il continuum sociolinguistico del romanesco in accattone
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BEGOÑA SUÁREZ MORENO 860 IL CONTINUUM SOCIOLINGUISTICO DEL ROMANESCO IN ACCATTONE1 Begoña Suárez Moreno2 Universidad de Oviedo L’uso del termine continuum in sociolinguistica, seguendo Gaetano Berruto (1987; 1995), intende mettere in rilievo le diverse varietà linguistiche alle quali non si possono assegnare confini netti, discreti, che separino rigorosamente una varietà da quelle vicine. Nella situazione italiana, l’italiano standard e il dialetto locale potrebbero costituire gli estremi del continuum fra cui esistono varietà intermedie, segni di fenomeni di ibridazione o transizione a metà fra italiano e dialetto, cioè un continuum con addensamenti in cui le varietà coincidono con addensamenti in fasci di tratti del continuum e che possono trovarsi non agli estremi ma quasi diremmo condividere “fenomeni di bilinguismo imperfetto”, inteso come una enunciazione mistilingue all’interno di un singolo atto linguistico; in una singola frase avviene un passaggio nella formulazione di uno o più costituenti in una varietà di repertorio diversa da quella in cui la frase è stata iniziata, talché il risultato è una frase i cui costituenti appartengono a diversi sistemi linguistici (Berruto, 1990). Con queste premesse, sulla base di U. Vignuzzi (1994a: 31), in cui si è proposto denominare il continuum linguistico romano come L’italiano de Roma, ci proponiamo avvicinarci al romanesco degli anni ‘50 - ‘60, quel periodo cioè del Neorealismo cinematografico italiano durante il quale l’elemento linguistico dialettale si impone progressivamente; ad esso contribuiscono diversi attori come Alberto Sordi o Sergio Citti, quest’ultimo, in particolare, grande conoscitore della parlata romanesca e collaboratore dapprima di Pasolini. Prenderemo come corpus d’analisi alcune delle strutture parlate del film Accattone (1961) di P. P. Pasolini, per osservare ed evidenziare le diverse forme dialettali, le forme di transizione e le forme di “neostandard”. Non essendo questa la sede per una compiuta disamina della questione ci limiteremo a segnalare in modo sintetico i punti più rilevanti. L’ attuale situazione linguistica italiana è caratterizzata da un’ampia area di fenomeni di contatto fra lingua nazionale, l’italiano cosidetto standard a base fiorentina, e i singoli dialetti delle diverse regioni d’Italia, un rapporto a vantaggio della prima dovuto alla forte espansione di essa in tutti gli ambiti d’impiego politico, economico, culturale, ecc (Berruto, 1989); tali 1 Edizioni utilizzate: P.P. Pasolini (1960), Accattone, in Alì dagli occhi azzurri, Garzanti-Gli elefanti, Milano 1989, testo letterario; (1961) Accattone, Video Club Luce - Video Rai, Cinecittà, Roma 1995, (film). ACTAS DO I SIMPOSIO INTERNACIONAL SOBRE O BILINGÜISMO 861 fenomeni si sono presentati in maniera molto evidente e peculiare nella città di Roma, particolarmente, negli ultimi cento anni, non soltanto per la sua situazione appunto geografica, politica, economica e culturale ma anche da un punto di vista storico perché “quando la storia volle che alle funzioni di lingua comune assurgesse il dialetto fiorentino, Roma non poteva mancare di accettarlo e di diffonderlo a suo modo, e non mancò” (Migliorini, 1932). Conseguenza immediata di questo atteggiamento è stata la progressiva “smeridionalizzazione” del dialetto cittadino, al