Confimi Apindustria Bergamo

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Confimi Apindustria Bergamo
CONFIMI
Rassegna Stampa del 01/04/2015
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INDICE
CONFIMI
Il capitolo non contiene articoli
CONFIMI WEB
Il capitolo non contiene articoli
SCENARIO ECONOMIA
Il capitolo non contiene articoli
SCENARIO PMI
01/04/2015 Il Sole 24 Ore
CsC, a marzo la produzione sale dello 0,2%
4
01/04/2015 Il Sole 24 Ore
Huawei, gigante tlc cinese che guarda l'Italia
5
31/03/2015 La Repubblica - Firenze
Industria, 2014 chiusura in rosso "Ancora non si vede la luce"
6
31/03/2015 Business People
Il LUSSO di ESSERE ITALIANI
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31/03/2015 Business People
ADESSO CI COMPRANO LORO
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31/03/2015 Business People
RIPARTIAMO DALLE START UP
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SCENARIO PMI
6 articoli
01/04/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 2
(diffusione:334076, tiratura:405061)
La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Le stime di Confindustria. A febbraio la crescita era stata valutata dello 0,5% - Ordini su dell'1,1 per cento
CsC, a marzo la produzione sale dello 0,2%
SEGNALI DI SPERANZA Sono in netta crescita gli indicatori sulla fiducia nel manifatturiero. Buone
prospettive anche nel comparto delle costruzioni
L.Or.
Avanti adagio. Le prime indicazioni sui risultati dell'industria nel mese di marzo, in arrivo dal Centro studi di
Confindustria, mettono in evidenza un progresso ancora limitato per la nostra manifattura, in crescita su base
mensile dello 0,2%, di appena tre decimali se il confronto è con lo stesso mese del 2014. Nella velocità "di
breve" marzo è dunque meno brillante rispetto a febbraio (per cui ancora mancano le valutazioni Istat), mese
in cui il CsC aveva stimato un progresso mensile di mezzo punto percentuale. Qualche segnale più
confortante arriva invece dagli ordini, in crescita per il centro studi di viale dell'Astronomia dell'1,1% sul mese
precedente e di quasi tre punti se il confronto è con lo stesso mese del 2014. Con il dato di marzo è così
possibile tracciare un bilancio del primo trimestre, che vede per la produzione industriale un aumento dello
0,1% rispetto al periodo precedente. Il secondo trimestre - stima il Csc - eredita in termini statistici una
variazione congiunturale dello 0,3%. Più brillante della ripresa stessa pare in effetti la "speranza" che questa
si manifesti, come confermano gli indicatori Istat sulla fiducia nel manifatturiero. A marzo - ricorda il CsC - si
segnala un netto miglioramento delle condizioni nel settore, con l'indice generale salito di 3,2 punti a quota
103,7, valore più alto da maggio 2011. Il saldo dei giudizi sui livelli di produzione ha registrato un incremento
di 4 punti (a -11); quello sugli ordini totali di 6 (a -11) raggiungendo il livello massimo da 7 anni, grazie al
contributo sia della domanda interna sia di quella estera; sono più positive anche le attese di ordini e
produzione. Un quadro in miglioramento per la manifattura ma anche per le costruzioni, per anni vero buco
nero della domanda internae ora in grado di beneficiare di una ripresa dei mutui e delle compravendite
immobiliari. A marzo le attese sugli ordini del comparto vedono infatti un quasi perfetto equilibrio tra ottimisti e
pessimisti. Novità da non sottovalutare, perché per trovare un segno più in questo indicatore occorre tornare
all'ormai remoto agosto del 2007 mentre appena qualche mese fa, alla fine del 2014, i pessimisti prevalevano
sugli ottimisti di ben 25 punti. Speranze, per ora, tradotte solo in parte in produzione aggiuntiva, che intanto
non pare in alcun modo lasciar presagire una possibile ripresa dell'inflazione. Se infatti i valori al consumo
restano sostanzialmente fermi (si veda altro articolo), per i prezzi alla produzione febbraio mostra l'ennesimo
calo, il 24esimo consecutivo, con una riduzione media che su base annua vale il 2,6%. La lieve inversione di
tendenza dell'energia (così come accade peri prezzi al consumo) spinge verso l'alto i prezzi se il confronto è
con il mese precedente (+0,5%) ma anche in questo caso la media è fortemente influenzata dal greggio. Al
netto dell'energia, su base mensile si registra un calo limitato (-0,1%) per i beni venduti sul mercato interno e
solo un lieve aumento (+0,2%) per ciò che viene venduto nell'area extra-Ue.
IL CONFRONTO
+0,1% Nel trimestre I primi tre mesi del 2015, secondo il Centro studi Confindustria, vedono per la produzione
industriale un incremento complessivo dello 0,1%
+0,3% Rispetto al 2014 La produzioneè avanzata in marzo dello 0,3% rispettoa marzo del 2014; in febbraio si
era avuto un calo dello 0,3% sullo stesso mese dell'anno scorso
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015
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01/04/2015
Il Sole 24 Ore
Pag. 24
(diffusione:334076, tiratura:405061)
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Ict. Il responsabile per il mercato italiano, Edward Chan: «Vogliamo aiutare i vostri operatori a raggiungere gli
obiettivi dell'Agenda digitale»
Huawei, gigante tlc cinese che guarda l'Italia
Rita Fatiguso
PECHINO. Dal nostro corrispondente Huawei, la multinazionale delle telecomunicazioni di Shenzhen,
continua a marciare dritto per la sua strada, con velocità a doppia cifra: + 20,6% il fatturato del 2014 pari a
46,5 miliardi di dollari mentre gli utili hanno registrato + 32,7 con profitti netti pari a 4,5 miliardi, stando alle
cifre diffuse ieri dall'Annual report di Kpmg. La Cina che arranca e punta a una modesta crescita del 7%
appena sembra lontanissima dalle performance di Huawei. Secondo Cathy Meng, Cfo Huawei, il profitto
generato dalle principali attività dovrebbe aggirarsi intorno ai 5,4 - 5,5 miliardi di dollari, con un margine del
12%, in linea con i risultati del 2013. Nel 2014 le Business Unit Carrier, Enterprise e Consumer di Huawei
hanno registrato ottime performance. Ma anche la Business Unit Consumer ha registrato un incremento del
fatturato di circa il 32% anno su anno, grazie alla vendita di smartphone. Huawei ha poi investito in Ricercae
Sviluppo, trai 6,3ei 6,5 miliardi di dollari, con un incremento del 28% rispetto al 2013. Negli ultimi dieci anni
l'impegno è stato di 30,3 miliardi di dollari. L'Italia è stata la destinataria di questi investimenti specie nel
centro mondiale di competenza delle tecnologie microwave. Edward Chan, responsabile del mercato italiano,
conferma il buon andamento dell'Italia, dove Huawei è arrivata nell'ormai lontano 2005. «La crisi non ha
creato problemi di sorta - dice Chan al Sole 24 Ore - perché proprio in questi frangenti le aziende sanno che
devono razionalizzarei costi. Per quanto riguarda i carrier stiamo fornendo le più innovative soluzioni sul
mercato per incrementare le prestazioni dei collegamenti su rame e per portare la fibra sempre più veloceea
sempre più persone, vogliamo aiutare gli operatori italiani a raggiungere gli obiettivi dell'Agenda Digitale». Per
quanto riguarda il futuro, Huawei haa cuore il tema dell'Industry 4.0, la cosiddetta quarta rivoluzione
industriale, in cui l'ICT integra sistemi virtuali e fisici con l'obiettivo di creare fabbriche "intelligenti", con oggetti
fisici interconnessi e macchine collegate a una rete intelligente totalmente unificata. Dice Edward Chan: «La
tecnologia dovrebbe garantire processi di produzione automatizzati per ottimizzare l'efficienza produttiva e la
redditività. Nell'ottobre 2014 la Germania ha già stipulato degli accordi strategici con la Cina per sviluppare
una collaborazione in quest'ambito. L'Italia, secondo paese manifatturiero in Europa, deve muoversi in questo
senso. Huawei, come grande player ICT, sta già sviluppando delle soluzioni che renderanno possibile la
realizzazione delle cosiddette fabbriche intelligenti, anche se siamo ancora al livello delle tessere di un
puzzle».
