felicità a misura di S
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felicità a misura di S
felicità a misura di S Tornando a casa un giorno, notai un cartellone pubblicitario raffigurante una ragazza snella indossante un vestito primaverile, sorridente e con lo sguardo rivolto all’insù, circondata da luce e tranquillità e accanto a lei le seguenti parole: “La felicità è indossare la taglia S”. Fui fortemente tentato di andare nel negozio più vicino, chiedere dove fosse il reparto donna, trovare un vestito di taglia S e provare a indossarlo. Avrei dovuto allargarlo e forzarlo fino al suo limite e, anche se non sono un tipo robusto e macho e non posso farmi crescere la barba, sono quasi certo che nemmeno io riuscirei a entrare in una taglia S. E avrei attirato sguardi sospettosi se avessi aperto le tendine e sarei uscito nell’area dei camerini di prova zoppicando in un vestito minuscolo e cercando di guardarmi allo specchio. Non potevo farci niente ma mi sentivo entusiasta di poter valutare la mia felicità in modo diverso da quella definizione del cartellone pubblicitario. Nessuno ha bisogno di dire quanto sia stupida quella definizione. Essa, non solo esclude la meravigliosa metà maschile dell’umanità, posso quasi sentire il grido di protesta proveniente dai bar e dagli stadi ovunque, ma essa ferisce il cuore di ogni donna che legge quelle righe. La stragrande maggioranza di donne che non portano un vestito di taglia S si sentono sminuite, poco attraenti e indegne, e le poche donne che invece indossano la S sentono la pressione a mantenere il loro giro di vita e la loro dieta a base di olive, crackers integrali e acqua. Augusto Cury, scrivendo sulla dittatura di bellezza dei nostri giorni moderni, afferma che “Questa dittatura uccide l’autostima, soffoca la gioia di vivere, fa insorgere una guerra contro lo specchio e genera un profondo rifiuto di sé”. [1] Per quanto possa sembrare innocuo, quel cartellone pubblicitario è parte di una cultura che definisce la bellezza e la felicità secondo le sue proprie logiche commerciali. E’ la rappresentazione dell’ideale della nostra società per quanto concerne la bellezza vista come dovere, come una regola implacabile e non obbligatoria imposta a tutti. Tutti dovrebbero e devono essere felici, sentiamo dire, altrimenti qualcosa non va. La felicità è divenuta una regola talmente incontestabile che le persone cominciano a preoccuparsi se non si sentono ogni giorno felici e “diventano infelici perché non si sentono felici”. [2] La brezza della gioia diventa un peso e una responsabilità. E se la felicità diventa un dovere, e qualcuno viene meno nei confronti di questo dovere, come succede a tutti noi, la felicità diviene colpa e la mancanza di gioia è ostracizzata. Questa nozione di felicità non è vera felicità e non ha alcun senso. E’ utile, sicuramente, per vendere un certo numero di prodotti ma non per qualcosa di più. Mi chiedo, invece, se non saremmo più felici se abbandonassimo l’ideale di bellezza. Se ci rinunciassimo completamente e vivessimo in modo umile, leggero, noncurante, senza preoccuparci in ogni istante per la nostra condizione emotiva, entusiasti di servire le persone e migliorare il mondo e godere in modo sereno ciò che incontriamo durante il nostro cammino, forse allora saremmo sorpresi dalla felicità. Forse potremo essere sorpresi dalla felicità nel modo in cui la descrive Nathaniel Hawthorne, come “una farfalla, che, quando inseguita, è sempre oltre la nostra presa, ma che, se ti siedi tranquillamente, potrebbe posarsi su di te”. [3] La felicità non ci assillerà con domande intorno alla soddisfazione personale ma arriverà come un dono, non annunciato, come un visitatore inaspettato. Ci onorerà di momenti in cui noi dimentichiamo del nostro benessere e semplicemente viviamo. René Breuel cesanlorenzo.it [1] Augusto Cury, A Ditadura da Beleza e a Revolução das Mulheres (Rio de Janeiro: Sextante, 2005), 6. [2] Pascal Bruckner, A Euforia Perpétua: Ensaio Sobre o Dever da Felicidade [L´Euphorie Perpétuelle], trans. Rejane Janowitzer (Rio de Janeiro: Bertrand, 2002), 16, 74, 77. [3] Nathaniel Hawthorne, citato in Daniel Nettle, Happiness: The Science Behind Your Smile (Oxford and New York: Oxford University Press, 2005), 184