il continuum sociolinguistico del romanesco in accattone

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il continuum sociolinguistico del romanesco in accattone
BEGOÑA SUÁREZ MORENO
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IL CONTINUUM SOCIOLINGUISTICO DEL ROMANESCO IN ACCATTONE1
Begoña Suárez Moreno2
Universidad de Oviedo
L’uso del termine continuum in sociolinguistica, seguendo Gaetano Berruto (1987;
1995), intende mettere in rilievo le diverse varietà linguistiche alle quali non si possono
assegnare confini netti, discreti, che separino rigorosamente una varietà da quelle vicine. Nella
situazione italiana, l’italiano standard e il dialetto locale potrebbero costituire gli estremi del
continuum fra cui esistono varietà intermedie, segni di fenomeni di ibridazione o transizione a
metà fra italiano e dialetto, cioè un continuum con addensamenti in cui le varietà coincidono
con addensamenti in fasci di tratti del continuum e che possono trovarsi non agli estremi ma
quasi diremmo condividere “fenomeni di bilinguismo imperfetto”, inteso come una
enunciazione mistilingue all’interno di un singolo atto linguistico; in una singola frase avviene
un passaggio nella formulazione di uno o più costituenti in una varietà di repertorio diversa da
quella in cui la frase è stata iniziata, talché il risultato è una frase i cui costituenti appartengono
a diversi sistemi linguistici (Berruto, 1990).
Con queste premesse, sulla base di U. Vignuzzi (1994a: 31), in cui si è proposto
denominare il continuum linguistico romano come L’italiano de Roma, ci proponiamo
avvicinarci al romanesco degli anni ‘50 - ‘60, quel periodo cioè del Neorealismo
cinematografico italiano durante il quale l’elemento linguistico dialettale si impone
progressivamente; ad esso contribuiscono diversi attori come Alberto Sordi o Sergio Citti,
quest’ultimo, in particolare, grande conoscitore della parlata romanesca e collaboratore
dapprima di Pasolini.
Prenderemo come corpus d’analisi alcune delle strutture parlate del film Accattone
(1961) di P. P. Pasolini, per osservare ed evidenziare le diverse forme dialettali, le forme di
transizione e le forme di “neostandard”. Non essendo questa la sede per una compiuta disamina
della questione ci limiteremo a segnalare in modo sintetico i punti più rilevanti.
L’ attuale situazione linguistica italiana è caratterizzata da un’ampia area di fenomeni di
contatto fra lingua nazionale, l’italiano cosidetto standard a base fiorentina, e i singoli dialetti
delle diverse regioni d’Italia, un rapporto a vantaggio della prima dovuto alla forte espansione
di essa in tutti gli ambiti d’impiego politico, economico, culturale, ecc (Berruto, 1989); tali
1
Edizioni utilizzate: P.P. Pasolini (1960), Accattone, in Alì dagli occhi azzurri, Garzanti-Gli elefanti, Milano 1989, testo
letterario; (1961) Accattone, Video Club Luce - Video Rai, Cinecittà, Roma 1995, (film).
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fenomeni si sono presentati in maniera molto evidente e peculiare nella città di Roma,
particolarmente, negli ultimi cento anni, non soltanto per la sua situazione appunto geografica,
politica, economica e culturale ma anche da un punto di vista storico perché “quando la storia
volle che alle funzioni di lingua comune assurgesse il dialetto fiorentino, Roma non poteva
mancare di accettarlo e di diffonderlo a suo modo, e non mancò” (Migliorini, 1932).
Conseguenza immediata di questo atteggiamento è stata la progressiva “smeridionalizzazione”
del dialetto cittadino, al punto di far dire a Migliorini (1932): “La storia del romanesco è la
storia del suo disfascimento, dovuto all’azione esercitata per secoli su di esso dal toscano che gli
si sovrappose”3. Il romanesco ha avuto un percorso storico travagliato con una sistematica
sostituzione degli originari elementi “centro-meridionali” con successivi tratti “toscani”, poi
“italiani” (Vignuzzi, 1988).
In altre metropoli coesistono almeno due codici linguistici strutturalmente molto distanti
(dialetti locali e italiano standard), il panorama linguistico a Roma è piuttosto omogeneo e
compatto, dovuto fondamentalmente a due fattori (Stefinlongo, 1985: 47):
a) A una notevole coincidenza di tratti in tutte le varietà del repertorio. Non c’è una
distanza significativa fra la varietà romana nel suo insieme e l’italiano.
b) Alla forte interazione o parziale sovrapposizione di ogni varietà del continuum con le
varietà immediatamente adiacenti. Costituisce un ottimo esempio di continuum linguistico
urbano, scarsamente differenziato al suo interno.