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015
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31/03/2015
La Repubblica - ed. Firenze
Pag. 8
(diffusione:556325, tiratura:710716)
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UNIONCAMERE
Industria, 2014 chiusura in rosso "Ancora non si vede la luce"
Si alza la speranza ma non ancora il risultato. Per il 2015 gli imprenditori toscani sperano nei possibili
miglioramenti economici (parità del cambio euro-dollaro,interventi della Bce, l'abbassamento del prezzo del
petrolio e dunque il minor costo dell'energia). Se fosse però per il consuntivo 2014 non starebbero allegri.
L'osservatorio congiunturale di Unioncamere e Confindustria denuncia nell'ultimo trimestre dell'anno
un'ulteriore caduta di produzione dell'1,1%. Nell'anno, la flessione è dello 0,7%: meno che nel 2013 (-1,8%) e
nel 2012. Ma il quarto trimestre dell'anno continua a essere in perdita. Calano il fatturato (-1,3%), compreso
quello estero (-1,8%) nonostante sull'anno l'export cresca dell'1,3%, la produzione nelle piccole imprese (3,3%), ma nell'ultimo quadrimestre dell'anno anche nelle grandi. Migliorano (+2,8%) solo le le medie. Nei
singoli settori, i dati più positivi interessano farmaceutica (+8%), elettronica (+3%), meccanica (+1,2%).
Peggiorano, invece, pelli e cuoio (-5,1), alimentare (-6,2%), mezzi di trasporto (-7,5%).
«Serve una scossa», dichiara il presidente di Confindustria Toscana, Pierfrancesco Pacini. «Ci sono le
condizioni per uscire dalla crisi ma la ripresa sembra ancora non vedere la luce», dice a sua volta Andrea
Sereni, presidente di Unioncamere Toscana. (i.c.)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015
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31/03/2015
Business People - ed. N.3 - marzo 2015
Pag. 15
(tiratura:60000)
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Cover story Cover story DARIO RINERO
Il LUSSO di ESSERE ITALIANI
ESISTE UN MODO TUTTO NOSTRO DI FARE LE COSE, DI PENSARLE E PROPORLE AL MONDO. C'È
UN MODO DI CONCEPIRE IL BELLO CHE È FIGLIO TIPICAMENTE DEL NOSTRO PAESE E DI NESSUN
ALTRO. DI QUESTO DOVREMMO IMPARARE A FARE TESORO PER USCIRE DALL'IMPASSE IN CUI
VERSANO L'ECONOMIA E MOLTE AZIENDE.PAROLA DEL CEO DEL GRUPPO POLTRONA FRAU
LINDA PARRINELLO - FOTO DI MATTIA MOGNETTI
L'ITALIA DOVREBBE DIVENTARE CIÒ CHE È. Si potrebbe riassumere in questo concetto di nietzschiana
memoria la visione che Dario Rinero, Ceo del Gruppo Poltrona Frau, ha del Paese e della consapevolezza
che dovrebbe ispirare i suoi abitanti. E cos'è il Belpaese secondo il manager cresciuto in Barilla e Coca-Cola
e dal 2009 approdato a una società che oltre all'omonimo brand, creato a Torino nel 1912, comprende altri
due marchi top del design made in Italy del calibro di Cassina e Cappellini? È la terra dell'eccellenza di
vivere, lui la definisce The Italian way of living , un modo d'essere tutto nostro, di cui dovremmo fare tesoro al
punto da trasformarlo in una strategica Risorsa Paese. «Abbiamo il nostro petrolio sotto gli occhi e
sembriamo non accorgercene», sostiene il dirigente anche lui d'origine torinese, che racconta quanto la storia
del suo gruppo - che ha fatto dell'"intelligenza delle mani" (ovvero della capacità tutta tricolore di saper creare
e pensare oggetti di rara bellezza) la sua ragion d'essere - sia emblematica per far comprendere alle aziende
come, quando vuole, anche l'Italia può trasformarsi in una protagonista incontrastata dei mercati
internazionali (vedi l'investimento di mezzo miliardo di dollari fatto dagli americani di Haworth nel febbraio
2013 per aggiudicarsene il controllo). Ecco, l'Italia è tutto questo e molto altro, basterebbe convincersene e
agire di conseguenza... Cominciamo col dire com'è andato per il Gruppo Poltrona Frau il 2014? È stato un
anno in crescita rispetto al già ottimo 2013, in buona progressione e in continuità rispetto alla serie iniziata
negli ultimi anni, fatta da una sostanziale tenuta dei mercati più consolidati in Europa, unita a un costante
incremento sui mercati internazionali. Soprattutto asiatici e, più recentemente, nordamericani. La crescita
americana è più imputabile alla ripresa dell'economia Usa o al vostro ingresso nel Gruppo Haworth?
