Un maggiore coordinamento tra politiche agricole e difesa del suolo

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Un maggiore coordinamento tra politiche agricole e difesa del suolo
Un maggiore coordinamento tra politiche agricole e difesa del suolo: la collaborazione tra
Autorità di bacino e Consorzi di bonifica.
di Stefano Sorvino1,
Premessa
Il programma proposto dal Centro Studi di Campania Bonifiche, manifestato nella giornata
di studio del 6 dicembre 2012 presso il Politecnico di Napoli, è meritevole di interesse ed
attenzione – anche da parte delle Autorità di bacino – in quanto affronta per le piane
campane le problematiche multidisciplinari riguardanti l’attuazione di interventi idonei a
prevenire i fenomeni di dissesto idrogeologico nelle zone agricole e boschive, gli scarichi
diretti o indiretti di composti azotati di origine agricola o zootecnica in acque superficiali e
sotterranee, a consentire la regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni e il
drenaggio agricolo, la pianificazione degli usi idrici irrigui, la corretta individuazione dei
fabbisogni idrici nel settore agricolo, i controlli degli effettivi emungimenti, la promozione
dell’informazione e della diffusione di metodi e tecniche di risparmio idrico agricolo oltre
che di specifiche norme da adottare per il risparmio idrico in agricoltura.
Risulta valida la proposta di considerare l’ampia pianura campana – esempio significativo di
concentrazione di criticità e problematiche – come area pilota in cui promuovere laboratori
mirati ad affrontare in maniera organica le problematiche sopra evidenziate, al fine di
mettere progressivamente in sicurezza il territorio e rendere sostenibile l’uso della risorsa
idrica, con il supporto di adeguate politiche di difesa del suolo regionali e statali.
Si auspica, in questo senso, l’avvio di una collaborazione con le Università e le Autorità di
bacino, per attuare programmi di ricerca sulle piane campane.
La tesi di base del ragionamento è quella della necessità di un rapporto collaborativo e
funzionale tra le Autorità di bacino - in particolare quelle recentemente riordinate della
Regione - e l’articolata realtà dei Consorzi di Bonifica ed irrigazione della Campania, anche
come riflesso di un maggiore coordinamento tra le politiche agricole e quelle di difesa
territoriale.
Le Autorità di bacino dagli anni novanta pianificano l’assetto idrogeologico e idraulico del
territorio, mentre i Consorzi di bonifica, da molto più tempo, svolgono consolidate e
radicate attività di regolazione idraulica delle pianure - a beneficio delle relative economie
agricole - con la gestione e manutenzione di un notevole patrimonio di opere di drenaggio
e irrigue realizzato nel tempo.
La collaborazione si impone in nome di un comune interesse pubblico alle politiche di
difesa e governo idraulico dei territori di pianura - nell’ottica di un sistema integrato di
tutela e gestione - che richiede da un lato capacità di pianificazione e programmazione e,
dall’altro, risorse finanziarie per realizzare nuove opere di adeguamento e, soprattutto,
continue attività di manutenzione.
In particolare la sinergia tra Autorità e Consorzi deve, a sua volta, rappresentare un risvolto
- non occasionale - di una più ampia sintonia tra le azioni di difesa del suolo e quelle di
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segretario generale Autorità di Bacino Regionale Campania Sud
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sviluppo agricolo, in larga parte ricadenti nelle competenze regionali ma attribuite in capo
a tre distinti Assessorati (Agricoltura, Ambiente e Difesa del Suolo), con le rispettive
strutture che dovrebbero dialogare in modo più intenso e proficuo.
Il punto più immediato di riflessione è oggi costituito dalla legge regionale della Campania
n. 4/2003 in materia di bonifica integrale, con le sue svariate integrazioni e modifiche,
mirate al rilancio dei Consorzi e all’opportunità attuale di rivisitarla in modo incisivo alla
luce delle più recenti evoluzioni dello scenario di riferimento. L’obiettivo permane quello
del riordino funzionale e del risanamento finanziario degli Enti di bonifica - non ancora
completato e riuscito - considerando la possibilità di un loro eventuale accorpamento (già
effettuato per le Autorità di bacino), anche al fine del contenimento delle spese di gestione
in linea con i più recenti criteri di “spending review”.
