Teorie e tecniche della motivazione sportiva
Transcript
Teorie e tecniche della motivazione sportiva
Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano Facoltà di Psicologia Teorie e tecniche della motivazione sportiva: una ricerca sul campo con allenatori e sportivi Elaborato finale Referente: Dott. Giuseppe Riva Laura Ardenghi 3104742 Anno Accademico 2004-2005 INDICE CAP 1 - I PROCESSI MOTIVAZIONALI NELLO SPORT pag. 3 1.1 La motivazione alla partecipazione e all’abbandono sportivo pag. 3 1.2 Il modello dell’impegno sportivo pag. 5 1.3 La motivazione alla riuscita pag. 6 1.4 La teoria della motivazione alla competenza pag. 7 1.5 La teoria della valutazione cognitiva e la motivazione intrinseca ed estrinseca pag. 8 1.6 Il modello valore-aspettativa di Eccles pag. 9 CAP 2 - LE TECNICHE MOTIVAZIONALI NELLA PSICOLOGIA DELLO SPORT pag. 11 2.1 pag. 12 Le tecniche utilizzate per migliorare la performance sportiva 2.1.1 L’autoregolazione dell’attivazione e la motivazione pag. 12 2.1.2 L’efficacia dell’imagery nella motivazione pag. 14 2.2 Programmi di training del motivo pag. 15 2.3 Il colloquio motivazionale pag. 16 2.4 Il metodo del goal setting pag. 18 CAP 3 - LA MOTIVAZIONE NEGLI ALLENATORI E NEGLI SPORTIVI - pag. 21 <INTERVISTE> 3.1 Gli obiettivi pag. 21 3.2 Il campione pag. 22 3.3 Lo strumento utilizzato pag. 22 3.4 Analisi dei risultati pag. 25 CONCLUSIONI pag. 30 BIBLIOGRAFIA pag. 33 2 CAP 1 I PROCESSI MOTIVAZIONALI NELLO SPORT In generale il termine motivazione può essere inteso come “un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un determinato scopo in relazione alle condizioni ambientali” (Anolli e Legrenzi, 2001). Nell’essere umano è raro che una determinata condotta sia il risultato di un’unica spinta motivazionale, il più delle volte essa è sovra-determinata, ossia è l’esito di una concatenazione di motivazioni. Molti sono stati gli studi che si sono rivolti alla conoscenza dei processi motivazionali e uno dei campi di applicazione della ricerca motivazionale, nato dalla necessità di fornire risposte concrete in campo applicativo ai molti quesiti e alle richieste d’aiuto provenienti soprattutto dagli allenatori, riguarda il contesto sportivo. In questo capitolo verrà fornita una rassegna di alcune delle prospettive teoriche e delle ricerche esistenti per l’interpretazione dei processi motivazionali 1.1 La motivazione alla partecipazione e all’abbandono sportivo In questo paragrafo tracceremo l’evoluzione delle ricerche sulla motivazione alla partecipazione e all’abbandono sportivo attraverso gli studi descrittivi condotti negli anni ’70, ’80 e ’90. Preliminarmente va specificato come lo sport sia un’attività che è praticata per libera scelta, la quale si viene a definire in tre momenti successivi: la scelta - caratterizzata dalla valutazione da parte del soggetto dei diversi elementi sia favorevoli sia contrari alla pratica sportiva, prendendo in considerazione tutte le alternative possibili -, la decisione - di praticare un determinato sport a partire dalla suddetta valutazione - e l’attuazione cioè la pratica concreta dello sport prescelto - (Giovannini e Savoia, 2002). I giovani, sia i ragazzi che le ragazze, possono intraprendere un’attività sportiva spinti da un insieme piuttosto ampio di ragioni; obiettivo dei programmi di educazione è quello di sviluppare e mantenere un livello elevato di desiderio di partecipazione allo sport. Spesso tuttavia si assiste al fenomeno dell’abbandono dello sport e molteplici sono le cause. La psicologia dello sport offre un contributo per la ricerca dei motivi di abbandono coniugando lo sviluppo complessivo delle competenze del giovane con l’acquisizione di quelle strettamente sportive. L’interesse per la ricerca della motivazione alla partecipazione emerge negli anni ‘70 con uno studio chiave condotto da Alderman e Wood (1976) con giovani atleti canadesi. Questi autori trovarono che l’affiliazione (l’opportunità di stabilire relazioni interpersonali significative), l’eccellenza (l’acquisizione di abilità sportive per primeggiare su qualcuno o per proprio interesse), lo stress (l’opportunità di svolgere attività eccitanti) e il successo (l’acquisire status, prestigio e approvazione da parte di altri) sono i motivi principali alla base del coinvolgimento in una disciplina sportiva. Sapp e Haubenstricker (1878) condussero successivamente uno studio su larga scala sulla motivazione alla partecipazione. I risultati rivelarono che le ragioni maggiormente citate per la partecipazione sportiva sono il divertimento, l’acquisizione di competenza, la forma fisica e l’affiliazione e che le motivazioni sono omogenee per età, sesso, sport praticato e cultura. 3 Un grande numero di studi seguirono negli anni ’80; alcuni di questi studi testarono la motivazione alla partecipazione attraverso diversi sport (Gill, Gross e Huddleston, 1983) e fecero emergere alcune tematiche comuni alla partecipazione sportiva. Le motivazioni alla partecipazione includono primariamente: a) lo sviluppo di competenze fisiche (imparare nuove abilità, migliorare quelle già possedute e raggiungere obiettivi); b) guadagnare il consenso sociale (farsi nuovi amici, essere parte di un gruppo, guadagnare l’approvazione degli adulti significativi); c) accrescere la forma fisica e l’aspetto (essere in forma, essere più forti); d) godere di una nuova esperienza (divertirsi, stimolarsi). In tutti questi studi gli intervistati annoveravano come importanti per guidare la loro motivazione motivi multipli, più che singole ragioni. Per quanto riguarda le motivazioni che spingono gli atleti ad abbandonare i programmi sportivi, la ricerca di Sapp e Haubenstricker (1978) ha rivelato che queste sono differenti a seconda delle fasce d’età considerate: i più giovani si ritirano principalmente per problemi con gli allenatori, mancanza di divertimento e eccessiva enfasi posta sull’aspetto competitivo, mentre gli adolescenti per l’emergere di altri interessi (che nella tarda adolescenza coincideranno principalmente con necessità lavorative). In una rassegna sulla motivazione alla partecipazione e all’abbandono attraverso gli anni ’80, venne affermato che il fenomeno dell’abbandono sportivo non deve essere visto necessariamente come un evento negativo. Inoltre venne concluso, che il termine dropout, non è appropriato per etichettare i giovani che si ritirano; questo perchè molti di loro continuano comunque a praticare altri sport, proseguono nello stesso sport ad un diverso livello d’intensità oppure prendono decisioni diverse in base al momento di sviluppo che stanno attraversando. Infine venne trovato che il provare o l’abbandonare uno sport da parte di molti giovani, che può dipendere da un cambio d’interesse o dall’opportunità di fare altre attività, suggerisce un normale fenomeno di campionamento delle attività attraverso la scelta di quella che permette di soddisfare gli interessi, le competenze e gli obiettivi attuali (fare quello che fanno gli amici, dimostrare l’abilità in uno sport, migliorare l’apparenza fisica).(Horn, 2002) In contrasto con questi primi studi, negli anni ’90 le ricerche si focalizzarono in particolare sul contesto sociale nel quale gli sport vengono praticati, correlandolo con i motivi individuali alla partecipazione. Una ricerca (Buonamano, Cei e Mussino, 1993) condotta in Italia su 2.589 giovani di 9-18 anni praticanti sport di squadra e individuali suddivisi in modo rappresentativo sull’intero territorio nazionale, ha evidenziato ad esempio interessanti differenze in relazione al livello socioeconomico e culturale delle famiglie. Sono stati classificati in particolare quattro diversi livelli, in base al titolo di studio dei genitori, ed è stato evidenziato uno sbilanciamento verso i livelli superiori. Fra i giovani che praticano sport organizzati, infatti: il 21% appartiene a famiglie con un elevato livello socioculturale, il 44% con livello medio alto, il 21,5 con livello medio basso e il 13% con livello basso. Inoltre maggiore è il livello culturale, maggiore è la propensione a cambiare disciplina, maggiore l’età in cui si inizia a fare sport. Dai risultati di questa indagine possiamo concludere che, sulla motivazione individuale pesano anche fattori di carattere non strettamente psicologico, ma derivati dalla cultura 4 di provenienza. Dopo aver descritto alcune ricerche che hanno indagato i motivi che determinano il coinvolgimento sportivo e la cui carenza invece favorisce l’abbandono sportivo, nei prossimi paragrafi esamineremo i maggiori modelli teoretici e concettuali utilizzati nello studio dell’orientamento motivazionale e della condotta sportiva. 1.2 Il modello dell’impegno sportivo Le conclusioni secondo cui il divertimento e il piacere sono motivi dominanti per la partecipazione sportiva, indussero Scanlan e i suoi colleghi a condurre una serie di studi sulle fonti del divertimento in diversi campioni di atleti varianti per età, genere, etnia e tipo di sport praticato (Scanlan, Carpenter, Schmidt, Simons & Keller, 1993). I risultati rivelarono che, le interazioni sociali positive (con parenti, allenatore e compagni di squadra), le percezioni di competenza e il riconoscimento sociale della competenza, sono le principali cause determinanti del divertimento sportivo. In una sintesi di alcuni lavori sulle fonti del divertimento, Scanlan e Simons (1992) introdussero il divertimento sportivo come un costrutto centrale, entro un ampio modello concettuale sulla motivazione che chiamarono il modello dell’impegno sportivo. L’impegno sportivo è definito come un costrutto psicologico che rappresenta il desiderio e la decisione di continuare la partecipazione ad uno sport. Il fuoco è sull’impegno come stato psicologico che sottolinea la condotta di perseveranza. Il modello dell’impegno sportivo proposto da Scanlan e i suoi colleghi consiste in cinque cause determinanti che accrescono o descrescono l’impegno sportivo: il divertimento, le alternative, gli investimenti personali, le costrizioni sociali e le opportunità. Il divertimento, rappresenta la principale attrattiva dello sport ed è definito come una risposta positiva che riflette sentimenti di piacere, di contentezza e di soddisfazione. Le alternative riflettono l’attrattiva di altre attività che possono competere con la continua partecipazione nell’attività corrente. Gli altri tre costrutti rappresentano delle barriere all’interruzione di un impegno attuale. Gli investimenti personali riguardano il tempo, lo sforzo e le risorse finanziarie che possono essere perse se la partecipazione all’attività è discontinua. Le costrizioni sociali si riferiscono alle pressioni percepite dagli adulti significativi e i pari che insinuano un senso di obbligo a continuare l’impegno. Le opportunità sono i benefici attesi, offerti dalla continua partecipazione ad uno sport, quali le amicizie, le interazioni positive con gli adulti, la padronanza delle abilità e il condizionamento fisico. In accordo con le predizioni originate dal modello dall’impegno sportivo queste cinque costrutti dovrebbero incrementare l’impegno sportivo, mentre la percezione che altre attività sono più attraenti, probabilmente diminuiscono l’impegno. In uno studio condotto da Scanlan e colleghi, solo il divertimento e gli investimenti personali predissero significativamente il livello dell’impegno sportivo nei giovani giocatori di baseball e softball (Scanlan, Carpenter, Schmidt, et al., 1993). Un predittore non significativo, l'opportunità di coinvolgimento, è invece correlato moderatamente con l’impegno sportivo (r = .41) e il divertimento (r = .55). Infine, le costrizioni sociali mostrano una relazione non significativa con l’impegno sportivo. Uno studio seguente, con più di 1.300 atleti (anni 10 – 19) in tre diversi sport, rivelò che il divertimento, gli investimenti personali e le opportunità di coinvolgimento sono predittori significativi dell’impegno sportivo. Contrariamente alle ipotesi del modello, le costrizioni sociali si rivelarono correlate negativamente con l’impegno 5 sportivo. (Carpenter et al., 1993) Dall’integrazione dei risultati dei precedenti studi, Carpenter (1992) modificò ed estese il modello dell’impegno sportivo. Alcuni costrutti vennero aggiunti al modello, in particolare due indici addizionali all’attrazione: una disposizione negativa allo sport e la soddisfazione, le ricompense e i costi. Altre nuove variabili includono la disponibilità delle alternative, il supporto sociale e l’abilità percepita. Sei variabili emersero dunque come determinanti significative dell’impegno sportivo: il divertimento, gli investimenti personali, le opportunità di riconoscimento, le alternative di attrattiva, il supporto dei parenti e il dovere verso l’allenatore. (Horn, 2002) 1.3 La motivazione alla riuscita La motivazione legata alla riuscita è stata particolarmente approfondita dagli studi di Murray, McClelland e Atkinson, i quali l’hanno definita in termini di motivazione alla riuscita e motivazione ad evitare