informazioni - Accademia dei Georgofili
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informazioni Anno III n. 1 a ri , a a ter , sole ac u q ra, . . . v i t a: agri-cultura 21 marzo 2009 dai Georgofili “Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Firenze” Paesaggio agrario: un’altra occasione perduta In caso di mancato recapito inviare a Firenze CMP per la restituzione al mittente previo pagamento resi D alla concitata fuga di provvedimenti legislativi che ha caratterizzato, agli albori del nuovo secolo, l’approccio del legislatore al tema del paesaggio, traspare una sorta di tendenziale indifferenza verso le peculiarità che connotano il paesaggio agrario, le quali, viceversa, richiedono una disciplina ad hoc, in grado di conciliare la tutela dei valori paesaggistici e, dunque, culturali, estetici, natura- listici, con la protezione degli interessi economici degli agricoltori che all’interno di quel paesaggio svolgono la loro attività imprenditoriale. Non si sottrae a questo giudizio sferzante, quanto realistico, l’ultima tessera recentemente incastonata nel complesso e contraddittorio mosaico della legislazione paesaggistica, rappresentata dal decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63 “Ulteriori disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al paesaggio”. Il decreto, infatti, si limita, da un lato, a riproporre la formula già collaudata nei suoi precedenti, di un invito diretto alle Regioni a riservare particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali, nella individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio; dall’altro lato, ad inserire gli alberi monumentali, tendenzialmente localizzati nelle aree agricole, tra le categorie di beni potenzialmente oggetto di dichiarazione di notevole interesse pubblico, da sottoporre quindi a vincolo paesaggistico. Difesa delle colture con mezzi a basso impatto ambientale C comune aratteristica delle ricerche volte alla messa a punto di strategie innovative per la difesa delle colture è l’individuazione di mezzi di lotta efficaci, economici, a basso impatto ambientale e di facile applicazione. Gli interventi per il controllo delle infestazioni entomatiche perseguono i principi ecologici ed economici sopra citati, mediante l’impiego di strategie (monitoraggio dei livelli di popolazione dei fitofagi, uso di attrattivi e repellenti, ecc.) che riducono l’impatto ambientale del presidio sanitario più che con l’impiego di mezzi chimici con ridotta azione biotossica. Infatti le infestazioni entomatiche sono ancora in massima parte controllate dagli insetticidi organici di sintesi ai quali si continua a guardare in attesa di valide innovazioni. Interesse ed aspettative destano, al riguardo, principi attivi di recente formulazione con bassa tossicità per mammiferi ed altri gruppi di animali “non target”. La messa a punto di strategie di lotta a basso impatto ambientale contro funghi, batteri, nematodi fitoparassiti e piante infestanti, passa attraverso l’integrazione delle pratiche della gestione delle colture (mantenimento della fertilità biologica del suolo, diagnostica fitopatologica, modelli previsionali, ecc.) con i mezzi di difesa diretti. La ricerca e la sperimentazione hanno consentito di individuare strumenti biotecnici utili o potenzialmente utili per la difesa delle colture in campo e degli ortofrutticoli in post-rac- colta. Per lo più si tratta di microrganismi antagonisti, insetti parassiti per la lotta alle infestanti, biocidi di origine naturale, mezzi fisici, additivi alimentari, ecc., il cui impiego in campo pratico è spesso reso difficoltoso anche da procedure di registrazione lunghe ed onerose. Il divieto d’impiego del bromuro di metile per la lotta contro i patogeni tellurici ha stimolato la ricerca e la sperimentazione in campo di mezzi alternativi quali i biofumiganti (ad esempio gli isotiocianati liberati per idrolisi dei glucosinolati contenuti in molte Brassicaceae) e le matrici organiche complesse (torba, compost, residui colturali, ecc.) la cui soppressività può essere aumentata con l’aggiunta di organismi competitivi. La mancanza di metodi semplici con Conseguentemente, è prevista, nei casi in cui la proposta di vincolo riguardi filari, alberate ed alberi monumentali, l’integrazione della commissione preposta alla relativa valutazione con un rappresentante del competente comando regionale del Corpo forestale dello Stato. Ben poco, dunque, rispetto agli auspici, coralmente quanto autorevolmente manifestati dalla stessa Accademia dei Georgofili, di una maggiore attenzione del legislatore verso la complessità degli interessi che si intrecciano nel paesaggio agrario e la loro potenziale conflittualità: un’altra occasione perduta. Nicoletta Ferrucci cui determinare la capacità soppressiva di differenti matrici, rappresenta il fattore fortemente limitante la loro diffusione nella pratica agricola. La resistenza delle piante alle malattie è un efficace meccaniPaolo Alghisi (segue a pag. 2) In questo numero: Paolo Alghisi Attilio Bosticco Orazio Ciancio Maurizio Cocucci Maurizio Conti Mario Dini Nicoletta Ferrucci Cesare Intrieri Santi Longo Liviana Leita Giacomo Lorenzini Stefano Mancuso Letizia Martirano Vittorio Marzi Valerio Merlo Luigi Omodei Zorini Alessandro Pacciani Enrico Porceddu Luigi Rossi Franco Scaramuzzi Paolo Sequi Franco Francesco Vincieri I distretti in agricoltura per una politica che cambia C on la decisione del 10 Dicembre 2008, la Commissione UE ha assentito alla concessione degli Aiuti di Stato per l’attuazione dei contratti “di filiera” e “di distretto” (con riferimento al Decreto 2850 del 21/4/2008) aprendo finalmente concrete prospettive all’utilizzazione di strumenti innovativi per l’ammodernamento dell’agricoltura e lo sviluppo dei territori rurali, anche in relazione alle acclarate trasformazioni del settore ed agli emergenti orientamenti delle politiche. Si tratta, in effetti, di un riconoscimento indiretto dei distretti a livello europeo sicuramente destinato a imprimere un’accelerazione alla progettualità a livello locale e di comparti produttivi. Ma si tratta soprattutto di un provvedimento che libera circa 800 milioni di euro di contributi, risorse importanti per le filiere e le aree rurali che possono dotarsi di questi strumenti. I Distretti rurali e i Distretti agro-alimentari di qualità sono previsti all’art.13 della Legge di orientamento del 2001, ed il loro riconoscimento è attribuito alle Regioni, ma solo alcune hanno finora adottato specifici provvedimenti legislativi in un clima di non eccezionale inte- resse da parte delle categorie interessate. Ciò è quanto emerge a oggi da una ricerca a livello nazionale, coordinata dal Dipartimento di Scienze economiche dell’Università di Firenze e finanziata dal MIPAAF, per una valutazione su come hanno operato le Regioni in questi anni e su come hanno reagito le categorie all’introduzione di uno strumento di governance volto a favorire il partenariato territoriale e di filiera sulla base di una programmazione dal basso, sperimentata da tempo anche con la metodologia LEADER e della programmazione negoziata. La prossima conclusione della ricerca, si colloca in un momento particolarmente interessante e delicato per le imprese e per le aree rurali, poiché vengono a coincidere temporalmente im- 2009 Anno Italo-Egiziano della Scienza e della Tecnologia I l 2009 è stato proclamato Anno Italo-Egiziano della Scienza e della Tecnologia. L’iniziativa fa seguito al summit Italo-Egiziano del Giugno 2008, tra il Ministro degli Affari Esteri italiano, Franco Frattini, e il suo omologo egiziano, Aboul Gheit, e si inserisce nell’ambito del Decennio della Scienza e della Tecnologia (2007-2016), proclamato dal Presidente Mubarak, con lo scopo di fornire supporto politico ai programmi di espansione delle capacità scientifiche e tecnologiche del Paese, attraverso la cooperazione con i partner internazionali in svariati settori scientifico-tecnologici e la costituzione di fondi ad hoc per lo sviluppo delle scienze e della tecnologia. La sfida per l’Italia è di riuscire a promuovere iniziative che raggiungano il grande pubblico, valorizzando l’eccellenza italiana sia in quello della ricerca applicata alla produzione, sia in quello dell’influenza culturale italiana nell’area mediterranea, secondo il motto proposto per l’evento: Science for People. In pratica, il taglio del programma è quello di abbinare, a momenti di divulgazione scienti- 2 informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 fica destinati al grande pubblico, attraverso l’organizzazione di mostre scientifiche e di eventi speciali, momenti di approfondimento tecnico-scientifico, mirati a favorire la cooperazione bilaterale su progetti di ricerca scientifica e a rafforzare la presenza delle imprese italiane in Egitto e/o di iniziative collegate all’operato della Cooperazione Italiana e di altre Istituzioni italiane, principalmente