L'attribuirei maggiormente alla crescita del mercato americano. Per darle un'idea, in quell'area nei precedenti
10 anni si erano persi grosso modo trequarti dell'export italiano del mobile. Siamo quindi nel pieno di una
vera fase di recupero. Un discorso a parte merita invece il mercato domestico, dove nello stesso periodo il
consumo di prodotti d'arredo era sceso di oltre il 50%. Ebbene, su questo fronte il nostro gruppo è in
controtendenza, perché nel 2014 ha nuovamente registrato un piccolo incremento, confermato anche dal
trend dei primi mesi del nuovo anno. A cosa è dovuta questa differenza di marcia? Penso che attenga alla
capacità delle marche nel nostro portafoglio di offrire prodotti percepiti più come beni di investimento che di
semplice consumo. Durante le crisi si assiste quasi sempre a un distintivo processo di polarizzazione: da una
parte clienti che non solo confermano ma a volte incrementano l'acquisto di beni di alta gamma (trade-up);
mentre dall'altra parte clienti che abbassano le loro aspettative e vanno alla ricerca di prodotti più economici
(tradedown). In questo sommovimento la parte che viene più compressa è quasi sempre la fascia di aziende
che sta a metà di questo guado, che non ha né un posizionamento high end, né uno value for money. In più,
se si osservano tutte le maggiori crisi che hanno ciclicamente afflitto l'economia mondiale, colpisce come le
grandi marche ne siano sempre uscite rafforzate. Secondo me, grazie alla loro straordinaria capacità di
trasmettere sicurezza anche nei periodi difficili. In più, quando il ciclo economico riprende, sono normalmente
le prime a ripartire traendone i maggiori benefici. In questi anni avete fatto qualcosa per sostenere questa
attitudine della marca o vi siete limitati ad "assecondarla"? Il nostro è un percorso ininterrotto che dura da
oltre 100 anni per Poltrona Frau, quasi 90 per Cassina, ormai 70 per Cappellini, tutte aziende che sono state
fondate da imprenditori visionari che le hanno gestite a lungo, e che già negli anni '60 hanno intravisto le
grandi opportunità offerte dall'export, attraverso l'apertura di uffici e punti vendita diretti all'estero. Si è trattato
di una vera e propria strategia di internazionalizzazione delle marche, non di una semplice attività di
esportazione, che fa sì che oggi il 75% del nostro fatturato si sviluppi all'estero, il 30% del quale Oltreoceano.
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015
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31/03/2015
Business People - ed. N.3 - marzo 2015
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(tiratura:60000)
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Ciò mi fa dire che la nostra attitudine si mantiene forte grazie all'ispirazione che continuiamo a trarre dai padri
fondatori dei nostri grandi marchi. Anche se un passaggio molto importante è stato, nel 2003, l'approdo al
Fondo Charme. È un'altra esperienza che racconto con piacere perché, malgrado alcune volte si associ
sbrigativamente ai fondi un'immagine negativa, nel nostro caso si è rivelata un vero successo. Grazie a un
fondo atipico per composizione, creato anche in questo caso da imprenditori visionari (da Montezemolo a
Della Valle), con un'ampia visione internazionale, e che aveva colto le opportunità in vista per i gruppi più
strutturati nella domanda di beni di lusso a livello globale. Che, infatti, negli ultimi anni ha puntualmente
continuato a crescere. E lo farà ulteriormente... È vero, perché come un fiume carsico si inabissa da una
parte per sgorgare altrove. Ciò significa che le grandi aziende globali sono quelle strutturalmente più in grado
di catturare la domanda in una nuova geografia per fronteggiare il rallentamento dei consumi in un'altra. Ecco
perché il fondo ha deciso di creare un bouquet che federa tre brand dell'eccellenza italiana, così come i
francesi hanno fatto nella moda, creando di fatto un gruppo che rispetta il Dna delle singole entità dando a
ognuna la forza necessaria a presidiare i mercati. Tutte prospettive che hanno poi motivato una grande major
Usa come Haworth ad acquisire il nostro gruppo, a dimostrazione del fatto che quando un'impresa italiana
riesce a costruire una progetto chiaro, ben distintivo e a vocazione globale riesce ad attrarre gli investimenti
internazionali più qualificati. Tuttavia, in seguito al vostro passaggio a Haworth si è fatto un gran parlare del
fatto che venisse ceduto un altro pezzo importante del made in Italy. Mi consenta di ribadire che, al netto
delle chiacchiere, per me ciò che definisce veramente la nazionalità di un'azienda sono due cose: dove si
prendono le decisioni e dove si produce. Il resto è puramente secondario. Perché, se un'azienda è posseduta
al 100% da un italiano e delocalizza completamente l'attività in Polonia, per me non è italiana, mentre lo è se
di proprietà di un americano che produce e decide in Italia. Haworth ha acquisito il Gruppo Poltrona Frau
senza alcun progetto di integrazione, visto che loro sono attivi nel settore dei mobili per ufficio (dove sono tra i
leader) che ha logiche diverse dalle nostre. Per quanto ci riguarda siamo rimasti indipendenti come prima. Il
management è lo stesso, così come lo è il prodotto, la cui produzione rimane ovviamente in Italia. Mi sembra,
quindi, che l'unico rischio che corriamo sia solo quello di poter diventare più forti, di ampliarci e di poter offrire
ancora più opportunità di lavoro. Così com'è successo nella moda alle aziende italiane che sono entrate
nell'orbita di Kering e di Lvmh. Prima ha accennato all'importanza della dimensione sovranazionale delle
imprese. Lei ha spesso stigmatizzato il fatto che il 95% delle aziende siano troppo piccole e spesso non
competitive. Il che, in verità, non è un problema solo del vostro settore. Si possono obbligare le imprese a
crescere? In effetti, nonostante sia un vanto del made in Italy, il settore dell'arredo denuncia ancora forti limiti:
il valore della produzione nel 2014 è rimasto invariato rispetto al 2013 a 12,5 miliardi, oltre il 60% è esportato
in 50 Paesi con un evidente apporto alla bilancia commerciale. Ma il tessuto industriale è composto da 27
mila aziende, con un fatturato medio di 600 mila euro e una media di addetti pari a 6,3. Con queste
dimensioni, poche sono in grado di esportare. Eppure, gli studi econometrici indicano chiaramente la positiva
correlazione tra produttività e capacità esportativa. È ovvio che chi è più grande e più efficiente esporti più
facilmente, ma è vero anche l'inverso: cioè che attraverso l'aumento dell'export si diventa più efficienti in
casa. Esiste poi anche un tema legato alla managerialità: la totalità di queste aziende è a gestione familiare.
E, pur essendo un estimatore del capitalismo familiare, avendo lavorato 15 anni in un'azienda come Barilla,
colpisce come nell'arredo, a differenza della moda e dell'alimentare, un vero processo di managerializzazione
non si sia ancora innescato. L'intero settore, quindi, si trova di fronte a un grave ritardo evolutivo. Cosa si può
fare? Il nostro può essere un modello: abbiamo creato una piattaforma che non ha certo ancora terminato la
sua capacità catalizzatrice. Altre opportunità sono rappresentate da fondi piuttosto che da gruppi capaci di
aggregare più aziende. E poi si deve attivare un'azione di governo che, a mio avviso, è sempre mancata.