l’insuccesso. In particolare, con riferimento agli sportivi di sesso maschile, sembra che un elevato desiderio di successo e una scarsa paura dell’insuccesso comportino un livello di abilità più elevato durante la competizione; mentre, al contrario, una limitata predisposizione al successo associata ad una marcata paura dell’insuccesso comportano prestazioni migliori durante l’allenamento. Ulteriori ricerche hanno messo in evidenza come un livello intenso di paura dell’insuccesso associato ad un elevato desiderio di successo può invece favorire prestazioni positive; questo dato può essere interpretato come capacità del soggetto di utilizzare efficacemente i processi di autoregolazione, consentendogli di utilizzare questa ansia pre gara in termini positivi per la competizione. In generale, il modello proposto suggerisce che un elevato desiderio di successo comporta prestazioni migliori in confronto ad una bassa attesa di successo. La critica che però può essere avanzata a questo modello fa riferimento all’eccessiva enfasi che questo pone sulla personalità del soggetto, intesa come forza relativamente stabile che determina le caratteristiche motivazionali; infatti oltre alle caratteristiche strettamente individuali una notevole importanza va riconosciuta anche a quelle situazionali, in una reciproca azione sinergica. Ad esempio, non tutti attribuiscono lo stesso significato al concetto di successo nello sport: cioè quando si parla di senso di riuscita alcuni potranno intenderlo come la realizzazione di prestazioni che manifestano un elevato grado di competenza, altri come vittoria nel confronto con gli altri. In particolare, questo esempio fornisce l’occasione per distinguere due ulteriori orientamenti motivazionali specifici: cioè l’orientamento al compito (per cui il soggetto è interessato a dimostrare un certo grado di competenza/padronanza) e l’orientamento al Sé (per cui il soggetto vuole dimostrare il proprio grado di abilità nel confronto con gli altri). La predominanza dell’uno o dell’altro stile motivazionale è determinata non solo dalla disposizione individuale, ma anche da fattori situazionali, come possono essere ad esempio i rinforzi provenienti dagli adulti oppure il modo in cui è strutturato l’ambiente; in questo ultimo caso è chiaro come una competizione caratterizzata dal confronto interpersonale e da una valutazione pubblica eliciterà un orientamento al Sé, mentre una maggiore enfasi posta sull’apprendimento e sulla dimostrazione di un certo grado di maestria stimolerà un orientamento al compito (Cei, 1998). È importante quindi non trascurare quelle che sono possono essere delle determinanti di carattere contestuale; con queste s’intendono: le strutture di ricompensa – che, se legate alla prestazione contro l’avversario o alla prestazione contro uno standard, determineranno diverse modalità competitive a cui si assoceranno dei 6 corrispondenti orientamenti motivazionali -, l’orientamento dell’allenatore – che a sua volta può essere basato sul controllo oppure sull’informazione, modificando la percezione di sé del soggetto nonché la sua motivazione-, le differenze legate al tipo di sport – che possono attirare alcuni soggetti e non altri, ed anche i fattori socioculturali (classe sociale, razza, etnia) – che possono esercitare una certa influenza sul grado di coinvolgimento del soggetto nello sport stesso- (Giovannini, Savoia, 2002). Questi due orientamenti sono dimensioni indipendenti per cui, non essendo legati tra loro, possono essere presenti entrambi nello stesso soggetto in misure diverse: un individuo può essere fortemente orientato tanto verso il sé quanto verso il compito, oppure un altro potrebbe essere maggiormente focalizzato sul compito e meno sul sé, o viceversa. È stato inoltre messo in evidenza come l’orientamento al compito sia in relazione positiva con la percezione dello sport come attività divertente, mentre al contrario l’orientamento al sé ridurrebbe l’interesse intrinseco per lo stesso (Duda e Nicholls, 1992). 1.4 La teoria della motivazione alla competenza Un altro aspetto motivazionale, riguarda l’influenza che la motivazione a essere competenti esercita sull’apprendimento e sulla prestazione sportiva. Gli individui principalmente partecipano alle attività fisiche per ragioni intrinseche, come ad esempio il divertimento o l’attrazione verso l’attività ed il piacere ed il senso di padronanza che viene dall’imparare e migliorare le proprie abilità. Le ragioni sociali sono altrettanto importanti, come ad esempio il supporto positivo che deriva dall’interazione con adulti significativi, e l’inizio o la conferma delle amicizie. Questi concetti sono stati evidenziati dalla teoria della motivazione alla competenza di Harter (1978), un approccio rilevante per capire i modelli e le credenze motivazionali individuali in un campo specifico come lo sport. Il concetto di efficacia o motivazione alla competenza è stato descritto inizialmente da R.W. White (1959), il quale ha descritto e spiegato gli antecedenti e le conseguenze di un desiderio intrinsecamente motivato. La tesi di White era che gli individui sono intrinsecamente motivati a interagire efficacemente con il loro ambiente fisico e sociale. Se la loro competenza viene dimostrata, viene sperimentato il sentimento di efficacia e il piacere inerente, che mantiene o aumenta la conseguente motivazione o il desiderio intrinseco di dominare un ambiente. Harter, ha rivisto ed esteso il modello originale di White in molti modi. Per prima cosa, ha specificato che il processo di motivazione alla competenza può dipendere dallo specifico conseguimento in un campo nel quale accade un tentativo di padronanza (cognitivo, fisico, sociale). Questo vuol dire che i bambini possono differenziarsi nel loro livello di desiderio, curiosità, interesse e orientamento motivazionale nell’imparare e padroneggiare abilità in una varietà di aree che spaziano dallo sport, alla matematica, al disegni, al computer. Quindi Harter rifinì il costrutto globale e unitario di White della motivazione alla competenza in un costrutto multidimensionale che considera le variazioni in un interesse come l’essere efficace o competente in un particolare compito. Un secondo perfezionamento fatto da Harter al modello originale di White è relativo ai risultati della performance. Mentre White si indirizza verso le conseguenze di successo dei tentativi di padronanza, Harter considera anche le conseguenze delle esperienze d’insuccesso. Egli analizza inoltre il ruolo degli agenti sociali, 7 insistendo sulla funzione dei rinforzi positivi e sulla dipendenza dei bambini da parte del mondo adulto.(Horn, 2002) Alcune ricerche (Weiss, Chaumenton, 1992), evidenziano infine come particolarmente importanti sembrano essere le risposte fornite dal contesto esterno, in particolare dall’allenatore: il feedback di quest’ultimo influenza notevolmente la percezione della propria abilità e la prestazione sportiva, soprattutto nei giovani adolescenti. I risultati di questi due autori, evidenziano come i giovani prediligano dei rinforzi che non solo li incoraggino ma soprattutto forniscano loro suggerimenti di carattere tecnico volti a farli migliorare, e come questi stessi messaggi stimolino la loro percezione di competenza. 1.4 La teoria della valutazione cognitiva e la motivazione intrinseca ed estrinseca La motivazione alla competenza fa riferimento al concetto di motivazione intrinseca ed estrinseca. Nella prima l’individuo compie un’attività perché ciò gli reca piacere di per sé, nella seconda, invece, è spinto all’azione dalla possibilità di ricevere una ricompensa. Quell’area d’indagine che ha analizzato la percezione di autodeterminazione e competenza, e che è centrata sulla descrizione di come esse mediano gli effetti di eventi esterni e interni sulla motivazione personale è stata chiamata Teoria della valutazione cognitiva (Deci & Ryan, 1985). Secondo questi autori la motivazione intrinseca è quella tendenza naturale ad essere coinvolti in attività interessanti per cercare e ottenere situazioni di sfida ottimali. Essa è parte integrante di ogni situazione di apprendimento, specie quando si apprende per il piacere di farlo e non per lodi. Questo comportamento è alimentato da rinforzi positivi che il soggetto fornisce a se stesso mentre svolge un’attività. Deci e Ryan (1985) elaborarono la teoria della valutazione cognitiva in quattro principi. Il primo principio si riferisce al bisogno intrinseco delle persone di essere autodeterminate e suggerisce che gli eventi esterni possono intaccare la motivazione intrinseca per influenzare il locus di causalità percepito. Le situazioni che promuovono un locus di causalità esterno (in cui i comportamenti sembrano controllati da fattori esterni), possono negare l’autodeterminazione e minare la motivazione intrinseca, mentre gli eventi che promuovono un locus di causalità interno (dove i comportamenti sono visti come determinati dalla libertà di scelta), possono facilitare l’autodeterminazione e la motivazione intrinseca. Per esempio, i programmi sportivi che permettono ai partecipanti di stabilire input interni o fare scelte riguardo la loro partecipazione e i loro obiettivi, promuovono sentimenti da autodeterminazione. La percezione di uno stile di allenamento rigido o autocratico, al contrario, guida verso sentimenti di coercizione e diminuisce l’autodeterminazione. Il secondo principio si riferisce al bisogno delle persone di essere competenti, padroneggiando le situazioni di sfida ottimale. Gli eventi esterni possono influenzare la motivazione intrinseca di una persona fornendo informazioni riguardo al suo o la sua competenza in un compito o in una attività. Le situazioni interpersonali che comunicano informazioni positive riguardo all’abilità di una persona (lodi contingenti e appropriate per le performance di successo), possono accrescere la loro percezione di competenza e la motivazione intrinseca. Al contrario, eventi che portano informazioni negative riguardo alle abilità di una persona (ad esempio le punizioni per gli errori), possono diminuire la percezione di competenza e la motivazione intrinseca. 8 Il terzo principio afferma che gli aspetti informativi e controllanti che coesistono nelle situazioni esterne possono avere una importanza differente per gli individui. Quindi, lo stesso evento può essere percepito come principalmente informativo o controllante. Per esempio, un individuo può percepire una ricompensa esterna (soldi, trofei) come un indicatore della sua competenza sportiva; un’altra persona può percepire la stessa ricompensa come una costrizione o una coercizione per trattenerlo nell’attività. Infine, una situazione esterna può essere percepita anche come demotivante. In questo ultimo caso la motivazione intrinseca di una persona si riduce. L’ultimo principio base della teoria della valutazione cognitiva afferma che gli eventi informativi interni (l’autoricompensa, l’autoregolazione) incrementano la percezione di competenza e, come risultato, mantengono o aumentano la motivazione intrinseca. Al contrario, gli eventi controllanti interni (la pressione autoimposta, la colpa) possono diminuire l’autodeterminazione e la motivazione intrinseca (Horn, 2002) 1.5 Il modello aspettative-valori di Eccles Eccles e i suoi colleghi (Eccles e coll, 1983) formularono un modello che abbracciava una visione multidimensionale dell’importanza (o valore) del raggiungimento di un risultato: il modello aspettative-valori. L’interesse di Eccles per le variazioni del rendimento venne suscitato dalle variazioni del rendimento nei giovani che mostravano attitudini e talento simili in un compito dato, specialmente in matematica. Dato un livello di competenza simile, perchè alcuni bambini sentono di poter avere successo nelle abilità o attività a loro richieste, mentre altri indugiano nei propri dubbi? Nella scuola elementare, nonostante abbiano abilità e punteggi simili, le ragazze scelgono meno rispetto ai ragazzi di frequentare un corso di matematica avanzato. Eccles sostiene che i primi predittori della conseguente scarsa motivazione (scelta, sforzo) di frequentare corsi di matematica sono: la bassa percezione di abilità delle ragazze con le conseguenti basse aspettative di successo, e una valutazione negativa del compito. Eccles e i suoi colleghi cercarono di sviluppare un modello comprensivo che potesse spiegare e descrivere le variazioni del comportamento nella scelta del compito, nella persistenza e nella prestazione in bambini ed adolescenti attraverso compiti di rendimento. Tale modello considera la possibilità di valori discreti e, soprattutto, illustra alcune importanti relazioni tra numerosi elementi motivazionali e di prestazione, fra i quali un ruolo centrale è svolto dalle aspettative e dai valori. Le aspettative possono essere definite come le attese nutrite circa la qualità delle prestazioni, mentre per quanto riguarda i valori, per Eccles e colleghi, esse sono credenze circa la desiderabilità