punto di far dire a Migliorini (1932): “La storia del romanesco è la storia del suo disfascimento, dovuto all’azione esercitata per secoli su di esso dal toscano che gli si sovrappose”3. Il romanesco ha avuto un percorso storico travagliato con una sistematica sostituzione degli originari elementi “centro-meridionali” con successivi tratti “toscani”, poi “italiani” (Vignuzzi, 1988). In altre metropoli coesistono almeno due codici linguistici strutturalmente molto distanti (dialetti locali e italiano standard), il panorama linguistico a Roma è piuttosto omogeneo e compatto, dovuto fondamentalmente a due fattori (Stefinlongo, 1985: 47): a) A una notevole coincidenza di tratti in tutte le varietà del repertorio. Non c’è una distanza significativa fra la varietà romana nel suo insieme e l’italiano. b) Alla forte interazione o parziale sovrapposizione di ogni varietà del continuum con le varietà immediatamente adiacenti. Costituisce un ottimo esempio di continuum linguistico urbano, scarsamente differenziato al suo interno. Nonostante questa relativa omogeneità nei poli del continuum si distinguono: la varietà alta, in pratica rappresentata dall’italiano neostandard e la varietà bassa ai confini del dialetto (o che l’ha inglobato in esso secondo la formula dell’ italiano de Roma). Gli addensamenti di questo continuum coincidono in fasce intermedie, ove neostandard, parlato e dialetto si amalgamano in modo considerevole (Vignuzzi, 1988). 1. La varietà alta La varietà “alta” si situa alla prosecuzione di quella varietà di lingua parlata nella città dai ceti medio - alti già nell’ Ottocento e che come sappiamo era di impronta toscana. Pur avendo in comune con lo standard la grande maggioranza delle sue caratteristiche non è del tutto esente da tratti regionali e da intrusioni dalle varietà del continuum che nel nostro caso 2 Doutoranda da Universidade de Oviedo (Asturias). Enderezo: R/ García Barbón, 103, 5º F. C.P.- 36210 Vigo. 3 A riguardo si vedano le osservazioni di De Mauro, Mancini e Trifone che osservano una situazione di contatto ed interferenze nel caso romano, negando il suo disfascimento. Cfr. Bruni (1992). BEGOÑA SUÁREZ MORENO 862 sono manifeste nel lessico, nelle strutture morfosintattiche e specialmente nella realizzazione fonica (fonematica e soprattutto fonetica). L’italiano standard nell’opera viene impiegato dai rappresentanti ufficiali della legge, cioè dal commissario e le guardie, il che ratifica la presenza di questa variante come identificabile con l’italiano ufficiale, normativo dello Stato italiano4. 1- I guardia: Favorisca i documenti! (274,2,D.)5 2- Guardia: Stai buono e mettiti seduto! Qui non stai in casa tua! Quando il maresciallo sarà comodo ti chiamerà lui, non aver paura! (275, 14 e ss., D.). 3- Commissario: Fai attenzione a riconoscere bene i tuoi aggressori.. Che se dovesse risultare qualche innocente vai incontro a dei guai, stai attenta!. (278, 13 e ss., D.). Le strutture morfosintattiche si costruiscono secondo la norma dell’italiano standard. Nell’esempio 2 e 3 si osserva come la seconda persona dell’imperativo, seguendo la norma ottocentesca, è stata sostituita dalle corrispondenti forme dell’indicativo “stai” e “fai” (Seriani, 1989: 434), e oltre a ciò si adopera correttamente la forma negativa. È interessante notare come per indicare lo stato in luogo nell’esempio 2 si usa la preposizione “in” contrariamente all’attesa preposizione “a” di tipo