le Regioni. Queste ultime, in particolare, possono essere interessate a partecipare alla programmazione dell’Anno della Scienza e della Tecnologia, in sinergia con altre Istituzioni, con iniziative mirate a promuovere all’estero l’eccellenza specifica di ogni Regione. Un esempio riguarda la Regione Piemonte, che ha previsto due rassegne multidisciplinari sulla produzione di granella ed utilizzo degli scarti della lavorazione del riso e sulla produzione della lana e della seta, associate ad un convegno sulla sostenibilità della coltura del riso nell’area mediterranea, proposto dal Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura. Due mostre scientifiche riguardano invece: L’Eredità di Fermi, in occasione del Centenario della sua nascita, e L’Eredità di Marconi, in occasione del Centenario del suo Premio Nobel. Università e Enti di Ricerca Italiani sono presenti in Egitto con collaborazioni e progetti di ricerca in svariati settori scientifici ed hanno quindi l’opportunità di valorizzare il loro lavoro, attraverso l’organizzazione di convegni, il lancio di nuovi progetti e lo scambio di ricercatori. Possono essere organizzati convegni scientifici e altre iniziative in vari settori. Difesa delle colture con mezzi a basso impatto ambientale (continua da pag. 1) smo naturale di difesa dai patogeni. Molta attenzione viene posta quindi agli induttori biotici ed abiotici di resistenza e all’ingegneria genetica per la produzione di piante transgeniche (PGM) resistenti alle malattie. Malgrado l’intensa attività sperimentale ed i successi ottenuti in laboratorio, serra e pieno campo, nessuna pianta portanti riforme delle politiche comunitarie, quali: la nuova Politica di Sviluppo Rurale, la recentissima approvazione dell’Health Check della PAC, l’attivazione della nuova Politica di coesione. In questo scenario, e soprattutto in previsione del post 2013 in discussione a Bruxelles, si conferma un crescente interesse per la territorializzazione delle politiche comunitarie come risposta alla sempre maggiore competizione sui mercati e a fronte di altre emergenze ambientali e climatiche. È certamente auspicabile che a provvedimenti legislativi che “danno gambe” ai distretti, si possano accompagnare anche opportune riflessioni di migliore organizzazione del quadro normativo a livello nazionale. Alessandro Pacciani In conclusione, il 2009 Anno Italo-Egiziano della Scienza e della Tecnologia vuole essere un’occasione per valorizzare la ricerca scientifico-tecnologica italiana, con potenziali ricadute in chiave di cooperazione con l’Egitto e con i Paesi dell’area medio-orientale, per promuovere le eccellenze del nostre Paese, contando su un ruolo impor tante da parte delle Regioni, e per dare visibilità alle aziende italiane operanti in Egitto. La programmazione dell’Anno resterà aperta a proposte di eventi scientifici fino all’ultimo momento compatibilmente con la realizzazione degli eventi stessi e comunque fino alla prima metà del 2009. Enrico Porceddu dotata di resistenza transgenica ai batteri ed ai funghi fitopatogeni è oggi presente sul mercato, mentre sono disponibili piante transgeniche resistenti a virus, insetti ed erbicidi. Nel complesso esiste oggi un ampio ventaglio di conoscenze suscettibili di sviluppo applicativo. Quelle necessarie per assicurare un più esteso impiego degli strumenti biotecnici sono, però, ancora insufficienti a garantire risultati capaci di conquistare la piena fiducia degli agricoltori. Paolo Alghisi Uno specchio per la nostra agricoltura N el volume tematico “Le imprese agricole”, l’Istat ha presentato i risultati di una rielaborazione dei dati censuari 2000 effettuata non prendendo in considerazione l’intero universo delle aziende censite, ma esclusivamente quelle individuali dedite alla commercializzazione della loro produzione nonché di quelle a carattere societario. Solo questo tipo di aziende avrebbe diritto al titolo di imprese ed a comporre quindi l’area dell’agricoltura imprenditoriale, distinta da tutta le attività agricole svolte per esclusivo autoconsumo. Complessivamente, le aziende che nel 2000 hanno dichiarato di commercializzare la propria produzione sono 1 milione e mezzo. Da parte sua l’Eurostat ha deciso – a partire dalla indagine strutturale del 2003 – di limitare il campo di osservazione L’agricoltura italiana è articolata in poco più di un milione di aziende comunitario alle sole aziende che superano una certa dimensione economica (almeno 1 UDE), vale a dire quelle che sono in grado potenzialmente di conseguire un reddito di almeno 1200 euro all’anno. Ciò al fine di rendere più omogenei e confrontabili i dati delle indagini comunitarie. Le aziende più piccole vengono relegate in un’area definita dell’agricoltura di sussistenza. In seguito all’adozione di tale nuovo campo di osservazione, le ultime indagini comunitarie sulle strutture assegnano all’agricoltura italiana circa 1 milione e cento mila aziende produttive. Queste nuove statistiche Istat ed Eurostat dimostrano che, se si circoscrive il campo di osservazione alle aziende che, in virtù della loro dimensione e dell’impegno nella commercializzazio- ne del prodotto, sono anche vere imprese, l’immagine sociostrutturale dell’agricoltura italiana cambia notevolmente. I nuovi dati convergono nel delimitare l’area dell’agricoltura imprenditoriale italiana a poco più di un milione di aziende, cifra che è molto vicina a quella delle circa 900 mila realtà produttive iscritte nei registri delle Camere di Commercio. Nell’ambito di quest’area è peraltro nettamente distinguibile un nucleo forte di imprese, quantificabile in meno di 500 mila unità, il cui ruolo è determinante per il conseguimento dei risultati produttivi ed economici del settore. Non arrivano neanche a 300 mila le aziende che, con la vendita del prodotto, ottengono entrate annue superiori a 25 milioni di lire (nel 2000). E bastano 400 mila imprese (migliori in termini di dimensione economica) per produrre l’80% del reddito lordo agricolo complessivo. Il restante 20% circa si calcola provenga da 600-700 mila imprese più piccole. Questi dati fotografano tre diverse realtà in cui si articola l’uso della SAU italiana. In primo luogo, le piccole unità fondiarie di autoconsumo e/o di sussistenza, quantificabili in quasi un milione e mezzo di realtà che la statistica esclude dal novero di aziende agrarie. In secondo luogo, le principali aziende imprenditoriali vere e proprie, il cui numero non arriva al mezzo milione. Infine le circa 600-700 mila aziende che – per usare l’espressione di Corrado Barberis – compongono un’area di agricoltura professionale povera, le quali coprono circa 3 milioni di ettari di SAU e svolgono un prezioso ruolo ambientale e territoriale; ma, a giudizio di autorevoli sociologi, sarebbero maggiormente esposte ad un progressivo abbandono, essendo meno capaci di trattenere o attrarre giovani che possano succedere all’attuale generazione di conduttori. Valerio Merlo L ’immagine strutturale dell’agricoltura italiana, così come offerta dalle statistiche Istat ed Eurostat ed analizzate nella interessante sintesi di Valerio Merlo (cfr. anche www.georgofili.it), induce a diverse riflessioni. La prima riguarda il fatto che, data la loro irrilevanza produttiva ed economica, le statistiche giustamente non considerano più come aziende agrarie quel crescente cosmo di microproprietà, derivato da una deleteria ed inarrestata polverizzazione fondiaria. Ne consegue che anche i loro titolari non dovrebbero entrare nel novero degli “addetti all’agricoltura” e non dovrebbero quindi ottenere sostegni pubblici dai fondi destinati allo sviluppo del settore. Mentre, al contrario, si evidenzia sempre più l’opportunità di assecondare un loro riaccorpamento in valide aziende. Così depurate, le statistiche sono state finalmente in grado di riflettere una più nitida immagine strutturale dell’agricoltura italiana, che in precedenza risultava invece assai degradata rispetto a quella degli altri Paesi della Unione Europea. Ora è evidente come le cause di quelle deformazioni d’immagine non dipendessero da difetti dello specchio (strumenti statistici), ma dai peculiari criteri con i quali venivano considerati e presentati i sog- getti da rilevare, quindi a causa della nostra prolungata disattenzione e confusione nei confronti dell’agricoltura, con la conseguente incapacità di vedere e distinguere oggettivamente la realtà delle cose. La nostra agricoltura risulta complessivamente strutturata in poco più di un milione di Aziende che, nel loro insieme, forniscono l’intero P.L.V. (prodotto lordo vendibile) agricolo nazionale. Circa l’80% di questo P.L.V. è prodotto da meno di 500 mila imprese più avanzate. Appare quindi evidente come lo sviluppo agricolo sia legato a questo insieme di realtà produttive. La promozione ed il sostegno di tale sviluppo dovrebbero quindi essere finalizzate razionalmente come investimenti finanziari