di certi risultati o obiettivi. Le aspettative di rendimento sono influenzate dalle aspettative di successo e dal valore soggettivo del compito. Queste sono influenzate, a loro volta, dall’interpretazione, da parte del ragazzo, degli eventi passati e, quindi, dalle attribuzioni formulate, dalle aspettative che altri nutrono nei suoi confronti e dei suoi obiettivi, immediati e a lungo termine, incluse le percezioni di sé attuali e future. Questo modello vede pertanto la motivazione ad affrontare un certo compito come il risultato delle proprie percezioni e aspettative circa la difficoltà del compito e le personali capacità per affrontarlo. In definitiva la motivazione è intesa come frutto di stime e valutazioni del soggetto, derivanti dai processi di socializzazione mediati cognitivamente. Il ruolo dei processi di socializzazione e dell’ambiente culturale sono stati approfonditi 9 più nel dettaglio in un successivo ampliamento del modello (Wigfield e Eccles, 2000), illustrato nella figura 1. Il contesto culturale influenza le aspettative, le credenze e i comportamenti legati alla socializzazione. Quest’ultima componente, a sua volta, influenza gli obiettivi, le percezioni di sé e il ricordo delle emozioni associate all’apprendimento. Il ricordo delle emozioni associate all’apprendimento interfaccia la relazione fra le credenze sul compito e il valore ad esso assegnato e risente dei processi attributivi sottostanti. Le credenze e i comportamenti legati alla socializzazione, a loro volta, sono influenzati dalle attribuzioni. (De Beni e Moè, 2000) Contesto culturale e stereotipi legati al sesso o al Credenze e comportamenti legati alla socializzazione Esperienze di rendimento passate e attribuzioni Le aspettative di successo Le aspettative di rendimento o motivazione Le aspettative degli altri Credenze sul compito (abilità e facilità) Ricordo delle emozioni associate ll’ di t Gli obiettivi, gli schemi di sé e le percezioni dei bambini Il valore soggettivo del compito Figura 1 Studi specifici hanno applicato successivamente il modello aspettativa-valore di Eccles ai compiti fisici. Questi studi hanno esaminato specificatamente l’adeguatezza del modello ai comportamenti di attività fisica e le fonti di valore soggettivo verso il coinvolgimento sportivo. Deeter (1990) testò il modello della motivazione al rendimento di Eccles su alcuni studenti universitari che avevano preso parte ad un corso di educazione fisica. Il valore del compito fu stimato attraverso gli orientamenti al rendimento sportivo (competitività, vincita, obiettivi). La condotta di rendimento venne rappresentata dalla valutazione soggettiva degli istruttori sulle prestazioni degli studenti e dalle misure delle prestazioni oggettive (le percentuali di vincite nelle competizioni, il numero di giri di corsa o camminata). I risultati rivelarono un adeguato adattamento del modello ai dati: le variabili di aspettativa, più che il valore del compito, emergono come forti predittori del comportamento di rendimento. 10 Stuart (1997) si interessò all’identificazione delle fonti dei valori del raggiungimento, dell’utilità e dell’interesse verso il coinvolgimento sportivo nei giovani della scuola media e a come queste possono essere comparate alle fonti teoretiche definite nel modello di Eccles. Alcuni bambini e bambine tra i 12 e i 14 anni completarono un questionario i cui item si riferivano a ogni componente del valore del compito, dopodichè trenta di loro, suddivisi a seconda del punteggio ricavato (basso, medio, alto), furono successivamente intervistati sulle ragioni per cui trovavano lo sport interessante, importante, utile o meno. I risultati confermarono le origini del valore soggettivo del compito di Eccles e collaboratori, e che l’investimento di energie, la memoria affettiva e gli adulti e i pari significativi, giocano tutti un ruolo nei valori intrinseci dei partecipanti e nella stima del valore di utilità. (Horn, 2002) Possiamo concludere questo primo capitolo, affermando che l’orientamento motivazionale nello sport è un costrutto multidimensionale che può essere affrontato da una varietà di approcci teoretici. Nello specifico si è deciso di descrivere alcuni dei maggiori approcci allo studio dell’orientamento motivazionale e della condotta sportiva che includono la motivazione alla partecipazione e all’abbandono, il modello dell’impegno sportivo, la motivazione alla riuscita, la teoria della motivazione alla competenza, la teoria dell’attribuzione, la teoria della valutazione cognitiva e infine il modello aspettativa-valore di Eccles. Questi approcci, al di là delle loro specifiche tendenze, mostrano numerosi elementi comuni. Ogni teoria o modello implica l’importanza del contesto sociale, inclusi il supporto sociale, le costrizioni degli adulti significativi e dei pari, i fattori situazionali quali il tipo di sport, la cultura, il genere e il clima in cui hanno luogo il rendimento e le conoscenze. Un certo numero di differenze individuali costituiscono il denominatore comune di ogni approccio: l’autopercezione, il locus of control, l’orientamento al compito o al sé, le alternative o l’autonomia percepite, il valore soggettivo del compito. Il fenomeno della motivazione intrinseca o del fare un’attività per il proprio interesse, è infine centrale in ogni teoria. CAP 2 LE TECNICHE MOTIVAZIONALI NELLA PSICOLOGIA DELLO SPORT Uno degli obiettivi maggiori della psicologia dello sport è quello di determinare quali fattori massimizzano la condotta di partecipazione nei contesti di attività fisica. L'importanza dell'allenamento mentale come parte integrante della preparazione atletica è ormai generalmente condiviso ed oggetto di numerose ricerche in laboratorio e sul campo. Negli ultimi anni la psicologia dello sport si è diretta sempre più verso la ricerca di programmi integrati e multimodali d'allenamento mentale. Già Martens (1987), uno degli studiosi più importanti e conosciuti nell'ambito della psicologia dello sport, evidenziava la necessità di affrontare in maniera multimodale la preparazione mentale dell'atleta. Martens individuò cinque abilità mentali di base da considerare nei programmi di preparazione mentale: il controllo dei pensieri e dell’attenzione, la gestione dello stress, il controllo delle immagini, la modulazione dell’arousal e la 11 formulazione degli obiettivi. Il lavoro dello psicologo dello sport è diventato quindi molto vario e comprensivo di una serie di attività, migliorative della performance sportiva, atte a migliorare la percezione temporale per renderla più precisa e facilitare perciò l'impiego ottimale delle forze. Nel primo paragrafo, analizzeremo sinteticamente alcune delle tecniche utilizzate dagli psicologi dello sport per aumentare la performance sportiva. In particolare poi, un elemento critico attraverso cui gli individui sostengono il loro coinvolgimento sportivo è proprio il loro orientamento motivazionale, ci soffermeremo pertanto, nel secondo paragrafo, su alcuni programmi di training del motivo sviluppati da studiosi che hanno analizzato le teorie della motivazione. Nel terzo paragrafo analizzeremo il colloquio motivazionale come metodologia per favorire cambiamenti nel comportamento e nello stile di vita della persona e nel quarto paragrafo, infine, restringeremo il campo d’interesse alla tecnica principale utilizzata nello sport per mantenere un alto livello di motivazione: il metodo del goal setting. 2.1 Le tecniche utilizzate per aumentare la performance sportiva I programmi di allenamento mentale prevedono la possibilità di massimizzare lo sviluppo di un insieme di abilità di base, tra loro interdipendenti. Di seguito, prenderemo in considerazione in particolare: l’autoregolazione dell’attivazione (arousal) e l’immaginazione (imagery o visualizzazione). 2.1.1 L’autoregolazione dell’attivazione e la motivazione Per capire la relazione tra motivazione e attivazione sembra perfetta la definizione di Magill (1990), la quale descrive l’attivazione come sinonimo di motivazione, quando afferma che motivare un individuo significa attivarlo in modo tale che si prepari a eseguire un compito. Molte sono le teorie che sono state proposte per spiegare l’interazione fra livelli di attivazione individuali e processi di autoregolazione messi in atto dai soggetti per ottimizzare le loro prestazioni. La teoria che rimanda al concetto di motivazione è la reversal theory, proposta in psicologia dello sport da Kerr (1990) e basata sulla ricerca condotta da Apter (1984). La motivazione viene definita come lo studio della struttura dell’esperienza e del modo secondo cui questa stessa struttura cambia nel tempo. In questo quadro assumono notevole rilevanza i fattori cognitivi ed emotivi. Questa teoria tiene conto dell’interpretazione cognitiva dell’atleta del livello di attivazione. Cosi: alti livelli d’intensità sono vantaggiosi se un atleta percepisce un’alta attivazione fisica come positiva, mentre se l’intensità è percepita come negativa, questa può avere un effetto debilitante sulla performance. Perciò, perchè una performance abbia successo, gli atleti devono vedere la loro intensità come positiva più che come negativa. Inoltre, la reversal theory afferma che la percezione dell’intensità non è stabile ma cambia nel corso di una competizione, in quanto ad esempio, se un atleta può iniziare una competizione sentendosi sicuro e motivato riguardo la sua performance e interpretare l’intensità che l’accompagna come un beneficio, successivamente, se la competizione prosegue e la performance dell’atleta diventa scarsa, lo stesso livello d’intensità può venire interpretato come negativo. (Van Raalte & Brewer, 2002) La metodologia più efficace, nelle situazioni in cui è necessario aumentare o diminuire lo stato di eccitazione generale, per ricercare un rendimento sportivo ottimale, è quella di assumere un atteggiamento corretto ed onesto verso il proprio processo soggettivo di attivazione, individuandone regole, tempi e credenze. Se per alcuni atleti professionisti può essere automatico in altri si può riscontrare una difficoltà di “avviamento” 12 per una svariata gamma di motivazioni e in questo caso, numerose sono le tecniche psicologiche che consentono di ridurre o aumentare i livelli di attivazione. Per ridurre il livello di attivazione le tecniche principali sono: OBIETTIVO IL Favorire il rilassamento e aumentare la quantità La semplice effettuazione di alcuni respiri CONTROLLO DEL di RESPIRO IN CHE MODO ossigeno cardiovascolare utilizzabile in dal relazione sistema profondi e regolari consente all’atleta di ridurre all’attività immediatamente l’attivazione. muscolare. Consiste di esercizi di graduale contrazione- IL RILASSAMENTO PROGRESSIVO NEURO- Si propone di educare l’atleta alla riduzione distensione di specifici distretti muscolari da volontaria del tono muscolare e d’indurre così svolgere con scadenza giornaliera, che coinvolgono la maggior parte dei muscoli del uno stato di calma mentale. corpo. MUSCOLARE (Jacobson, 1929) Si basa sull’apprendimento di esercizi di TRAINING AUTOGENO (TA) Gli esercizi gradualmente determinano rilassamento globale del soggetto. il difficoltà crescente che consistono nel far ripetere mentalemente al soggetto delle frasi affermative, semplici e brevi. (Schultz, 1966) MEDITAZIONE La meditazione trascendentale determina un La tecnica consiste nella ripetizione del mantra (Wallas e Benson, abbassamento del consumo di ossigeno, della (suono di una sillaba, semplice, ripetuta in modo 1972) frequenza cardiaca respiratoria. e della frequenza ritmico) mentre il soggetto è seduto in un ambiente tranquillo. La tecnica del biofeedback permette di gestire Le tecniche di BFB (retroazione biologica) BIOFEEDBACK volontariamente alcune funzioni fisiologiche, consistono nel fornire ad un soggetto, tramite relative al sistema nervoso autonomo, che un’apposita apparecchiatura sfuggono al controllo cosciente della persona l’amplificazione dei elettronica segnali per bioelettrici, come il battito cardiaco, la tensione muscolare, la un’informazione (un feedback) sensorialmente temperatura cutanea, la risposta galvanica della percepibile, continua ed immediata, pelle, la frequenza respiratoria e le onde sull’andamento di una sua funzione fisiologica elettroencefalografiche. (volontaria o autonoma), con lo scopo di operare una modificazione (permettere l’apprendimento di un autocontrollo) della funzione stessa. Esistono inoltre alcune tecniche per favorire un efficace incremento dei livelli di attivazione: 1 Innanzitutto è necessario che gli atleti siano consapevoli di quali sono i parametri che segnalano una condizione di scarsa attivazione e che vi sono i modi per ovviare a questo stato. 2 La respirazione può anche essere utile nei casi in cui serva incrementare l’attivazione, attraverso l’aumento del respiro, associato, nella fase di inspirazione, a immagini di energia. 3 Anche gli esercizi di stretching e più in generale il riscaldamento effettuato dall’atleta, costituiscono un 13 ottimo sistema di attivazione non solo organica, ma anche mentale. 