Lo Scorpione di Myfair

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Lo Scorpione di Myfair
Lo Scorpione di Myfair
Gerardo Bramati, Ruvigliana
on vi è dubbio che George Chapman fosse una
persona fuori dal comune. L’aspetto freddo e
polveroso, la postura composta e quasi rigida, lo
sguardo al contempo vacuo e indagatore erano
note particolari per un giovane uomo della city.
Note anzi stonate, se si considera che aveva all’epoca soli ventitré anni. La sua età appariva però raddoppiata da
una fitta criniera e un lungo naso adunco, sotto la cui punta si diramavano folti baffi dalle estremità arricciate.
Ma non era tanto il suo aspetto ad essere fuori norma, quanto la
sua storia. Durante la breve gavetta come apprendista chirurgo
condotta tra Inghilterra e Polonia, il suo talento era stato notato
dal maggior luminare della medicina forense che Londra in quella
oscura fine dell’Ottocento potesse offrire: fu probabilmente per
questo che il Prof. James M. Worth ne favoreggiò la collaborazione
con Scotland Yard, e ciò permise al giovane George di acuire le
proprie - già spiccate - qualità.
N
cava il lunario con lavoretti non particolarmente deplorevoli. Più
che altro contrabbando di piccole opere d’arte cinesi e furto di documenti riguardanti transazioni finanziarie - rifletté un attimo Beh, poi possiamo dire che il nostro amico sembra aver scelto questa
zona per i suoi “quattro passi con omicidio” - Qualcosina - rispose Chapman, monocorde - Cina. Una pista? - Cosa vuole, dottore? Che mi faccia una cultura sulle proprietà
benefiche del tè al gelsomino? - Abberline sbuffò. Poi si avvicinò,
e proseguì sottovoce - E dove diamine vuole che vada, con quello
che sta succedendo dall’altra parte della città? Il chirurgo lo osservò, apatico, e in quell’istante un giovanotto sbarbato irruppe nella stanza, trafelato: - Ispettore, è richiesta con assoluta urgenza la sua presenza. Ce n’è un’altra - riprese fiato, poi
aggiunse: - Whitechapel - Tempismo perfetto, Bobby. Temo lei comprenda, dottore, che al
momento le risorse dedicabili a casi secondari sono molto limitate
- toccò il cappello e attraversò in fretta l’atrio.
Attraversando le affollate viuzze di Sheperd Market, poco a sud
di Myfair, si sistemò per l’ennesima volta i guanti e ne infilò con
cura l’orlo sotto le maniche del pastrano grigio. Non fregò le mani
per scaldarle, come si fa d’inverno: nonostante l’autunno del 1888
fosse particolarmente rigido, non provava freddo, grazie anche al
passo sostenuto. Era intento ad evitare con cura quasi maniacale
ogni tipo di contatto con i passanti, e trasalì quando una possente
mano lo costrinse a fermarsi bruscamente. Sotto all’insegna di
Grey & Barker, banchieri in Londra, il Capo Ispettore John Abberline lo fissava.
- Stava cercando di perdersi, Chapman? - gli disse, facendogli
segno di seguirlo nell’atrio dell’istituto - La ringrazio per averci
raggiunti così in fretta. Inutile dilungarsi, conosce il ritornello. Il
suo prossimo esercizio di anatomia è appena dietro quell’uscio Il dottore probabilmente apprezzò il tono cinico dell’ispettore, che
rimase nell’atrio a fumare.
Al tramonto George Chapman varcò la soglia dell’imponente filiale della Midland Bank prospicente Audley Court. Estrasse dalla
tasca del pastrano una piccola chiave e un biglietto da visita caratterizzato da un complesso intreccio di forme: fiori, occhi, squame.
Comunicò all’impiegato il numero annotato sul retro, e fu immediatamente accompagnato alla cassetta di sicurezza corrispondente,
che scattò quando due chiavi girarono insieme. Dopo pochi secondi era libero di disporre del suo contenuto, in solitudine.
