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galaxia DALLI ALL’UNTORE!! di Giorgio Abraini G li speculatori, un po’ come gli untori, fanno spesso da capro espiatorio quando la borsa perde. Più raramente vengono “incolpati” quando invece la borsa guadagna, ma questo è normale... Le riflessioni di Stefano Machera mettono in luce quelli che mi sembrano alcuni luoghi comuni diffusi tra i non addetti ai lavori: “la Speculazione vince sempre”, “chi ci rimette è il risparmiatore”, “la Speculazione guadagna sugli alti e bassi”, “i derivati servono solo a far guadagnare gli speculatori”, nonché l’uso della “S” maiuscola come a suggerire che gli “Speculatori” sono una sorta di loggia massonica che opera di concerto a livello globale per dividersi i profitti delle loro piratesche manovre, naturalmente a danno dei risparmiatori. A me sembra opportuno tentare di chiarire qualche equivoco. Prima di tutto, definiamo questa “Speculazione”: secondo Garzanti, è una “operazione commerciale o finanziaria consistente nell’acquisto e nella vendita, in tempi successivi, di merci, immobili, titoli, valute, allo scopo di lucrare la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, prevedendo l’andamento del mercato”. Beh, che c’è di male nel voler vendere a prezzi più alti i beni che sono stati comprati? Forse un “investitore” non fa altrettanto? Sempre secondo Garzanti, l’investimento finanziario è invece un “impiego di fondi in forme (azioni, titoli di stato, immobili, oro ecc.) che prospettano un reddito più elevato o un aumento del valore reale”. Ma come si possa conseguire un aumento del valore senza lucrare la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita, qualcuno me lo deve spiegare. Personalmente non vedo grosse differenze fra speculatori e investitori: entrambi cercano di trarre profitto dall’evoluzione del mercato. In modi diversi forse, ma lo scopo è lo stesso: ottenere un profitto. La visione di Stefano, secondo 12 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 cui i risparmiatori investono in un’azienda per finanziarla e condividerne i profitti, mi sembra un po’ romantica e superata. In realtà i piccoli risparmiatori speculano come tutti gli altri, nel loro piccolo. Il problema è che la speculazione viene più spesso associata a una definizione diversa, e più generica: ancora Garzanti menziona un significato esteso di speculazione: “attività, azione intesa a conseguire un vantaggio personale sfruttando senza scrupoli una situazione favorevole”. Questa mancanza di scrupoli è ciò che comunemente viene addebitato agli speculatori, come se tutti gli “speculatori” fossero privi di scrupoli. Come se i “risparmiatori” fossero invece dei benefattori disinteressati. Torniamo indietro di qualche anno, quando la bolla hi-tech di fine anni ’90 si avviava verso la fine: chi è che entrava sul mercato comprando a man bassa titoli sopravvalutati in preda a una vera e propria febbre dell’oro? Ricchi investitori professionisti senza scrupoli, o poveri piccoli risparmiatori? I secondi. Chi agiva per trarre un vantaggio personale sfruttando una situazione (ancora per poco) favorevole? I secondi. Chi erano i veri speculatori, coloro che si apprestavano a vendere titoli dalle valutazioni assurde, o coloro che compravano troppo tardi nella speranza di arricchirsi in breve tempo? I secondi, a mio modesto avviso: i piccoli risparmiatori. Non solo, ma si sbaglia di grosso chi pensa che i derivati siano usati solo dai ricchi speculatori senza scrupoli: Borsa Italiana ha pubblicato qualche tempo fa l’aggiornamento di una ricerca sull’operatività dei trader on line italiani. Dalla ricerca si legge che la disponibilità mediana di ciascun trader è pari a 16.790 euro: non certo dei ricconi, dunque, bensì piccoli risparmiatori. E che cosa comprano questi piccoli risparmiatori? Per il 68% azioni italiane, seguite per un 15% da futures: ovvero, il 15% delle transazioni operate da questi piccoli trader riguardano futures; la percentuale sarebbe maggiore se si considerassero altri derivati, come le opzioni. Certo, le transazioni in derivati di questi piccoli trader sono nulla in confronto a quelle dei ricchi speculatori senza scrupoli. Ma sarebbe un errore grossolano pensare che gli innocenti risparmiatori comprino solo BOT e azioni non troppo rischiose; in realtà costoro speculano al pari degli altri, anche se ovviamente con mezzi più limitati. Il mondo della finanza sarebbe migliore senza derivati? Per nulla. I derivati non sono nati per permettere speculazioni selvagge di persone senza scrupoli: sono nati per permettere una gestione più efficiente dei rischi di impresa e degli investimenti. Un esempio classico sono i futures sulle materie prime, ad esempio il petrolio. Una raffineria che deve acquistare petrolio grezzo è ovviamente esposta alle variazioni di prezzo di questo bene: poiché non è detto che riesca a trasmettere tali variazioni sul prezzo del prodotto finito (il petrolio raffinato che essa fornisce ai suoi clienti), è probabile che un improvviso aumento del prezzo del greggio causerà una riduzione dei suoi profitti. Come difendersi? Semplice, si fissa oggi il prezzo a cui