romanesco e meridionale (Seriani, 1989: 344). Tuttavia trattandosi di personaggi anch’essi “popolari” non sempre si esprimono in una varietà alta “pura”, la contaminazione da altre varietà più basse è presente (soprattutto in contesti non “formali”): 4- Agente: Fermi! Che ciavete là dentro! Polizia! (361, 28,D.) L’uso del ci nel dialetto romanesco, limitato al possesso materiale, è confermato sulla base di spogli belliani (D’Achille, 1987: 174), attualmente diffuso anche nella variante neostandard. I fenomeni d’ibridismo ove l’elemento culto appare contemporaneamente con l’elemento basso si incentrano nei personaggi protagonisti, i borgatari romani, soprattutto nel lessico: 5- Luciano: Ridi, ridi, Accattò? Calunnia e falso in atto pubblico! Il Minimo so’ due anni: mo che te Magni, Accattò, per du’anni? Te fai dà un po’ di minestra da le Mantellate (279, 23-25,D.). 4 Per gli esempi, appariranno in grassetto i termini che devono spiccare nel contesto. 5 S’indica il numero di pagina ed il numero della riga dove appare il fenomeno da analizzare. L’indicazione D. fa riferimento a strutture dialogate, N. indica i brani narrati. Evidenziamo in tratti corsivi gli esempi di varietà alta ed in grassetto i tratti di varietà bassa. ACTAS DO I SIMPOSIO INTERNACIONAL SOBRE O BILINGÜISMO 863 6- Giorgio il Secco: Ma falla finita! A ignorante! No lo sai che quando una ha mangiato nun se lo po’ fà er bagno,more. No lo sai che la reazione dal caldo al freddo ferma tutto l’apparato digerente, se ferma la circolazione der sangue e bona notte ai sonatori! (250,28,D). 7- Accattone: Tanto te mica hai magnato, er bagno nun te fa male. L’apparato digestivo.. nun funziona più... la reazione sanguigna.. Ma lo sai chi è Accattone? Accattone nemmeno fiume se lo porta via!. (254, 24, D.). 8- Giorgio il Secco: Ma vatte a istruì a microcefalo, che? sei rimasto ancora nell’età della pietra, nun te vergogni.... (251, 4-5,D.). 9- Scucchia: Ma chi ve lo fa fà! Ma annatevene a dormì la notte invece de annà a giocà a carte. Me parete tutti usciti dall’obitorio! (250,2,D.). Perfino nel discorso narrato Pasolini intreccia in numerose occasioni modelli d’italiano alto con quello substandard seguendo la dinamica dei suoi protagonisti. 10- Tutto bruciava. Il sole tenero della mattina di fine estate era come calce rovente. Una faccia bruciata alzò la scucchia coi due buchi sulle guance per la magrezza, e lo sguardo acquoso,... (249, 2-3,N.). 2. La varietà bassa All’estremo opposto della varietà alta si colloca la varietà dialettale. Il dialetto è collegato normalmente ai rapporti famigliari, ad ambiti ristretti come la cerchia degli amici che si muovono nelle borgate romane mostrate da Pasolini, però l’autore adopera questa varietà soprattutto come reazione al rapido processo di sradicamento culturale che aveva notato fra il popolo italiano ed una conseguente tendenza all’abbandono dei dialetti. Per affrontare questo aspetto sarà interessante guardare non solo al lessico ma ai livelli più strutturati della lingua come la fonetica e la morfologia, facendo un veloce spoglio vediamo qualche esempio: 11- Alfredino: A martire! da’ retta a ‘n amico, smettela de lavorà, entra pure te nella società della Metro Goldwin Mayer! Haaam! (249,23,D.). 12- Accattone: Semo tutti ‘na massa de disgrazziati semo omini finiti, ce scartano tutti! Noi valemo giusto se ciavemo mille lire in saccoccia, se no nun semo niente... Pure in galera nun ce ponno vede, a noi! Nun ce considerano omini, perché nun semo boni a provacce da soli.. oggi è mejo fa er ladro che ‘sto mestiere infamante... (261,1-5.D.). 