1. Profili di impostazione giuridica
Massimo Severo Giannini, maestro del diritto amministrativo e fondatore del diritto
ambientale, classificava la bonifica – nella ricognizione delle funzioni di settore del diritto
pubblico dell’economia – tra le “funzioni di abilitazione del suolo”, che “consistono nel
rendere produttiva, o maggiormente produttiva, la terra in quanto possibile bene in senso
giuridico”. Secondo l’analisi dell’illustre giurista, esse costituiscono “dei congiunti di
interventi infrastrutturali, di funzionalizzazioni di proprietà private, di proprietà pubbliche
regolate quanto all’uso, ma anche di incentivazioni nella forma di contributi e finanziamenti
ai proprietari dei fondi”.
I Consorzi di bonifica, nella loro qualificazione di Enti di diritto pubblico, rappresentano,
nella sistematica giuridica, una peculiarità originale del nostro ordinamento - e, in
particolare, della tradizione codicistica civile - con il riconoscimento della personalità di
diritto pubblico in testa ad una struttura associativa su base privatistica, costituita dai
proprietari degli immobili che beneficiano dei servizi (che gli stessi Consorzi erogano in
regime di sostanziale sussidiarietà).
I profili salienti che caratterizzano tale istituto sono rappresentati dall’autogoverno
consortile mediante organi elettivi, dagli ambiti territoriali delimitati sulla base di criteri
idraulici, dal coordinamento tra azione pubblica ed iniziativa privata – con corrispondente
compartecipazione finanziaria – dalla gestione integrata delle risorse acqua e suolo, dalla
partecipazione dei privati e, in ultima analisi, dalla pratica del principio di sussidiarietà.
La storia italiana della bonifica si stratifica in radici profonde, intrecciandosi nel tempo con
la evoluzione socio-economica del nostro Paese, di cui ha rappresentato un significativo
elemento di sviluppo, anche incidendo sulla questione meridionale.
Oggi i Consorzi di bonifica, pur nella mutevolezza delle fasi storiche, continuano ad
esercitare interessanti margini di operatività nella legislazione ambientale e agricola –
dimostrando capacità di adattamento alla variazione degli scenari – con particolare
riguardo agli ambiti funzionali di competenza, concorrendo alla difesa del suolo (per la
parte relativa al rischio idraulico).
2. Profili di evoluzione storica
L’azione delle bonifiche ha investito, nella sua articolata evoluzione storica, larghe aree del
territorio nazionale: dal Piemonte alla Pianura Padana, dalle lagune venete alla Maremma
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toscana, dall’Agro romano alle paludi pontine, dal bacino del Fucino al Volturno, dal
Tavoliere di Puglia al Metapontino sino alle piane calabresi, alla Sicilia ed ai Campidani della
Sardegna.
Tale percorso si è realizzato attraverso una varietà di esperienze, applicazioni e soluzioni
tecnologiche, che hanno dato luogo nel tempo ad un notevole patrimonio di opere di
bonifica che testimoniano l’alto livello conseguito dalla ingegneria idraulica nazionale.
Tra le bonifiche classiche, nella storia del Mezzogiorno, si ricordano in Campania la
realizzazione della rete dei Regi Lagni, sotto il regime dei Borboni, le opere di risanamento
idraulico della Piana del Volturno e del Sele, la bonifica delle paludi a ridosso della città di
Napoli, su cui oggi insiste il Centro direzionale. A questo scopo il Regno borbonico aveva
costituito un apposito apparato tecnico, l’Amministrazione generale di bonificazione del
1855, a cui veniva affidato l’intervento su tutte le aree paludose dei domini reali.
A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento la pianura campana veniva progressivamente
sottratta all’impaludamento e al disordine idraulico, mediante la realizzazione di una serie
di opere di bonifica finalizzate a prosciugare e tutelare le stesse pianure dalle acque alte.
Con gli interventi di bonifica si evolveva anche il paesaggio rurale delle pianure, in origine
largamente spopolate – a causa della inospitalità degli ambienti paludosi – che invece
divenivano sedi di agricolture fiorenti e intensive, con significativi insediamenti di abitati
(“bonifica integrata” da opere e infrastrutture tese a rendere abitabili e più facilmente
raggiungibili aree in precedenza malsane).