il greggio sarà acquistato fra n giorni: ovvero, si acquista un future sul greggio. Può darsi che la raffineria ci guadagni (se dopo n giorni il prezzo del greggio, il prezzo “spot” in gergo, sarà superiore al prezzo prefissato) o che ci perda (se il prezzo spot sarà inferiore), ma non ha importanza: per la raffineria l’importante è che il prezzo sia noto, così che possa pianificare meglio la sua attività senza paura di svegliarsi il giorno n-esimo e pagare una cifra esorbitante perché nel frattempo è scoppiata la guerra nel golfo Persico. I derivati servono quindi a gestire meglio il rischio. Certo, il future sul petrolio lo può comprare anche chi non ne ha bisogno per motivi imprenditoriali: lo può comprare anche lo speculatore. Ma è giusto condannare lo strumento per l’uso che se ne fa? Eliminare l’uso dei derivati per evitare le speculazioni sarebbe come proibire l’uso dell’automobile per evitare le morti sulle strade. Stefano si lamenta che la speculazione trae profitto dalle scommesse che si autoavverano: ma queste scommesse non sono casuali, non è che gli galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 speculatori si alzano la mattina e, siccome è nuvoloso, decidono “oggi vendiamo tutte le azioni Fiat!”. Le scommesse in finanza hanno sempre una motivazione economica, e soprattutto una motivazione “forward-looking”, che guarda al futuro. Se gli speculatori decidono di vendere Fiat non è per antipatia verso gli Agnelli o per invidia verso i risparmiatori che hanno guadagnato dall’apprezzamento delle azioni, ma perché pensano che Fiat sia sopravvalutata rispetto alla capacità di produrre utili in futuro. È esattamente ciò che farebbe un “risparmiatore”, se giudicasse Fiat con gli stessi strumenti e le stesse assunzioni degli speculatori. Ma è proprio qui il bello: non esiste un metro di giudizio oggettivo per valutare gli strumenti finanziari. Ognuno ha le sue idee, le sue ipotesi, le sue aspettative: se per qualcuno Fiat è sopravvalutata, per qualcun altro sarà sottovalutata. Chi pensa che gli speculatori si muovano all’unisono per far soffrire i risparmiatori si sbaglia di grosso: esistono speculatori che comprano e speculatori che vendono, così come esistono risparmiatori che comprano e risparmiatori che vendono. il fallimento dell’hedge fund Amaranth nel 2006 lo dimostra chiaramente. E, si badi bene, quel fondo è fallito non solo per un uso improprio della leva finanziaria (quella le cui vittime, secondo Stefano, sarebbero i risparmiatori), ma anche per la volatilità dei prezzi dei futures sul gas naturale (quella volatilità che, sempre secondo Stefano, permette agli speculatori di guadagnare). Un altro fallimento clamoroso, quello dell’LTCM, dimostra vieppiù che gli speculatori non complottano coordinatamente contro i risparmiatori e che non necessariamente beneficiano da un mercato volatile. In realtà la volatilità del mercato crea sì opportunità di profitto, ma anche rischi di perdite: e gli speculatori ne soffrono esattamente al pari degli altri. Link: http://www.garzantilinguistica.it/interna_ita.html http://www.borsaitaliana.it/chisiamo/ufficiostampa/comunicatistampa/2007/070411ricercatol.htm “Risposta” di Giuseppe Provenza C aro Abraini, rispetto pienamente la tua opinione, che è, mi sembra, quella di una persona che per mestiere opera nei mercati finanziari. Io non opero nei mercati finanziari, ma non sono neanche lontano dalla conoscenza del mondo economico, come forse traspare da qualche mio scritto su Memento, essendo stato per anni assistente di Politica Economica, e continuando, da ex, ad essere invitato a tenere lezioni in aula in materia di sviluppo economico nell’ambito del corso di Economia dell’Università di Palermo. Io sono molto più disincantato di te riguardo alla borsa, che ritengo la perversione di punta di quel capitalismo che io non stimo per niente così come si manifesta nei nostri giorni (o meglio, come si è manifestato finora). Possibile che tu non ti sia mai accorto come la borsa – così come si svolge in tutto il mondo - sia una vera e propria fiera della falsità, scantonando talvolta nel vero e proprio imbroglio ? In borsa i grandi investitori, ossia gli speculatori, fanno salire alle stelle o precipitare la quotazione di un’azione senza alcuno sforzo giocando di conseguenza come rialzisti o ribassisti a scapito, ovviamente, dei piccoli risparmiatori ignari ed indifesi. Vorrei chiederti di fare una prova: il confronto fra il valore delle azioni di un’azienda quotata in borsa ed il valore reale dell’azienda stessa. A volte esistono veri e propri abissi fra le due cose, in un verso o nell’altro. (infatti, tu lo sai, quando si verifica la cessione di una grossa quota del pacchetto azionario, il prezzo viene contrattato prescindendo totalmente dalla quotazione in borsa, che, quindi, è del tutto falso). Ha un senso questa cosa ? C’è niente di più falso in questo mondo economico contemporaneo falsato in tutto ? Dove si sbandierano libera concorrenza, equità, trasparenza, correttezza inesistenti ? Ti prego anche di fare un’altra riflessione. Quando io conseguo un guadagno facendo trading cosa ho dato in cambio alla società ? Esattamente zero, neanche un centesimo in più. Non è come il profitto dell’imprenditore che, non occupandoci in questa sede di quanto equo sia stato il suo profitto, quanto meno ha reso un beneficio alla società con il bene o il servizio che ha prodotto e con il lavoro che ha dato. Inevitabilmente il guadagno del trading, se per una parte è una quota del lievitare del valore complessivo della borsa, per un’altra ha come contropartita una perdita, contemporanea o futura, da parte di altri. E questo io non lo valuto certamente in maniera positiva. Io, ovviamente, non posso non condividere che la borsa sia imprescindibile nel sistema capitalistico, ma così come ritengo che nel sistema capitalistico sia possibile introdurre correttivi che non lascino il 99% della popolazione (fra cui siamo tu ed io) nelle mani di quell’uno per cento che detiene l’unico potere reale, ossia quello economico – finanziario, allo stesso modo credo che la borsa debba (e possa) essere regolata da norme che la mantengano nell’ambito del reale motivo per cui esiste, consentire ad ampie fasce di risparmiatori di accedere alla partecipazione azionaria delle maggiori aziende, senza cadere vittime degli squali. Un caro saluto. 13 galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 OLTRE L’INDICE DI SVILUPPO UMANO di Giuseppe Provenza F in dal 1993 il Programma di Sviluppo Umano dell’ONU rileva per ogni paese l’Indice di Sviluppo Umano così come ideato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq quale sintesi dell’indice del PIL pro-capite a parità del potere d’acquisto, dell’indice di istruzione e dell’indice di aspettativa di vita, ai quali viene attribuito lo stesso peso. Il calcolo viene effettuato nel seguente modo: Indice dell’aspettativa di vita = (AV – 25)/(85 – 25) Indice di istruzione = 2/3(tasso di istruzione degli adulti/100)+ 1/3 (indice di iscrizioni scolastiche/100) Indice del PIL pro capite in dollari a parità del potere d’acquisto= (log(PIL pro capite) – log(100))/(log(40.000) – log(100)) Il PIL pro capite a parità di potere d’acquisto si ottiene selezionando un paniere di prodotti rappresentativo dei consumi normali di un cittadino e acquistabile negli Stati Uniti al prezzo di X dollari. Si valuta quindi quanto occorrerebbe in moneta locale per acquistare nel paese in esame lo stesso paniere. Con il valore ottenuto si calcola il rapporto di cambio tra le due monete basato sul costo della vita e non sul mercato dei cambi in cui spesso una moneta può essere sottovalutata o sopravalutata. Sulla base di questo rapporto di cambio si determina il PIL pro-capite in dollari. L’Italia, secondo il rapporto pubblicato nel novembre 2007, su dati 2005, si tro-va al 20° posto nel mondo con un indice di sviluppo umano pari a 0,941 (contro 0,926 dell’anno precedente, quando ricopriva il 17° posto). L’indice dell’Italia è stato ottenuto sulla base dei seguenti dati: Aspettativa di vita 80,3 con il conseguente indice di 0,922 (80,3-25/85-25) Tasso di istruzione degli adulti 98,4 ed indice di iscrizione scolastica (combinato fra i vari livelli scolastici) 90,6, con il conseguente indice di istruzione pari a 0,958 (2/3 * 0,984 + 1/3 * 0,906). PIL pro-capite a parità di potere d’acquisto $ 28.529, da cui l’indice pari a 0,944 (log 28.529 – log 100 / log 40.000 – log 100) Dalla media di 0,922, 0,958 e 0,944 si ottiene l’indice di sviluppo umano dell’Italia pari a 0,941. Questo utilissimo strumento di valutazione dello sviluppo economico – sociale di un paese, tuttavia, non analizza sia alcuni importanti fattori di natura più stret-tamente economica, sia e soprattutto lo stato dei diritti umani. Per una più completa analisi viene qui ipotizzata la rilevazione per ogni paese di un nuovo indice, che chiameremo INDICE DI ECCELLENZA SOCIALE (SEI), che nell’includere una metodologia di valutazione del rispetto dei diritti umani, tenga sotto osservazione anche i dati già rilevati dal Programma di Sviluppo Umano dell’ONU: 1. indice di sviluppo umano 2. incremento medio del PIL negli ultimi 15 anni disponibili (al momento dal 1990 al 2004) 3. indice di povertà 4. indice di Gini (o di distribuzione del reddito) 5. a cui si aggiunge l’indice di rispetto dei diritti umani. Va innanzitutto chiarito cosa si intenda per indice di povertà e per indice di Gini. L’indice di povertà si ottiene sulla base di tre dati: la percentuale di individui che hanno una speranza di vita inferiore ai 40 anni (P1),la percentuale di adulti analfa-beti (P2) e la percentuale di popolazione che non gode di standard di vita decen-ti (P3). Quest’ultimo indicatore è costituito dalla media semplice della percentuale di popolazione che non ha accesso all’acqua potabile (P31), della percentuale di po-polazione senza accesso ai servizi sanitari (P32) e, infine, della percentuale di bambini inferiori ai cinque anni di età che risultano sottopeso (P33). L’indice si ottiene mediante la formula: [(P13 + P23 + P33 ) / 3]1/3 14 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 galaxia L’indice di Gini fornisce una valutazione della distribuzione del reddito e va da 0, nel caso di una perfetta distribuzione del reddito (tutti percepiscono lo stesso reddito) ad 1 nel caso limite in cui tutto il reddito vada ad un solo soggetto. Allo scopo di determinare l’indice di Eccellenza Sociale, i singoli dati vengono così trattati: L’indice di sviluppo umano viene trattato senza elaborazioni. L’incremento medio del PIL viene diviso per 10, così che venga rapportato ad un ideale incremento medio di 10 punti (dandogli così un peso minore rispetto agli altri parametri). Quindi se il tasso medio dei 15 anni considerati è stato del 2%, il relativo parametro ai fini dell’indice di Eccellenza Sociale sarà 2/10 = 0,200. All’indice di povertà si applica la formula (100 – I.P.)