Nonostante questa relativa omogeneità nei poli del continuum si distinguono: la varietà
alta, in pratica rappresentata dall’italiano neostandard e la varietà bassa ai confini del dialetto (o
che l’ha inglobato in esso secondo la formula dell’ italiano de Roma). Gli addensamenti di
questo continuum coincidono in fasce intermedie, ove neostandard, parlato e dialetto si
amalgamano in modo considerevole (Vignuzzi, 1988).
1. La varietà alta
La varietà “alta” si situa alla prosecuzione di quella varietà di lingua parlata nella città
dai ceti medio - alti già nell’ Ottocento e che come sappiamo era di impronta toscana. Pur
avendo in comune con lo standard la grande maggioranza delle sue caratteristiche non è del
tutto esente da tratti regionali e da intrusioni dalle varietà del continuum che nel nostro caso
2
Doutoranda da Universidade de Oviedo (Asturias). Enderezo: R/ García Barbón, 103, 5º F. C.P.- 36210 Vigo.
3
A riguardo si vedano le osservazioni di De Mauro, Mancini e Trifone che osservano una situazione di contatto ed
interferenze nel caso romano, negando il suo disfascimento. Cfr. Bruni (1992).
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sono manifeste nel lessico, nelle strutture morfosintattiche e specialmente nella realizzazione
fonica (fonematica e soprattutto fonetica).
L’italiano standard nell’opera viene impiegato dai rappresentanti ufficiali della legge,
cioè dal commissario e le guardie, il che ratifica la presenza di questa variante come
identificabile con l’italiano ufficiale, normativo dello Stato italiano4.
1- I guardia: Favorisca i documenti! (274,2,D.)5
2- Guardia: Stai buono e mettiti seduto! Qui non stai in casa tua! Quando il maresciallo
sarà comodo ti chiamerà lui, non aver paura! (275, 14 e ss., D.).
3- Commissario: Fai attenzione a riconoscere bene i tuoi aggressori.. Che se dovesse
risultare qualche innocente vai incontro a dei guai, stai attenta!. (278, 13 e ss., D.).
Le strutture morfosintattiche si costruiscono secondo la norma dell’italiano standard.
Nell’esempio 2 e 3 si osserva come la seconda persona dell’imperativo, seguendo la norma
ottocentesca, è stata sostituita dalle corrispondenti forme dell’indicativo “stai” e “fai” (Seriani,
1989: 434), e oltre a ciò si adopera correttamente la forma negativa.
È interessante notare come per indicare lo stato in luogo nell’esempio 2 si usa la
preposizione “in” contrariamente all’attesa preposizione “a” di tipo romanesco e meridionale
(Seriani, 1989: 344).
Tuttavia trattandosi di personaggi anch’essi “popolari” non sempre si esprimono in una
varietà alta “pura”, la contaminazione da altre varietà più basse è presente (soprattutto in
contesti non “formali”):
4- Agente: Fermi! Che ciavete là dentro! Polizia! (361, 28,D.)
L’uso del ci nel dialetto romanesco, limitato al possesso materiale, è confermato sulla
base di spogli belliani (D’Achille, 1987: 174), attualmente diffuso anche nella variante
neostandard.
I fenomeni d’ibridismo ove l’elemento culto appare contemporaneamente con
l’elemento basso si incentrano nei personaggi protagonisti, i borgatari romani, soprattutto nel
lessico:
5- Luciano: Ridi, ridi, Accattò? Calunnia e falso in atto pubblico! Il Minimo so’ due
anni: mo che te Magni, Accattò, per du’anni? Te fai dà un po’ di minestra da le Mantellate (279,
23-25,D.).
4
Per gli esempi, appariranno in grassetto i termini che devono spiccare nel contesto.
5
S’indica il numero di pagina ed il numero della riga dove appare il fenomeno da analizzare. L’indicazione D. fa riferimento
a strutture dialogate, N. indica i brani narrati. Evidenziamo in tratti corsivi gli esempi di varietà alta ed in grassetto i tratti
di varietà bassa.