in queste attività. È evidente inoltre l’opportunità di riconsiderare l’improvvida tendenza alle divisioni ed alle conseguenti contese interne al settore. L’agricoltura ha già troppo sofferto anche per l’insinuarsi di una deleteria ricerca di qualsiasi elemento di distinzione, capace solo di creare ulteriori divisioni in categorie ed il moltiplicarsi di rispettive rappresentanze. L’intero settore deve invece sentirsi ed essere considerato come un ben definito ed unitario insieme, capace di esercitare tutto il suo notevole peso. Franco Scaramuzzi L Premio “Antico Fattore” ’Edizione 2009 dello storico Premio “Antico Fattore” è stata dedicata alla viticoltura ed alla enologia. Il Consiglio accademico, avvalendosi del parere di una apposita Commissione di esperti, ha assegnato il Premio a Daniele Vergari e Roberto Scalacci per il lavoro “Istoria delle viti che si coltivano nella Toscana” con la seguente motivazione: Il valore culturale e scientifico del libro è assai notevole. La pubblicazione offre la possibilità di riscoprire e recuperare i vitigni autoctoni nell’ipotesi che alcuni possano essere utilizzati per un concreto miglioramento della viticoltura della Regione Toscana. Comunque quelli ancora reperibili potranno essere conservati come banca genetica. Il Premio sarà consegnato nell’ambito della Cerimonia per l’Inaugurazione del 256° Anno Accademico dei Georgofili. informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 3 Progetti Integrati Territoriali e Piani di Sviluppo Rurale I l sostegno alla produzione di servizi ambientali da parte delle imprese agricole è uno dei punti qualificanti dell’impostazione recente della Politica Agricola Europea e si è concretizzato nell’introduzione della condizionalità nel primo pilastro e nelle misure agro-ambientali nel secondo. La commistione tra interventi diretti al miglioramento dei redditi agricoli e politiche ambientali può, però, ingenerare qualche malinteso. L’impatto migliorativo sull’ambiente ha un senso se gli interventi di investimenti e/o manutenzioni sono svolti su superfici significative, spesso superiori a quelle delle piccole e medie aziende e non su appezzamenti isolati. Nel PSR la introduzione dei Progetti Integrati Territoriali (PIT) mirava anche appunto a questo obiettivo, così come, del resto, i progetti interaziendali nel precedente periodo (Patti d’area). Ciò che lascia perplessi è la indeterminatezza di questi strumenti, che di fatto ha causato la loro pressoché nulla applicazione nel primo piano. La mera assegnazione di punti aggiuntivi alle aziende partecipanti ad un PIT, nella graduatoria delle priorità per l’accesso ai finanziamenti nelle varie misure, è assolutamente inadeguata ad una reale promozione degli stessi. Se si desidera conferire alla produzione di servizi ambientali un concreto interesse per gli agricoltori ed un significativo vantaggio per la collettività, occorre identificare una forma di pagamento diretto di tali servizi ed assicurare la loro produzione a dimensioni territorialmente rilevanti. Il PIT può essere uno strumento valido, ma occorrerebbe assegnargli finanziamenti autonomi, non veicolati da vantaggi nelle graduatorie delle varie misure, ed occorrerebbe individuare i soggetti promotori e/o gestori di tali progetti assicurando agli stessi una convenienza nell’assumere questo ruolo. Un esempio potrebbero essere certe associazioni di produttori (ad esempio in Toscana gli olivicoltori ed i viticoltori) in grado di coinvolgere un numero di agricoltori che costituiscano massa critica per l’obiettivo di un PIT in una determinata area. Luigi Omodei Zorini La produzione di biomassa forestale S econdo i dati dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di Carbonio, i cedui in Italia si estendono su 3.663.143 ha e costituiscono il 41,8% della superficie forestale. La forma di governo più comune è il ceduo matricinato, con il 27,5%, seguito dal ceduo semplice, con il 10%, e dal ceduo composto, con il 4,3%. Le utilizzazioni di legna per combustibile documentate per l’anno 2002 sono state pari a 4.883.273 m3. Va però tenuto conto che le attuali statistiche ufficiali sottostimano in modo consistente gli effettivi prelievi legnosi, soprattutto per quanto riguarda i cedui: una recente ricerca ha dimostrato come in Italia centrale il prelievo di massa legnosa dai cedui sia oltre il 40% maggiore di quello censito amministrativamente. Una corretta analisi delle potenzialità di produzione di biomassa dei boschi cedui deve far riferimento anche a fattori esterni al bosco, come il numero delle imprese che operano nella filiera della legna da ardere, che secondo quanto riportato dalle statistiche delle Camere di Commercio a livello nazionale è pari a 2.804, quindi piuttosto limitato. Ciò testimonia le gravi difficoltà che caratte- 4 informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 rizzano l’attività nel settore forestale: stagionalità, condizioni dure del lavoro in foresta, diffusione del fenomeno del lavoro nero, carenza delle necessarie operazioni di formazione e specializzazione dei lavoratori. Il bosco ceduo è una risorsa rinnovabile ed è in grado di fornire una elevata quantità di legna per combustibile. Tuttavia, l’uso delle risorse rinnovabili e il prelievo di prodotti dal bosco: a) non può superare la velocità con la quale la risorsa bosco si rigenera; b) non può intaccare le potenzialità evolutive del sistema; c) non deve ridurre la biodiversità. La gestione forestale sostenibile presuppone l’adozione di una prospettiva ampia in modo da analizzare gli effetti delle scelte sui processi dell’ecosistema sia a scala temporale - breve, medio o lungo periodo -, sia a scala spaziale - dal popolamento al paesaggio. In ogni caso, è oppor tuno mettere in atto accorgimenti selvicolturali volti al miglioramento quali-quantitativo del bosco relativi al trattamento, agli ordinamenti colturali, ai cicli di utilizzazione. La pianificazione forestale è un’arma preziosa per differenziare nel tempo e nello spazio gli interventi in modo da garantire, attraverso una accurata let- Ceduo di faggio tura delle diverse situazioni stazionali, compositive e strutturali, il mantenimento dell’efficienza del sistema bosco e la diversità biologica a livello di paesaggio. Alcune regioni molto opportunamente si sono dotate di piani forestali che, seppur evidenziando l’importanza e la necessità dell’estrazione di biomassa, pongono restrizioni al taglio dei boschi cedui, imponendo l’allungamento dei turni, la diminuzione delle dimensioni delle taglia- te e l’attuazione delle cure colturali. Gli scenari attuali e quelli presumibili in un prossimo futuro indicano in modo chiaro che il problema della produzione di biomassa a fini energetici non si risolve in chiave tecnica ma con una politica forestale in grado di favorire un for te impegno a tutti i livelli per il miglioramento dell’efficienza del sistema. Orazio Ciancio La valorizzazione dei prodotti tipici V asta risonanza ha avuto sulla stampa internazionale la notizia che nel comune di Altamura, importante centro agricolo della provincia di Bari, noto per la produzione di pane DOP molto gradito sul mercato, un panettiere produttore di focacce ha determinato la chiusura del “fast food” del colosso Mac Donald. Dopo l’apertura nel centro cittadino di un ampio locale con una gigantesca M e un promettente avvio con una folla di adolescenti in fila per un hamburger, un po’ alla volta la giovane clientela incominciò a non gradire il panino pieno di carne pressata per andare al vicino locale del panettiere, che sfornava focacce calde e saporite. È indubbio che l’episodio rafforza le attuali politiche regionali per la valorizzazione dei nostri prodotti tipici ed il mangiare all’italiana, pur tuttavia è pericoloso credere che la tipicità possa risolvere la grave situazione dell’agricoltura, come sono le preoccupazioni di questi gior- ni per le giacenze di olio d’oliva invendute e l’incerto andamento del prezzo del grano sempre più al ribasso. La notizia è apparsa come rivincita delle nostre tradizioni alimentari regionali rispetto all’invadenza dei prodotti dell’industria alimentare, come nei controversi dibattiti slow-food/fast-food. Sarebbe più opportuno informare l’opinione pubblica che tradizione e industria alimentare sono due modi di fare economia e di rispondere alle attuali esigenze della società moderna. Il crescente sviluppo dell’industria alimentare, infatti, è dovuto ai profondi mutamenti nella società moderna, che per vari motivi dedica sempre meno tempo alla preparazione in casa dei pasti. Da tempo, la donna è impegnata nel lavoro fuori casa, nelle città la pausa per il pranzo del mezzogiorno si è ridotta ad un rapido spuntino, aumenta il numero dei single, aumentano, per praticità, gli incontri conviviali fuori casa. Allo stesso tempo, l’industria offre sempre La focaccia, tipico prodotto locale delle sagre popolari più una serie di prodotti