/(100 – 10) rapportandolo ad un ideale indice di povertà di 10. Nel caso di un indice di povertà pari a 20, si a-vrà dunque (100 – 20)/(100 – 10) quindi 80/90 = 0,889. All’indice di Gini si applica la formula (100 – I.G.)/(100 – 25) rapportandolo ad un ideale indice di Gini di 25. Quindi per un indice pari a 40 si avrà (100 – 40)/(100 – 25) quindi 60/75 = 0,8. L’indice di rispetto dei diritti umani viene commisurato, stando ai rapporti dell’Alto Commissariato sui Diritti Umani dell’ONU, allo stato dei diritti umani di ogni paese valutando la gravità, la diffusione e la frequenza delle violazioni degli stessi. L’indice assume quindi un valore di 1,00 o 0,80, o 0,60, o 0,40, o 0,20 in base ad una valutazione complessiva della gravità, diffusione e frequenza delle violazioni dei diritti umani. L’ultimo passo per il calcolo del SEI (Social excellence index) è dato dalla media ponderata dei cinque parametri di cui sopra, attribuendo peso 1 alla crescita media del PIL, peso 2 all’indice di sviluppo umano, all’indice di povertà e all’indice di rispetto dei diritti umani e peso 3 all’indice di Gini. Ponendo che un paese abbia un indice di sviluppo umano pari a 0,900, un indice dei diritti umani pari a 0,800, e gli altri parametri ai valori ipotizzati sopra, si avrebbe: (2x0,900 + 0,400 + 2x0,889 + 3x0,800 + 2x0,800) / 10 = 0,798 che è l’indice di eccellenza sociale del paese. ACCESSO ALL’AREA RISERVATA DEL SITO INTERNET MENSA.IT Oltre il 97% degli iscritti al Mensa Italia è oggi raggiungibile via posta elettronica. Se non hai ancora comunicato il tuo indirizzo e-mail, scrivi a [email protected] specificando il tuo nome, cognome e numero di tessera (è consigliabile indicare, se disponibili, due indirizzi email con indicazione del principale). Se invece hai dimenticato la chiave d’accesso all’area riservata “clicca” su “accedi all’area riservata” (nella home page del sito mensa.it) e premi “annulla” nella finestra di dialogo senza inserire alcun dato; il sistema ti porterà ad una pagina dove ti sarà richiesto di inserire il tuo alias (cioè nome.cognome). Premendo su “richiedi dati di accesso”, riceverai immediatamente la password di accesso all’indirizzo email principale (email1) disponibile in elenco Soci. Memento 15 galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 Borsa di Studio Tesi Vincitrice di Graziano D’Innocenzo * L e abitudini personali influenzano le perfomance universitarie? Evidenza empirica che tenga in considerazione la frequenza delle lezioni. SOMMARIO Vengono analizzate le performance universitarie degli studenti di corsi di laurea. La letteratura empirica precedente aveva trattato principalmente la frequenza delle lezioni e il suo effetto sui risultati degli studenti. È possibile che alcune variabili importanti fossero omesse, causando una distorsione nella stima. Viene impiegato un set più esteso di variabili in modo da spiegare con più precisione la variazione nelle performance. L’articolo comincia con un modello semplificato in cui le perfomance sono spiegate solo dalla frequenza alle lezioni, e successivamente vengono aggiunti altri gruppi di variabili. Tutte le regressioni restituiscono sempre un effetto positivo e significativo della frequenza delle lezioni sulle performance universitarie, ma l’entità cambia all’aggiungere di altre variabili. Questo accade perché omettere alcuni fattori importanti può produrre una distorsione nella stima. Inoltre, lo studio rivela l’effetto di molti fattori non controllati in lavori precedenti. 1. INTRODUZIONE Numerosi autori argomentano che le perfomance accademiche possano essere spiegate facendo riferimento al comportamento degli studenti e al modo in cui essi impiegano il tempo. Data l’importanza dell’istruzione delle generazioni future, vediamo subito come i risultati in questo campo di ricerca possano rivelarsi molto utili per le nostre istituzioni. Questo lavoro vuole contribuire alla ricerca in questo campo, in primo luogo rimediando a quella che potrebbe essere una manchevolezza nella letteratura esistente. Un altro obiettivo importante è di offrire all’Università uno studio dettagliato dei vari fattori che influenzano le performance universitarie. Ciò potrebbe essere utile per valutare diverse politiche, ad esempio la compilazione degli orari o l’offerta di migliori servizi per gli studenti. Inoltre, gli studenti stessi potrebbero essere interessati a conoscere metodi più produttivi per ottenere una buona performance universitaria. La speranza è che, conoscendo la loro funzione di