Personalmente non credo negli incentivi, in un governo che ti costa tanto salvo poi ritornarti una parte in
sgravi e bonus. Meglio sarebbe un governo snello, che assolva al suo compito e nello stesso tempo lasci
libera l'impresa di svolgere adeguatamente il suo mestiere. Non che la munga e poi la sussidi... Mi
piacerebbe un governo ispiratore dello sviluppo che dica: «Se tu che fai 100 e lui che fa 50 vi mettete
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015
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31/03/2015
Business People - ed. N.3 - marzo 2015
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insieme, il surplus di 150 lo tratto con una tassazione agevolata». Solo così si dà alle aziende l'opportunità di
crescere e creare occupazione. Le stesse associazioni di settore non sono state capaci di ispirare e
trasmettere quanto fosse diventato vitale il cambiamento. Mi piacerebbe, inoltre, un Paese in cui si facesse di
più per tutelare la proprietà intellettuale: è incredibile come nella patria di Leonardo e della creatività, ci sia un
livello di salvaguardia inferiore a quello vigente in Svizzera o in Belgio. È l'eterna questione della tutela del
made in Italy. Certamente, ma non si può continuare a consentire a chiunque di copiare i nostri prodotti e di
poterli vendere tranquillamente in Italia e nel mondo. Eppure, si tratterebbe di un'azione di governo a costo
zero, che oltre a tutelare le nostre aziende contrasterebbe il sommerso. In più oggi il Paese è nelle condizioni
di fare una politica a favore dell'industria più incisiva che nel passato, riconoscendone la fortissima vocazione
manifatturiera e concentrandosi sui suoi plus, che coincidono con l'indubbia capacità di emozionare e attrarre
un turismo medioalto di gamma. Perché il ruolo principale di uno Stato è proprio quello di identificare i propri
punti forti e di investire le proprie risorse là dove esse verranno ottimizzate e moltiplicate. Infine, una parola
sugli imprenditori del mio settore, ai quali mi permetto di dire che la svolta decisiva avverrà solo nel momento
in cui un grande numero di loro capirà che lo scenario è cambiato e che oggi bisogna saper fare un passo
indietro per poterne fare due avanti domani. Percepisce che ci sono quanto meno i presupposti di questa
consapevolezza? Credo che, alla luce delle trasformazioni avvenute negli ultimi dieci anni - delle quali noi
siamo stati in qualche misura anche un po' precursori -, sia diventata evidente la necessità di cambiare. Se lei
mi chiede se ciò sia successo per un'evoluzione culturale o per gli effetti della crisi, tendo a dire più per
quest'ultima. Però, alla fine l'importante è non disperdere le straordinarie capacità di questi brand, qualche
volta anche molto piccoli, che sono il frutto di molti decenni di grande creazione intellettuale e manuale.
Personalmente mi sento più povero quando leggo che un'azienda chiude, perché penso a ciò che come
Paese, industrialmente e culturalmente, perdiamo. Proprio in quest'ottica due anni fa abbiamo fatto una
piccola acquisizione, la Simon, un gioiello dell'eccellenza tricolore che portava in dote prodotti straordinari
come i capolavori di Carlo Scarpa, per me i più bei tavoli architettonici mai creati nella storia del design.
Capitali simili non possono andare dispersi, sono un patrimonio del nostro Paese e possono diventare
splendide opportunità di sviluppo. Come gruppo sentiamo anche la responsabilità di tutelare questo
patrimonio, e quando possiamo siamo sempre disposti a interventi di salvaguardia. Diversi imprenditori del
lusso lamentano proprio una sottovalutazione delle opportunità di sviluppo offerte dal settore, e non solo da
parte delle istituzioni, nonché un pregiudizio che - per esempio - i francesi non hanno. È vero, ma ancor prima
del lusso, il pregiudizio riguarda la ricchezza. Si tratta di un atteggiamento tutto italiano, dovuto certamente ad
aspetti culturali, e che probabilmente si ricollega anche al fatto che qualche volta nel nostro Paese la
ricchezza sia stata generata in maniera non corretta. Tuttavia, costituisce una grossa semplificazione vedere
un piccolo artigiano che con impegno fa prosperare la sua azienda e può permettersi una grande casa e una
bella macchina, e sospettarlo quasi automaticamente di evasione fiscale. Di rado c'è lo sforzo di andare più in
là, per comprendere che dietro il suo successo c'è tanto lavoro, passione per quello che fa, weekend passati
a lavorare, rischio finanziario, notti insonni... In più, questo generico atteggiamento anti-ricchezza spesso
sfocia in una declinazione anti-industriale, perché - nel solito esercizio semplificatorio - l'industria viene vista
un po' come lo strumento generatore della ricchezza, quindi del lusso. Invece - anche se qualche segnale
positivo si comincia a intravedere - è ora che nell'agenda programmatica del nostro Paese si torni a parlare di
industria, e soprattutto di industria alto di gamma, visto che non avrebbe senso pensare di poter competere
sul terreno della produzione a basso costo di manodopera. Con la nostra capacità di saper creare prodotti
straordinari come nella moda, nell'alimentare, nelle auto, nel design di lusso, oggetti capaci di emozionare a
livello globale, basterebbe fare dell'Italia una volta per tutte la patria della bellezza. Ebbene, io credo
profondamente che sia questo il nostro petrolio, una fonte inesauribile di energie che vivificherebbe non solo
il manifatturiero e il turismo ma molti altri settori economici. A proposito del nostro "petrolio", ci saranno due
eventi in cui potrà mettersi prestissimo in mostra. Il prossimo Salone del mobile, ad aprile, e - esattamente
due settimane dopo - l'inaugurazione dell'Expo di Milano. Personalmente sono un po' emozionato per l'Expo:
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015
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31/03/2015
Business People - ed. N.3 - marzo 2015
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(tiratura:60000)
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/04/2015
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
avendo due figlie di 11 e 13 anni, sono molto incuriosite e mi fanno un sacco di domande. Per quanto mi