4 Altre modalità si riferiscono all’uso di parole guida, specifiche per ciascun atleta, per incrementare l’attivazione; il cosiddetto self talk è appunto un intenso dialogo con se stessi, costituito da parole, frasi o immagini mentali positive che possono svolgere una funzione positiva sulla percezione di efficacia e quindi sulla motivazione, che l’atleta ha di se stesso in una determinata situazione sportiva. 5 Vi è inoltre l’abilità di saper trarre dall’ambiente circostante le motivazioni giuste per incitarsi positivamente e la capacità di tradurre sentimenti interni sgradevoli in energia positiva per la prestazione (though stopping). 6 Un modo per incrementare e migliorare la condizione di scarsa attivazione è di stabilire obiettivi che siano raggiungibili ma che nel contempo rappresentino una sfida (vd paragrafo 2.3) 7 Anche l’allenatore può svolgere un ruolo decisivo: egli esorta, anche con espressioni colorite, la sua squadra a impegnarsi al massimo delle possibilità oppure può utilizzare in modo strategico la regola che giocheranno solo i giocatori più motivati. (Cei, 1998) 2.1.2 L’efficacia dell’imagery nella motivazione Tra le tecniche più usate per aumentare la performance degli atleti c’è l'imagery, che ha a che fare con le immagini usate per allenare l'atleta mentalmente. L’imagery è definita come un processo attraverso il quale le esperienze sensoriali sono immagazzinate, richiamate internamente e rappresentate in assenza di stimoli esterni (Murphy,1994). La ricerca del valore dell'imagery sulla performance atletica è stata ed è ancora molto ricca; Ulich (1967), nei suoi esperimenti, scoprì che il training mentale (immaginare una prestazione), migliorava le abilità motorie in un numero di casi essenzialmente lo stesso che nella pratica reale. L'aspetto più interessante degli studi di Ulich è che, alternando periodi di pratica mentale e training attivo (fisico), i soggetti arrivavano a conseguire gli stessi, o addirittura migliori, livelli di abilità che la pratica attiva da sola. In più, le prestazioni allenate mentalmente furono mantenute meglio che le prestazioni allenate fisicamente. La ricerca successiva ha dimostrato, in maniera inequivocabile, come l'imagery possa avere degli effetti positivi sulla prestazione competitiva (Feltz & Landers,1983). Alcuni atleti utilizzano videotape o audiotape per aiutarli a sviluppare e rinforzare le imagery costruttive. Questi video sono composti di due parti: nella prima il giocatore vede se stesso nell’atto di eseguire azioni particolarmente efficaci e nella seconda l’accento viene spostato sui momenti migliori vissuti dalla squadra. Per ogni giocatore possono inoltre essere realizzati dei video che mostrano solo le azioni maggiormente positive ed efficaci (Cei, 1998). Paivio (1985) suggerisce che una funzione cruciale delle immagini mentali può essere quella di motivare gli atleti quando i rinforzi sono rari. Infatti, dai risultati di una ricerca condotta su atleti di sei sport è emerso che gli atleti spesso immaginano se stessi che vincono o nell’atto di ricevere un premio e raramente immaginano di perdere. (Hall e col., 1990). Concludendo, l’abilità di immaginare va allenata allo scopo di: 1. aiutare gli atleti a rivedere i propri errori tecnici e correggerli; 14 2. affrontare ed eliminare i fattori distraenti; 3. rinforzare lo spirito di squadra; 4. sviluppare la motivazione, divenire consapevoli del proprio valore, gestire l’ansia e lo stress, modificare lo stile attentivo e pensare a raggiungere il proprio obiettivo. 2.2 Programmi di training del motivo Hechkhausen (1975) ha elaborato una teoria che coniuga i progressi della ricerca cognitiva sull’argomento, con le conoscenze della ricerca motivazionale classica: il modello di autovalutazione della motivazione alla riuscita. Il motivo è descritto come un sistema autostabilizzantesi di tre processi parziali di autovalutazione. Questi ultimi riguardano: 1. il confronto di un risultato con uno standard (per esempio il livello di aspirazione); 2. l’attribuzione causale del risultato; 3. il sentimento di soddisfazione/insoddisfazione per la propria abilità, conseguente all’autovalutazione. TRE COMPONENTI TIPO DI MOTIVO SPERANZA DI SUCCESSO Determinazione Realistica, compiti di media difficoltà 1. PAURA DELL’INSUCCESSO Non realistica, compiti troppo difficili o dell’obiettivo / livello di Sforzo, buona abilità personale troppo facili aspirazione Successo Fortuna, compito facile 2. Attribuzione causale Sforzo insufficiente / sfortuna Capacità personali / “talento” carenti insuccesso 3. Autovalutazione Bilancio positivo di successo / insuccesso Bilancio negativo di successo / insuccesso I tre processi influiscono vicendevolmente l’uno sull’altro. Gli individui motivati al successo, che si pongono obiettivi realistici, tendono a vedere che l’esito dell’azione dipende dallo sforzo fatto e che la loro abilità cresce ulteriormente grazie alla pratica. Questa percezione è in sintonia con il modello di attribuzione, volto ad ascrivere i successi alle proprie capacità e i fallimenti a variabili nel tempo, in particolare ad uno sforzo insufficiente. Nel caso di pari distribuzione di successo e insuccesso, il bilancio di autovalutazione risulta nel complesso positivo: più orgoglio e soddisfazione che ansia e prostrazione. Nei motivati all’insuccesso l’azione concordata dei tre processi parziali si svolge in maniera tipicamente diversa. Evitando compiti realistici, non si colgono il nesso tra sforzo personale e risultato dell’azione, né la crescita della propria abilità nel caso essa abbia luogo. In caso di obiettivi non realistici, il successo è una questione di fortuna o di facilità dei compiti. Corrispondono a questo quadro i modelli di attribuzione dei motivati all’insuccesso, tesi ad ascrivere i successi a fattori esterni e a spiegare i fallimenti tramite fattori stabili nel tempo, soprattutto tramite capacità carenti. Perfino in caso di pari distribuzione di successo e insuccesso questo tipo di attribuzione dà luogo a bilanci di autoconferma negativi. (Rheinberg, 2002) La rappresentazione del motivo come sistema autostabilizzantesi dei tre processi motivazionali, si è rivelata particolarmente utile ai fini applicativi: si conoscevano ormai tre processi di cui modificare il decorso e l’azione concordata per aumentare la speranza di successo degli individui. Sulla base del modello di 15 autovalutazione, in particolare Krug (1983), ha sviluppato programmi di training del motivo per allievi di scuola dell’obbligo. Egli descrive come degli alunni di scuola elementare, caratterizzati da paura dell’insuccesso, abbiano imparato, nel corso di un addestramento guidato, a esperire il nesso esistente tra determinazione dell’obiettivo, attribuzione causale e autovalutazione. L’addestramento, eseguito sotto la guida di un istruttore ed effettuando esercizi estranei alla sfera scolastica (per esempio, infilare anelli su un perno di legno da una distanza scelta dal soggetto, avendo stabilito preventivamente il punteggio da raggiungere), verteva sulla determinazione di obiettivi realistici, su modelli di attribuzione vantaggiosi e su riflessioni inerenti all’autovalutazione. Dopo un periodo di addestramento vertente sulle strategie e strutture cognitive caratterizzate da speranza di successo in una situazione giocosa e, in quanto tale, non minacciosa, sono stati affrontati via via compiti più attinenti all’ambito scolastico. Dopo quattro mesi di training è stato riscontrato un progresso relativo ai tre processi parziali inerenti all’autovalutazione; erano cambiati inoltre i valori del motivo di riuscita degli allievi, orientati ora ad una maggiore speranza di successo. Da una serie di studi successivi è emerso che gli effetti del training potevano considerarsi alquanto attendibili. Recentemente questo training viene combinato con un training per l’incremento del pensiero induttivo. L’idea sottostante è che, da un parte, gli effetti della motivazione dovrebbero rafforzarsi quando non si fornisce solamente una strategia d’azione realistica ed ottimistica per far fronte alle richieste della situazione, bensì ci si preoccupa anche di stimolare il pensiero, in modo tale che il proprio sforzo si ripercuota in un migliore funzionamento cognitivo. Questo dovrebbe migliorare l’esperienza della propria efficacia. Dall’altra parte, il training puramente cognitivo del pensiero dovrebbe diventare più attraente se viene arricchito con una graduazione delle difficoltà, con obiettivi e autovalutazioni. Un altro uso del modello di autovalutazione è stato sperimentato con un gruppo di insegnanti, per indurli a impostare le loro lezioni in modo da stimolare negli allievi obiettivi realistici, attribuzioni e autovalutazioni favorevoli. Una strategia per l’insegnante consiste nel segnalare agli allievi i diversi risultati conseguiti nell’ambito di un raffronto intraindividuale, anziché giudicare le loro prestazioni confrontandole con la media dei risultati conseguiti dalla classe. Un confronto con se stessi di questo genere permette agli allievi di capire nel migliore dei modi quanto l’aumento o l’arresto delle proprie conoscenze dipendano dall’impegno e dallo sforzo personale. Il motivo può essere incentivato facilmente soprattutto durante le ore di insegnamento dedicate all’attività sportiva. (Rheinberg, 2002) 2.3 Il colloquio motivazionale Il colloquio motivazionale, elaborato attorno agli anni 80’ negli Stati Uniti e nel Regno unito, è propriamente uno stile di intervento centrato sulla persona, ed un elemento della propria espressione è la volontà di sviluppare un’atmosfera empatica, di accoglimento e comprensione per meglio favorire cambiamenti nel comportamento e nello stile di vita della persona. Esso è un metodo efficace per aumentare la motivazione intrinseca attraverso l’esplorazione e la risoluzione dell’ambivalenza, intesa appunto come fattore critico per stimolare il cambiamento. Le cinque abilità di base del colloquio motivazionale sono: 1. Formulare domande aperte. Le domande aperte sono quelle a cui una persona non può rispondere in modo 16 semplicistico con un sì/no e quindi incoraggiano il ricevente a parlare, ad approfondire ed a rappresentare la propria situazione. Esse hanno la capacità di aumentare il contatto relazionale tra psicologo e cliente, stimolando l’interazione e l’approfondimento delle tematiche, poiché il ricevente si sente motivato a produrre feedback, definendo e sviluppando meglio le proprie idee e le proprie sensazioni. (Esempio: “Cosa la soddisfa di più del nuovo programma di lavoro”, al posto di: “Ti soddisfa il nuovo programma di lavoro?”). 2. L’ascolto riflessivo. Ascoltare in modo riflessivo significa analizzare ed intuire in modo ragionevole e responsabile il significato delle parole del cliente e restituire alla persona il suo messaggio sotto forma di affermazione; la nuova formulazione è volta a testare se il significato attribuito alla comunicazione del cliente è congruente con quella che la persona voleva veramente comunicare. L’ascolto riflessivo ha lo scopo di verificare il significato che la persona dà alle parole, la invita a continuare a parlare dell’argomento, permette di chiarire i significati espressi e di fare supposizioni su quelli inespressi, è in grado di sottolineare, amplificare, deenfatizzare e minimizzare aspetti particolari. 3. Riassumere. Il riassumere è una fase delicata e speciale dell’ascolto riflessivo. Risulta efficace in quei momenti in cui il colloquio con il cliente volge al termine o il rapporto professionale è giunto ad una svolta del programma. Schematizziamo una serie di passaggi fondamentali che costituiscono una buona struttura da seguire nella fase del colloquio motivazionale in cui è necessario riassumere: A) Ci si rivolge alla persona con una frase in cui è chiaro il tentativo di riassumere la situazione (“Vediamo se ho capito bene le difficoltà che hai provato in quell’esercizio..”) B) Nel proseguo della frase vengono incluse tutte le informazioni del cliente in modo da rendere chiaro il fatto di aver riconosciuto e messo a fuoco la situazione, mostrare un interesse sincero per le ragioni del cliente ed ottimismo verso le direzioni da prendere insieme. C) Si accennano soluzioni in merito, in base a colloqui precedentemente fatti o proponendo in modo tecnico nuove tipologie di lavoro. D) Si cerca di essere efficacemente concisi concludendo con la richiesta di un commento da parte del cliente (“Che ne dici?”) 4. Sostenere e confermare. Messaggi diretti carichi di rinforzi positivi sono efficacissimi per sottolineare progressi e miglioramenti, evidenziando i feed-back necessari nella motivazione del cliente. Commenti di sostegno e conferma sono altresì fondamentali nei momenti di difficoltà, di ricadute o situazioni particolari in cui il cliente ha abbassato il suo livello di autoefficacia. Si promuove così la percezione su aspetti positivi della persona, offrendo nuovi modi di vedere e comunicando interesse. 