produzione, essi tenterebbero di massimizzare la loro utilità adottando comportamenti più produttivi. La questione più importante, nonché controversa, nella letteratura è come la frequenza delle lezioni influenzi le performance. Browne e al. (1991) affermarono che non c’erano differenze significative nel Test Universitario di Comprensione dell’Economia tra studenti che non avevano frequentato delle regolari lezioni di principi di microeconomia rispetto ad altri che l’avevano fatto. Un crescente numero di autori è in dissaccordo con tale tesi, suggerendo invece che la frequenza delle lezioni incrementa effettivamente le performance. Romer (1993) trovò che la frequenza aumentava significativamente le performance degli studenti in un corso universitario di microeconomia molto numeroso. Durden e Ellis (1995) affermarono che l’assenteismo danneggiava le performance degli studenti nel corso di principi di economia. Infine, Marburger (2001) trovò che saltare la lezione in un giorno specifico aumentava la probabilità di rispondere incorrettamente ad una domanda a scelta multipla basata sull’argomento trattato in quel giorno. Per ciò che riguarda il sistema universitario italiano, uno dei pochissimi contributi è quello di Bratti e Staffolani (2002). Loro impiegarono un modello di allocazione del tempo degli studenti per studiare l’effetto della frequenza delle lezioni. Trovarono una correlazione positiva con le perfomance universitarie, ma solo per certi corsi. Un tema così importante merita certamente ulteriore attenzione. L’intenzione di questo articolo è di contribuire all’indagine fornendo evidenza addizionale sulla relazione tra frequenza delle lezioni e risultati per gli studenti di economia. C’è una caratteristica comune in molti degli studi precedenti: i loro autori impiegarono un numero molto ristretto di variabili, insieme alla frequenza delle lezioni, per spiegare la variazione nelle performance. Di solito sono stati considerati il genere, il voto finale di scuola superiore, l’istruzione dei genitori e pochi altri dati come variabili di controllo. Sebbene queste caratteristiche possano certamente essere rilevanti per le performance universitarie, è possibile che ci siano altre variabili importanti da considerare, e che l’omissione di queste possa causare una stima distorta. L’idea dietro il presente studio è di osservare e analizzare un set di variabili più esteso, in modo da ottenere una stima migliore dell’effetto ceteris paribus della frequenza delle lezioni. Lo studio è stato realizzato nell’Università di Chieti, utilizzando dati relativi agli studenti del corso di laurea di Economia Informatica. Tra i dati sono inclusi molti aspetti del comportamento e dello stile di vita degli studenti che potrebbero influenzare i risultati universitari. Utilizzando questo metodo, lo studio ha confermato l’impatto positivo della frequenza delle lezioni, svelando inoltre relazioni interessati con altre variabili. 2. IL FRAMEWORK ISTITUZIONALE Sarebbe utile fornire alcune informazioni sul sistema universitario italiano e sull’ Università di Chieti in particolare. In Italia, la lunghezza legale di un corso di laurea di primo livello è di tre anni, dopo i quali c’è la possibilità di 16 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 galaxia frequentare un corso di secondo livello della durata di due anni. Uno studente può sostenere qualsiasi esame non solo alla fine del corso relativo ma in diversi periodi prefissati nell’arco dell’anno accademico (di solito in sei occasioni). Lo studente può sostenere un esame quante volte desidera, finché non si senta soddisfatto del voto ottenuro. Ad ogni insegnamento è associato un numero di crediti che misurano il numero di ore di lezione e di studio individuale solitamente necessarie per superare l’esame. Il voto minimo per superare un esame è 18/30 e il massimo è 30/30. Ogni studente iscritto nella Facoltà di Economia dell’Università di Chieti deve sostenere un determinato numero di esami ogni anno. L’anno accademico è diviso in due semestri. Nei primi tre mesi di ogni semestre sono previste delle lezioni che coprano metà dei corsi di insegnamento annuali, e l’altra metà viene impartita nel semestre seguente. Nei tre mesi successivi alle lezioni gli studenti hanno diverse opportunità per sostenere gli esami. È importante notare che la frequenza delle lezioni non è obbligatoria. Sebbene la lunghezza ordinaria in anni del corso di studi sia prefissata, a volte capita che uno studente non finisca i suoi esami nel tempo previsto. In questi casi egli può ancora continuare i suoi studi: si iscrive al primo anno fuori corso. Se non riesce a completare gli studi nel corso di quell’anno accademico, si iscrive al secondo anno fuori corso, poi il terzo, e così via finché ottiene la sua laurea o decide di abbandonare gli studia (a). Nel corso di laurea in Economia Informatica c’è una media di sei esami ogni semestre. Ogni studente, conoscendo gli esami che dovrebbe sostenere, ogni semestre decide quali lezioni frequentare. Questa scelta è condizionata da molti fattori. Alcuni studenti possono decidere di frequentare i corsi con cui hanno più difficoltà. Altri invece frequentano i corsi che sembrano meno impegnativi, sperando di poter mettere da parte del tempo per studiare i corsi più ostici alla fine del semestre. Inoltre, ci sono studenti che considerano più produttivo studiare per conto proprio piuttosto che frequentare le lezioni, e altri ancora che semplicemente preferiscono impiegare il loro tempo in altre attività. Il corso di laurea in Economia Informatica è un corso di recente formazione. Si trova al suo quarto anno di esistenza nel 2003-2004, così ci sono studenti iscritti nei primi tre anni, nel primo anno del corso di secondo livello e nel primo anno fuori corso. 