaginario, che non oso definire amico, Testa di c Pamplemousse! Scusatelo, ogni tanto prende il sopravvento. Ora gli ho sequestrato la penna. Come stavo tentando di dire pocanzi, Pamplemousse, l’essere immaginario che NON considero amico, è un personaggio oltremodo sgradevole e invadente che si ostina a seguirmi nonostante io non voglia la sua compagnia. Al momento, invece di darmi tregua almeno oggi che sono in condizioni pietose, ha deciso che dormire per terra non fa per lui e quindi mi sta progressivamente rubando terreno sul mio letto, col chiaro intento di buttarmi prima o poi sulla moquette. Francamente, a 23 anni suonati, se proprio dovevo avere un amico immaginario, speravo almeno che fosse qualcosa che mi rendesse un disturbato mentale sì, ma un disturbato mentale figo, un alternativo che con la sua insanità psicologica fa tendenza, come Donnie Darko con il suo coniglio nero, o il protagonista di Fight Club con il suo alter ego. A quanto pare però non si può scegliere, e così da circa tre anni mi ritrovo con al mio fianco un ologramma francese denominato Pamplemousse, verosimilmente perché detesto i pompelmi e tra i momenti più brutti della mia vita annovero le ore di francese delle medie. Ha le fattezze del professor Girasole di Tintin (non chiedetemi perché), ma a parte l’aspetto fisico non ha nulla del simpatico e geniale scienziato dei fumetti. Ma tornando a noi, perché mi trovo con un compagno di viaggio che vedo solo io in uno sperduto paesino corso? La storia è lunga, e forse conviene partire dall’inizio di questo viaggio. 4 agosto, 23:50 Ci siamo persi. Lo sapevo che non dovevamo fare questo viaggio. Pusillanime. Io non sono un pusillanime, Pamplemousse, sono realista! Sono in Corsica solo e senza la più pallida idea di dove mi trovo, e ammettiamolo, tu come amico immaginario non sei di grande aiuto e conforto. E per di più se mi trovo qui a notte fonda in mezzo al nulla la responsabilità è solo tua, perché fosse per me ora saremmo a casa, tranquilli e beati. Su questo non c’è dubbio, fosse per te si starebbe sempre in casa. Ricominci? Ma che mania questa dell’avventura, è il peggior male del XXI secolo! Me ne frego di questa malsana moda che imperversa oggi giorno del wild, del trekking, dell’ultratrail e altri orrori simili, io sono un pantofolaio! Posso esserlo in santa pace senza che qualcuno mi ricordi che senza attività fisica morirò a breve e tra atroci dolori? Tanto per la cronaca, giusto perché i posteri possano comprendere quando ritroveranno il mio scheletro disperso nel nord-est della Corsica, ricapitolo la situazione sul mio diario di bordo: siamo sbarcati col traghetto a Bastia alle 11 di sera ed è ormai quasi un’ora che vaghiamo sulla mia scalcagnata Punto alla ricerca di Pietrabugno, una frazione in cui si trova il bed and breakfast (o meglio, “chambre d’hotes”) in cui ho prenotato, e che in linea teorica dovrebbe distare solo un paio di chilometri dal nostro approdo. Ovviamente, in tutto ciò il mio cellulare con annesso navigatore ha deciso di prendere solo a tratti e prima della partenza Pamplemousse mi ha impedito di annotarmi su carta le indicazioni stradali, definendomi ansioso. Quante storie… Ma perché non chiami il proprietario della chambre d’hotes? Il numero ce l’hai, no? Innanzitutto, in caso te lo fossi dimenticato non c’è campo. Secondo, non parlo francese da secoli, ho bisogno di organizzarmi, non posso improvvisare così su due piedi una telefonata…. E poi, visto che fai tanto lo splendido, perché non parli tu, dato che sei francese? Chéri, abbiamo fatto questo viaggio proprio per farti aprire i tuoi orizzonti, ricordi? Per farti uscire di casa, farti conoscere persone nuove e farti imparare a fronteggiare gli imprevisti… Oddio, ma perché non puoi lasciarmi in pace? Perché non hai amici a parte me? Intanto tu non sei mio amico, e comunque non mi sembra che neanche tu sia pieno di amici, Pamplemousse, visto