Estrasse il fazzoletto dal taschino, lo svolse lentamente e da esso
raccolse, tra pollice e indice, un minuscolo spillo d’argento dalla
punta azzurrognola. Con cura lo ripose all’interno di una scatola
di legno lunga quanto un cerino, dove due identici aculei scintillanti
attendevano silenziosi l’arrivo del terzo.
Osservò la scena: sul pavimento della stanza contigua giaceva senza
vita un corpulento gentleman intabarrato in un cappotto nero che
male si accostava con i pantaloni rossi di velluto e il cappello, nero
anch’esso, che si trovava pochi passi più avanti. Fece un cenno impercettibile ai poliziotti che stavano interrogando un pallido agente
di cambio sul punto di svenire, quindi estrasse un fazzoletto e si
inginocchiò accanto alla goffa figura.
Lasciò passare alcuni minuti per pura cortesia - e per concedere il
tempo di una sigaretta - ma aveva subito individuato sul collo della
vittima, poco sopra il bavero sinistro della giacca, il rigonfiamento
che indicava chiaramente da quale parte fosse entrato il veleno che,
in pochi minuti, lo aveva cullato fino all’epilogo di una breve ma
atroce agonia. Gli sembrava quasi di poter vedere l’uomo trascinarsi
oltre l’atrio con enorme fatica, aprire la porta dello studiolo e quindi
stramazzare al suolo, decorando la piastrella di sangue e saliva.
Ancora qualche istante, poi avrebbe fornito con le solite, circostanziali parole il frutto dell’autopsia.
- Per carità, mi dica che questa volta è arsenico - esclamò Abberline, entrando. La flebile speranza fu dissolta dal dottore, che scosse
la testa e parlò per la prima volta da quando aveva lasciato lo studio
di Waverton Street.
- Stibium - sentenziò, rialzandosi. Ripose il fazzoletto nel taschino.
Sistemò i guanti.
- Ancora antimonio - pensò ad alta voce l’ispettore - Dannato bastardo - Legami con gli altri? - chiese freddamente l’altro.
- Qualcosina c’è - il poliziotto sorrise ironico - Impiegato di banca,
come il primo. Conosceva il secondo, Liam Gallows: erano compagni di scuola, ma Gallows non trovò mai lavoro nel settore. SbarCooperazione — «Concorso Giallo 2012» — Noir in banca
Stava per richiudere lo sportello, ma la sua attenzione fu catturata
da un pezzo di pergamena ingiallita che giaceva arrotolato in un
angolo. Lo raccolse e notò che, in caratteri che a molti - ma non a
lui - sarebbero risultati incomprensibili, riportava una breve poesia
le cui origini si perdevano in un passato tumultuoso. Il significato
di quelle poche parole è traducibile come segue:
Tre uccelli dalle piume scure,
Attratti dalla luce del desiderio,
Si contendono il dorato bottino.
Ma non si avvedono, abbagliati,
Del predatore che la luce rifugge
E raccoglie il frutto del loro peccato.
Ai piedi della poesia, a mo’ di firma, era disegnato, con un tratto
sottile di penna nera, un colibrì. E George lo immaginava di continuo, quel suo colibrì, che ora certamente lo aspettava nella sua
gabbia dorata, così lontana e tuttavia presenza fissa nella sua mente.
La immaginava come l’aveva lasciata l’anno precedente, pallida e
sinuosa nel suo manto di seta verde sul quale, come un fiume in
piena, fluiva una chioma scura. Due occhi color nocciola completavano ciò che per lui rappresentava l’aspetto terreno della dea che
aveva imparato a chiamare Wei Bu.
Un rumore di passi scosse il chirurgo dalle sue fantasie, riportandolo con uno schianto nel mondo reale. Prima che l’impiegato entrasse nella stanza con un nuovo cliente, richiuse lo sportello e si
diresse verso l’uscita con passo veloce. Lasciò il palazzo osservando
il cielo ormai spento, si tolse i guanti e si concesse al freddo e rassicurante abbraccio della notte.