3. IL FRAMEWORK CONCETTUALE L’intuizione e l’esperienza suggeriscono che il tempo dedicato alla frequenza delle lezioni possa essere una determinante importante delle performance universitarie. Ma c’è la possibilità che altri fattori siano coinvolti. In un modello ristretto dove tali fattori non vengano presi in considerazione potremmo ottenere una stima distorta del coefficiente associato ulla frequenza delle lezioni. C’è un’altra questione importante che non dovremmo sottovalutare. La frequenza delle lezioni rappresenta anche una proxy per la motivazione degli studenti. È ovvio che gli studenti che sono più abili, interessati o predisposti per gli studi universitari troveranno più produttivo il frequentare le lezioni. Lasciare questa questione irrisolta produce una sovrastima dell’effetto della frequenza, che può essere evitata inserendo proxy adeguate per la motivazione. L’articolo procede in due punti. In primo luogo, è stata costruita una dettagliata raccolta delle variabili già impiegate nella letteratura. Nel far questo sono state scelte le variabili che mostrarono effetti significativi nei lavori precedenti, e altre che non lo fecero ma che avrebbero potuto dare risultati diversi in questo framework. Successivamente, sono stati individuati altri fattori che sarebbe stato interessante studiare. La ricerca è stata facilitata da alcune discussioni preliminari con diversi studenti, che hanno fornito utili suggerimenti e idee riguardo ai fattori da analizzare. Come test di robustezza, e per meglio mostrare l’importanza delle altre variabili, diversi modelli OLS sono stati studiati. Nel primo viene stimato il solo effetto della frequenza delle lezioni sulle performance, relativamente ai dati raccolti. In ogni modello successivo è stato aggiunto un nuovo gruppo di variabili, e calcolato il test F di significatività congiunta. L’idea è che procedendo con i modelli successivi si otterranno stime sempre più accurate. La differenza nel coefficiente previsto sulla frequenza delle lezioni fornirà l’estensione della distorsione eliminata rispetto al modello primitivo. È importante notare come in questo lavoro vengano considerati i risultati degli studenti relativi ad un intero semestre, nello specifico l’autunno 2003. Due variabili sono usate per misurare le performance: CFU che esprime il numero di crediti ottenuti durante il semestre, e MEAN che esprime il loro voto medio. Queste variabili sono poi combinate ottenendo un singolo indicatore di performance: PERFINDEX = CFU*MEAN Impiegheremo il suo logaritmo come variabile dipendente nei modelli. Il primo modello stimato è quello semplificato, nel quale le performance sono spiegate utilizzando solo i dati sulla frequenza. L’equazione può essere scritta come: ln(PERFINDEX) = β0+β1ATTEND+u (1) dove ln(PERFINDEX) è il logaritmo dell’indicatore di performance, β0 è una costante e ATTEND è il numero di ore settimanali di frequenza delle lezioni. u è il termine di errore, che contiene tutti gli altri fattori inossevati che influenzano le variabili dipendenti. Qui ci aspetteremmo che u includa numerosi termini correlati con la frequenza delle lezioni, lasciando su questa un coefficiente distorto e scarsamente significativo. Questo problema viene considerato per la prima volta nel secondo modello, dove il numero di variabili indipendenti aumenta. Nel secondo modello inseriamo i dati demografici. L’equazione riconsiderata è: ln(PERFINDEX) = β0+β1ATTEND+β2D+u (2) 17 galaxia Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 dove la D aggiunta rappresenta le variabili di controllo che rispecchiano le caratteristiche demografiche. Un terzo raffinamento riguarda l’inserimento di variabili che misurano le performance nella scuola superiore. Di seguito l’equazione: ln(PERFINDEX)=β0+β1ATTEND+β2D+β3H+u (3) dove H include il voto finale della scuola superiore e il termine di interazione con la variabile LICEO (vedere l’appendice B per le definizioni). A seguire, vengono inserite le variabili che descrivono la carriera universitaria degli studenti, ottenendo l’equazione: ln(PERFINDEX)=β0+β1ATTEND+β2D+β3H+β4A+u (4) dove A include diverse variabili indipendenti relative all’esperienza universitaria Infine, nell’ultimo modello sono aggiunte le variabili relative alle caratteristiche personali. degli studenti. Il modello è: ln(PERFINDEX)=β0+β1ATTEND+β2D+β3H+β4A+β5P+u (5) dove P indica caratteristiche individuali non incluse nei gruppi precedenti. Con questo ultimo modello si spera di ottenere non solo una stima più precisa dell’effetto della frequenza, ma di ottenere anche interessanti informazioni riguardo l’effetto di altre variabili. 