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6- Giorgio il Secco: Ma falla finita! A ignorante! No lo sai che quando una ha mangiato
nun se lo po’ fà er bagno,more. No lo sai che la reazione dal caldo al freddo ferma tutto
l’apparato digerente, se ferma la circolazione der sangue e bona notte ai sonatori! (250,28,D).
7- Accattone: Tanto te mica hai magnato, er bagno nun te fa male. L’apparato
digestivo.. nun funziona più... la reazione sanguigna.. Ma lo sai chi è Accattone? Accattone
nemmeno fiume se lo porta via!. (254, 24, D.).
8- Giorgio il Secco: Ma vatte a istruì a microcefalo, che? sei rimasto ancora nell’età
della pietra, nun te vergogni.... (251, 4-5,D.).
9- Scucchia: Ma chi ve lo fa fà! Ma annatevene a dormì la notte invece de annà a giocà
a carte. Me parete tutti usciti dall’obitorio! (250,2,D.).
Perfino nel discorso narrato Pasolini intreccia in numerose occasioni modelli d’italiano
alto con quello substandard seguendo la dinamica dei suoi protagonisti.
10- Tutto bruciava. Il sole tenero della mattina di fine estate era come calce rovente.
Una faccia bruciata alzò la scucchia coi due buchi sulle guance per la magrezza, e lo sguardo
acquoso,... (249, 2-3,N.).
2. La varietà bassa
All’estremo opposto della varietà alta si colloca la varietà dialettale. Il dialetto è
collegato normalmente ai rapporti famigliari, ad ambiti ristretti come la cerchia degli amici che
si muovono nelle borgate romane mostrate da Pasolini, però l’autore adopera questa varietà
soprattutto come reazione al rapido processo di sradicamento culturale che aveva notato fra il
popolo italiano ed una conseguente tendenza all’abbandono dei dialetti.
Per affrontare questo aspetto sarà interessante guardare non solo al lessico ma ai livelli
più strutturati della lingua come la fonetica e la morfologia, facendo un veloce spoglio vediamo
qualche esempio:
11- Alfredino: A martire! da’ retta a ‘n amico, smettela de lavorà, entra pure te nella
società della Metro Goldwin Mayer! Haaam! (249,23,D.).
12- Accattone: Semo tutti ‘na massa de disgrazziati semo omini finiti, ce scartano
tutti! Noi valemo giusto se ciavemo mille lire in saccoccia, se no nun semo niente... Pure in
galera nun ce ponno vede, a noi! Nun ce considerano omini, perché nun semo boni a
provacce da soli.. oggi è mejo fa er ladro che ‘sto mestiere infamante... (261,1-5.D.).
13- Ascensa: Nun vojo sentì niente! Tanto lo so quello che vòi Te! Ma qui nun c’è
trippa pe’ gatti! Aripija la strada e vattene! (287,22,D.).
14- Ascensa: Arimedi sì, da magnà! Vergognete, almeno! Lo dici pure, come lo rimedi
da magnà! Ma famme er piacere, vattene nun sei stato bono nè per te, nè per me, nè per tu’
fijo! E mo rivenghi qui? Qui nun c’è la cuccagna, sa’! Nun me lo fa ripete più, Vattene!
(287,28-30,D.).
15- Accattone: A Ascensa, senti... Lo so, so’ stato un zozzo, lo so, ho sbajato... ma
damme maniera da riparà, da fammete vedè quello che valo... (287-88, 34-1,D.)
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16- Renato: Armeno ar fachiro Burma lo pagano pe’ fa’ ‘st’esibbizioni! (293,1,D.).
Da un punto di vista fonosintattico si osserva che Pasolini non registra graficamente il
peculiare raddoppiamento sintattico della pronuncia (Garvin, 1984) della lingua di Roma, come
aveva precedentemente fatto nei romanzi Ragazzi di Vita (Pasolini, 1955; d’ora in poi RV) e
Una vita violenta (1959; d’ora in poi VV). Ricordiamo l’esempio a ffà (“state a ffà”, “stamo a
ffà”, “sto a ffà”, RV 8, 22, 24; “chi me lo fa ffà” VV16). Naturalmente gli attori lo realizzano
nel film6.
2.1. Del VOCALISMO del romanesco si annotano casi come
- Mancata dittongazione di /o/ (aperta tonica): bono (266, 16.D.), fori (297, 14, D.),
omo (284, 19, D.), omini (261, 1, D.), core (290, 27, D.), vòi (252,28,D.), more (v. es. 6).