5. Evocare affermazioni automotivanti. Le affermazioni automotivanti sono frasi che il cliente dice in cui, grazie al giusto input comunicazionale da parte dello psicologo, sono presenti elementi di riconoscimento della difficoltà e del disagio; una presa di coscienza autonoma della situazione, fiducia ed ottimismo verso le eventuali soluzioni o verso obiettivi già definiti o da definire. Attraverso queste frasi il cliente autopercepisce nelle sue parole il contesto della stuazione e le reali risorse personali nell’affrontare il programma di lavoro. La sua motivazione cresce per il fatto di sentirsi gratificato dalla scelta e dalla capacità delle sue azioni, dei suoi gesti e dei suoi pensieri. (Miller e Rollnick, 2004) 17 2.3 Il metodo del goal setting Di seguito verrà descritto uno dei sistemi più efficaci per migliorare la prestazione: lo stabilire obiettivi specifici costituisce uno stimolo importante per il mantenimento di un livello elevato di motivazione. La teoria del goal setting nasce come vera e propria tecnica motivazionale all’interno del MBO (Management By Objective), utilizzato nel contesto lavorativo e delle organizzazioni. Essa è una metodologia di gestione delle persone in cui il superiore e il subordinato determinano e fissano insieme gli obiettivi d’impresa. Il goal setting si differenzia dall’MBO perché valuta gli aspetti qualitativi legati alla prestazione del collaboratore e non solo il raggiungimento o meno dell’obiettivo. Attraverso il goal setting l’atleta lavora sulla programmazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine e, grazie alla possibilità di monitorare costantemente i progressi compiuti ed alla sensazione di controllo delle proprie attività, tale metodologia ha l’obiettivo di accrescere la motivazione intrinseca (Martens, 1987). Per obiettivo s’intende un qualcosa che si vuole consapevolmente raggiungere, e questo qualcosa è composto essenzialmente da due caratteristiche: direzione o contenuto (vale a dire la scelta di come dirigere la propria azione verso un risultato desiderato) e qualità o intensità (ovvero quanta energia e tempo sono necessari per giungere a questi risultati). L’importanza dell’obiettivo è ben evidenziata dalle parole utilizzate da Locke e Latham nel libro del 1984 Goal setting. A motivational Theory that Works: “Il comportamento può essere sollecitato dal contesto attraverso la definizione di un obiettivo da raggiunger, che rappresenta la meta verso cui orientare le proprie risorse, intensificare gli sforzi, perseverare”. Gli obiettivi infatti, spingono le persone a mettersi alla prova, a trovare soluzioni alternative ai problemi e a persistere nelle difficoltà raggiungendo risultati più elevati e prestazioni migliori. Attraverso l’assegnazione degli obiettivi, il monitoraggio delle strategie e la verifica dei risultati, la teoria e la tecnica del goal setting integrano i processi di valutazione delle prestazioni e del potenziale. Ciò avviene, in particolare, identificando un percorso in cui l’allenatore valuta le capacità specifiche dello sportivo, e al tempo stesso può metterlo alla prova su obiettivi sfidanti che vanno al di là della normale attività e che implicano il ricorso a potenzialità ancora non pienamente “messe a frutto”. Il goal setting migliora la prestazione fornendo un meccanismo che permette allo sportivo di adattare il suo comportamento e raggiungere efficacemente l’obiettivo. Inoltre esso fa crescere le persone consentendo sia all’allenatore che allo sportivo di mettersi alla prova nell’attività e nella sfera relazionale. Nel corso degli anni ’80 e ’90, sono state avanzate due categorie generali di spiegazioni per chiarire come gli obiettivi influenzano la performance: il modello meccanicistico e il modello cognitivo. Nel modello meccanicistico di Locke e Latham (1984), vengono identificate cinque variabili che svolgono un’azione moderatrice sull’impatto che gli obiettivi hanno sulla prestazione. Queste variabili sono: 1. l’abilità, rispetto alle attività necessarie al raggiungimento del goal; 2. l’impegno, influenzato dall’aspettativa di successo e dall’importanza del goal; 3. il feedback, cioè il monitoraggio dei propri risultati, che consente di valutare se si è raggiunto lo standard atteso o se è necessario “aggiustare il tiro” per migliorare la prestazione; 18 4. la complessità del compito con la relativa self-efficacy, ovvero la convinzione di possedere le capacità di riuscire a raggiungere il goal 5. e gli elementi situazionali. (Borgogni e Petitta, 2003) Sviluppando questa ricerca in ambito lavorativo ed organizzativo i due ricercatori si sono accorti che alcune linee guida potevano trovare un’importante realizzazione nel mondo sportivo e quindi hanno proposto delle ipotesi su come dovrebbe funzionare il goal-setting nello sport. Cercheremo di schematizzare qui di seguito il concetto di goal-setting di Locke e Latham evidenziandolo attraverso questi specifici punti: 1. Degli obiettivi specifici regolano l’azione in modo più preciso che degli obiettivi generali. 2. In relazione ad obiettivi quantitativi specifici, più elevato è l’obiettivo, migliore sarà la prestazione, fermo restando un livello adeguato di abilità ed impegno. 3. Obiettivi specifici e moderatamente difficili miglioreranno maggiormente la prestazione, rispetto ad obiettivi del tipo fai del tuo meglio o a non obiettivi. 4. La formulazione di obiettivi a breve termine e a lungo termine migliora maggiormente la prestazione, rispetto alla sola formulazione di obiettivi a breve termine, in quanto rendono più motivanti le azioni immediate e donano la sensazione che l’obiettivo finale non sia troppo spostato nel futuro. 5. Gli obiettivi agiscono sulla prestazione guidando l’attività, mobilizzando l’impegno, aumentando la persistenza e motivando alla ricerca di strategie appropriate al compito. 6. La definizione degli obiettivi è efficace solo alla presenza di feedback che evidenzino i progressi compiuti nella direzione del raggiungimento degli obiettivi. 7. Obiettivi difficili richiedono un notevole impegno che determina prestazioni migliori. 8. L’impegno può essere ottenuto chiedendo alla persona di accettare l’obiettivo, mostrando sostegno, permettendo la partecipazione alla scelta degli obiettivi, dell’allenamento, degli incentivi e dei premi. 9. Il raggiungimento degli obiettivi è favorito dalla determinazione di un piano d’azione o strategia, specialmente quando il compito è complesso o a lungo termine.(Dameli, 2005) Una spiegazione più recente di come gli obiettivi influenzano la performance, viene dal modello cognitivo che argomenta che alcuni stati psicologici come l’ansietà, la fiducia e al soddisfazione, interessano il goal setting e la relativa performance. Per esempio, Burton (1989) sostiene che gli atleti che assegnano obiettivi di risultato basati sul vincere o sul perdere, sperimenteranno più ansietà e meno fiducia nei contesti competitivi perchè i loro obiettivi non sono realmente sotto il loro controllo. In una ricerca condotta da Burton (1993), è stato evidenziato che, al termine di un periodo di cinque mesi in cui un gruppo di nuotatori era stato addestrato ad essere maggiormente orientato alla prestazione, si aveva un miglioramento della prestazione effettiva e una maggiore consapevolezza rispetto a nuotatori che non avevano seguito un programma di goal setting competitivo. Burton, ritenendo che alcune differenze individuali svolgano un ruolo determinante nella scelta degli obiettivi (ad esempio gli individui orientati al compito o al risultato), ha formulato un modello che identifica stili individuali di scelta degli obiettivi competitivi. Sulla base del rapporto tra il tipo di orientamento motivazionale scelto dall’altleta e il suo grado di percezione di competenza si costituiscono tre stili di goal setting: orientato al compito, orientato al successo e orientato all’insuccesso. Questi stili individuali interagiscono con il 19 tipo di situazione (ad esempio, allenamento o gara) e con le aspettative dell’atleta e solo in seguito vengono determinati gli obiettivi. A questo punto l’atleta, dopo aver definito i suoi obiettivi, è consapevole del tipo d’impegno che deve mettere in atto per raggiungere queste mete ed è, pertanto, in grado di modulare le sue azioni durante lo svolgimento della prestazione. Al termine della sua prestazione l’atleta sarà più o meno soddisfatto del risultato ottenuto e fornirà un’interpretazione personale del successo o della sconfitta. L’interazione fra queste due componenti determinerà il grado di competenza che il soggetto si attribuisce come atleta (Cei, 1998). Riassumendo, la ricerca di uno stato ottimale d'arousal è una delle prime fasi di un programma di preparazione mentale, che si proponga come obiettivo principale quello di aumentare il livello di motivazione degli atleti. All' aumentare dell'arousal (attivazione) si verifica un progressivo aumento nella prestazione fino ad un punto ottimale, oltre il quale ulteriori aumenti incidono negativamente sulla prestazione. E’ necessario pertanto utilizzare, a secondo della situazione, tecniche che consentano di aumentare o diminuire il livello di attivazione. Inoltre il giocatore deve sviluppare l’abilità di regolare la concentrazione in modo da restringere il focus attentivo quando necessario, per poi rilassarsi e recuperare energie nelle pause. Non è possibile concentrarsi sulla concentrazione ma è possibile imparare a concentrarsi e a dirigere volontariamente l’attenzione sugli stimoli facilitanti la prestazione. Ognuno di noi è colpito continuamente da molti stimoli sia interni sia esterni, alcuni importanti e facilitanti la prestazione, altri meno, altri da considerare solo come fattori di distrazione e altri ancora addirittura ostacolanti la riuscita della performance. E’ quindi fondamentale imparare a riconoscere i diversi stimoli e a selezionarli, in modo da sapere quanto deve essere diffuso o focalizzato il proprio livello attentivo per il buon esito della prestazione. Dal punto di vista emozionale tutte le tecniche di allenamento delle abilità mentali sono mirate a eliminare i pensieri irrilevanti dalla mente (concentrazione, visualizzazione, self talk) per spostare la concentrazione su quelli più importanti. Un primo traguardo in questa direzione viene raggiunto riducendo la tensione muscolare e nervosa eccessiva (rilassamento fisico e mentale), che spesso impedisce di focalizzare l’attenzione su pochi elementi, e imparando a concentrarsi su una cosa alla volta, cercando a volte di mantenere passiva l’attenzione, magari fermandosi ad ascoltare il ritmo del respiro o del battito cardiaco. Il rilassamento infatti, è una condizione psicologica che consente all’organismo di recuperare forza ed energia attraverso l’induzione di uno stato di calma generale e di eliminare ogni forma inutile di tensione psicofisica. E’ molto importante imparare a riconoscere le tensioni dei vari gruppi muscolari per imparare ad indurre uno stato di rilassamento. Il rilassamento si applica, non solo per il controllo della tensione muscolare e per prepararsi mentalmente e psicologicamente all’azione ma anche per controllare la respirazione e per immaginare e visualizzare. La percezione e l’immaginazione ci consentono la rappresentazione sia del mondo esterno che di noi stessi. Immaginare significa rappresentare qualche cosa, ad esempio un movimento o una situazione, senza viverla nella realtà, bensì vivendola mentalmente. Immaginare fa lavorare il corpo, infatti, durante la fase di 20 visualizzazione, il corpo raggiunge il livello di attivazione ottimale in tutti i sistemi psiconeurofisiologici dell’organismo. In alcuni soggetti, quando l’atleta ad esempio è troppo rilassato, l’immaginazione serve a incrementare l’attivazione generale; diversamente in caso di ansia eccessiva, consente di riportare l’attivazione a un livello più basso. Dopo una prima fase di progressiva focalizzazione dell’attenzione prima sulla respirazione, poi sul rilassamento fisico e mentale e successivamente sulla visualizzazione interna o esterna, un’intervento di mental training che ponga la sua attenzione alla motivazione, può essere seguito dal tentativo da parte degli atleti di ascoltarsi con maggiore attenzione, per cercare di individuare il loro dialogo interiore; infatti, ognuno di noi verbalizza internamente con se stesso continuamente, si da consigli, si da forza ma può anche autoalimentare un senso di inadeguatezza, insicurezza e incompetenza, determinando o meno la riuscita della performance; il self talk è sempre presente in ognuno di noi, ma l’esistenza e il contenuto di tale dialogo interno restano spesso sconosciuti all’individuo. Quindi, dopo averli lasciati liberi di accertare la presenza di questo personale e spontaneo dialogo interiore, è necessario imparare ad identificare i pensieri positivi, le parole-stimolo appropriate, le frasi e le affermazioni incoraggianti