riguarda cerco di spiegare loro che l'unico precedente per l'Italia è stato nel 1906, un'edizione straordinaria
che contò ben cinque milioni di visitatori (un'enormità considerati i tempi), 35 mila espositori, 40 Paesi
partecipanti. Era un'epoca entusiasmante: Milano era una prestigiosa capitale tecnologica e vantava la prima
centrale termoelettrica costruita in Europa nel 1883, che accese in quell'anno le luci della Scala, mentre
proprio nel 1906 fu inaugurata la galleria del Sempione. Fu una straordinaria avventura, spero proprio che sia
di buon auspicio per l'intero Paese, a me piace pensarla così, anche se avrei preferito un tema altrettanto
universale, che puntasse però sul concetto di creatività e di bellezza. Ma, come si dice, primum vivere deinde
philosophari , quindi nutrire il pianeta ha la sua giusta precedenza... Il Salone del mobile sarà, invece, una
sorta di aperitivo dell'Esposizione universale: i 300 mila visitatori internazionali previsti saranno un assaggio
di quanto ci aspetta tra maggio e ottobre. Ha la sensazione che le aziende riusciranno a cogliere questa
opportunità? Se c'è una cosa che contraddistingue le aziende italiane è certamente la reattività, in quanto a
velocità e capacità adattativa siamo imbattibili. Quindi, sono certo che alla fine ognuna riuscirà a fare il suo
meglio. Così come Poltrona Frau Group: siamo pronti a ricevere le migliaia di clienti che ci verranno a trovare
da tutte le parti del mondo durante il Salone, mentre in occasione di Expo attiveremo tutta una serie di
iniziative ed eventi a rotazione all'interno dei nostri showroom. Per noi il 2015 è un anno particolare, perché si
celebra il cinquantenario della produzione Cassina dei mobili di Le Corbusier, Jeanneret, Perriand. È previsto
un fitto programma di manifestazioni con mostre e attività culturali all'interno di diversi musei. Proprio Cassina
di recente ha annunciato la creazione di un nuovo tessuto morbido, che assomiglia alla pelle, ma creato da
una combinazione tra poliestere e poliuretano, il waterborn. Tutte le vostre aziende sono caratterizzate da
una forte spinta creativa verso l'innovazione. Come si fa a sposare tale vocazione con la componente
tradizionale che comunque contraddistingue marchi storici come i vostri? È una combinazione molto naturale,
comune a molte aziende, che nasce dallo svegliarsi tutte le mattine col pensiero di creare qualcosa di nuovo,
considerando un patrimonio ormai acquisito quanto realizzato fino al giorno prima. Provo a spiegarlo più
chiaramente al netto della "filosofia"... Per esempio, se prendiamo Poltrona Frau, tra i primi 10 prodotti per
vendite ce ne sono alcuni in produzione da 100 anni - come Chester - o Vanity Fair che è del '30, mentre un
buon 50% della lista è stato lanciato solo negli ultimi 5-7 anni, vedi Archibald del 2009. Lo stesso dicasi per
Cassina con i mobili di Le Corbusier, Jeanneret, Perriand. Nello stile come nei materiali, c'è una capacità di
nutrire i "fiori nella serra" senza con questo rinunciare a uscire fuori per andare a cercarne di nuovi. Non
esiste alcun altro portafoglio di prodotti d'arredo che abbia la stessa valenza, è come dire Hermès e le sue
Kelly. Ebbene, noi vogliamo ispirarci proprio da queste grandi aziende che sanno nel tempo reinterpretare la
tradizione. Pensi che in Poltrona Frau utilizziamo lo stesso tipo di pelle che usavamo un secolo fa, questo
però non ci ha impedito di creare la Soul, un tipo di pelle naturale e non trattata, piuttosto che la Heritage o la
Century, una pelle nuova ma screpolata in modo da sembrare usata come se avesse 50 anni. Da noi non
esiste un unico grande genio che pensa per Poltrona Frau, ma i nostri prodotti sono il frutto dell'impegno di
centinaia di persone che, in fabbrica e nei laboratori come sui mercati, ogni giorno vedono cose nuove
traendone ispirazione che traducono in prodotti. Proprio in questa sapienza e capacità innovativa diffusa
risiede la forza dell'eccellenza italiana. Scorrendo il vostro codice etico, si leggono indicazioni precise su
materiali e processo produttivo. Il che è un dato importante visto che di recente si è polemizzato molto sui
prodotti di lusso. Cosa fate per non incorrere, per esempio, nelle critiche mosse a Moncler? Da almeno
cinque anni, realizziamo un rapporto di sostenibilità del nostro gruppo, dove dichiariamo con grande
trasparenza le nostre policy, tra cui il controllo e la certificazione dei fornitori. Li visitiamo spesso, così come i
nostri clienti visitano noi: nel caso dell'automotive, per esempio, lavoriamo con Ferrari, Maserati, Porsche,
Jaguar, Audi, che sono anch'esse aziende molto attente al tema. Una semplice cosa abbiamo imparato sul
campo: che una buona materia prima ha una soglia di prezzo sotto il quale non si può scendere senza che
ciò comporti processi critici. Bisogna continuamente vigilare e valutare, è un'etica comportamentale che
coinvolge le persone ancor prima delle aziende. Mi spiega in cosa consiste il concetto di The Italian way of
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living da lei teorizzato? Quando negli anni '70 e '80 l'Italia ha cominciato a esportare, l'accezione made in Italy
si riferiva essenzialmente alla realizzazione produttiva nel nostro Paese. Verso la fine degli anni '90, c'è stata
invece un'evoluzione in cui si è passati all'Italian lifestyle, nella quale il focus si spostava dal prodotto al
produttore, cioè fatto da un italiano con tutte le implicazioni di gusto che ciò comportava. Adesso siamo
entrati in una terza dimensione esperienziale, con The Italian way of living o, come cita lo slogan di una
famosa marca di acqua minerale, Live in Italian . Cioè si è passati a un significato ancora più ampio, perché
comprende in un solo colpo le colline, le piazze, i campanili, i musei, le montagne, il sole, attiene al nostro
modo di stare insieme, si tratta di un'esperienza molto più immersiva, perché è uno stile di vita, che va ben
oltre - lo dico con molto rispetto - al made in Germany... Made in Italy adesso vuol dire che quel prodotto è
figlio di un mondo di eccellenze culturali e manifatturiere, che ti coccolano, facendoti gustare ottimi sapori e
indossare bellissimi abiti, invitandoti a vivere così come farebbe un italiano. Non c'è nessun altro Paese al
mondo che possa dire e fare altrettanto.