e considerato che da tre anni a questa parte mi stai sempre appiccicato! Che soggetti incredibili, voi amici immaginari, vi fate passare per dei benefattori che fanno volontariato con povere persone prive di compagnia, e invece non siete altro che degli imbroglioni: la verità è che voi siete soli e cercate una persona reale che vi sopporti e vi faccia sentire meglio! Improvvisamente vedo qualcosa che zittisce il mio monologo: sul cofano della mia macchina ferma in mezzo al nulla si è posata una civetta bianca. Mi osserva con due biglie nere penetranti attraverso il vetro del parabrezza. Poi distende le sue ali in un arco interminabile, e con un movimento liquido dissolve il suo bianco nel buio. Non avevo mai visto una civetta. D’accordo, Pamplemousse… Proviamo a chiamare? 5 agosto, 1:00 Dopo una chiamata fatta in bilico su un muretto di pietra sul ciglio della strada per trovare campo, in un bizzarro idioma italo-francese, il proprietario del nostro bed and breakfast “Chez Francine” è molto gentilmente venuto a recuperarci e a farci strada a bordo di un camioncino, guidando come Niki Lauda su strade che definirei eufemisticamente mulattiere. Sono steso nel letto, con accanto Pamplemousse che ronfa imperterrito, e ripenso a quello che mi ha detto poco fa: è vero, non ho amici. Però alt, non pensatemi come un povero Calimero che da quando è nato non ha uno straccio di amico: non sono mai stato un tipo particolarmente estroverso, ma fino a poco tempo fa avevo un bel gruppo di amici, uscivo anche con una ragazza. Insomma, ero un ventenne assolutamente normale. Poi però tre anni fa è successo l’Incidente. E quando è successo improvvisamente non ho avuto più voglia di uscire, né di vedere gente, e del resto era comprensibile, per cui i miei amici, la mia ragazza, hanno cercato di capirmi e aspettarmi, standomi vicino comunque, insistendo ogni tanto garbatamente per farmi uscire, farmi svagare. Col passare del tempo e il continuare del mio isolamento in casa, però, le garbate insistenze sono diventate man mano più nervose, seccate, si sono sempre più diradate e infine si sono esaurite. C’è un limite temporale anche per i capricci di chi ha subito un Incidente, e oltre quello la vita va avanti, riprende attorno a te e finisce per dimenticarti. Non gliene faccio una colpa, probabilmente neanche io mi sarei aspettato. In compenso, ho ricevuto in cambio Pamplemousse: bel guadagno, eh? (lo scrivo piano, che se no finisce che Pamplemousse mi sente, si sveglia e ricominciamo a litigare). Che questa estate non ha voluto sentir ragioni. Affermando che si è stufato di passare le sue vacanze chiuso in casa, mi ha costretto ad intraprendere questa vacanza in Corsica: dieci giorni in tenda a camminare zaino in spalla nella Haute Corse, sui mitici sentieri dell’isola, tra cui il più celebre ed impegnativo, il Sacro Graal degli escursionisti, il GR20. Con un unico dettaglio: io non sono un escursionista. Meglio non pensarci, ora vado a dormire. 5 agosto, 7:30 Ho tirato giù a forza dal letto Pamplemousse e abbiamo fatto una sostanziosa colazione con vista mare a base di caffè, baguette, burro, ottime marmellate e biscotti (ovviamente al burro): Francine mi ha fatto notare che mangio per due, anche se a dir la verità qui quello che mangia per due è Pamplemousse, che si è spazzolato i tre quarti dei biscotti. Partiamo come prevede il programma a bordo della Punto sulla strada D84: sì, te lo concedo, Pamplemousse, per ora il paesaggio è davvero spettacolare… La vista dall’alto, a strapiombo sull’azzurro abbagliante del golfo di Bastia, mentre valichiamo verso il nord-ovest dell’isola, le colline ricoperte di vigne di Patrimonio, il lungomare di Saint Florent , il deserto degli Agriates… Anche se nella mia testa ero convinto che i deserti fossero tutti distese sabbiose e torride, mentre ora mi ritrovo circondato da rocce invase dalla maquis, la macchia