alimentari, con i servizi incorporati (time saving, convenience food) in modo da preparare il pasto in brevissimo tempo. La pubblicità televisiva dilaga nell’offerta di piatti pronti, “i quattro salti in padella”. È finito il tempo della lunga preparazione del pane in casa, con levataccia notte tempo, per consegnare all’alba le forme di pane ben cresciute al fornaio, come anche è finito il tempo della pignatta brontolona, che a fuoco lento per molte ore cucinava i legumi. Allo stesso tempo, il giusto impegno nella valorizzazione dei prodotti tipici regionali, non deve fer- Cambiamenti climatici ed eccessivo grado alcolico dei vini È noto che negli ultimi 20 anni si sono verificati importanti cambiamenti climatici, che hanno soprattutto riguardato l’aumento delle temperature e del numero annuale di ore di sole, con il conseguente accorciamento del periodo compreso tra il germogliamento e la maturazione. In pratica, si manifesta abbastanza spesso un forte anticipo del momento in cui il livello glucometrico del mosto risulta ottimale per la raccolta. In tale momento, specialmente nelle uve rosse, può essere già riscontrabile una perdita di acidità (specie se le temperature notturne sono elevate), mentre non risultano ancora presenti gli aromi finali tipici della varietà ed altre fondamentali caratteristiche dell’acino (colore della buccia, completa sintesi dei composti fenolici, imbrunimento dei vinaccioli, ecc.), che gene- ricamente sono indicate con il termine di “maturità fenolica”. L’effetto degli innalzamenti termici comporta, in definitiva, un “disaccoppiamento” nella evoluzione dei diversi fattori della maturazione. Per raggiungere nelle uve rosse la “maturità fenolica” occorre quindi ritardare il momento della vendemmia, con il risultato di incrementare ulteriormente il grado glucometrico delle bacche e il grado alcolico potenziale del mosto, che potrà dare origine a vini con oltre 1314 gradi. Tali vini risponderanno sempre meno alle esigenze del mercato, che ormai richiede prodotti armonici ed eleganti, ma con gradazioni moderate. Tenuto conto dei cambiamenti climatici, è possibile chiedersi se esistano interventi agronomici per contrastare gli effetti negativi dell’accorciamento dei cicli produttivi. Il metodo più immediato potrebbe semplicemente consistere nell’incrementare la produzione per ceppo o ridurre l’entità del diradamento, ma in molti casi i risultati sarebbero in contrasto con le norme che limitano le rese in molti disciplinari. In alternativa, si potrebbe peraltro ricorrere all’utilizzo di tagli meccanici drastici sulle parti medio-alte dei germogli in fase di post-invaiatura, per eliminare le foglie più funzionali e ridurre la sintesi dei carboidrati. La cimatura tardiva potrebbe quindi essere utile per contrastare andamenti troppo “accellerati” della maturazione. Per i medesimi scopi potrebbe essere applicata anche la defogliazione, eseguita meccanicamente dopo l’invaiatura e per tutta l’altezza della chioma, dove l’impiego di una macchina (la cui azione è sempre parziale), comporterebbe una riduzione della superficie fogliare assimilante. marsi solo alle frequenti manifestazioni di propaganda delle giornate della degustazione, ma deve anche approfondire sul piano delle conoscenze tecniche, le caratteristiche qualitative, che legano la tipicità con il territorio. Lo sviluppo di nuove tecnologie, utilizzabili per definire indicatori validi al riconoscimento dell’origine geografica può essere un utile strumento non solo per il riconoscimento del prodotto tipico, ma anche per interventi validi per il miglioramento della qualità. E’ un approccio scientifico che trova l’ampia collaborazione del mondo della ricerca. Vittorio Marzi Risultati promettenti per ridurre il “disaccoppiamento” tra la maturazione “zuccherina” e quella “fenolica” sono infine prospettati dal possibile impiego di trattamenti antitraspiranti alla chioma, sempre in fase di postinvaiatura. Alcuni composti antitraspiranti di origine vegetale facilmente biodegradabili, usati in vivaio per ridurre la perdita di acqua nelle fasi di trapianto, sono infatti in grado di formare temporaneamente uno strato impermeabile sulle foglie, riducendo gli scambi gassosi tra gli stomi e l’ambiente esterno e abbassando i processi assimilativi e quelli di respirazione. In sintesi, la sperimentazione si è già mobilitata per cercare nuove soluzioni ai problemi connessi ai cambiamenti climatici. La validità delle diverse ipotesi è ancora da verificare, ma le premesse si fondano su conoscenze fisiologiche consolidate e i risultati acquisibili potrebbero essere trasferiti alla tecnica in un periodo relativamente breve. Cesare Intrieri informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 5 Nelle piante come negli animali L a membrana plasmatica è una barriera biologica che separa l’interno della cellula dall’ambiente esterno ad essa. Tutte le cellule, di qualunque organismo vivente, sono dotate di questa membrana selettiva, che gioca un ruolo importantissimo nella regolazione del trasporto di materiale dentro e fuori dalla cellula. Poiché la membrana plasmatica è uno dei primi punti di contatto per qualunque segnale proveniente dall’ambiente esterno, è ovvio che essa rivesta un ruolo fondamentale nella percezione e risposta ai diversi stress ambientali. In effetti, se la membrana plasmatica non è perfettamente risigillata in seguito ad un danneggiamento (magari provocato da uno stress) si ha la sicura morte della cellula. Negli animali molte cellule, per esempio quelle cardiache o dei muscoli, a causa della loro alta dinamicità, subiscono danneggiamenti frequenti della membrana, che devono essere pron- tamente riparati. Se il danno è piccolo, nell’ambito dei pochi nanometri (milionesimi di millimetro), allora la riparazione è semplice e veloce, ma se il danno è nell’intervallo dei micron (millesimi di millimetro) allora è necessario che nuovi pezzi di membrana, provenienti dall’interno della cellula, siano trasportati sul sito di rottura per sigillarla. Gli addetti a questo traffico di membrane dall’interno all’esterno della cellula, sono abitualmente gruppi di proteine, fra le quali fondamentale è la famiglia delle sinaptotagmine. Queste proteine, come suggerisce già il nome, svolgono la loro mansione principalmente a livello delle sinapsi animali. Recentemente è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista di biologia vegetale “Plant Cell” un articolo, frutto della collaborazione fra l’Università di Firenze e quelle di Malaga e Bonn, in cui si descrive l’attività di una di queste sinaptotagmine nelle cellule vegetali. I risultati descritti dimostrano come nei vegetali questa proteina svolga un ruolo analogo a quello svolto negli animali e sia fondamentale per la riparazione di danni sulla membrana. Poiché molti stress (sale, freddo, siccità, ecc.) sono fatali alla pianta proprio perché distruggono la membrana plasmatica, è prevedibile che in un prossimo futuro, queste nuove conoscenze possano essere di valido aiuto nella creazione di piante più resistenti. Stefano Mancuso Ozono patogeno per le piante “P er il filosofo, il fisico, il meteorologo e il chimico, forse non c’è soggetto più interessante dell’ozono”: così si esprimeva Fox nel lontano 1873. A questi esperti da qualche decennio possiamo aggiungere “coloro che si occupano di piante”, in quanto questo inquinante costituisce una vera e propria minaccia mondiale per la produzione di cibo, fibre tessili e legname, nonché per la conservazione delle comunità vegetali naturali, inclusa la loro biodiversità. Come noto, si tratta della forma allotropica triatomica dell’ossigeno, dotata di grande potenziale ossidoriduttivo, in virtù del quale attacca direttamente matrici animali e vegetali, nonché materiali non biologici. Ad esso vengono attribuiti ruoli primari nei numerosi casi di mortalità associati alle “ondate di calore” che spesso affliggono anche il nostro Paese in estate. Perciò questo inquinante è da tempo oggetto di interventi normativi in sede sia nazionale sia comunitaria. Gli effetti fitotossici macroscopici consistono inizialmente in una clorosi fogliare diffusa, di non semplice individuazione in quanto aspecifica; gli stadi suc- 6 informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 cessivi sono rappresentati da una “bronzatura” o dalla comparsa di necrosi puntiformi o localizzate; le zone interessate sono limitate al tessuto a palizzata delle regioni internervali. Occorre, comunque, considerare che il sintomo più diffuso dovuto all’azione di questo inquinante è l’induzione prematura della senescenza e che rilevanti interferenze con il metabolismo si realizzano in fase subliminale. L’importanza dell’ozono va discussa anche in prospettiva: se oggi il 10-35% delle produzioni cerealicole mondiali si realizzano in aree in cui i livelli di inquinamento sono tali da ridurre di almeno il 5-10% le rese (in termini meramente