13- Ascensa: Nun vojo sentì niente! Tanto lo so quello che vòi Te! Ma qui nun c’è trippa pe’ gatti! Aripija la strada e vattene! (287,22,D.). 14- Ascensa: Arimedi sì, da magnà! Vergognete, almeno! Lo dici pure, come lo rimedi da magnà! Ma famme er piacere, vattene nun sei stato bono nè per te, nè per me, nè per tu’ fijo! E mo rivenghi qui? Qui nun c’è la cuccagna, sa’! Nun me lo fa ripete più, Vattene! (287,28-30,D.). 15- Accattone: A Ascensa, senti... Lo so, so’ stato un zozzo, lo so, ho sbajato... ma damme maniera da riparà, da fammete vedè quello che valo... (287-88, 34-1,D.) BEGOÑA SUÁREZ MORENO 864 16- Renato: Armeno ar fachiro Burma lo pagano pe’ fa’ ‘st’esibbizioni! (293,1,D.). Da un punto di vista fonosintattico si osserva che Pasolini non registra graficamente il peculiare raddoppiamento sintattico della pronuncia (Garvin, 1984) della lingua di Roma, come aveva precedentemente fatto nei romanzi Ragazzi di Vita (Pasolini, 1955; d’ora in poi RV) e Una vita violenta (1959; d’ora in poi VV). Ricordiamo l’esempio a ffà (“state a ffà”, “stamo a ffà”, “sto a ffà”, RV 8, 22, 24; “chi me lo fa ffà” VV16). Naturalmente gli attori lo realizzano nel film6. 2.1. Del VOCALISMO del romanesco si annotano casi come - Mancata dittongazione di /o/ (aperta tonica): bono (266, 16.D.), fori (297, 14, D.), omo (284, 19, D.), omini (261, 1, D.), core (290, 27, D.), vòi (252,28,D.), more (v. es. 6). - Passaggio di “a” postonica ad “e” nei proparossitoni: vergognete (287, 28, D.), porteme (273, 3, D.), pagheno (285, 14, D.), carmete (283, 7, D.). - Conservazione di “e” protonica all’interno di frase: de lavorà (249,23, D.), un po’ de minestra (279, 25, D.), de annà (250, 2, D.), nun ce considerano (261, 4, D.), nun ce ponno vedè (261, 3, D.), De che? (277, 10) me parete (es. 9). - Chiusura anomala (non tosco-italiana) in protonia: nissuno (266, 9, D.), rigalo (357, 29, D.), ricoje: (252, 7, D.). 2.2. Consonantismo -Di tanto in tanto, Pasolini rappresenta anche l’intensità consonantica, forse suggestionato dal modello grafico belliano (Seriani, 1996: 205), così succede con la rappresentazione dell’affricata alveolare intensa all’interno di parola: disgrazziati (es. 12). Controessi più occasionale la riproduzione del grado intenso nelle bilabiale e affricata palatale sonore: subbito (258, 29, D.), libbero (272, 12, D.), robba (279, 11, D.), esibbizioni (es.16), diggiuno (295, 4, D.). - Il rotacismo della liquida laterale /l/ in liquida vibrante /r/: è presente soprattutto nelle forme dell’articolo determinativo maschile singolare sebbene si osservi un’oscillazione di allotropi: fa er ladro (es. 12); armeno ar fachiro (es. 16), ma ce potevi restà almeno (257, 4, D.); 6 Riteniamo che il testo di Accattone è stato concepito come una sceneggiatura per film. Gli attori romani, in questo caso Franco e Sergio Citti e i suoi compagni, mostrano tutti di norma il rafforzamento fonosintattico. Lo stesso fenomeno accade in Mamma Roma (1961). ACTAS DO I SIMPOSIO INTERNACIONAL SOBRE O BILINGÜISMO 865 er piacere (es. 14); er bagno; der sangue (es. 6); dorci (261, 24, D.); quarcuno (338, 33, D), ma un giorno o l’altro trovi qualcuno (288, 30, D.). - Il nesso -NG-: si risolve in una palatale nasale: magnà (es. 14), magni (es. 5), piagne (262, 1, D). - Il