Colpisce che, alla fine di tutte le maggiori crisi mondiali, LE GRANDI MARCHE NE SIANO SEMPRE
uscite rafforzate
Esiste un indiscusso pregiudizio tutto italiano riguardo alla RICCHEZZA E AL LUSSO, DOVUTO
SENZ'ALTRO ad aspetti culturali
COSA FA NEL TEMPO LIBERO? COME SI RILASSA QUANDO NON LAVORA? Essendo diventato papà a
40 anni, ho due figlie di 11 e 13 anni, quindi quando non sono in azienda molto del mio tempo libero lo passo
in famiglia a fare tutto quello che si fa in una tipica famiglia italiana. Dopo di che la mia passione più grande è
senz'altro la cucina, è un esercizio che mi rilassa e ai fornelli non penso ad altro. C'È QUALCHE PIATTO
CHE LE RIESCE MEGLIO DI ALTRI? Faccio di tutto, Di recente mi è venuta bene una tartare di tonno e
coriandolo con maionese al basilico, accompagnata da gelato alla mandorla; un'interessante commistione di
acido, salato e dolce. SONO RICETTE INVENTATE DA LEI? Sono piuttosto uno che studia le ricette altrui e
le mette in pratica. Non mi reputo un innovatore, quanto uno che se assaggia un piatto al ristorante, riesce a
replicarlo con discreto successo. Più che un avanguardista sono un "replicazionista"... Dai miei genitori ho
imparato che la cucina è love sharing , per mia madre la cucina è sempre stata un modo per mostrare amore
per la propria famiglia, per gli amici e per se stessi. È una consapevolezza che condividiamo con mia moglie
e che stiamo cercando di trasferire alle nostre figlie, insegnando loro l'amore per gli odori e i sapori, il piacere
di andare al mercato per scegliere le materie prime più buone, nonché la passione nel preparare un piatto
trasformandolo ogni volta in qualcosa di unico. LA CUCINA COME ESPERIENZA EMOTIVA, QUINDI. Certo,
perché è un'esperienza che va sperimentata e condivisa. Sono un goloso, quindi per gustare qualcosa di
speciale sono disposto ad affrontare anche trasferte di qualche centinaio di chilometri. Per me la cucina è
l'unica forma d'arte in grado di coinvolgere tutti i sensi, che ha la stessa dignità della grande pittura e della
scultura nonché della stessa musica. LEI CUCINA ITALIANO VERO? Certamente, è la cultura in cui sono
cresciuto, ma non disdegno le cucine internazionali, asiatiche in particolare. Amo la cucina indiana e quella
giapponese, distinguo la cinese dalla tailandese e dalla vietnamita. SOTTO QUESTO PROFILO, SARÀ
ENTUSIASTA DEL TEMA DELL'EXPO? Certamente, siamo fortunati perché chi vive a Milano potrà
"gustarselo" a lungo e confrontare un'altra grandissima eccellenza del made in Italy, come il cibo, con il
meglio di quanto il pianeta sia in grado di offrire.
Se c'è una cosa che distingue le aziende italiane è la reattività: IN QUANTO A CAPACITÀ ADATTIVA
siamo imbattibili
Foto: DAL LARGO CONSUMO ALL'ALTO DI GAMMA Dopo gli studi in Architettura al Politecnico di Torino,
Dario Rinero inizia nel 1984 in Chiari&Forti, ma si forma professionalmente in Barilla, dove ricopre anche
incarichi internazionali. Nel 2000 passa in Coca-Cola Hbc Italia, per approdare nel 2009 al vertice del Gruppo
Poltrona Frau
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ADESSO CI COMPRANO LORO
DOPO AVER SUBITO PER ANNI LO STRAPOTERE DEI GRANDI GRUPPI OCCIDENTALI, SONO ORA
SEMPRE DI PIÙ LE MULTINAZIONALI DI PAESI EMERGENTI PARTITE ALL'ARREMBAGGIO DELLE
IMPRESE ITALIANE ED EUROPEE. I RISCHI NON MANCANO, MA NON TUTTI GLI INVESTIMENTI
VENGONO PER NUOCERE...
ANDREA TELARA
APiombino, nelle storiche acciaierie della Lucchini dove le ciminiere sono spente dall'aprile del 2014, hanno
festeggiato più di 1.800 lavoratori. «Ben venga lo straniero», era il leit motiv delle dichiarazioni rilasciate dagli
operai e dai delegati sindacali, non appena è arrivata l'offerta di un nuovo compratore estero, in grado di
rimettere in piedi l'intero impianto siderurgico ormai prossimo alla chiusura definitiva. Lo straniero disposto a
salvare la fabbrica toscana, però, non arriva né dalla Germania né dal resto d'Europa e neppure dagli Stati
Uniti. Il salvatore delle acciaierie ha, infatti, un nome e un cognome arabo: si chiama Issad Rebrab ed è il
patron del gruppo algerino Cevital, un impero industriale che ha 12 mila dipendenti e 25 filiali in tutto il mondo
e che, alla fine del novembre scorso, ha promesso di investire a Piombino almeno un miliardo di euro entro il
2020, per tornare a produrre 2 milioni di tonnellate di acciaio all'anno. E così, di fronte a questa offerta assai
difficile da rifiutare, un pezzo importante dell'industria italiana come l'impianto della Lucchini è finito nelle mani
di una multinazionale di un Paese arabo. Una sorte analoga è toccata ad Alitalia che, dall'agosto dell'anno
scorso, gravita nell'orbita di Etihad, il vettore di Abu Dhabi che ha comprato una partecipazione del 49% nella
compagnia di bandiera tricolore, con l'obiettivo di rimetterla in sesto in tempi brevi. COLONIALISMO AL
CONTRARIO Le due acquisizioni appena descritte, però, sono soltanto la punta di diamante di un fenomeno
che viene da lontano e che è iniziato (seppur lentamente) almeno un decennio fa. Si tratta dell'arrembaggio
alle aziende italiane ed europee portato avanti dalle multinazionali dei Paesi emergenti. C'è chi parla già di un
nuovo colonialismo al contrario, che ha come protagonisti i nuovi ricchi del pianeta, dagli emiri mediorientali
sino ai miliardari cinesi e indiani. Dopo aver subito per decenni lo strapotere dei grandi gruppi occidentali, ora
questi nuovi tycoon sembrano intenzionati a far rotta con decisione verso un'Europa ancora acciaccata dalla
crisi economica, per mangiarsi in un boccone le migliori aziende del Vecchio Continente. Ma stanno davvero
così le cose? A leggere le cronache finanziarie degli ultimi mesi e anni, sembrerebbe proprio di sì. A parte i
casi dell'Alitalia e delle acciaierie di Piombino, finite entrambe in mani arabe, tantissimi altri pezzi dell'industria
italiana oggi appartengono a grandi investitori delle nuove "potenze". A fare la parte del leone non sono però
gli arabi bensì i cinesi, che hanno acquisito quote di maggioranza o di minoranza di importanti gruppi del
Belpaese. Sullo scacchiere dell'alta finanza, per esempio, si è mossa la People's China Bank, la banca
centrale di Pechino che, tra marzo e luglio del 2014, ha fatto shopping sul listino di Piazza Affari comprandosi
una partecipazione di circa il 2% nel capitale di Eni, di Enel, di Telecom Italia, di Fca (Fiat Chrysler