quantitativi), nel 2025 si ritiene che l’estensione di tali zone sarà almeno triplicata, se non verranno intraprese iniziative per abbattere le emissioni di precursori, principalmente rappresentati da idrocarburi incombusti e ossidi di azoto. In aggiunta ai ben dimostrati effetti negativi sulle produzioni vegetali in termini quantitativi, è indiscutibilmente importante valutare anche gli aspetti qualitativi. Giacomo Lorenzini Effetti dell’esposizione all’aria ambiente per quattro settimane dei cloni di trifoglio bianco (Trifolium repens) NC-S (sensibile all’ozono) (a sinistra) e NC-R (resistente) (a destra). Indagini standardizzate di questo tipo vengono condotte a livello europeo da una decina di anni. I Premio “Donato Matassino” Edizione 2008 l Premio “Donato Matassino”, destinato ad una tesi di dottorato di ricerca in “Genetica applicata alla zootecnia”, per il 2008 è stato assegnato a Mariasilvia D’Andrea per la tesi “Analisi strutturale e funzionale di alcuni Geni Candidati per la qualità della carne”, con la seguente motivazione: Il lavoro affronta lo studio di alcuni geni che influiscono sull’accrescimento e sulla lipogenesi del suino con metodologie avanzate. I risultati ottenuti aprono prospettive di applicazioni in campo zootecnico e sono di interesse anche per la comprensione dei meccanismi di lipogenesi. Il Premio sarà consegnato nell’ambito della Cerimonia per l’Inaugurazione del 256° Anno Accademico dei Georgofili. Il punteruolo rosso delle palme I l punteruolo rosso, Rhynchophorus ferrugineus (Olivier), è un coleottero di origine asiatica che vive a spese di numerose specie di palme. Le prime infestazioni su palma da datteri, nella penisola Arabica, risalgono alla metà degli anni ’80 e dopo un decennio l’insetto ha raggiunto il bacino del Mediterraneo. In Spagna è stato segnalato nel 1993, ma solo a partire dal 2004, le sue infestazioni si sono rapidamente estese nelle aree costiere di Italia, Francia, Turchia, Malta, Grecia e Portogallo, Paesi nei quali il punteruolo si è inizialmente insediato su Phoenix canariensis soprattutto adulte e di sesso maschile. In Italia il curculionide è ormai presente in Sicilia, Campania, Lazio, Puglia, Marche, Abruzzo, Calabria, Basilicata, Liguria e Sardegna, favorito nella sua diffusione dal trasferimento di palme infestate asintomatiche e dalla mancata, o scorretta, eliminazione delle palme con sintomi conclamati d’infestazione. Nelle aree a clima tropicale la specie compie più generazioni nel corso dell’anno ognuna delle quali si completa in circa 3 mesi e mezzo. La femmina vive circa 3 mesi e depone in media 200 uova nelle ferite delle palme. In Italia l’insetto è attivo nel corso dell’intero anno nei vari stadi bio- logici; poco efficaci sono i fattori biotici di mortalità in massima parte rappresentati dalle infezioni di un fungo entomopatogeno del genere Beauveria. Irrilevante è il ruolo degli insetti entomofagi. L’acaro Centrouropoda almerodai Wisniewski et Hirschmann è una specie foretica che è riuscita a colonizzare stabilmente lo stesso habitat del suo ospite senza arrecargli danni apparenti. Attualmente per il controllo delle infestazioni occorre fare riferimento alle “Disposizioni sulla lotta obbligatoria contro il punteruolo rosso della palma Rhynchophorus ferrugineus” della GURI del 13 febbraio 2008 che recepiscono le decisioni della Commissione 2007/365/CE. In considerazione del dilagare delle infestazioni anche su altre palme e della scarsa efficacia degli insetticidi utilizzabili in ambiente urbano per la lotta al punteruolo, il Ministero della Salute, nel febbraio 2008, ha autorizzato, per motivi eccezionali fino al mese di ottobre, l’impiego di alcuni prodotti insetticidi. Attualmente l’uso di tali prodotti, non è legale e pertanto molte amministrazioni pubbliche hanno sospeso i trattamenti fitosanitari, concedendo una tregua al punteruolo. I trattamenti chimici curativi richiedono l’impiego di insetticidi siste- Palme delle Canarie infestate da Rhynchophorus ferrugineus mici e una diagnosi precoce dell’infestazione; trattamenti tardivi, oltre ad essere inutili per risolvere l’attacco nella pianta infestata, sono anche di scarsa efficacia in quanto non raggiungono il bersaglio poiché gli stadi preimmaginali all’interno delle palme sfuggono all’azione letale degli insetticidi. Il metodo endoterapico offre maggiori garanzie riguardo alla deriva dei prodotti insetticidi, tuttavia occorrono ulteriori sperimentazioni per la sua messa a punto. In Sicilia, in forza del Decreto regionale del 6 marzo 2007, l’Azienda Foreste Demaniali a partire dal luglio 2007, ha provveduto all’abbattimento e alla distruzione di circa 8.000 delle oltre 10.000 palme infestate segnalate dal Servizio Fitosanitario Regionale. Purtroppo nu- merose sono le palme infestate non segnalate dai privati che, spesso, non eliminano le foglie e gli stipiti infestati in maniera corretta. Una possibile soluzione duratura ed ecocompatibile del problema è ancora lontana e va ricercata nella individuazione di fattori di resistenza delle palme e di vulnerabilità del punteruolo rosso; a tale scopo è necessario approfondire le conoscenze sulla biologia e l’etologia nonché sui fattori biotici e abiotici di contenimento della specie nei nostri ambienti a clima mediterraneo ben diverso da quello tropicale delle aree d’origine. Tali aspetti sono stati esaminati nel corso dell’incontro organizzato dall’Accademia dei Georgofili a Palermo lo scorso 19 marzo. Santi Longo La percezione delle piante dei nutrienti minerali: una strategia per incrementarne l’efficienza d’uso L e piante per accrescersi e differenziarsi devono approvvigionarsi di nutrienti minerali che sono quasi totalmente ma non esclusivamente prelevati dal suolo. La disponibilità dei nutrienti minerali, specialmente per quelli che devono essere acquisiti in quantità elevate, potassio, azoto, fosforo e zolfo, è scarsa e per la produzione agricola essi vengono somministrati, come fertilizzanti. Inoltre la loro disponibilità è disomogenea a causa della naturale difformità dei suoli per struttura e capacità di legare i nutrienti.Per questo motivo la quantità di nutrienti forniti con le fertilizzazioni sono solo in parte assorbiti dalle radici ed una quota consisten- te dilavata con un elevato dispendio economico e cosa ancor più grave creando un degrado ambientale e condizionando negativamente la sostenibilità delle colture. Infine il miglioramento genetico operato, spesso non ha tenuto nel debito conto la nutrizione minerale e in questo periodo gli organismi selezionati hanno sviluppato grandi produttività ma con scarsa efficienza d’uso dei nutrienti. Più recentemente l’efficienza d’uso dei nutrienti costituisce un primario parametro di selezione.Attualmente si sa che l’assorbimento dei nutrienti per poter avvenire necessita di un elevato contributo di energia metabolica e di entità biochimiche capaci di rendere possibile questa funzione. Queste entità non sono sempre presenti nelle radici ma vengono espresse solo quando sono effettivamente necessarie per l’assorbimento, per rispondere ad un generale criterio dell’evoluzione essenzialmente mirato a favorire lo sviluppo nel suo corso del risparmio delle risorse. La presenza dei sistemi di trasporto è quindi controllata da una fitta rete di segnali. Primo fra tutti questi segnali è la presenza dei nutrienti nella rizosfera, ma di grande importanza sono anche i segnali metabolici all’interno della cellule di tutta la pianta compresa la parte aerea, che permettono un “dialogo” tra i sistemi preposti all’assorbimento ed il meta- bolismo, evitando tra l’altro l’accumulo di molecole tossiche e realizzando uno sviluppo armonico in relazione all’effettiva disponibilità dei nutrienti; un ulteriore importante fattore è il tempo intercorrente dalla percezione dei segnali all’operatività di questi sistemi. Il dialogo è affidato a molecole segnale, alcune delle quali sono conosciute, quali metaboliti, ormoni ed altre quali piccoli frammenti di acidi nucleici sono di recentissima individuazione. La conoscenza di questa rete di segnalazione è la nuova frontiera per la selezione di organismi capaci di migliorare l’efficienza d’uso dei nutrienti. Maurizio Cocucci informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 7 Resistenze derivate dal patogeno L e biotecnologie possono contribuire a rendere una specie vegetale resistente ad una malattia anche in assenza del carattere di resistenza nel patrimonio genetico di quella specie. Un recente lavoro, realizzato presso l’ENEA e pubblicato su Nature Biotechnology, s’inserisce in quel gruppo di strategie per l’ottenimento di piante resistenti a virus che va sotto il nome di “resistenze derivate dal patogeno” (PDR). Opportune sequenze derivate dal patrimonio genetico di un virus sono in grado di rendere la pianta resistente alla malattia provocata da quello stesso virus. La tecnologia PDR è stata usata con