Nella seconda metà dell’Ottocento, dopo l’Unità, si legittimava in modo pieno il rilievo
dell’irrigazione per lo sviluppo agricolo, secondo una linea evolutiva che muoveva dal
riconoscimento dell’interesse pubblicistico della bonifica sino ad estendersi ai più ampi
profili della tutela ambientale, e specificamente idraulica. Nascevano così, verso la fine del
secolo, i Consorzi preposti alla bonifica delle paludi acquitrinose, con la finalità principale di
estirpare la piaga sociale della malaria, come compagini che – pur muovendo da una base
associativa privatistica - assumevano sempre più significativi obiettivi di interesse pubblico.
I Consorzi si sono così radicati nelle varie regioni, con la loro natura ibrida e potenzialità
multifunzionale, contribuendo alla diffusione di un proficuo spirito associativo, in
controtendenza al tradizionale individualismo ed ai diffusi particolarismi della società
italiana e, in particolare, meridionale. Si è così progressivamente configurata la costruzione
dell’istituto della bonifica integrale in cui agli obiettivi di natura idraulica e sanitaria si è
affiancata una più estesa finalità di bonifica agraria, nel contesto più ampio dello sviluppo
organico del territorio di campagna.
Dopo una prima fase di risanamento delle aree paludose, le leggi speciali hanno delineato
più nitidamente la figura giuridica del Consorzio di bonifica, poggiante su una base
associativa di natura privatistica ma connotata da finalità e modalità di interesse pubblico,
con l’amministrazione di organi autonomi eletti dai soggetti consortisti. La legislazione si è
così orientata verso la prevalente natura pubblicistica dell’istituto consortile – partecipato
da tutti i proprietari dei beni immobili che ricadono nel comprensorio di bonifica traendone
beneficio – tenendo conto della particolare tipologia di interesse perseguito.
3. La problematica della pianura campana
Il catasto degli eventi alluvionali più recenti evidenzia in Campania l’attuale inadeguatezza,
rispetto alle massicce trasformazioni intervenute, del sistema drenante delle acque
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superficiali e delle attività di manutenzione programmate per la difesa delle pianure
alluvionali.
L’opera storica, a suo tempo realizzata dai bonificatori, richiede – al fine di conservare nel
tempo l’equilibrio idrogeologico – l’esercizio di una continua ed efficiente attività di
manutenzione. La sua carenza accresce il rischio di esondazione dei canali per effetto delle
precipitazioni intense, oggi determinate dai cambiamenti climatici che hanno introdotto
fenomeni di tropicalizzazione, con l’incremento delle piogge estreme, soprattutto
concentrate in determinati periodi dell’anno.
La vasta pianura campana si estende per circa il 20% del territorio regionale ma, a causa
della massiccia antropizzazione della seconda metà del secolo scorso, vede la presenza di
circa il 60% della popolazione regionale, distribuita in modo addensato su circa un quinto
della regione. Tali aree hanno subito massicci processi di trasformazione antropica e
produttiva, che hanno progressivamente frantumato la continuità del vecchio ordinamento
rurale, con una espansione urbana rappresentata da un enorme continuum di edificato (dal
Volturno casertano alla Piana del Sele, passando per l’Agro Sarnese-nocerino).
L’intensa antropizzazione della pianura nell’ultimo mezzo secolo ha prodotto, in
particolare, un complesso di beni esposti al rischio alluvionale ben più elevato di quello
originariamente costituito dalle sole aree agricole, imponendo il potenziamento dei
parametri di sicurezza idraulica ed una maggiore attività di manutenzione delle opere di
bonifica.
La trasformazione della pianura, oltre la espansione prevedibile delle periferie urbane, ha
determinato un tessuto polverizzato di insediamenti diffusi, che hanno reso pressoché
residuale l’uso agricolo del suolo, con la realizzazione in aree rurali di opere, di
infrastrutture, insediamenti abitati, attività produttive e commerciali, serre, strade, ecc. Il
processo di dispersione insediativa e il consumo indiscriminato di suolo hanno prodotto
conseguenze negative sul preesistente assetto di difesa idraulica, a causa della espansione
dello spazio impermeabilizzato, con le diffuse cementificazioni di suolo, determinate anche
dalla proliferazione delle produzioni serricole.