mediterranea e verdissima che imperversa sotto il sole della Corsica, senza alcun segno di vita artificiale a parte la strada che percorro, con l’unica compagnia di un falco che disegna spirali in aria: è uno scenario fantascientifico o preistorico, che mi dà pace con la sua solitudine assoluta. C’erano dubbi? Ah, un’altra cosa davvero simpatica che abbiamo notato sulle strade della Corsica è l’alto tasso di graffiti con scritto “France merde” e di cartelli stradali bilingui in cui il nome francese è stato bucherellato da proiettili o nel migliore dei casi cancellato con bombolette spray. Questi corsi cominciano a piacermi! A te no, Pamplemousse? Davvero molto spiritoso, mi sto spanciando dalle risate. Comunque, ricapitolando il nostro folle programma: arriviamo al rifugio di Auberge de la Forêt, nel bel mezzo della Forêt di Bonifatu, definito dalla nostra fedele guida “accesso soft al GR20”, parcheggiamo e lasciamo in vacanza la Punto e partiamo a camminare come dei matti su per i monti, per poi ritornare al punto di partenza fra una decina di giorni. Ma un po’ di mare e sano relax, no? Perché solo la Punto deve fare vacanza? Rilassati,abbiamo scelto di partire da Auberge de la Forêt perché la guida lo definisce “l’accesso soft al GR20”, ricordi? L’alternativa per i mollaccioni come te: solo due ore di cammino, dopo di che, arrivati alla fine della prima tappa, al Refuge de Carozzu, ci aspettano addirittura delle piscine naturali formate dal fiume,”ideali per fare un tuffo”! Più di così che vuoi, chéri? 5 agosto, 20:30 Cinque ore. Cinque ore di dislivelli verticali in cui ho creduto seriamente di morire d’infarto e ho passato in rassegna e maledetto ogni singolo oggetto inutile che mi sono portato nello zaino: il phon, la moka, una maschera da snorkeling, tre libri che con questo ritmo non avrò mai la forza di leggere, pile di indumenti superflui e, dulcis in fundo, un telefono cellulare ora inservibile perché l’ho spento per risparmiare batteria dimenticando che non so il PIN a memoria e il foglietto su cui è scritto è a casa, in Italia. Quindi anche il caricabatterie per il cellulare si unisce all’esercito di cose inutili nel mio zaino. E per di più, le piscine naturali che bramavo come un miraggio, si sono ridotte causa siccità a delle pozzanghere striminzite, e in ogni caso qua a 1.270 m alle 8 di sera fa troppo freddo anche solo per bagnarsi i piedi. E, chiaramente, le docce del rifugio sono gelide. Inoltre, mentre io mi accingo a cucinare nella mia gavetta una deprimente pasta liofilizzata, tutti gli altri espertissimi e perfettamente organizzati escursionisti che affrontano il GR20 sono già arrivati da ore e si apprestano ad andare a dormire nelle tende. Fornite dal rifugio. Perché un’altra cosa che non è scritta nella guida è che tutti i rifugi forniscono ai randonneur delle tende già montate a pochi euro in più, e quindi nessuno sano di mente si porterebbe da casa una tenda, inutile peso in più, per di più da montare alla fine di un’estenuante giornata. Nessuno, ovviamente, tranne me. Pamplemousse, questa vacanza fa schifo. Voglio incenerire la guida sul fornelletto a gas, ora. 6 agosto Mi sveglio alle 6:30, faccio capolino con la testa fuori dalla tenda e vedo attorno a me il deserto dei Tartari: la truppa di impeccabili randonneur è già partita per bruciare a passo di carica un’altra tappa del sentiero, lasciandomi solo e facendomi sentire ancora più inadatto a questa impresa, se possibile. Ripenso al perché mi trovo qui, all’Incidente. L’Incidente è mio padre che muore, in maniera totalmente inaspettata. In una maniera che ti fa sentire in colpa, che ti fa stringere lo stomaco perché pensi a tutto quello che avresti voluto e dovuto dirgli e invece non potrai dirgli più, alla mattina del giorno in cui è morto, in cui l’hai salutato distrattamente, senza farci caso, dandolo per scontato, per immortale, e che ti fa rimpiangere