4. I DATI I dati sono stati ottenuti dagli studenti del corso di laurea di Economia Informatica. È stata ottenuta una lista degli studenti iscritti, successivamente utilizzata per identificarli e contattarli. Il campione comprende gli studenti iscritti al secondo, terzo e primo anno anno fuori corso del corso di primo livello e gli studenti del primo anno del corso di secondo livello. Essi ammontano ad un totale di 249 individui. Gli studenti del primo anno sono stati esclusi dall’indagine, non avendo essi accumulato abbastanza esperienza universitaria. Il sondaggio è stato condotto in quattro mesi successivi al semetre autunno 2003. Un gran numero di studenti sono stati intervistati personalmente; molti altri hanno compilato un questionario via Internet. Sfortunatamente, non è stato possibile raggiungere tutti gli studenti. Per questa ragione, il campione è ristretto a 157 individui, dei quali 121 sono stati intervistati personalmente e 36 hanno compilato il questionario online. È stata raccolta una grande quantità di dati empirici, relativi a molte caratteristiche individuali come: genere, voto finale di scuola superiore, istruzione dei genitori, ore di studio, consumo di alcolici e fumo, convinzioni politiche e religiose. La frequenza delle lezioni è stata registrata come la media delle ore settimanali di frequenza durante l’autunno 2003, stimata dagli studenti stessi. Una descrizione completa delle variabili impiegati è disponibile in appendice. I dettagli relativi alle performance, cioé il numero di crediti e il voto medio ottenuto durante l’autunno 2003 e il numero di esami di analisi matematica sostenuti prima dell’autunno 2003 sono stati ottenuti per vie ufficiali come dati amministrativi. Tutte le altre informazioni sono state comunicate dagli studenti stessi. 5. RISULTATI EMPIRICI L’appendice A riporta i risultati delle regressioni. Nella colonna “Simple” figura solo ATTEND c ome variabile di controllo. Gli altri gruppi di variabili sono aggiunti nelle altre colonne. Per ogni successiva regressione è specificata la relativa statistica F. Nella regressione “Simple”, il coefficiente stimato sul numero di ore di lezione settimanali ha il segno atteso ed è statisticamente significativo. La grandezza del coefficiente è 0.042, indicando che un’altra ora di frequenza settimanale incrementa le performance, ceteris paribus, di approssimativamente il 4.2 percento. Inserendo le variabili demografiche nella regressione seguente l’effetto della frequenza delle lezioni cala leggermente. Probabilmente queste variabili sono effettivamente significative per spiegare la variazione nelle performance e sono in qualche modo correlate alla frequenza delle lezioni, così che la loro assenza causa una distorsione della regressione semplificata. Il test F conferma la significatività del gruppo. Viene rilevata una differenza statisticamente significativa nelle performance tra uomini e donne, con gli uomini che hanno risultati inferiori rispetto a quelli delle donne, ma nelle regressioni successive la significatività scompare. Un altro passo per migliorare la stima dell’effetto della frequenza è intrapreso con l’inserimento del terzo gruppo di variabili, quelle che riguardano l’esperienza della scuola superiore. Eseguendo la regressione di questo modello più esteso, si registra un’altra riduzione nel coefficiente su ATTEND, che rimane però significativo. Ciò accade probabilmente perché il voto finale della scuola superiore è una buona proxy per la motivazione e l’abilità degli studenti, e così il suo inserimento priva ATTEND dell’effetto che aveva come proxy, eliminando una distorsione positiva nel suo coefficiente stimato. Come mostrato nei lavori precedenti, il voto della scuola superiore ha un effetto positivo e significativo sulle performance. Ancora, i risultati mostrano che gli studenti che frequentarono un liceo come scuola superiore hanno risultati migliori, ceteris paribus, dei loro colleghi provenienti da altre scuole, ma questa differenza non è statisticamente significante. Al fine di investigare ulteriormente la relazione tra la frequenza delle lezioni e i risultati universitari vengono inserite le variabili rimanenti, ma la stima del coefficiente su ATTEND non cambia molto, né lo fa la sua significatività statistica. È probabile che queste variabili non siano correlate alla frequenza, in ogni modo esse hanno degli effetti interessanti e forniscono un test di robustezza per il risultato su ATTEND. Analizzando le altre variabili sono confermati diversi risultati della letteratura precedente. Per esempio, l’evidenza 18 Memento - rivista del Mensa Italia - n. 1/2008 galaxia empirica mostra che le ore di studio individuale (vedere Bratti e Staffolani (2002)) e il numero di esami di analisi matematica superati (come in Durden e Ellis (1995)) hanno un effetto positivo e significativo sulle performance universitarie. Ovviamente, in un corso di laurea in economia buona parte degli esami richiederà delle basi matematiche, la mancanza delle quali potrebbe ostacolare