orientate a facilitare il compito da svolgere, e anche quelli negativi, i dubbi o le preoccupazioni, gli ostacoli che ci auto imponiamo spesso involontariamente. Anche la definizione di obiettivi specifici, costituisce uno stimolo importante per il mantenimento di un livello elevato di motivazione. Partendo dal presupposto che la motivazione è strettamente legata alle modalità con cui si focalizza l’attenzione verso l’obiettivo e alle emozioni che scaturiscono da questo, è necessario sincerarsi che l’obiettivo espresso dall’atleta sia quello in grado di suscitare quelle emozioni forti capaci di implementare la sua motivazione. Altro strumento utile per favorire una comunicazione dinamica, proattiva e motivante nei confronti dell’atleta, stimolandola con elementi efficaci verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati, è, come descritto precedentemente, il colloquio motivazionale. Questo approccio non è il migliore o l’unico modo per aumentare la motivazione al cambiamento, ma può essere utilizzato efficacemente in armonia con altri. Concludendo, possiamo affermare che le diverse tecniche descritte in questo secondo capitolo, possono essere combinate efficacemente insieme per migliorare la performance e per aumentare la motivazione. Sapersi concentrare al momento giusto, essere motivati per raggiungere un obiettivo, avere fiducia in sé e nel proprio valore, saper dosare le emozioni e la propria attivazione fisiologica, sono tra i fattori psicologici più rilevanti per influenzare la prestazione atletica. CAP 3 LA MOTIVAZIONE NEGLI ALLENATORI E NEGLI SPORTIVI <INTERVISTE> 3.1 Gli obiettivi Gli obiettivi che mi sono proposta in questo terzo capitolo sono: confrontare le esperienze di alcuni atleti e allenatori di diverse discipline sportive di gruppo tra le quali la pallavolo, il calcio, l’hockey sul ghiaccio e la ginnastica artistica; esplorar, sulla base della letteratura di riferimento e delle precedenti ricerche, il costrutto della motivazione all’interno di queste ed infine indagare quanto esse siano collegate ad un approccio ingenuo 21 basato sull’esperienza piuttosto che ad uno più sofisticato, basato su conoscenze tecniche specifiche riguardo all’argomento trattato. 3.2 Il campione Il campione è costituito da 13 atleti, di cui 10 femmine e 3 maschi e 5 allenatori, di cui 4 maschi e una femmina. Per quanto riguarda gli atleti, essi hanno un’età compresa tra i 17 e i 25 anni, con una media di 21,38 anni. L’attività principale per la maggior parte di loro non è lo sport: 9 sono studenti, 2 liberi professionisti, 1 è impiegata e 1 agente di commercio. Si dividono equamente tra giocatori a livello dilettantistico (7) e giocatori a livello agonistico (6); in particolare 4 giocano a calcio (tutti e quattro sono in serie D), 7 a pallavolo (di cui 2 in serie C, 2 in serie D, 2 in seconda divisione e 1 in prima divisione), una di loro è nella Nazionale femminile di Hockey sul ghiaccio e 1 nella Nazionale italiana twirling (disciplina ginnico-sportiva caratterizzata dall’impiego di un piccolo attrezzo, denominato “bastone” e da movimenti del corpo coordinati con armonia su una base musicale). Mediamente gli intervistati praticano il proprio sport da un periodo compreso tra 1 anno e 17 anni con una media di 10,38 anni e si allenano con una media totale di 3,2 volte a settimana per 2,4 ore; 4 atleti vorrebbero giocare più di quello che già fanno, 1 di meno e 8 sono contente così, mentre per quanto riguarda gli allenamenti 4 di loro vorrebbero allenarsi di più, 6 uguale e 3 di meno. Per quanto riguarda gli allenatori, essi hanno un’età compresa tra i 27 e i 56 anni, con una media di 34,4 anni. L’attività principale per la maggior parte di loro è lo sport: 1 di loro è insegnante di educazione fisica e 2 sono insegnanti di fitness; 1 è pensionato e 1 fa il fattorino. Tre di loro sono allenatori di pallavolo (due allenano squadre giovanili e uno allena a livello regionale una squadra di serie C) mentre gli altri due sono insegnanti di fitness in una palestra ed effettuano corsi vari tra cui aerobica, step, tonificazione, spinning, acquagym, nuoto e danza moderna. Gli intervistati allenano da un periodo compreso tra 5 anni e 15 anni da una media di 8,6 anni. Per quanto riguarda il numero di allenamenti e di ore a settimana: mediamente i soggetti allenano 2 o 3 giorni a settimana per due ore, due e mezza, mentre i personal trainer effettuano circa 45 ore settimanali. Tutti vorrebbero allenare di più di quello che già fanno. 3.3 Lo strumento utilizzato Lo strumento utilizzato per questa ricerca sul campo, è costituito da una intervista strutturata, differenziata tra allenatori e sportivi. INTERVISTA agli SPORTIVI Dati anagrafici: NOME/CODICE: ETA’: SESSO: M□ F□ PROFESSIONE: Dati sull’attività sportiva: 22 1. Sport praticato? 2. A che livello? 3. Da quanto tempo pratichi questo sport? 4. Quanti giorni alla settimana ti alleni? Per quante ore? 5. Quante ore vorresti giocare? E allenarti? 6. Pensi spesso durante la giornata al tuo sport? SI □ NO □ 7. Quando ci pensi come lo immagini? A cosa pensi? 8. Come immagini il tuo futuro da sportivo? Che posizione vorresti raggiungere? 9. Il tuo allenatore cosa ti dice prima di una partita? 10. Cosa ti dice dopo una partita vinta? 11. E dopo una partita persa? 12. Secondo te qual è la cosa più divertente dello sport che pratichi? 13. Cosa pensi quando ti dico concentrazione? 14. Cosa pensi quando ti dico rilassamento? 15. Pensi che rilassamento e concentrazione possano essere strumenti utili per migliorare la tua performance Aree tematiche specifiche: 16. Secondo la tua esperienza qual è il ruolo della motivazione nella pratica sportiva? 17. Quali sono, se secondo te esistono, gli strumenti o le tecniche che possono aumentare la motivazione? 18. C’è stato un episodio in cui la motivazione ha giocato un ruolo determinante nella tua esperienza sportiva? Se si, me lo puoi descrivere? 19. Hai avuto problemi che riguardavano la motivazione? Se si, come li hai superati? 20. Conosci le tecniche elencate qui di seguito? Se si, dando un valore compreso tra 0 e 7, quanto le usi per migliorare la tua performance? 0 mai 3 poco 1 molto raramente 4 abbastanza 2 raramente 5 molto spesso 6 sempre 0 1 2 3 4 5 6 RESPIRAZIONE ! ! ! ! ! ! ! RILASSAMENTO FISICO ! ! ! ! ! ! ! RILASSAMENTO MENTALE ! ! ! ! ! ! ! VISUALIZZAZIONE ! ! ! ! ! ! ! SELF TALK (DIALOGO INTERNO) ! ! ! ! ! ! ! ATTENZIONE / CONCENTRAZIONE ! ! ! ! ! ! ! CAPACITA’ DI GOAL SETTING ! ! ! ! ! ! ! 23 INTERVISTA agli ALLENATORI Dati anagrafici: NOME/CODICE: ETA’: SESSO: M□ F□ PROFESSIONE: Dati sull’attività sportiva: 1. Allenatore di….(quale sport)? 2. A che livello? 3. Da quanto tempo alleni? 4. Quanti giorni alla settimana allena la sua squadra? Per quante ore? 5. Per quante ore vorrebbe allenare? 6. Pensa spesso durante la giornata al suo sport? SI □ NO □ 7. Quando ci pensa come lo immagina? A cosa pensa? 8. Come immagina il suo futuro da allenatore? Che posizione vorrebbe raggiungere? 9. Cosa dice ai suoi atleti prima di una partita? 10. Cosa dice dopo una partita vinta? 11. E dopo una partita persa? 12. Secondo lei qual è la cosa più divertente nel fare l’allenatore? 13. Cosa pensa quando le dico concentrazione? 14. Cosa pensa quando le dico rilassamento? 15. Pensa che possano essere metodi utili per migliorare la prestazione dei suoi atleti? Aree tematiche specifiche: 16. Secondo la sua esperienza qual è il ruolo della motivazione nella pratica sportiva? 17. Quali sono, se secondo lei esistono, gli strumenti o le tecniche che possono aumentare la motivazione? 18. C’è stato un episodio in cui la motivazione ha giocato un ruolo determinante nella sua esperienza sportiva? Me lo può descrivere? 19. I suoi atleti hanno avuto problemi relativi alla motivazione? Se si, come li ha aiutati a superarli? 20. Conosce le tecniche elencate qui di seguito? Se si, dando un valore compreso tra 0 e 7, quanto le usa per migliorare la performance dei suoi atleti 0 mai 3 poco 1 molto raramente 4 abbastanza 2 raramente 5 molto spesso 6 sempre 24 0 1 2 3 4 5 6 RESPIRAZIONE ! ! ! ! ! ! ! RILASSAMENTO FISICO ! ! ! ! ! ! ! RILASSAMENTO MENTALE ! ! ! ! ! ! ! VISUALIZZAZIONE ! ! ! ! ! ! ! SELF TALK (DIALOGO INTERNO) ! ! ! ! ! ! ! ATTENZIONE / CONCENTRAZIONE ! ! ! ! ! ! ! CAPACITA’ DI GOAL SETTING ! ! ! ! ! ! ! 3.4 L’analisi dei risultati Domande Atleti Pensa spesso durante Tutti pensano spesso durante la giornata al la giornata al suo loro sport ed in particolare, gli atleti intervistati, affermano di rappresentarsi sport? Quando ci nella mente sotto forma di immagini: gli pensa come lo allenamenti (gli esercizi fatti e gli eventuali errori) e le partite precedenti immagina? A cosa (soprattutto gli errori commessi ma anche spesso il momento della vittoria). pensa? In generale gli atleti immaginano il loro Come immagina il sport in modo piacevole, pensano che sono contente di allenarsi, che vorrebbero andare suo futuro da avanti e che vorrebbero giocare di più. allenatore? Che La maggior parte degli atleti ha risposto di immaginarsi nel futuro ad un livello posizione vorrebbe dilettantistico, affermano di praticare sport raggiungere? per divertimento, per fare movimento, perché c’è una bella squadra e non vogliono farlo diventare la loro vita; quelli tra di loro che hanno provato il mondo professionistico dicono che è troppo “severo”, troppo impegnativo e “Diventa troppo sport e poco gioco”. Alcuni infine, si immaginano come allenatori di professione e solo due aspirano ad aumentare di livello. Cosa dice l’allenatore: Come affermato dagli atleti, gli allenatori -prima di una partita prima di una partita: - non parlano mai singolarmente ma al - dopo una partita gruppo e questo permette di rinforzare lo spirito di squadra; vinta - li invitano a giocare per divertirsi, sereni -dopo una partita e con tranquillità; - li motivano ad impegnarsi cercando di persa dare il massimo, di dimostrare quello che sanno fare, mettendo in pratica quello che hanno preparato durante gli allenamenti; Viene spesso sottolineata l’importanza della competenza affermando che l’importante è Allenatori Anche gli allenatori pensano spesso durante la giornata al loro sport: ripensano alle situazioni tecniche che si sono create in partita o in allenamento e a come migliorarle. Programmano inoltre gli allenamenti e i corsi successivi; uno degli intervistati ammette di rappresentarsi nella mente e di creare in ogni momento della giornata gli esercizi da proporre ai suoi atleti. La maggior parte di loro vorrebbe allenare squadre di professionisti e comunque tutti ambiscono a far crescere gli atleti che seguono attualmente. Oltre a quanto affermato dagli atleti, gli allenatori sottolineano anche l’importanza dell’aggressività, dell’agonismo e della competitività contro gli avversari. Inoltre alcuni allenatori non parlano mai dopo una partita ma nell’allenamento successivo data la componente emotiva che la vittoria e la sconfitta può portare e che può influenzare il giudizio. 25 Secondo lei qual è la cosa più divertente dello sport che pratica/nel fare l’allenatore? Cosa pensa quando le dico concentrazione? Cosa pensa quando le dico rilassamento? Pensa che possano essere metodi utili giocare bene e non tanto vincere. Infatti la maggior parte degli atleti intervistati affermano che i loro allenatori fanno una differenza non tanto tra le partite vinte e quelle perse quanto tra le partite giocate bene e le partite giocate male. Nel caso ad esempio di una partita persa ma giocata con abilità e competenza la maggior parte di loro fa comunque i complimenti alla squadra; mentre al contrario, in una partita vinta ma giocata senza averlo meritato realmente, gli allenatori si arrabbiano e rimproverano gli atleti. In tutti i casi comunque, la maggior parte degli allenatori parlano degli errori fatti e delle cose su cui si può migliorare e incoraggiano gli atleti per la partita successiva Infine gli allenatori parlano anche di come impostare tatticamente la partita, dei ruoli e delle cose da fare, danno consigli tecnici e parlano della squadra avversaria (sottolineando i loro punti deboli e forti). Sono pochi gli allenatori che non fanno complimenti, o li puniscono (ad esempio facendoli allenare il doppio nell’allenamento successivo), sono di cattivo umore, o addirittura non dicono nulla. Prima di tutto gli atleti sottolineano l’importanza del sentimento di affiliazione e del guadagno del consenso sociale, che deriva dal giocare in una squadra: a questo proposito essi parlano di “ gioco di squadra”; l’importanza quindi di allenarsi in compagnia, di stare in mezzo alla gente e di essere in un gruppo. Ad esempio una di loro afferma: “Il fatto di giocare bene, insieme alle altre è soddisfacente anche se perdi”. Inoltre viene sottolineata l’importanza dell’eccellenza, dell’acquisizione di competenze o del confronto con altri; per gli atleti, infatti ulteriori elementi di divertimento sono: da un lato il vincere, il giocare bene e il migliorarsi e dall’altra, la