Automobiles) e di Prysmian, leader mondiale nella produzione di cavi per il settore energetico e per le
telecomunicazioni. AZIONISTI CON GLI OCCHI A MANDORLA Aqueste operazioni dal carattere
eminentemente finanziario, che valgono nel complesso quasi 3 miliardi di euro, si aggiungono poi parecchie
acquisizioni che hanno obiettivi per lo più industriali. Un esempio è quanto accaduto a Cdp Reti, la holding
della Cassa Depositi e Prestiti che controlla quasi un terzo di Snam e di Terna e che, dall'estate scorsa, è
partecipata al 40% da State Grid Corporation, il gestore della rete elettrica della Repubblica Popolare. Nel
2014, è finito ai cinesi anche il 40% del capitale di Ansaldo Energia, acquistato da Shanghai Electric
Corporation (Sec), leader mondiale nella produzione di macchinari. Senza dimenticare, poi, i nomi del lusso
made in Italy, oggi controllati interamente da azionisti con gli occhi a mandorla. È il caso della maison di
moda Krizia, acquistata lo scorso anno da Shenzhen Marisfrolg Fashion, azienda leader nel mercato asiatico
del pret-à-porter, fondata più di vent'anni or sono dall'imprenditrice Zhu ChongYun. Risale a quasi tre anni fa,
invece, la cessione al gruppo meccanico cinese Shig-Weichai del noto produttore di yacht Ferretti, altro
celebre nome del made in Italy, famoso in tutto il mondo ma zavorrato fino al 2012 da un debito di 600 milioni
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Sviluppo
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di euro. Di acquisizioni simili, che hanno avuto come protagonisti gli imprenditori della Repubblica Popolare,
però, se ne trovano a decine, se si guarda all'universo delle piccole e medie aziende italiane attive nei settori
tessili o della meccanica, insediate per lo più in Lombardia e nel resto del Settentrione. IN ARRIVO
DALL'INDIA Anche le multinazionali indiane, nonostante i tesi rapporti diplomatici tra Roma e Nuova Delhi
dovuti alla nota vicenda dei due marò, non sono certo rimaste alla finestra negli ultimi anni e hanno acquisito
diverse aziende del made in Italy, spesso attive in settori di nicchia. Un esempio è la Klopman di Frosinone,
maggiore produttore europeo di tessuti ignifughi, finita nell'orbita di Mw Corp, colosso industriale di Mumbai,
attivo sia nel comparto tessile sia nel settore energetico. La stessa sorte è capitata alla Leggiuno spa, storica
azienda della provincia di Varese specializzata nella produzione di tessuti per la camiceria di alta qualità, che
dal 2008 è sotto il controllo del gruppo indiano S. Kumars Nationwide. Un altro esempio è quello di Piaggio
Aero, nome celebre dell'industria aeronautica italiana che, nel 2009, è stata comprata da Tata group,
conglomerata di Mumbai presente in diversi settori, da quello automobilistico alla meccanica, dalla chimica
all'energia. Lo scorso anno, però, lo stesso gruppo Tata è uscito dall'azionariato di Piaggio Aero, cedendo la
propria quota a un altro grande investitore dei Paesi emergenti: Mubadala, il fondo sovrano di Abu Dhabi che
oggi detiene il 98% circa del capitale dell'azienda. IL RISCHIO DEL MORDI E FUGGI Proprio quest'ultima
operazione, che ha visto gli indiani entrare e uscire da un'azienda italiana nel giro di pochi anni, pone alcuni
interrogativi tutt'altro che trascurabili, riguardo al ruolo delle multinazionali asiatiche nel tessuto industriale del
nostro Paese e dell'Europa intera. Conviene o non conviene consegnare le nostre migliori imprese ai nuovi
ricchi dell'Asia? Senza i loro soldi, molte fabbriche come la Lucchini di Piombino avrebbero chiuso i battenti, è
vero. Tuttavia, non va sottovalutato il rischio che parecchie multinazionali in arrivo dal lontano Oriente
abbiano anche un atteggiamento predatorio: vengano cioè in Europa seguendo la logica del mordi e fuggi,
per impossessarsi del marchio o della tecnologia di qualche azienda importante, per poi tornarsene a casa
non appena hanno inglobato tutto il valore che c'era da inglobare. Non va dimenticato, infatti, che non sempre
gli investimenti in Italia delle multinazionali emergenti si sono conclusi con il lieto fine. Lo sa bene chi ha
seguito le vicende della Guru, azienda tessile di Parma fondata nel 1999 e poi finita in mano agli indiani di
Bombay Rayon Fashion, dopo le turbolente vicende che hanno visto il fondatore della società, Matteo Cambi,
sotto accusa per bancarotta. La presenza dei nuovi proprietari asiatici, che avevano l'ambizione di rilanciare il
marchio Guru, non ha impedito all'azienda emiliana di finire sull'orlo del fallimento, avviando un concordato
preventivo con i creditori, iniziato lo scorso anno. L'arrivo dei soci cinesi non è stato una passeggiata neppure
per i lavoratori della Ferretti che, nel febbraio del 2014, hanno rischiato di assistere alla chiusura di uno dei
tanti stabilimenti della società, quello di Forlì, poi salvato in extremis da una lunga trattativa sindacale. Le
multinazionali dei Paesi emergenti, insomma, hanno tanti soldi a disposizione ma non hanno certo il cuore
tenero. Investono dove conviene investire, comprano quel che c'è da comprare quando i prezzi delle aziende
sono a buon mercato, ma non sono molto legate al territorio in cui si insediano e sembrano anche pronte a
lasciare sul campo migliaia di posti di lavoro, non appena il loro business comincia a traballare. SE LA
FABBRICA È NUOVA DI ZECCA Nonostante l'opportunismo dei nuovi ricchi del lontano Oriente, però,
rinunciare ai loro soldi sembra oggi assai difficile. Anche perché, quando si parla di multinazionali dei Paesi
emergenti, è bene non fare di ogni erba un fascio. Un'indagine effettuata dalle economiste Elisa Giuliani e
Roberta Rabellotti, collaboratrici del sito Lavoce.info , rivela, infatti, che esiste anche un gruppo non
trascurabile di aziende in arrivo dai Paesi in via di sviluppo che hanno instaurato un rapporto virtuoso con i
territori in cui si sono insediate, collaborando con le piccole e medie imprese locali, con le università e i centri
di ricerca. Un'altra analisi, sempre pubblicata sul sito de Lavoce.info dai ricercatori Alessia Amighini e Claudio
Cozza e dalla stessa Rabellotti, dimostra invece come la presenza in Europa delle multinazionali asiatiche
non sia dovuta soltanto ad acquisizioni di imprese già esistenti, ma si concretizzi per lo più in investimenti
greenfield, cioè con la costituzione ex-novo di impianti prima inesistenti. Su 840 operazioni effettuate nel