l’apprendimento. Particolarmente interessante è l’evidenza riguardo agli effetti di variabili non considerate nei lavori precedenti. Per esempio, consumare sigarette e droghe leggere sembra avere un effetto negativo (e significativo) sulle performance. L’impatto avverso del fumo era già stato discusso in alcuni studi, come Fersterer e Winter-Ebmer (2003), ma il pesante effetto negativo legato alle droghe leggere era sconosciuto: l’evidenza mostra che il loro utilizzo possa ridurre le performance universitarie approssimativamente del 53 percento. Una possibile spiegazione è che fumare (specialmente marijuana) possa ridurre la concentrazione e rallentare i processi mentali, causando performance inferiori. Bere caffé sembra invece avere un effetto positivo, sebbene non significativo. Il caffé probabilmente permette alle persone di rimanere produttive anche quando stanche, aumentando l’efficacia della frequenza e delle ore di studio individuale. 6. CONCLUSIONI I risultati di questo studio confermano le opinioni generali della letteratura sull’effetto della frequenza delle lezioni. L’evidenza mostra che in un corso di laurea in economia frequentare le lezioni ha effettivamente un effetto positivo e significativo sulle performance universitarie. Inoltre, c’è evidenza empirica per confermare diversi risultati dei lavori precedenti e per svelare l’effetto di variabili non considerate negli studi precedenti. Alcuni dei risultati ottenuti potrebbero essere specialmente utili per valutare politiche istituzionali. Sembra molto interessante l’effetto di aver superato l’esame di analisi matematica. L’evidenza mostra che l’aver superato analisi matematica aumenta i risultati degli studenti, così migliorare la formazione matematica degli studenti aumenterebbe le loro performance generali. L’università potrebbe perseguire questo scopo in diversi modi. Una semplice politica sarebbe quella di facilitare la frequenza delle lezioni di analisi matematica dispensando queste in entrambi i semestri, e preferibilmente utilizzando fasce orarie accettabili. Per promuovere ulteriormente la preparazione matematica, gli esami di analisi matematica potrebbero essere resi prerequisiti indispensabili al sostenimento di altri esami. Un compito più difficile è suggerire politiche mirate ad aumentare la frequenza delle lezioni. Una proposta che verrebbe immediatamente in mente sarebbe di introdurre la frequenza obbligatoria. In realtà, non abbiamo evidenza che il coefficiente sulla frequenza sia indipendente ad una simile politica. La scarsa letteratura empirica su questo argomento, che include un lavoro recente di Marburger (2004), non offre risposte soddisfacenti, e ci sono ragioni per dubitare dell’efficacia di tale pratica. Un consiglio più prudente sarebbe di incentivare una frequenza più elevata piazzando i corsi più numerosi in fasce orarie migliori e evitando “spazi morti” tra un corso e l’altro. Agli studenti non piace trascorrere l’intera giornata all’interno dell’università. Un’altra idea sarebbe di ridurre il numero di giorni nei quali sono tenute le lezioni (attualmente, le lezioni sono tenute dal lunedì al venerdì). Questo faciliterebbe le cose per gli studenti che abitano in case in affito che, pur di tornare nei loro paesi d’origine durante i week-end, spesso perdono delle lezioni di lunedì o di venerdì. D’altra parte, una simile misura potrebbe ridurre la frequenza aumentando le lezioni in fasce orarie sgradite. Solo ulteriore ricerca potrebbe rivelare quale effetto sarebbe maggiore. Per quanto riguarda gli aspetti negativi del fumo, c’è da dire che in Italia il fumo nei locali pubblici è già proibito, sempre in principio ma non così spesso nella pratica. Secondo l’evidenza empirica, un miglior rispetto dei regolamenti anti-fumo produrrebbe buoni risultati. In generale, i risultati di questo studio confermano la capacità dell’econometria di spiegare le performance universitarie e incoraggiano ulteriori approfondimenti. Ricerche addizionali potrebbero essere dirette ad esplorare particolari dettagli importanti per gli studenti o per le istituzioni. In particolare, un suggerimento potrebbe essere quello di analizzare l’effetto di politiche, come la frequenza obbligatoria, l’effetto delle quali è dubbio in luce della presente evidenza. Ulteriori lavori, preferibilmente supportati da esperimenti controllati, rivelerebbero informazioni di valore. * Facoltà di Economia, Università “G. d’Annunzio” di Chieti. gdinnoce (at) libero.it. L’autore ringrazia il dott. Vincenzo Andrietti per i suoi consigli e la supervisione fornita e l’Università di Chieti per il supporto amministrativo. (a) A questa digressione era necessaria nella versione originale dell’articolo, scritta in lingua inglese e rivolta ad un pubblico internazionale. I sistemi universitari degli altri paesi sono infatti molto diversi dal nostro: per esempio non c’è la votazione in trentesimi, sostituita con scale diverse o con lettere a seconda dei paesi. O ancora, in alcuni sistemi, come quello americano, ci sono solo due possibilità per sostenere un esame: in caso di fallimento lo studente è costretto a ripetere l’intero anno accademico. 19