competizione e l’agonismo. Alcuni atleti parlando di concentrazione pensano: - all’attenzione da mantenere in ogni singolo momento, difficilissima da ottenere; - a fare un quadro generale di quello che bisogna fare e delle possibilità per fare meglio, - o al guardare tutti i punti di vista e andare verso un certo obiettivo. Per gli allenatori, le cose più divertenti nel fare l’allenatore sono, da un lato il vedere crescere il livello di performance degli atleti e raggiungere gli obiettivi prefissati, dall’altro il rapporto anche affettivo che si instaura con loro, il contatto con più persone e conoscere punti di vista diversi degli atleti. Come fonte di motivazione c’è quindi il grado di competenza che deriva dal vedere i risultati del proprio lavoro e anche, da un altro lato, il rapporto umano che essi creano con gli atleti. Gli allenatori descrivono la concentrazione come: - capacità di mantenere un livello alto di attenzione/tensione - continuità nell’attenzione - lavoro e vita: non staccare mai completamente la spina. E’ fondamentale in tutti gli sport di situazione come la pallavolo in cui ogni azione è diversa dall’altra e bisogna essere 26 per migliorare la C’è chi dice che essere concentrate significa essere pronte e motivate ad affrontare prestazione dei suoi qualcosa e chi parla di forza mentale di un atleti? giocatore. Altri invece, quando pensano alla concentrazione utilizzano immagini mentali quali la posizione di ricezione, lo sguardo fisso, il rivedere l’esercizio nella testa prima di una gara e l’isolare tutto tranne ciò che sta in campo. Pensano soprattutto al momento appena prima della partita, quando sono nello spogliatoio e la concentrazione aiuta a livello mentale ad affrontare la partita Parlando di rilassamento, alcuni pensano alla situazione post partita, quando la tensione si scarica, ci si lascia andare, si parla e si scherza con i compagni; altri pensano al non fare e non pensare a niente, al riposo, al dormire. Per alcuni è quindi una cosa che viene spontanea dopo uno sforzo anche se in certe situazioni, ad esempio quando si perde non viene spontaneo. Alcuni pensano allo stretching, al training autogeno, prima, durante e dopo la partita e gli allenamenti. Alcuni ne parlano in negativo in partita, perchè significa avere pochi stimoli, poca grinta, calare la concentrazione. Per altri invece è positivo se considerato come il mantenere tranquillità e non agitarsi troppo durante una partita Quasi tutti gli atleti, inizialmente, affermano che è la concentrazione ad essere più importante per aumentare la performance ed in particolare, con l’accezione di attenzione, in partita è necessaria per non sbagliare. Il rilassamento, inteso invece come “mancanza di attenzione” è negativo in partita ma necessario nel post partita per scaricare la tensione. Alcuni sottolineano l’importanza del rilassamento come pre-condizione alla concentrazione: più si è rilassati insomma più è facile concentrarsi e più si gioca meglio. se sei concentrata ma sei tesa sbagli spesso ci sono fasi in cui la troppa emozione si trasforma durante il gioco in paura e tensione eccessiva e in quel caso è necessario rilassarsi. Secondo la sua Secondo tutti gli atleti intervistati la esperienza qual è il motivazione ha un ruolo principale nella ruolo della pratica sportiva in quanto ognuno di noi fa motivazione nella qualcosa per qualcosa e la motivazione è ciò che spinge l’individuo all’azione. E’ pratica sportiva? sempre concentrati Parlando di rilassamento gli allenatori la descrivono come: - fase in cui, dopo aver dato tutto, non sei più pronto ma scarico dal punto di vista fisico e mentale - il momento dopo l’allenamento o la fase post-partita, Per quanto riguarda l’importanza di concentrazione e rilassamento come strumenti utili per aumentare la performance: per alcuni entrambi sono utili se si è capaci di utilizzarle. Dipende inoltre dal giocatore: se un giocatore ha di suo un alto livello di concentrazione è importante che stia sereno e rilassato, un giocatore che non ha invece la tendenza ad avere questa attenzione è importante che abbia concentrazione. Per altri sono importantissime entrambe e devono viaggiare di pari passo sia fisicamente che mentalmente Durante la partita un eccessivo rilassamento può provocare un calo di attenzione. Per alcuni allenatori la motivazione ha un ruolo primario, allo stesso livello delle conoscenze e delle capacità tecnicotattiche; è necessario essere oltre che istruttore, anche educatore e motivatore. 27 Quali sono, se secondo lei esistono, gli strumenti o le tecniche che possono aumentare la motivazione? C’è stato un episodio in cui la motivazione ha giocato un ruolo determinante nella sua esperienza sportiva? Me lo può descrivere? quindi un aspetto mentale molto importante soprattutto per migliorarsi, raggiungere un buon livello e vincere. Per alcuni significa essere capaci di concentrarsi, per altri aver voglia di fare bene. Per alcuni è un elemento che permette di allenarsi e giocare bene e di cercare di superare i propri limiti. E’ inoltre importante come spinta per raggiungere i propri obiettivi. Infine per alcuni la motivazione è la conseguenza di qualcosa che ti piace e che ti diverte. Alcuni atleti hanno parlato di strumenti quali: l’incitamento, il sostegno e l’incoraggiamento di allenatori, compagni, amici e genitori. In particolare l’allenatore può influire se ti tiene in considerazione, ti fa capire che con l’allenamento ce la puoi fare oppure ti dà contro o non crede molto in te. Nel secondo caso questo può essere uno stimolo ma anche demotivare. Anche un gruppo coeso e collaborativo, così come vedere altri giocare (soprattutto se ad un livello superiore) può aumentare la motivazione. Per alcuni anche dare dei premi (ad es. “se vincete il campionato andiamo a fare un viaggio”), può aiutare a mantenere alta la motivazione. Altri strumenti di tipo intrinseco sono invece: la voglia di vincere, il non voler fare brutta figura, la passione, imporre dei miglioramenti a se stesso, porsi degli obiettivi e anche un alto livello di autostima (se io so che valgo poco sarò anche poco motivata, se io invece penso che impegnandomi e allenandomi posso dare tanto, allora sono anche motivato. Per tutti gli atleti, in generale, la motivazione ha avuto un ruolo molto importante, in particolare nel superare determinate situazioni e per risolvere determinati problemi che si sono verificati nel corso della loro carriera sportiva. Gli episodi problematici descritti dagli atleti sono numerosi e diversi tra loro: situazioni in cui si viene messi spesso in panchina, in cui non si gioca mai o si viene fatti entrare solo in un secondo momento; occasioni di aumento di livello (ad esempio il passaggio dalla serie D alla serie C) o il cambio di squadra; il dovere entrare in campo per sostituire una compagna senza preavviso, le partite particolarmente importanti o le situazioni problematiche con gli allenatori. Per altri la motivazione è importante ma come conseguenza della passione. La motivazione è spesso associata a termini quali: “piacere”, “sentirsi bene”, “senso di benessere”, ”divertimento” e “soddisfazione” Secondo gli allenatori gli strumenti utili a mantenere un alto livello di motivazione sono: - creare un rapporto personale, umano e di fiducia con gli atleti mostrando di avere le competenze appropriate -la sfida continua tra di loro - trovare insieme all’atleta un obiettivo da raggiungere: di fronte ad un piccolo obiettivo l’atleta si impegna di più e aumenta di livello. In particolare gli obiettivi devono essere ambiziosi ma raggiungibili. - proiettare gli atleti nel futuro, dal punto di vista della salute fisica e mentale fornendogli un esempio di costanza e di capacità di sacrificio. - dare premi (un giorno libero di allenamento quando magari il campionato è già vinto e non ci sono motivazioni forti) Anche nel caso degli allenatori, la motivazione ha giocato un ruolo determinante in alcune esperienze sportive: per alcuni, fa la differenza ad esempio in partite molto importanti, quando il livello tecnico è elevato in entrambe le squadre per altri nelle partite più facili in cui è necessario mantenere un livello elevato di motivazione per non deconcentrarsi. Anche nel caso degli allenatori, la motivazione è spesso associata a termini “dimostrazione” e “determinazione”. 28 Hai avuto problemi che riguardavano la motivazione? Se si, come li hai superati? I suoi atleti hanno avuto problemi relativi alla motivazione? Se si, come li ha aiutati a superarli? In tutti questi casi la motivazione è stata determinante come elemento che ha favorito l’azione e la partecipazione. L’elemento maggiormente citato accanto alla motivazione è il “voler dimostrare”. La motivazione nasce dal desiderio di dimostrare a se stessi e agli altri la propria competenza Gli atleti parlano a questo proposito di: -mancanza di motivazione dovuta a problemi con l’allenatore (ad es. poca stima da parte sua) - mancanza di sensazione di competenza (sapere di non essere all’altezza ma dovere giocare comunque per esigenze di squadra) - eccessiva enfasi posta sull’aspetto competitivo (paura dell’insuccesso) - mancanza di divertimento Gli atleti che sono riusciti a superare questi problemi lo hanno fatto per la voglia di dimostrare qualcosa a loro stessi, all’allenatore o alla squadra, e spesso con l’aiuto delle compagne; attraverso la determinazione; giocando e migliorando e aumentando quindi la sensazione di competenza. Il grado di motivazione per gli allenatori è legata alla personalità di ogni giocatore, come aiutare a superare i problemi dipende quindi da individuo a individuo: ad esempio, ad alcuni individui è necessario dare più attenzione, fargli vedere le sue potenzialità, correggerlo in ogni particolare e farlo sentire più importante, farlo sentire parte della squadra e non farlo sentire in nessun modo inferiore. Con altri individui invece si può usare un metodo più duro, provocandolo e farcendo scattare in lui la voglia di dimostrare. ATLETI ALLENATORI Tecnica Quanto viene Tecnica conosciuta? utilizzata? (da 0 conosciut utilizzata? (da 0 a a 6) 6) a? Quanto viene RESPIRAZIONE SI Poco 2,92 Si Molto spesso 5 RILASSAMENTO FISICO SI Poco 3,30 Si Molto spesso 5 RILASSAMENTO MENTALE SI Poco 3,23 Si Raramente 2,75 VISUALIZZAZIONE NO / NO / SELF TALK NO / NO / ATTENZIONE/ SI Molto spesso 5,3 Si Molto spesso 5 NO / NO / CONCENTRAZIONE CAPACITA’ DI GOAL SETTING Tab. 1 29 CONCLUSIONI In base ai dati ricavati dalle interviste effettuate ad atleti ed allenatori e alla letteratura di riferimento citata nei primi due capitoli, possiamo trarre le seguenti conclusioni. Innanzitutto possiamo affermare che, sia gli atleti che gli allenatori, ritengono la motivazione come un aspetto fondamentale, necessario e a volte sufficiente, all’interno della pratica sportiva. In particolare entrambi sottolineano l’importanza del divertimento e del piacere come elementi affini al concetto di motivazione. Tale elemento ci porta a ricollegarci alle conclusioni di Scanlan e collaboratori (1993), secondo i quali il divertimento e il piacere sono motivi dominanti per la motivazione alla partecipazione sportiva. La motivazione è stata inoltre determinante, sia per gli atleti che per gli allenatori, in alcune esperienze sportive. In particolare la motivazione è stata determinante per superare alcuni problemi, ha favorito l’azione e la partecipazione. Per entrambi la motivazione è in stretta relazione con il “voler dimostrare” e con la “determinazione”. Questo elemento sottolinea l’importanza dell’autoefficacia, descritta come la fiducia nelle proprie capacità di condurre a termine un’attività in modo positivo, la quale influenza la stessa motivazione a svolgere determinati compiti e a fornire il massimo dell’impegno. Nell’accezione di motivazione alla competenza (White, 1959), gli individui sono intrinsecamente motivati ad interagire efficacemente con il loro ambiente fisico e sociale. Le risposte forniteci dagli intervistati, sia dagli allenatori che dagli atleti, riguardo alla cosa più divertente del loro sport, sottolineano entrambe alcuni degli elementi che nelle ricerche presentate nei capitoli precedenti venivano sottolineati come le ragioni che sviluppano e mantengono un livello elevato di desiderio di partecipazione allo sport: l’affiliazione, il successo e l’eccellenza. I dati confermano anche i risultati degli studi effettuati da Scanlan e collaboratori (1993) secondo i quali le principali cause del divertimento sportivo sono: le interazioni sociali positive, le percezioni di competenza e il riconoscimento sociale della competenza I principali problemi relativi alla motivazione, descritti dagli atleti, riguardano quegli aspetti citati anche da numerose ricerche come elementi che favoriscono l’abbandono sportivo: problemi con gli allenatori, mancanza di divertimento ed eccessiva enfasi posta sull’aspetto competitivo. Gli atleti hanno superato questi problemi attraverso il senso di riuscita derivante dalla realizzazione delle prestazioni (giocando e migliorando). Possiamo concludere quindi che gli atleti intervistati possiedono un orientamento motivazionale, definito orientamento al compito, in cui è prioritario il confronto con se stesso e la percezione che il soggetto ha della sua competenza sportiva che dipende dai progressi realizzati in quella attività. Attraverso questa percezione di competenza, viene sperimentato il sentimento di efficacia e il piacere inerente, che può aumentare la conseguente motivazione. Per quanto riguarda gli allenatori essi sottolineano come per aiutare a superare problemi di motivazione degli atleti utilizzino metodologie differenti a seconda delle caratteristiche personali e caratteriali degli atleti. Questo sottolinea che gli allenatori sono consci del fatto che gli aspetti informativi e controllanti che coesistono nelle situazioni esterne possono avere un’importanza differente per gli individui. Non è chiaro come gli allenatori differenzino i loro interventi, quello che emerge è che utilizzano la loro esperienza sul campo più che studi specifici sull’argomento. 