- Passaggio di “a” postonica ad “e” nei proparossitoni: vergognete (287, 28, D.),
porteme (273, 3, D.), pagheno (285, 14, D.), carmete (283, 7, D.).
- Conservazione di “e” protonica all’interno di frase: de lavorà (249,23, D.), un po’ de
minestra (279, 25, D.), de annà (250, 2, D.), nun ce considerano (261, 4, D.), nun ce ponno vedè
(261, 3, D.), De che? (277, 10) me parete (es. 9).
- Chiusura anomala (non tosco-italiana) in protonia: nissuno (266, 9, D.), rigalo (357,
29, D.), ricoje: (252, 7, D.).
2.2. Consonantismo
-Di tanto in tanto, Pasolini rappresenta anche l’intensità consonantica, forse
suggestionato dal modello grafico belliano (Seriani, 1996: 205), così succede con la
rappresentazione dell’affricata alveolare intensa all’interno di parola: disgrazziati (es. 12).
Controessi più occasionale la riproduzione del grado intenso nelle bilabiale e affricata palatale
sonore: subbito (258, 29, D.), libbero (272, 12, D.), robba (279, 11, D.), esibbizioni (es.16),
diggiuno (295, 4, D.).
- Il rotacismo della liquida laterale /l/ in liquida vibrante /r/: è presente soprattutto nelle
forme dell’articolo determinativo maschile singolare sebbene si osservi un’oscillazione di
allotropi: fa er ladro (es. 12); armeno ar fachiro (es. 16), ma ce potevi restà almeno (257, 4, D.);
6
Riteniamo che il testo di Accattone è stato concepito come una sceneggiatura per film. Gli attori romani, in questo caso
Franco e Sergio Citti e i suoi compagni, mostrano tutti di norma il rafforzamento fonosintattico. Lo stesso fenomeno
accade in Mamma Roma (1961).
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er piacere (es. 14); er bagno; der sangue (es. 6); dorci (261, 24, D.); quarcuno (338, 33, D), ma
un giorno o l’altro trovi qualcuno (288, 30, D.).
- Il nesso -NG-: si risolve in una palatale nasale: magnà (es. 14), magni (es. 5), piagne
(262, 1, D).
- Il nesso -ND- > -nn-. (Si verifica un’assimilazione progressiva): annatevene, annà (es.
9), annamo (260, 13, D.). Ma alterna con la soluzione standard di conservazione del nesso:
-17 Accattone: Mo quando torno a casa, je faccio vede io.. (262, 16, D.).
- Lo scempiamento della vibrante [-rr-] appare saltuariamente:
Arimedi (es. 14), m’arovini (277, 25, D.), fero (348, 11, D.), Feragosto (360, 26, D.), la
tera (355, 9, D.).
- La laterale palatale // tende ad essere sostituita da /j/: mejo (es, 12), vojo, aripija (es.
13), fijo (es. 14), sbajato (es. 15), je faccio (es. 17).
2.3. Altri fenomeni dialettali riscontrati (morfosintassi)
- Apocope sillabica degli infiniti: magnà (287,28,D.), ripete (287,30,D.), riparà
(287,2,D.), vedè (288,1,D.), lavorà (288,3,D.) istruì (v.es. 8), fà (v.es. 9).
- Allungamento di consonanti nelle forme verbali dell’infinito quando si abbinano con
pronomi enclitici: a provacce “-rc-” (es. 12), pe’ rovinamme “-rm-” (262, 21, D.), non ciavemo
niente da disse io e te! “-rs-” (287, 12, D.), d’avecce avuto “-rc-” (289, 15, D.).
- Si registrano forme verbali con “a-” protetica: arimedi (287, 28, D.), aripija (287, 23,
D.), arovini (277, 25, D).
- Il mantenimento tripartito nella desinenza di 1ª persona plurale (-amo, -emo, -imo:
annamo, vedemo, sentimo) di contro al livellamento toscano in -iamo.
- Le strutture eco o “parlà foderato” un meccanismo particolare di ripetizione
dialogica.
18- Accattone: Stanotte ho perso tutti i soldi, però ciò sempre er passante, da
scommette! Scommetti, se ciài coraggio! Ciài tutta lingua, ciài! (251, 10, D.).
19- Cognato: T’ammazzo! Te faccio sputà er sangue, zozzo! Te metto er core in mano,
te metto! (290, 26, D.).