nesso -ND- > -nn-. (Si verifica un’assimilazione progressiva): annatevene, annà (es. 9), annamo (260, 13, D.). Ma alterna con la soluzione standard di conservazione del nesso: -17 Accattone: Mo quando torno a casa, je faccio vede io.. (262, 16, D.). - Lo scempiamento della vibrante [-rr-] appare saltuariamente: Arimedi (es. 14), m’arovini (277, 25, D.), fero (348, 11, D.), Feragosto (360, 26, D.), la tera (355, 9, D.). - La laterale palatale // tende ad essere sostituita da /j/: mejo (es, 12), vojo, aripija (es. 13), fijo (es. 14), sbajato (es. 15), je faccio (es. 17). 2.3. Altri fenomeni dialettali riscontrati (morfosintassi) - Apocope sillabica degli infiniti: magnà (287,28,D.), ripete (287,30,D.), riparà (287,2,D.), vedè (288,1,D.), lavorà (288,3,D.) istruì (v.es. 8), fà (v.es. 9). - Allungamento di consonanti nelle forme verbali dell’infinito quando si abbinano con pronomi enclitici: a provacce “-rc-” (es. 12), pe’ rovinamme “-rm-” (262, 21, D.), non ciavemo niente da disse io e te! “-rs-” (287, 12, D.), d’avecce avuto “-rc-” (289, 15, D.). - Si registrano forme verbali con “a-” protetica: arimedi (287, 28, D.), aripija (287, 23, D.), arovini (277, 25, D). - Il mantenimento tripartito nella desinenza di 1ª persona plurale (-amo, -emo, -imo: annamo, vedemo, sentimo) di contro al livellamento toscano in -iamo. - Le strutture eco o “parlà foderato” un meccanismo particolare di ripetizione dialogica. 18- Accattone: Stanotte ho perso tutti i soldi, però ciò sempre er passante, da scommette! Scommetti, se ciài coraggio! Ciài tutta lingua, ciài! (251, 10, D.). 19- Cognato: T’ammazzo! Te faccio sputà er sangue, zozzo! Te metto er core in mano, te metto! (290, 26, D.). - La particella allocutiva “a” il cui valore semantico-pragmatico sembra di essere quello di rafforzzare, permettendo l’immediata riconoscibilità del vocativo (D’Achille, 1995); la maggior parte delle volte è seguita sia da nomi propri, (cognomi e soprannomi inclusi) che nell’uso trascurato e basso vengono troncati: A Ascensa, senti... (es. 15), a Accattò (263, 9, D.), BEGOÑA SUÁREZ MORENO 866 sia da appellativi comuni, sia da aggettivi (Suárez, 1990: 546): a microcefalo (es. 8), a martire (es. 11). - Sul piano lessicale7 shanno diversi esempi dei quali citeremo soltanto alcuni: saccoccia “tasca” (es. 12), zozzo “sporco” (es. 15), poro “povero” (250, 8, D.), fracichi “ubriachi” (260, 22, D.), essere in campana “all’erta, con attenzione” (250,9,N.), burino “campagnolo, rozzo” (313, 25, D.), farlocchi “stranieri” (273, 8, N.), roscio “rosso” (278, 3, D.). 3. Il parlato Nel recente sviluppo dell’italiano, il graduale affermarsi di certi elementi legati all’oralità in ambito scritto ha determinato una riflessione e posteriore analisi della netta separazione dicotomica scritto/ parlato. Il nuovo standard, si manifesta come maggiormente vicino alla parlata colloquiale, più variato in diatopia, in diafasia e più ampiamente fondato in termini sociali (cf. Berruto, 1987: 63, nota 2). Nel continuum romano sono anche presenti componenti che si ritrovano nelle sezioni dialogiche. Ma nel caso che ci occupa non va dimenticato un fatto di somma importanza: Accattone è stato creato da un autore che ha cercato di simulare la lingua parlata delle borgate romane. Il discorso orale significa un’elaborazione in ordine lineare, una produzione legata ad una situzione ben precisa che presuppone la presenza contemporanea di emittente e