30 Per quanto riguarda gli effetti di eventi esterni e interni sulla motivazione personale ed in particolare gli effetti del comportamento dell’allenatore prima delle partite o dopo le partite emergono elementi importanti. Innanzitutto gli allenatori, prima di una partita, sottolineano l’importanza del divertimento e dello spirito di squadra per motivare gli atleti a giocare bene; essi inoltre incoraggiano la squadra attraverso rinforzi di tipo intrinseco. Sottolineano poi l’importanza della competenza, infatti in partite giocate con abilità e competenza, sia vinte che perse, gli allenatori utilizzano rinforzi che sottolineano la qualità dell’impegno e della prestazione fornita, stimolando così un orientamento motivazionale orientato al compito. Come sappiamo dalla teoria della valutazione cognitiva di Deci e Ryan (1985), una situazione interpersonale di questo tipo, che fornisce informazioni positive riguardo alle capacità di una persona (lodi contingenti appropriate per le performance di successo), può accrescere la percezione competenza e la motivazione intrinseca Gli allenatori forniscono anche suggerimenti di carattere tecnico che, come confermato dalla ricerca di Weiss e Chaumenton (1992) citata nel primo capitolo, oltre ai rinforzi che incoraggiano gli atleti, sono messaggi che stimolano la loro percezione di competenza e che di conseguenza aumentano la motivazione. Sono pochi gli allenatori che forniscono feedback inadeguati, puniscono o forniscono istruzioni tecniche in maniera punitiva dopo un errore. Gli allenatori nelle loro risposte sottolineano l’importanza del confronto interpersonale e del dimostrare il livello di abilità in relazione agli altri, attraverso il confronto sociale con gli avversari elicitando un orientamento motivazionale orientato al sé. Per quanto riguarda gli strumenti e le tecniche che possono aumentare il livello di motivazione, gli atleti parlano sia di rinforzi estrinseci: l’incitamento, il sostegno e l’incoraggiamento di allenatori, compagni e genitori; un gruppo coeso e collaborativo e anche dei premi; sia di rinforzi intrinseci: la voglia di vincere, il porsi e raggiungere degli obiettivi. Gli allenatori sottolineano l’importanza del rapporto interpersonale, umano e di fiducia da creare con gli atleti, l’importanza dei premi come rinforzi positivi, del mostrare la propria competenza e del trovare insieme all’atleta un obiettivo da raggiungere che sia ambizioso ma raggiungibile. In questo caso viene sottolineata l’importanza del goal setting ovvero dello stabilire obiettivi che siano raggiungibili ma che nel contempo rappresentino una sfida. Dare obiettivi di questo tipo aumenta la sensazione di autodeterminazione che di conseguenza aumenta la motivazione. In entrambi i casi, sia nelle risposte egli atleti che in quelle degli allenatori, sono citati gli elementi che rientrano nella categoria delle tecniche che favoriscono l’incremento dei livelli di attivazione mentre non sono citate quelle tecniche che riducono il livello di attivazione, come la respirazione o il training autogeno. Questo dato si può spiegare facendo riferimento alle risposte che riguardano l’importanza della concentrazione e del rilassamento per aumentare la performance. Notiamo infatti che sia per gli atleti che per gli allenatori è la concentrazione ad essere più importante per aumentare la performance mentre il rilassamento è negativo soprattutto in partita quando è intesa come calo di attenzione. Gli allenatori sottolineano inoltre che rilassamento e concentrazione sono molto utili se si è capaci di utilizzarli e soprattutto l’importanza maggiore di una o dell’altra dipende da giocatore a giocatore. Viene sottolineata quindi l’importanza dell’interpretazione cognitiva dell’atleta del livello di attivazione; infatti, alti livelli d’intensità sono vantaggiosi se un atleta percepisce un’alta attivazione fisica come positiva, mentre se l’intensità è percepita come negativa, questa può avere un effetto debilitante sulla performance. 31 Infine, osservando la tabella 1 possiamo affermare che, sia gli atleti che gli allenatori, conoscono quasi tutte le tecniche elencate, escluse la visualizzazione, il self talk e la capacità di goal setting. Per quanto riguarda l’utilizzo, sia gli allenatori che gli atleti utilizzano molto spesso l’attenzione e la concentrazione. Respirazione, rilassamento fisico e rilassamento mentale sono invece utilizzate poco dagli atleti mentre gli allenatori utilizzano molto spesso la respirazione e il rilassamento fisico e raramente il rilassamento mentale. I primi dati ci confermano, come già accennato in precedenza, che gli allenatori e anche gli atleti non sono a conoscenza di alcune tecniche specifiche utilizzate per aumentare la motivazione. Tuttavia possiamo anche notare che l’esperienza ha fornito ad entrambi alcune nozioni che si avvicinano ai concetti psicologici relativi alle tecniche specifiche per aumentare la motivazione descritte nei precedenti capitoli: allenatori e sportivi evidenziano l’importanza dello stabilire degli obiettivi specifici per mantenere un alto livello di motivazione. Infine, per quanto riguarda le immagini mentali, gli atleti si rappresentano sotto forma di immagini gli errori fatti in partita e nelle precedenti partite e in questo caso le immagini mentali aiutano gli atleti a rivedere i propri errori tecnici e a correggerli e a rinforzare lo spirito di squadra. Inoltre essi si immaginano spesso se stessi nell’atto di vincere la funzione può essere quella di motivare gli atleti quando i rinforzi sono rari come afferma Paivio (1985). 32 BIBLIOGRAFIA " Alderman, R.A., Wood, N.L., (1976). An analisys of incentive motivation in young Canadian athletes, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Anolli L., Legrenzi P., (2001). Psicologia generale , Il mulino, Bologna " Apter, M.J. (1984). Reversal theory and Personality: A Review, in Van Raalte, J.L., Brewer, B.W., (2002). Exploring Sport and Exercise psychology, American Psychological Association, Ill, Washington DC. " Borgogni, L., Petitta, L. (2003), Lo sviluppo delle persone nelle organizzazioni. Goal setting, coaching, counseling, Carrocci " Buonamano, R., Cei, A., Mussino, A. (1993), La motivazione alla pratica sportiva nei giovani, Scuola dello Sport, Roma " Burton, D. (1989). Championship thinking: The athlete’s guide to winning performance in all sport, in Van Raalte, J.L., Brewer, B.W., (2002) Exploring Sport and Exercise psychology, American Psychological Association, Ill, Washington DC " Burton, D., (1993). Goal setting in sport, in Cei A. (1998) Psicologia Dello Sport, Il Mulino " Carpenter, P.J. (1992). Staying in sport: youngh athletes’ motivations for continued involvement. In Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Carpenter, P.J., Scanlan, T.K., Simons, J.P. & Lobel, M. (1993), A test of the sport commitment model using structural equation modeling, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Cei A. (1998) Psicologia Dello Sport, Il Mulino, Bologna " Dameli, M. (2005). Comunicazione e motivazione nel fitness. Strumenti e tecniche per Personal Trainers e professionisti del fitness, Elika, Cesena " De Beni, R., Moè, A,(2000) Motivazione e apprendimento, Il Mulino, Bologna " Deci, E.L., Ryan R.M. (1985). Intrinsic motivation and self-determination in human behavior, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Deeter, T.E., (1990). Re-modelling expectancy and value in physical activity, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Duda J.L., Nicholls J.C., (1992), Dimension of Achievement Motivation in Schoolwork and Sport, in <<Journal of Educational Psychology>>, 84, 3, 99.209-9. " Eccles (Parsons), J.S., Adler, T.E., Futterman, R., Goff, S.B, Kaczala, C.M., Neece, J.L.and Midgley, C. (1983), Expectancies, values, and academic behaviours, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Feltz, D.L. & Landers, D.M., (1983). The effects of mental practice on motor skill learning and performance: a meta-analysis, Journal of sport Psychology, 5, 25-27 " Gill D.L., Gross J.B., Huddleston S. (1983) Partecipation Motivation in Youth Sports, in <<International Jourmal of Sport Psychology>>, 14, pp.1-14. " Giovannini D., Savoia L. (2002) Psicologia dello Sport, Carocci. " Hall, C.R., Rodgers, W.M. e Barr, K.A., (1990). The use of Imagery by Athletes in Selected Sports, in Cei A. (1998) Psicologia Dello Sport, Il Mulino, Bologna " Harter S. (1978) Effectance Motivation Reconsidered, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Heckhausen, H., (1975). Fear of failure as a self-reinforcing motive system, in Rheinberg, F., (2002). Psicologia della motivazione, Il Mulino, Bologna " Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Jacobson, E.(1929), Progressive Relaxation, in Cei A. (1998) Psicologia Dello Sport, Il Mulino. " Kerr, J.H. (1990), Stress and Sport: Reversal Theory, in Van Raalte, J.L., Brewer, B.W., (2002) Exploring Sport and Exercise psychology, American Psychological Association, Ill, Washington DC " Magill, R.A.(1990), Motor Learning: Concepts and Application, in Cei A. (1998) Psicologia Dello Sport, Il Mulino. " Liggett, D.R., (2000). Enhancing imagery through hypnosis: a performance aid for athletes. American Joural of Clinical Hypnosis 33 Oct, 43(2):149-57 " Locke, E.A., Latham G.P. (1984). Goal setting. A motivational Theory that Works, in Borgogni, L., Petitta, L. (2003), Lo sviluppo delle persone nelle organizzazioni. Goal setting,, coaching, counseling, Carrocci " Martens,R. (1987), Coaches Guide to Sport Psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Miller, W.R. e Rollnick, S., (2004). Il colloquio motivazionale. Preparare la persona al cambiamento, Ed Erikson, Trento " Murphy, S.M. (1994). Imagery interventions in sport. In Van Raalte, J.L., Brewer, B.W., (2002) Exploring Sport and Exercise psychology, American Psychological Association, Ill, Washington DC. " Paivio, A. (1985). Cognitive and motivational functions of imagery in human performance, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Rheinberg, F., (2002). Psicologia della motivazione, Il Mulino, Bologna " Sapp, M., Haubenstricker, J., (1978). Motivation for joining and reasons for not continuing in youth sport programs in Michigan, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Scanlan, T.K., Carpenter, P.J., Schmidt, G.W., Simons, J.P, & Keeler, B. (1993). An introduction to the sport commitment model, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Scanlan, T.K., & Simons, J.P. (1992). The construct of sport enjoyment. In Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Schultz, J.H. (1966), Das autogene Training, in Cei A. (1998) Psicologia Dello Sport, Il Mulino. " Stuart, M.E., (1997), An examination of adolescents’ sources of subjective task value in sport in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Ulich, E., (1967). Some experiments on the function of mental training in the acquisition of more skills. In Liggett, D.R., (2000). Enhancing imagery through hypnosis: a performance aid for athletes. American Joural of Clinical Hypnosis Oct, 43(2):149-57 " Van Raalte, J.L., Brewer, B.W., (2002) Exploring Sport and Exercise psychology, American Psychological Association, Ill, Washington DC. " Wallace, R.K. e Benson, H. (1972), Tha Physiology of Meditation, in Cei A. (1998) Psicologia Dello Sport, Il Mulino. " Weiss M.R., Chaumenton N. (1992), Motivational Orientations in Sport, in T.H. Horn (a cura di), Advances in Sport Psychology, Champaign (pp.61-99), Il., Human Kinetics. " White, R.W. (1959). Motivation reconsidered: The concept of competence, in Horn T.S., (2002), Advances in Sport psychology, Champaign, Ill., Human Kinetics. " Wigfield, A., Eccles, J.S., (2000), Expectancy-value theory of achievement motivation, in De Beni, R., Moè, A,(2000) Motivazione e apprendimento, Il Mulino 34