successo, fin dal 1986, per introdurre resistenza ad importanti virus vegetali. Tuttavia, mentre le PDR si sono rivelate estremamente efficaci nei confronti di virus con genoma ad RNA, ad oggi non altrettanto può dirsi nei confronti di quelli con genoma a DNA come i geminivirus, che causano ingenti danni alla produzione agricola mondiale (es. mais, manioca, cotone, pomodoro). Le cause della scarsa efficacia delle PDR nei confronti dei geminivirus non erano conosciute. I dati prodotti dall’ENEA hanno permesso di identificare quello che costituisce il tallone di Achille delle PDR contro i geminivirus, fornendo quindi il presupposto indispensabile per lo sviluppo di strategie volte a superare tale ostacolo. In breve, se il prodotto proteico derivato dal patogeno non è in grado di bloccare completamente la replicazione virale, allora quest’ultima attiverà un meccanismo della pianta, il silenziamento dell’RNA, che porta alla degradazione sequenza specifica delle molecole di RNA omologhe al genoma virale, senza tuttavia bloccare in maniera efficace l’infezione; come conseguenza il silenziamento dell’RNA inattiverà il transgene di origine virale provocando quindi la perdita della resistenza. Parte dei dati riportati nel lavoro è oggetto di un brevetto ENEA-CNR e riguarda lo sviluppo della tecnologia che consente di potenziare la resistenza ai geminivirus ottenuta tramite le PDR. In particolare, questa nuova tecnologia si basa sull’espressione in pianta di un prodotto proteico di origine virale, che viene però codificato non dal gene virale tal quale, ma da un gene sintetizzato “ad hoc”. Il gene sintetico è costruito introducendo nella sequenza virale mutazioni silenti. In questo modo si ottiene una nuova sequenza genica con capacità codificante uguale a quella della sequenza originaria, ma in grado di “sfuggire” al silenziamento genico indotto dall’infezione virale. L’aver compreso il punto debole delle PDR ai geminivirus ha permesso, da un lato lo sviluppo di una nuova strategia molecolare per combattere questa importante classe di patogeni e dall’altro una maggiore consapevolezza sulle prospettive che le PDR possono offrire a lungo termine. Luigi Rossi Il contributo italiano al miglioramento quanti-qualitativo della produzione di carne bovina in Cina I l 7 novembre 2008 presso il nostro Ministero per gli Affari Esteri è stato celebrato il 30° anniversario del trattato di collaborazione scientifica e tecnologica fra Italia e Cina; alla seduta plenaria del Convegno era presente per la Cina il Vice Ministro per la Scienza e la Tecnologia Cao Jianlin e per l’Italia il Sottosegretario al M.A.E. On. Craxi; a proposito delle ricerche nel settore agricolo è intervenuto il Prof. Baozhong Sun dell’Institute of Animal Science (Chinese Academy for Sciences) di Agricultural Pechino, che ha parlato dell’introduzione della Razza Bovina Piemontese in Cina, dei buoni risultati ottenuti e dei programmi di ricerca in atto o proponibili nell’ambito degli accordi di collaborazione tuttora vigenti che coinvolgono il CNR, il Dipar timento di Scienze Zootecniche dell’Università di Torino, l’Assoc. Allev. Bov. R. Piemontese e l’Institute of Animal Science di Pechino. L’inizio di tale collaborazione risale al 1984; nel 1986 vennero inviate circa duemila dosi di seme da tori di razza 8 informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 Piemontese e Chianina al Centro di F.A. di Nanyang (Henan); dopo i buoni risultati ottenuti dall’incrocio tra le razze italiane e la Yellow cinese venne scelta la Piemontese. Nel 1989 si procedette al trapianto di embrioni e nel 1990 nacquero i primi tre soggetti di razza Piemontese: un maschio e due femmine che costituirono il primo nucleo in purezza con la conseguente produzione locale di seme utilizzato per ottenere meticci da destinare al macello, ma anche soggetti di razza pura e quindi embrioni per la creazione di centri di F.A. in molte Province cinesi. Nel frattempo dall’Italia vennero ancora inviati embrioni e seme fino a quando la comparsa sulla scena della BSE ha bloccato ogni movimento di germoplasma e quindi gli allevatori cinesi dovettero procedere autonomamente. All’inizio del terzo millennio la razza Piemontese è presente in 12 Province con circa 200 capi di cui un centinaio di tori, ma attualmente le Province interessate sono una ventina. Ogni anno vengono destinati al macello centinaia di migliaia di capi ottenuti dall’incrocio con la Torelli F4 nel cortile prospiciente la stalla in un allevamento di Xinye razza locale; questi capi permettono una produzione superiore di almeno il 10% a quella dei soggetti locali e la qualità del prodotto è decisamente migliore. La situazione può essere considerata buona, ma è in evoluzione per due motivi: il primo riguarda la tendenza in determinati comprensori a sostituire la razza locale con la Piemontese e quindi negli incroci si procede oltre la F1; il secondo concerne la necessità di migliorare geneticamente la Piemontese, privata per tanti anni di germoplasma importato dall’Italia, e per questo scopo è prevista la creazione di un Centro Genetico con relativo Libro genealogico nella Municipalità di Xinye (Henan). A questo fine da parte italiana è stata data ed è assicurata per il futuro l’indispensabile assistenza scientifica e tecnica. Attilio Bosticco Trasmissione dei virus delle piante mediante insetti A lcune caratteristiche degli insetti, quali l’elevata densità delle popolazioni, la mobilità e la distribuzione capillare, li rendono idonei a diffondere in natura varie entità biologiche, funzione di utilità cruciale, ad esempio, per l’impollinazione di molte specie vegetali ma estremamente dannosa per la diffusione di agenti fitopatogeni. Mentre il trasporto di funghi e batteri ha luogo passivamente, in forma di spore portate sulla superficie del corpo, la trasmissione di virus presume sempre l’esistenza di interazioni molecolari complesse tra patogeno e insetto vettore. Anche nella forma apparentemente più semplice di trasmissione, quella non-persistente, l’adsorbimento del virus agli stiletti boccali degli afidi è mediato dalla proteina del rivestimento virale (capside) oppure da proteine non strutturali, codificate dal virus, che agiscono come ‘ponte’ tra particella virale e recettori allocati sulla cuticola dell’insetto. La sostituzione di un solo aminoa- cido nella catena proteica capsidica è sufficiente a sopprimere la trasmissibilità del virus. Ben più complessa è l’interazione virus-vettore nel processo di trasmissione circolativo: il virus viene ingerito dall’insetto durante l’alimentazione e, percorsa buona parte dell’apparato digerente, penetra nella parete dell’intestino medio o posteriore per endocitosi. Attraversata la parete intestinale, ne fuoriesce (esocitosi) e si diffonde nell’emolinfa che lo trasporta alle ghiandole salivari. Superata la membrana plasmatica basale per endocitosi-esocitosi, il virus penetra nelle ghiandole accessorie, dalle quali viene poi inoculato nelle piante con la saliva secreta durante l’attività trofica. La proteina virale pertanto, a differenza delle altre ingerite, non viene degradata nel corpo dell’insetto consentendo così la ‘sopravvivenza’ del virus. Nel caso dei Luteovirus è provato che le particelle virali sfuggono la degradazione grazie ad una proteina – omologa alla proteina procariotica GroEL, o La trasmissibilità dei prioni L ’Encefalopatia Spongiforme Trasmissibile (TSE) secondo alcuni studiosi era causata da un virus di minime dimensioni (“virino”), secondo altri era semplicemente la modificazione strutturale di una proteina in una isoforma infettiva proteinadenominata “prione” (p ceus infectious only). Oggi si tende a dimostrare che la trasformazione di un normale prione in una molecola molto simile, ma infettiva e capace di trasformare quelle vicine, può alterare la memoria a lungo termine anche nell’uomo. L’infettività di tale molecola pone gravi problemi a tutto il comparto agroalimentare. Come si ricorderà, nonostante la presenza di TSE in capi animali e nell’uomo sia stata rivelata qualche decennio fa, il clamore mediatico ha raggiunto i livelli più elevati in occasione dell’insorgenza e diffusione della BSE (Encefalopatia Spongiforme Bovina) in Gran Bretagna prima e poi in Europa. Oggi, una nuova manifestazione e diffusione negli Stati Uniti ed in Canada di malattie spongiformi trasmissibili che colpiscono i cervidi selvatici (CWD, Chronic Wasting Disease) è fonte di preoccupazione per una possibile propagazione anche in Europa. Recentemente sono stati isolati prioni anche in tessuti cerebrali di delfini: la loro se- Frutti di albicocco con aree necrotiche depresse, colpiti da cascola nelle fasi iniziali di sviluppo in seguito a infezione con il virus della vaiolatura delle drupacee (PPV), o ‘Sharka’. In alto, frutto coetaneo da pianta sana. simbionina – che è prodotta dal batterio Gram-negativo Buchnera aphidicola, endosimbionte degli