destinatario; in più si arricchisce con la gestualità, l’intonazione.. ecc. L’autore, per cercare di essere il più fedele possibile al discorso orale, adopera strategie orali nel discorso scritto: per questo tipo di testo adottiamo appunto la denominazione di “parlato - scritto” (Nencioni, 1976). I meccanismi di parlato da cui si serve Pasolini sono di diversa natura: 3.1. Morfosintassi - La dislocazione a sinistra8. Si tratta di un costrutto col quale si porta nella posizione del tema un elemento della frase che secondo l’ordine normale non sarebbe in posizione tematica, diventa così il centro d’attenzione del parlante; l’elemento dislocato a sinistra si riprende nella frase con un pronome clitico: “Accattone nemmeno fiume se lo porta via!” (es. 7); “Semo tutti’ na massa de disgrazziati, semo omini finiti, ce scartano tutti! a noi nun ce 7 Per la questione del lessico cfr. Costa (1997). 8 Le definizioni seguono Berruto (1987), cfr. nota 2. ACTAS DO I SIMPOSIO INTERNACIONAL SOBRE O BILINGÜISMO 867 considerano omini” (es. 12); “ar fachiro Burma / lo pagano” (es. 16), “io intenzione ce l’ho” (es. 15). - La dislocazione a destra. Costrutto in cui a destra di una frase semplice compare un sintagma nominale il cui ruolo sintattico dipende dal verbo della frase e che è anticipato da un clitico all’interno della frase: “Come lo rimedi da magnà” (es. 14); “Tanto lo so quello che vòi” (es. 13); “lo so, so’ stato un zozzo” (es. 15); “E chi ce l’ha, i documenti! Tanto me lo ricordo come mi chiamo, e che ce fo, coi documenti?” (274, 3-4, D.); “nun ce ponno vede, a noi!” (es. 12). - Il ce presentativo. Ci + verbo esistenziale introduce un sintagma nominale il quale viene specificato da una pseudo relativa esplicativa che funziona da segnale rematico e serve a spezzare una frase polirematica, nel testo si registrano pochi casi e compaiono con la variante meridionale per l’ausiliare: “Ce stà un amico de mio marito che ti vole parlà” (258, 22, D.); “Ce sta quel signore là.. lo vedi.. stanno in due...je piace quella tizia che hai portato” (327, 19, D.). - La frase scissa. Consente di mettere in rilievo il costituente marcato indipendentemente dalla sua natura grammaticale: “Ma è possibile che la vita mia debba finì così?” (340, 4, D.); “ dov’è che vai?” (264, 4, D.). - Il che polivalente. L’uso del che come connettivo o complementatore, costituisce un fenomeno che va dall’italiano standard al italiano popolare; una larga polimorfia di impieghi mirati ad unire a una frase principale ed una subordinata, il cui esame rivela un risultato di sincretismo, cioè convoglia fusi insieme più valori semantici (Sornicola, 1981) per cui si tratta di un difficile distinguere bene a quali varietà siano da riportare i vari tipi di usi. Grosso modo, seguendo Berruto (1985), possiamo stabilire una classifica di tre grandi gruppi: 1º- Che eventivo - esplicativo - consecutivo; 2º Che enfatizante esclamativo; 3º Che presentativo. Alcuni esempi: +che eventivo - esplicativo - consecutivo: “lasciateme che l’ammazzo!” (290,27,D.); “Arisisti, Accattò che fra poco se magna.” (293,11,D.); “Reggeteve, boni italiani, boni, che arriva madama contegno” (273,13-14,D.); “Bacia tu’ fratello che è l’ultima volta che lo vedi.” (252, 1, D.). + Che con valore temporale: “Arriverà er giorno che qualcuno t’ammazza, delinquente!” (283, 16, D.); “Ma deve essere poco che lavora qua” (285, 18, D). + Che riempitivo: “Vattene! Che la faccia tua