egoisticamente che non sia morto piuttosto di malattia, che non ti abbia concesso una preparazione, un allenamento per accettare che tuo padre non è eterno. La Corsica l’ho scelta (o meglio, l’ha scelta Pamplemousse) perché mio padre amava camminare: ogni giorno si prendeva un’ora per sé non per correre, non per giocare a calcetto, non per andare in palestra, ma per camminare, camminare e pensare. Ci andava sempre da solo, in un rituale quotidiano che non capivamo, che trovavamo noioso, in cui non l’abbiamo mai accompagnato. Il suo sogno era prima o poi andare in vacanza a camminare sui sentieri della Corsica, che lui ci ricordava sempre non essere una terra solo marittima, e che definiva “paradiso degli escursionisti”: una vacanza sempre rimandata per rimostranze di tutto il resto della famiglia, perché “una vacanza a camminare che vacanza è”. Avrei voluto camminare di più con lui. *** Quasi alle 8 di sera, dopo innumerevoli pause causa vertigini e attacchi di panico perché ho sbattuto uno stinco contro una pietra e credo di essermi rotto una gamba, finalmente arriviamo al rifugio di Ascu Stagnu, una stazione sciistica fuori stagione in cui ci accampiamo sotto ski lift immobili, pendenti come liane sulla nostra testa. Festeggiamo la nostra sopravvivenza con una meritata birra Pietra, la birra corsa per eccellenza (Io non ho festeggiato un bel niente, perché tu non hai voluto ordinare una birra anche per me perché avevi paura di fare la figura dell’ubriacone solitario) al bar del rifugio: qui, mentre si fa buio, ci facciamo cullare dai canti polifonici corsi, che si diffondono a basso volume dallo stereo del bar, e vengono canticchiati dai gestori del rifugio, ritrovatisi a chiacchierare seduti su una panchina. Rientriamo in tenda e ci addormentiamo con nelle orecchie una nenia atavica e dolce. 7 agosto Dopo l’esperienza terrifica del tratto Carozzu-Ascu Stagnu, anche Pamplemousse (anche se non vuole ammettere che pure lui ha avuto le vertigini) approva di saltare la tappa successiva del GR20, che passa attraverso il famigerato Cirque de la Solitude, un sorta di enorme anfiteatro di roccia eroso dal ghiaccio, in cui bisogna discendere e salire su pareti sostanzialmente verticali, con il sostegno poco rassicurante di alcuni cavi d’acciaio. Secondo la guida (di cui abbiamo imparato a non fidarci affatto) è “la più spettacolare” ovvero, tradotto in verità, “la più mortale”: stabiliamo quindi di interrompere la nostra esperienza sul GR20 e di dirigerci verso altri sentieri, prendendo per oggi un autobus che ci porta fino a Calacuccia, la capitale del Niolo, regione centrale in cui batte il cuore autentico della Corsica e in cui mi riconcilio con questa vacanza: dopo un inizio di sofferenze fisiche ci stabiliamo per un paio di giorni di requie in un vero campeggio (con docce calde!) punteggiato di enormi castagni. Al pomeriggio ci spingiamo fino ad Albertacce, un paesino distante un paio di chilometri, dove ci ritroviamo coinvolti in un esilarante visita guidata in corso in un minuscolo museo preistorico: all’inizio ci fa un po’ ridere sentire quello che ci sembra una sorta di italiano bambino e gutturale, con espressioni come “a me mi piace” e pullulante di U. Poi però ci stupisce quanto ci faccia sentire uniti condividere con questa allegra signora con gli occhiali rossi la sua lingua, come se fossimo partecipi di un segreto. La sera all’ombra del “nostro” castagno, sotto cui abbiamo piantato la tenda, guardo dei bambini inseguirsi nel buio, in un’acchiapparella notturna: riesco a distinguere solo le luci frontali che hanno in testa, e sembrano tante lucciole che si rincorrono in un girotondo. 