afidi e interagisce con il capside virale stabilizzandolo. Il progredire delle conoscenze sulle dinamiche molecolari pre- poste alla trasmissione dei virus mediante insetti potrebbe aprire la via a mezzi di lotta innovativi, più idonei a contenere le infezioni con rischi ridotti per l’ambiente e per la salute dell’uomo. Maurizio Conti quenza amminoacidica presenta un discreto grado di omologia con quella dei bovini. L’aspetto più preoccupante forse riguarda proprio il salto di specie nella trasmissione dell’infettività che, nel caso della BSE, è stata veicolata dal bovino all’uomo attraverso la dieta. Risultati di recenti studi internazionali, alcuni dei quali anche nostri, inducono a ritenere che le vie di trasmissione possano essere anche diverse. Oggi le pur limitate conoscenze disponibili portano a ritenere che il suolo possa rappresentare un veicolo di propagazione dell’infettività fra animali al pascolo. Analogamente, le più plausibili vie di apporto di prioni ai sedimenti possono essere riconducibili a meccanismi biochimici e fisiologici indotti da squilibri nutrizionali delle specie acquatiche; la relazione sedimentoprione ed il rischio ambientale ad essa associato è ormai una priorità di ricerca della comunità scientifica internazionale. Il primo studio sistematico in tale direzione risale al 2006. Leita e coll. hanno dimostrato la tenacia con cui la proteina prionica cellulare si può legare a suoli agricoli. Si è cercato di approfondire le dinamiche della forte interazione che potrebbe essere all’origine della persistenza del prione nel suolo. Alcuni studi mostrano che l’adsorbimento dipende dalla loro carica superficiale. Oggi come prova d’infettività del materiale adsorbito sono disponibili saggi in vitro. La maggior parte degli studi finora trascurano la componente organica, indispensabile per capire l’effettiva dinamica di interazione tra suolo e prione. Ed è proprio in tale direzione che si sta lavorando. Paolo Sequi e Liviana Leita informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 9 Artemisia, tè verde e foglie d’olivo: antimalarici con azione sinergica I n Cina da più di 1500 anni le foglie di Artemisia annua L. sono state impiegate in semplici preparazioni di decotti per le loro proprietà febbrifughe. Soltanto agli inizi degli anni ’70 è stata provata la sua attività anche nei casi di febbri malariche e successivamente è stato identificato il principio attivo responsabile dell’attività antimalarica: l’artemisinina. L’artemisinina si trova nelle parti aeree della pianta, principalmente nelle foglie e nelle infiorescenze, con tracce negli steli e totale assenza nel polline e nelle radici. La sua concentrazione è molto bassa, tra 0,01 ed 0,8% rispetto al peso secco della droga. Nei nostri studi abbiamo valutato l’attività antimalarica anche di altri costituenti il fitocomplesso dell’Artemisia annua L., in particolare dei flavonoidi polimetossilati, dimostrando che essi presentano un sinergismo di azione antimalarica. Questa scoperta rende particolarmente interessante, specialmente per i Paesi in via di sviluppo, la possibilità di impiegare con successo nella terapia antimalarica l’estratto di Artemisia annua L. a prezzi molto bassi, al posto del principio attivo isolato notevolmente costoso. Recentemente nell’ambito di un nostro screening per valutare le proprietà antimalariche di numerosi estratti di droghe vegetali di largo impiego, abbiamo verificato che sia i decotti di tè verde (Camellia sinensis L.) che quelli di foglie di olivo (Olea europaea L.) presentavano una significativa seppur modesta attività antimalarica. Nella medicina tradizionale mediterranea il decotto di foglie d’olivo è impiegato principalmente per la sua attività antiipertensiva, ma talvolta se ne riscontra l’uso anche come febbrifugo. Del tè verde, originario del continente asiatico ed attualmente diffuso in tutto il mondo, non era mai stata riportata l’attività antimalarica mentre ne sono riconosciute numerose proprietà soprattutto come antiossidante nel migliorare in generale la salute; recentemente è stata ipotizzata una possibile attività dei suoi principi attivi come agenti anticancro. I costituenti caratteristici, le gallocatechine del tè e l’oleuropeina nel decotto di foglie di olivo sono stati individuati come i probabili responsabili dell’azione antima- larica riscontrata. Molti interessanti sono i risultati ottenuti valutando l’attività antiplasmodica (il plasmodio è il vettore della malaria) di bassi dosaggi di artemisinina, 1.25 nanomolare, molto al di sotto quindi ✎ Secondo il Servizio internazionale per l’acquisizione delle biotecnologie agricole (Isaaa) nel 2008 sono stati coltivati nel mondo 125 milioni di ettari di colture geneticamente modificate, 10,7% in più rispetto al 2007. (11 febbraio) circa il 35% (a vantaggio dei broccoli italiani) mentre cresce la preoccupazione che gli agricoltori la stiano abbandonando. Lo scrive l’autorevole “The Times”. (9 febbraio) secondo le statistiche di spedizione comunicate oggi dal Comitato interprofessionale dei vini di champagne (CIVC). (5 febbraio) ✎ Gli assessori regionali all’agricoltura di tutte le regioni italiane chiedono al ministro il rispetto del titolo V della Costituzione che conferisce alle regioni competenze esclusive in materia di agricoltura. Lo hanno fatto con un documento i cui contenuti sono stati “accolti dalla piena totalità dei rappresentanti regionali … Indipendentemente dalla appartenenza politica”. (9 febbraio) ✎ La produzione di cavolfiore in Gran Bretagna nel corso dell’ultimo decennio è diminuita di 10 informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 Artemisia annua L. Accade nel mondo ✎ Secondo una statistica del ministero dell’agricoltura nell’anno economico 2007-2008 in Germania le entrate delle principali aziende agro-alimentari sono aumentate del 21,2% (49,884 euro). (7 febbraio) ✎ Secondo quanto deciso in una riunione del Consiglio di Stato, la Cina ha portato il livello di allerta per l’emergenza siccità da arancione a rosso, il livello più alto, in risposta alla peggior siccità che ha colpito alcune zone del Paese negli ultimi cinquanta anni. (5 febbraio) ✎ Le vendite di champagne sono calate in volume del 4,8% nel 2008 rispetto al 2007, della concentrazione 40 nanomolare efficace nei confronti del plasmodio, se associata a tali estratti. In alcuni casi si ottengono semplicemente degli effetti additivi, ma esistono combinazioni par ticolari tra artemisinina e gli estratti di foglie d’olivo e di tè verde o dei loro costituenti caratteristici che mostrano evidenti azioni sinergiche. Franco Francesco Vincieri ✎ Nella Striscia di Gaza “la distruzione del settore agricolo ha peggiorato la già grave situazione della produzione alimentare causata da 18 mesi di chiusura delle frontiere”. Lo rende noto la Fao, denunciando la mancanza di cibo a sufficienza per gli abitanti della striscia. (30 gennaio) ✎ Una quantità sempre maggiore di cittadini tedeschi compra vino prodotto in Germania. Secondo l’Istituto tedesco del vino (DWI), nel 2008 un tedesco su due (49,4%) ha comprato vino prodotto nel Paese. (30 gennaio) ✎ Tom Vilsack è stato nominato ufficialmente segretario di stato all’agricoltura americano. (28 gennaio) ✎ Il ministro delle politiche agricole Luca Zaia ha consegnato personalmente, al direttore generale della Fao Jacques Diouf, la lettera di invito al primo vertice dei ministri dell’agricoltura dei Paesi G8. (28 gennaio) ✎ Il 65% di tutto ciò che la Nuova Zelanda vende nel mondo proviene dal settore agricolo. Questo contributo è ascrivibile solo al 14% della popolazione della Nuova Zelanda. (18 gennaio) ✎ Il prezzo del riso potrebbe aumentare nel 2009, per il secondo anno di seguito, malgrado la crisi economica mondiale. Lo ha stimato l’istituto di ricerca internazionale sul riso (Irri) con sede nelle Filippine. (12 gennaio) Letizia Martirano A Arrigo Serpieri rrigo Serpieri è nato a Bologna il 15 giugno 1877. Allievo di Vittorio Niccoli, e da lui formato alla scuola di Cuppari e di Ridolfi, si è laureato nel 1900 col massimo dei voti e la lode alla Scuola Superiore di Agricoltura di Milano. Nel 1906 è diventato Professore ordinario nell’Università degli Studi di Perugia e l’anno seguente è stato chiamato a Milano, alla Cattedra di Economia e Estimo, in precedenza di Vittorio Niccoli. Nel 1911 il Ministro dell’Agricoltura Ranieri gli affidò l’incarico di preparare una nuova legislazione forestale e, l’anno seguente, Francesco Saverio Nitti, nuovo Ministro dell’Agricoltura, lo incaricò di organizzare l’Istituto Superiore forestale di Firenze, che sostituì l’Istituto di Vallombrosa. Dal 1912 è stato Direttore dell’Istituto superiore forestale di Firenze e titolare della cattedra di Economia e Estimo Forestale. Incarichi che ha conservato fino al 1925, quando l’Istituto fu trasformato in Istituto superiore agrario e forestale. Assunse allora la direzione dell’Istituto