nun vojo che manco la vede, tu’ fijo.” (289, 14, D.); “Avanzo di galera che nun sei altro!” (289, 12, D.). La prevalenza del che ha provocato una netta riduzione dell’uso di forme come quale, oppure cui nel caso specifico dei pronomi relativi. BEGOÑA SUÁREZ MORENO 868 - I pronomi. In questo settore stanno avvenendo fenomeni molto importanti per la ristandardizzazione e ristrutturazione dell’italiano. Alcuni di questi sono: a) L’impiego di pronomi tonici soggetto, in particolare io, usato come nominativo assoluto: 20- Accattone: Guarda nun so mica venuto a chiede l’elemosina, io sa’! Se io vojo, da magnà me lo so rimedià... (287, 24, D.). b) L’impiego di deittici con valore enfatico rafforzativo, e non dimostrativo; in questo caso con il suo corpo fonico ridotto: “‘Sto zozzo... de sto burino boia...” (313, 24, D.); “[...] fatela subito ‘sta colletta, no?” (252, 28, D.). c) Ridondanza pronominale: “a me nun me serve niente da nessuno” (es. 20); “A noi nun ce danno niente” (es. 16). d) Tendenza all’apparizione di gli (nel romanesco je), pronome personale atono obliquo di terza persona, come unica forma adoperata per il singolare: “je faccio vede io a quella prostituta” (es. 17); “avemo rimorchiato ‘na battona [..] je avemo offerto il caffè [..] je avemo messo ‘na boccetta [..] je avemo pure menato” (263, 11-16, D.). e) La desemantizzazione del pronome atono ci: normalmente legato al verbo, con valore rafforzativo e attualizante, il cui uso diventa sempre meno marcato. Il topico esempio è quello di averci che presenta ormai un valore pronominale nullo: “se ciavemo mille lire in saccoccia” (es. 12); “ciò intenzione da lavorà” (es. 15); “ciò sempre er passante da scommette! Scommetti se ciài coraggio! Ciài tutta lingua, ciài!” (es. 18). Ovviamente rimangono molti altri fenomeni da analizzare come gli anacoluti, la contaminazione di costrutti, ellissi e brachiologie, ripetizioni...ecc, ma non in questa sede. Dai dati ricavati ed esposti abbiamo notato come varietà di uno stesso codice si usano in base al loro valore sociale; da un punto di vista sociolinguistico siamo d’accordo con la tesi sostenuta da Stefinlongo: “si può dire che quella romana è una situazione di diglossia senza bilinguismo in quanto non ci sono due codici verbali che si spartiscono il repertorio verbale in base alla funzione (parlato /scritto; informale / formale)” (Stefinlongo, 1985: 55). Oggi stiamo assistendo ad un riassestamento che ha drasticamente ridotto lo spazio riservato ai vecchi dialetti a vantaggio sia della lingua nazionale, sia di altre varietà un tempo di importanza solo marginale, come la varietà regionale. In ogni caso, per dirla in parole di Grassi, Sobrero e Telmon (1997) si tratta dei multiformi aspetti che assume la comunicazione verbale nella nostra società. ACTAS DO I SIMPOSIO INTERNACIONAL SOBRE O BILINGÜISMO 869 Bibliografia Berretta, M. (1994), “Il parlato italiano contemporaneo”, in L. Serianni, P. Trifone, Storia della lingua italiana, vol. II, Torino, Enaudi Editore, 239-70. Berruto, G. (1995), Fondamenti di sociolinguistica, Roma-Bari, Laterza. __ (1990), “Italiano regionale, commutazione di codice e enunciati mistilingui”, in Società di linguistica Italiana, Atti del XVIII Congresso Internazionale di Studi (Padova-Vicenza, 14-16, settembre 1984), Roma, Bulzoni. __ (1989), “Tra italiano e dialetto”, in G. Holtus, M. Metzeltin, M. 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