- La particella allocutiva “a” il cui valore semantico-pragmatico sembra di essere quello
di rafforzzare, permettendo l’immediata riconoscibilità del vocativo (D’Achille, 1995); la
maggior parte delle volte è seguita sia da nomi propri, (cognomi e soprannomi inclusi) che
nell’uso trascurato e basso vengono troncati: A Ascensa, senti... (es. 15), a Accattò (263, 9, D.),
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sia da appellativi comuni, sia da aggettivi (Suárez, 1990: 546): a microcefalo (es. 8), a martire
(es. 11).
- Sul piano lessicale7 shanno diversi esempi dei quali citeremo soltanto alcuni:
saccoccia “tasca” (es. 12), zozzo “sporco” (es. 15), poro “povero” (250, 8, D.), fracichi
“ubriachi” (260, 22, D.), essere in campana “all’erta, con attenzione” (250,9,N.), burino
“campagnolo, rozzo” (313, 25, D.), farlocchi “stranieri” (273, 8, N.), roscio “rosso” (278, 3,
D.).
3. Il parlato
Nel recente sviluppo dell’italiano, il graduale affermarsi di certi elementi legati
all’oralità in ambito scritto ha determinato una riflessione e posteriore analisi della netta
separazione dicotomica scritto/ parlato. Il nuovo standard, si manifesta come maggiormente
vicino alla parlata colloquiale, più variato in diatopia, in diafasia e più ampiamente fondato in
termini sociali (cf. Berruto, 1987: 63, nota 2).
Nel continuum romano sono anche presenti componenti che si ritrovano nelle sezioni
dialogiche. Ma nel caso che ci occupa non va dimenticato un fatto di somma importanza:
Accattone è stato creato da un autore che ha cercato di simulare la lingua parlata delle borgate
romane. Il discorso orale significa un’elaborazione in ordine lineare, una produzione legata ad
una situzione ben precisa che presuppone la presenza contemporanea di emittente e destinatario;
in più si arricchisce con la gestualità, l’intonazione.. ecc. L’autore, per cercare di essere il più
fedele possibile al discorso orale, adopera strategie orali nel discorso scritto: per questo tipo di
testo adottiamo appunto la denominazione di “parlato - scritto” (Nencioni, 1976).
I meccanismi di parlato da cui si serve Pasolini sono di diversa natura:
3.1. Morfosintassi
- La dislocazione a sinistra8. Si tratta di un costrutto col quale si porta nella posizione
del tema un elemento della frase che secondo l’ordine normale non sarebbe in posizione
tematica, diventa così il centro d’attenzione del parlante; l’elemento dislocato a sinistra si
riprende nella frase con un pronome clitico: “Accattone nemmeno fiume se lo porta via!” (es.
7); “Semo tutti’ na massa de disgrazziati, semo omini finiti, ce scartano tutti! a noi nun ce
7
Per la questione del lessico cfr. Costa (1997).
8
Le definizioni seguono Berruto (1987), cfr. nota 2.
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considerano omini” (es. 12); “ar fachiro Burma / lo pagano” (es. 16), “io intenzione ce l’ho”
(es. 15).
- La dislocazione a destra. Costrutto in cui a destra di una frase semplice compare un
sintagma nominale il cui ruolo sintattico dipende dal verbo della frase e che è anticipato da un
clitico all’interno della frase: “Come lo rimedi da magnà” (es. 14); “Tanto lo so quello che vòi”
(es. 13); “lo so, so’ stato un zozzo” (es. 15); “E chi ce l’ha, i documenti! Tanto me lo ricordo
come mi chiamo, e che ce fo, coi documenti?” (274, 3-4, D.); “nun ce ponno vede, a noi!” (es.
12).
- Il ce presentativo. Ci + verbo esistenziale introduce un sintagma nominale il quale
viene specificato da una pseudo relativa esplicativa che funziona da segnale rematico e serve a
spezzare una frase polirematica, nel testo si registrano pochi casi e compaiono con la variante
meridionale per l’ausiliare: “Ce stà un amico de mio marito che ti vole parlà” (258, 22, D.); “Ce
sta quel signore là.. lo vedi.. stanno in due...je piace quella tizia che hai portato” (327, 19, D.).
- La frase scissa. Consente di mettere in rilievo il costituente marcato
indipendentemente dalla sua natura grammaticale: “Ma è possibile che la vita mia debba finì
così?” (340, 4, D.); “ dov’è che vai?” (264, 4, D.).