13 agosto E ritorniamo qui, al 13 agosto, in una camera d’albergo di Galéria: io e Pamplemousse ci siamo ritrovati coinvolti in così tante avventure impreviste che alla fine anche il diario e la penna si sono trasformati in un peso superfluo, non li ho più usati, preso com’ero a destreggiarmi tra tutti questi fuoriprogramma. Oggi però che sono costretto al riposo forzato, lo riprendo in mano per ricapitolare almeno alcune delle cose che il malefico Pamplemousse mi ha costretto a fare durante questo viaggio: 1. Fare l’autostop: la Corsica, infatti, con i suoi mezzi pubblici discontinui e imprevedibili, è la patria dell’autostop. Nonostante le mie resistenze iniziali (“E se ci carica un pazzo maniaco che prima ci squarta con un coltello e poi butta i nostri pezzi nella maquis?”), alla fine mi sono lanciato e abbiamo guadagnato, nell’ordine, i passaggi di: Nadia, parrucchiera (o meglio, in corso, “Taglicapelli”) appassionata di musica tradizionale corsa; una famiglia francese a cui non avevo neanche chiesto un passaggio, ma che mi ha evidentemente visto molto provato; una famiglia francese a cui avevo effettivamente chiesto un passaggio perché ero effettivamente molto provato, e in cui la mamma parlava italiano e si è illuminata quando ha potuto rinfrescarlo con me; tre ragazzi baschi in vacanza; Fred, un ragazzo corso che odia i canti tradizionali corsi e nutre un amore spassionato per la musica dance, e ha voluto a tutti i costi farsi un selfie al volante con me, italiano (la Corsica a quanto pare è uno dei pochi posti in cui dire di essere italiano è un buon biglietto da visita), mentre procedevamo ad una velocità folle lungo stradine dissestate a strapiombo sul vuoto (nella foto credo di essere venuto estremamente pallido). 2. Attaccare bottone al rifugio di Col di Verghio con una ragazza bretone di nome Bénédicte, che mi ha spiegato che i corsi detestano i francesi, ma non quelli che appartengono a regioni che aspirano all’indipendenza, come appunto la Bretana, per cui hanno al contrario una predilezione particolare. 3. Attaccare bottone a Évisa con un ragazzo corso vestito da scout, che ci ha illustrato le differenze tra i corsi del Nord e i corsi del Sud: i corsi del Sud se la tirano, spendono tutti i soldi che hanno nei vestiti che hanno addosso e in piena estate girano con i finestrini alzati per far credere di avere il lusso dell’aria condizionata in macchina (chiaramente il ragazzo era un corso del Nord). Ci ha spiegato anche che i corsi non detestano i francesi, però sono orgogliosi della loro identità ed esigono che sia rispettata: non amano chi si presenta con atteggiamento da conquistatore e apprezzano invece chi cerca di comprendere a fondo la Corsica e la sua cultura, senza deriderla. Nutrono un grande amore per la loro natura, e non sopportano che venga maltrattata e piegata al servizio del turismo. 4. Sbirciare da dentro la tenda la melodrammatica litigata di una coppia olandese al campeggio di Porto, con annessa fuga sotto la pioggia della ragazza e riconciliazione con bacio appassionato, sempre sotto la pioggia. 5. Giocare a petanque (il gioco delle bocce francese, che va alla grande in Corsica) con un gruppetto di abitanti di Galéria. La mia escalation positiva di prodezze si è però interrotta perché andando in kayak nel delta del fiume Fangu (altra incredibile prodezza) ho preso un colpo di sole. La mattina dopo sono però abbastanza pimpante per andare a prendere uno dei rari autobus corsi e recuperare la Punto, perché, ebbene sì, sono già passati dieci giorni ed è arrivato il momento di tornare. Mi rimane solo una cosa da fare: lavare via questi tre anni. Risalgo in macchina il fiume Fangu, e quando trovo un tratto ricco di profonde pozze mi fermo. Mi immergo e mi lavo: lavo via il ricordo del corpo penzolante di mio padre, come le liane, come gli skilift, il corpo di mio padre impiccato che io ho ritrovato; lavo via il dolore di non aver mai capito il perché; lavo via il vuoto di aver rimasto come suo solo ricordo materiale un suo dizionario di italiano, su cui ha scritto nella prima pagina: È più facile salire che rimanere aggrappati. Lavo via Pamplemousse. E torno a casa.