di Economia e Politica agraria e la Cattedra di Economia agraria, conservando per incarico l’insegnamento della Economia e estimo forestale. Dopo la Guerra 1915-18 partecipò a Parigi alle trattative internazionali per la determina- zione dei danni di guerra; costituì con Meuccio Ruini e Luigi Sturzo il Segretariato per la Montagna che presiedette fino al 1935. Nel 1923 è stato per un anno sottosegretario per l’agricoltura nel Ministero dell’Economia nazionale. Ha prodotto una notevolissima attività legislativa. Varò 15 provvedimenti, fra i quali le prime “leggi Serpieri”, il “Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di territori montani” e i “Provvedimenti per le trasformazioni fondiarie di pubblico interesse”. Nel 1924 fu eletto al Parlamento. Presiedette la Commissione agricoltura della Camera e il Comitato Interministeriale per le trasformazioni fondiarie. Nel 1926 assunse la Presidenza dell’Accademia dei Georgofili, che conservò fino al 1944. Impresse alla gloriosa Istituzione un nuovo slancio, fino a renderla sede di analisi degli aspetti più importanti e controversi dell’agricoltura del Paese, nella sua accezione di agricoltura, foreste, allevamenti, territorio e società rurale. In quella sede, fra l’altro, presero forma concettuale e struttura normativa i principali provvedimenti di legge sulla bonifica e la colonizzazione, la revisione e l’aggiornamento dell’imposizione fiscale in agricoltura, la “carta della mezzadria” e le linee di una adeguata legislazio- Arrigo Serpieri in un bassorilievo realizzato nel 1965 da Antonio Berti per l’Accademia dei Georgofili e collocato, con un’apposita Cerimonia il 3 aprile 1966, nella Sala del Consiglio. ne in materia di contratti agrari. Nel 1929 gli fu conferito un secondo sottosegretariato, con l’incarico di organizzare e dirigere la bonifica integrale del Paese. Ed è così che, dopo 5 anni dalla legge n. 753 del 1924, quando il Paese si dibatteva in una crisi industriale dagli ampi risvolti di disoccupazione e di urbanesimo, di inflazione e di deflazione, il finanziamento di una stagione di forti iniziative dello Stato nel campo delle opere pubbliche di bonifica contribuì ad attenuare gli effetti complessivi di una crisi altrove più devastante. Un “new deal” ante litteram, percorso imitato dall’Amministrazione Roosevelt nel superamento I Colleghi della Facoltà di Agraria di Firenze festeggiano il prof. Serpieri (al centro della foto) per il suo ottantesimo compleanno (1957). Dal basso all’alto e da sinistra a destra: Generoso Patrone, Marino Gasparini, Angelo Camparini, Arrigo Serpieri, Antonio Biraghi, Mario Tofani, Giovanni Vitali, Alessandro Morettini, Enzo Giorgi, Ernesto Alinari, Gino Florenzano, Renzo Giuliani, Roberto Corti, Pier Luigi Pini, Gino Baldini,Vincenzo Bellucci e Sergio Orsi. della grande crisi economica originata nel 1929 negli Stati Uniti d’America. Predispose un TU sulla bonifica integrale destinato a essere esemplare ben oltre la durata della sua vita: il RD 13 febbraio 1933, n. 215, ancora ricordato come “legge Serpieri” sulla bonifica integrale. È stato Presidente dell’Associazione nazionale dei consorzi di bonifica, membro della Camera delle Corporazioni, Presidente della relativa Sezione agricoltura e Presidente della Commissione Censuaria Centrale. Nel 1937 venne nominato Rettore dell’Università di Firenze e nel 1939 Senatore. Sempre nel 1939 venne insignito del premio dell’Accademia d’Italia per i suoi studi e per l’opera profusa nella bonifica integrale. Nel 1947 è stato nominato Professore emerito. Nel 1954 gli fu conferita la medaglia d’oro di “distinzione georgofila” e, nel 1957, con decreto del Presidente della Repubblica, la medaglia d’oro dei benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’ Arte. Nel 1958 si ammala gravemente; il 30 gennaio 1960 muore. Notevole è stata la sua opera di studioso, ricercatore e maestro nel campo delle discipline economico agrarie, alle quali ha conferito autonomia dottrinaria e impianto metodologico insuperato. Mario Dini informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 11 A Georgofili imprenditori oggi gricoltori d’avanguardia, uomini illuminati e lungimiranti, fondarono la nostra Accademia più di 250 anni fa ed hanno sempre rappresentato una componente essenziale nelle attività dei Georgofili. Seguendo il rapido evolversi del complesso mondo che ruota intorno all’agricoltura, gli imprenditori del settore hanno continuato ad assumere ruoli avanzati, aprendo strade ed orizzonti nuovi, sempre più incisivi, specialistici ed agguerriti nel confronto su mercati ormai globali. Questo nuovo strumento di informazione intende dedicare un suo spazio per evidenziare la figura e le benemerenze di alcuni fra gli illustri Georgofili che sono oggi imprenditori d’avanguardia e guidano modelli evolutivi delle attività agricole verso il futuro. G Gianni Zonin ianni Zonin è nato il 15 gennaio del 1938 a Gambellara (Vicenza) e lo scorso anno ha festeggiato le sue “nozze d’oro” con la vitivinicoltura. La madre avrebbe voluto che diventasse avvocato, ma lo zio lo chiama in azienda e lo fa con ragione dal momento che in questa esperienza Gianni Zonin riuscirà a sommare lo spirito imprenditoriale ad una non comune capacità di interpretare il potenziale di una regione, della sua terra e delle sue vigne. Si diploma in Enologia presso l’Istituto di Conegliano Veneto e successivamente si laurea in Giurisprudenza. Sin dalla prima giovinezza partecipa all’attività della famiglia, che da sette generazioni si dedica alla viticoltura, ed ha un forte legame con il territorio e un profondo rispetto per la natura e l’ambiente. Attività che ha costantemente perseguito sin da quando, nel 1967 l’azienda familiare si trasforma in “S.p.A.”, ed egli ne assume la Presidenza, a soli 29 anni. Oggi la famiglia Zonin dispone di dieci grandi tenute distribuite nelle sette regioni vitivinicole di maggior prestigio – Veneto, Friuli, Piemonte, Lombardia, Toscana, Sicilia e Puglia – per produrre vini di qualità elevata e si estendono complessivamente su oltre 3.500 ettari di terreno di cui 1.800 coltivati a vigna. Altri 100 ettari su 500 di estensione, si trovano negli Stati Uniti in Virginia con la proprietà di Barboursville Vineyards, dove Gianni Zonin ha realizzato il sogno di Thomas Jefferson, terzo presidente degli USA, e 12 informazioni dai Georgofili 21 marzo 2009 del suo amico toscano Filippo Mazzei di produrre vini di grande classe da varietà internazionali, facendo diventare la Virginia un Wine Country a livello mondiale. Il fattore vincente della Casa Vinicola Zonin è la qualità nella dimensione; il marchio Zonin, infatti, intende “garantire una ottima qualità di vini per un numero importante di consumatori, perché un buon vino non deve rimanere un privilegio per pochi”. E la filosofia delle tenute di famiglia è altrettanto vincente perché è fondata sulla difesa delle identità e del patrimonio rurale, sul continuo progresso qualitativo, sulla gestione moderna delle tecniche culturali frutto della passione dei 32 enologi e agronomi viticoli dell’azienda e sulla coltivazione-valorizzazione dei vitigni autoctoni dal Refosco del peduncolo rosso al Grignolino, dal Brachetto alla Bonarda, dal Negroamaro alla Barbera, dal Nero d’Avola all’Insolia, per finire con gli autentici toscani Vermentino e Sangiovese . Per il complesso delle sue attività e delle eccellenze conseguite, Gianni Zonin nel 1989 è stato insignito dal Presidente della Repubblica Italiana dell’onorificenza di Cavaliere del Lavoro. Numerosi sono i riconoscimenti e le cariche ricoperte a conferma del prestigio riconosciuto in molti ambiti economici nel nostro Paese. Nell’ambito bancario-assicurativo è Presidente dal 1996 della Banca Popolare di Vicenza, della società Nord Est Merchant, Vice Presidente Cattolica Assicurazioni, Consigliere dell’Associazione Bancaria Italiana. Sotto la sua guida la Banca Popolare di Vicenza si è sviluppata per dimensioni e per struttura ed è diventata un Gruppo bancario di respiro nazionale, presente con banche controllate nelle principali macroregioni italiane, come la Cariprato che opera in tutta la Toscana. Nel settore industriale è Membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana Direttore responsabile Paolo Nanni Redazione Accademia dei Georgofili Logge Uffizi Corti 50122 Firenze Tel.: 055212114, 055213360 Fax: 0552302754 [email protected] www.georgofili.it dell’Industria di Marca, “Centromarca”. Nell’ambito vitivinicolo è stato presidente della Unione italiana Vini ed è membro e consigliere dell’ “Accademia Italiana della vite e del vino”. Dal 1999 è Accademico Corrispondente dei Georgofili e da quest’anno è stato nominato Accademico Ordinario. Stampa F.&F. Parretti Grafiche Firenze Reg. Trib. Firenze n. 5562 del 21/3/2007 © Accademia dei Georgofili ISSN 1974-269X (print) Ogni responsabilità relativa ai contenuti dei singoli scritti è dei rispettivi autori.