- Il che polivalente. L’uso del che come connettivo o complementatore, costituisce un
fenomeno che va dall’italiano standard al italiano popolare; una larga polimorfia di impieghi
mirati ad unire a una frase principale ed una subordinata, il cui esame rivela un risultato di
sincretismo, cioè convoglia fusi insieme più valori semantici (Sornicola, 1981) per cui si tratta
di un difficile distinguere bene a quali varietà siano da riportare i vari tipi di usi. Grosso modo,
seguendo Berruto (1985), possiamo stabilire una classifica di tre grandi gruppi: 1º- Che eventivo
- esplicativo - consecutivo; 2º Che enfatizante esclamativo; 3º Che presentativo. Alcuni esempi:
+che eventivo - esplicativo - consecutivo: “lasciateme che l’ammazzo!” (290,27,D.);
“Arisisti, Accattò che fra poco se magna.” (293,11,D.); “Reggeteve, boni italiani, boni, che
arriva madama contegno” (273,13-14,D.); “Bacia tu’ fratello che è l’ultima volta che lo vedi.”
(252, 1, D.).
+ Che con valore temporale: “Arriverà er giorno che qualcuno t’ammazza, delinquente!”
(283, 16, D.); “Ma deve essere poco che lavora qua” (285, 18, D).
+ Che riempitivo: “Vattene! Che la faccia tua nun vojo che manco la vede, tu’ fijo.”
(289, 14, D.); “Avanzo di galera che nun sei altro!” (289, 12, D.).
La prevalenza del che ha provocato una netta riduzione dell’uso di forme come quale,
oppure cui nel caso specifico dei pronomi relativi.
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- I pronomi. In questo settore stanno avvenendo fenomeni molto importanti per la
ristandardizzazione e ristrutturazione dell’italiano. Alcuni di questi sono:
a) L’impiego di pronomi tonici soggetto, in particolare io, usato come nominativo
assoluto:
20- Accattone: Guarda nun so mica venuto a chiede l’elemosina, io sa’! Se io vojo, da
magnà me lo so rimedià... (287, 24, D.).
b) L’impiego di deittici con valore enfatico rafforzativo, e non dimostrativo; in questo
caso con il suo corpo fonico ridotto: “‘Sto zozzo... de sto burino boia...” (313, 24, D.); “[...]
fatela subito ‘sta colletta, no?” (252, 28, D.).
c) Ridondanza pronominale: “a me nun me serve niente da nessuno” (es. 20); “A noi nun
ce danno niente” (es. 16).
d) Tendenza all’apparizione di gli (nel romanesco je), pronome personale atono obliquo
di terza persona, come unica forma adoperata per il singolare: “je faccio vede io a quella
prostituta” (es. 17); “avemo rimorchiato ‘na battona [..] je avemo offerto il caffè [..] je avemo
messo ‘na boccetta [..] je avemo pure menato” (263, 11-16, D.).
e) La desemantizzazione del pronome atono ci: normalmente legato al verbo, con valore
rafforzativo e attualizante, il cui uso diventa sempre meno marcato. Il topico esempio è quello di
averci che presenta ormai un valore pronominale nullo: “se ciavemo mille lire in saccoccia” (es.
12); “ciò intenzione da lavorà” (es. 15); “ciò sempre er passante da scommette! Scommetti se
ciài coraggio! Ciài tutta lingua, ciài!” (es. 18).
Ovviamente rimangono molti altri fenomeni da analizzare come gli anacoluti, la
contaminazione di costrutti, ellissi e brachiologie, ripetizioni...ecc, ma non in questa sede.
Dai dati ricavati ed esposti abbiamo notato come varietà di uno stesso codice si usano in
base al loro valore sociale; da un punto di vista sociolinguistico siamo d’accordo con la tesi
sostenuta da Stefinlongo: “si può dire che quella romana è una situazione di diglossia senza
bilinguismo in quanto non ci sono due codici verbali che si spartiscono il repertorio verbale in
base alla funzione (parlato /scritto; informale / formale)” (Stefinlongo, 1985: 55).
Oggi stiamo assistendo ad un riassestamento che ha drasticamente ridotto lo spazio
riservato ai vecchi dialetti a vantaggio sia della lingua nazionale, sia di altre varietà un tempo di
importanza solo marginale, come la varietà regionale. In ogni caso, per dirla in parole di Grassi,
Sobrero e Telmon (1997) si tratta dei multiformi aspetti che assume la comunicazione verbale
nella nostra società.
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