Tale fenomeno ha determinato un incremento significativo dell’impermeabilizzazione dei
suoli e, di conseguenza, un notevole aumento – a pari intensità di pioggia – delle portate
affluenti alle reti di drenaggio. Ne consegue che queste oggi sono strutturalmente
insufficienti e risulta anche difficile adeguarne la capacità idrovettrice per le costrizioni
fisiche determinate dalle stesse conurbazioni. L’incremento del valore esposto a rischio
alluvionale induce a considerare i tempi di ritorno più elevati rispetto a quelli previsti per i
suoli un tempo a dominante destinazione agricola e le stesse metodologie di calcolo
adottate dalle Autorità di bacino – nella valutazione delle portate di piena (metodo VAPI) –
risultano improntate a criteri più cautelativi.
4. Prospettive di collaborazione tra Autorità di bacino e Consorzi di bonifica
La legge regionale della Campania n. 4/2003 ha proceduto alla revisione delle aree
classificate di bonifica integrale ed alla ridefinizione dei perimetri consortili – tenendo
conto degli ambiti delle Autorità di bacino regionali – al fine della razionalizzazione delle
funzioni dei Consorzi, anche in relazione alle esigenze di risanamento finanziario che
tuttavia persistono all’attualità.
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È significativo che la legge campana sulla bonifica richiami più volte la normativa statale e
regionale sulla difesa del suolo, stabilendo che sono considerate opere pubbliche di
bonifica – se realizzate nei relativi comprensori e previste nel piano generale – “gli
interventi realizzati in esecuzione dei piani e programmi adottati dalle Autorità di bacino”
(art. 2). La legge regionale del 2003 prevede, all’articolo 6, che il Piano generale di bonifica
è inviato “alle Autorità di bacino che possono formulare osservazioni e proposte di modifica
entro trenta giorni dal ricevimento” e, al tempo stesso, i Consorzi di bonifica vengono
configurati come soggetti attuatori – nell’ambito dei rispettivi comprensori – della
pianificazione della Autorità di bacino.
Tra le opere pubbliche di bonifica si evidenziano quelle funzionali alla difesa del suolo,
come gli interventi di laminazione delle piene ed intercettazione del trasporto solido, di
sistemazione idraulico-forestale dei corsi d’acqua e collettamento delle acque reflue
immesse nei canali di bonifica. Risulta così sempre più palese l’utilità di una stretta
collaborazione funzionale tra Autorità di bacino e Consorzi di bonifica, già abbastanza
praticata e che meriterebbe un ulteriore e sistematico incremento.
Vi è stata una recente modifica della legge regionale che ha previsto l’obbligo di
consultazione preventiva dei Consorzi di bonifica sulle richieste di realizzazione di impianti
serricoli, mediante rilascio di apposito parere idraulico, che deve essere tuttavia coordinato
con le già consolidate competenze e normative dei Piani delle Autorità di bacino.
Si rafforza il radicamento tecnico-gestionale della gran parte dei Consorzi di bonifica, che
esercitano sia attraverso la manutenzione dei canali e degli impianti, sia garantendo la
necessaria provvista di distribuzione idrica alle imprese ed agli utenti agricoli. La rete
irrigua gestita dai Consorzi campani si presenta di rilievo, espressione sedimentata di un
notevole patrimonio di ingegneria e tecnologia idraulica ma, al tempo stesso, le
infrastrutture di bonifica richiedono massicci interventi di adeguamento e, soprattutto, una
maggiore e più continua attività di manutenzione, a fronte delle tumultuose trasformazioni
subite dal territorio.
Negli ultimi anni la inadeguata informazione e, soprattutto, l’incremento del tributo
consortile – a causa del decremento dei finanziamenti pubblici per i lavori – hanno
contribuito ad appannare l’immagine degli Enti consortili nel rapporto con l’utenza e
l’opinione pubblica, spesso anche con contenziosi e polemiche. Ecco perché si rende
necessario un ponderato adeguamento normativo e funzionale – mediante l’emanazione di
una rinnovata legge regionale – che rilanci il ruolo dei Consorzi, anche mediante opportune
operazioni di accorpamento (come avvenuto per le Autorità di bacino), coniugando le loro
funzioni tradizionali con i nuovi e più articolati bisogni del territorio di pianura, con
particolare riguardo alla tutela dell’ambiente ed alla difesa idrogeologica.
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