Vecchio Continente da aziende cinesi tra il 2003 e il 2012, per esempio, più di 670 sono avvenute con
investimenti greenfield, mentre appena 131 si sono concluse tramite un M&A (merger and acquisition), cioè
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con fusioni e acquisizioni. Anche per gli investimenti diretti indiani nell'Unione Europea, si è assistito più o
meno allo stesso fenomeno e le operazioni greenfield, dal 2003 in poi, sono state la maggioranza: 520 su un
totale di 949. L'arrivo di una multinazionale emergente, insomma, spesso coincide anche con l'apertura di
fabbriche e uffici nuovi di zecca che portano posti di lavoro. Secondo la banca dati Reprint
sull'internazionalizzazione, creata dall'Ice e dal Politecnico di Milano, oggi ben 18 mila italiani lavorano per le
multinazionali cinesi e di Hong Kong presenti del nostro Paese. Tra queste, ci sono nomi conosciutissimi a
livello mondiale come Huawei Technologies, produttore di smartphone e reti di telecomunicazione, che
dispone di diverse sedi e centri di ricerca (in particolare sulle tecnologie a microonde) tra Milano, Roma e
Torino, i quali collaborano proficuamente con gli atenei universitari. Senza dimenticare, infine, le aziende
presenti in Italia da ben tre lustri come il gruppo di Hong Kong Hutchison Whampoa (H3g), proprietario della
compagnia di telecomunicazioni Tre. Nella Penisola, H3g fattura 1,75 miliardi di euro all'anno e ha oltre 2.700
dipendenti. In un'Italia come quella di oggi, dove la disoccupazione è ai massimi storici, è difficile chiudere le
porte a chi, pur venendo da una nazione emergente, dà lavoro a così tante persone. BANDIERA ADDIO
Dopo una lunga crisi e l'insuccesso della new company creata da una cordata di imprenditori italiani,
nell'agosto 2014 Alitalia è passata nelle mani di Etihad, compagnia di bandiera di Abu Dhabi tra i vettori in
maggiore espansione nel mondo. La società degli Emirati Arabi ha messo in piedi un piano di rilancio e sarà
partner di Expo (qui sotto l'aereo con la livrea dedicata all'evento, presentato nell'ottobre scorso)
I SOLDI ASIATICI SONO FONDAMENTALI PER LE AZIENDE IN CRISI, MA SPESSO I NUOVI PADRONI
HANNO UN ATTEGGIAMENTO PREDATORIO: COMPRANO, ACQUISISCONO TECNOLOGIA E
TORNANO A CASA LORO
GLI INVESTIMENTI IN EUROPA TRA IL 2003 E IL 2012
2.849
IMPRESE CINESI IMPRESE INDIANE
304
144
391 193
53 74
47
47 51 65
219
841
949 232
2.717 GERMANIA REGNO UNITO FRANCIA PAESI BASSI ITALIA ALTRI PAESI UE TOTALE UE TOTALE
MONDO GERMANIA REGNO UNITO FRANCIA PAESI BASSI ITALIA ALTRI PAESI UE TOTALE UE
TOTALE MONDO
Fonte: Lavoce.info su dati Emendata - (valori espressi in unità)
NON BISOGNA AVERE PREGIUDIZI
Alcuni grandi gruppi hanno indubbiamente un atteggiamento predatorio nei confronti della nostra economia.
Nello stesso tempo, però, ci sono anche molte aziende che possono portare benefici al tessuto produttivo
nazionale. È l'opinione di Roberta Rabellotti riguardo agli investimenti effettuati in Italia dalle multinazionali dei
Paesi emergenti. Dunque, ben vengano gli stranieri, anche se arrivano da lontano... Diciamo che non
dobbiamo temerli se il loro obiettivo è mettere in atto investimenti che prevedano una stretta collaborazione
con il territorio in cui s'insediano, per esempio con i centri di ricerca, con le università o con le pmi locali, che
hanno così l'opportunità di dar vita a una rete di subforniture per la multinazionale che arriva dai Paesi
emergenti. Senza dimenticare, infine, un altro aspetto importante: per le aziende italiane, avere rapporti con
un grande gruppo cinese o indiano può essere l'occasione per fare un salto di qualità. In che senso? Il
contatto con una multinazionale di questi Paesi può essere sfruttata come opportunità per penetrare in
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mercati molto lontani dall'Italia, difficilmente accessibili per una media impresa del nostro Paese senza un
valido supporto esterno. Come possiamo impedire, invece, che alcune multinazionali emergenti abbiano un
atteggiamento predatorio? Creare in Italia un ambiente favorevole agli investimenti più virtuosi, agevolando la
collaborazione e lo scambio di conoscenze tra le imprese che arrivano dall'estero e i territori in cui si
insediano. Qualche esempio? Di solito, i grandi gruppi dei Paesi emergenti hanno interesse a insediarsi in un
determinato contesto produttivo quando trovano le competenze e la tecnologia giuste per avviare un nuovo
business. È il caso delle aziende cinesi che investono nel distretto automobilistico di Torino o nell'industria
eolica della Danimarca. Tuttavia, se nello stesso territorio le multinazionali si scontrano con una burocrazia
che non funziona e obbliga un dipendente straniero ad aspettare mesi soltanto per avere un visto per i propri
familiari, le stesse aziende sono spinte a tornarsene a casa dopo qualche anno, portando con sé la
tecnologia e il know how acquisiti. L'atteggiamento predatorio degli investitori esteri, insomma, spesso può
essere causato anche da errori dei Paesi di destinazione. Intervista a Roberta Rabellotti, docente di
Economia dello sviluppo e di Economia internazionale all'Università di Pavia
LE MULTINAZIONALI DEI PAESI EMERGENTI NON FANNO SOLO ACQUISTI, SPESSO REALIZZANO
NUOVI STABILIMENTI
PERCHÉ ABBIAMO BISOGNO DEGLI ASIATICI
«Guardiamo a ciò che è successo con l'acquisizione di Alitalia da parte di Etihad: abbiamo speso molti soldi
per difendere l'italianità della nostra compagnia di bandiera e poi, dopo qualche anno, siamo stati costretti a
venderla a un vettore di Abu Dhabi, con una scelta tardiva che si è rivelata inevitabile». Parola di Andrea
Giuricin, che considera un atteggiamento miope e anacronistico il timore delle multinazionali in arrivo dai
Paesi emergenti. Dovremmo accoglierle a braccia aperte, anche se si comprano pezzi importanti del nostro
Paese? Sicuramente non possiamo chiudere loro le porte, in nome di una difesa della proprietà nazionale
delle aziende che finora ha fatto solo danni. In un mondo globalizzato, rinunciare ai capitali che arrivano
dall'Asia o dall'America Latina non ha senso. Se non trovano spazio da noi, sicuramente si indirizzeranno
altrove. Avere l'industria nazionale in mani straniere non è negativo? Prendiamo il caso della Spagna, che
oggi è uno dei maggiori produttori di auto in Europa, con 2,4 milioni di vetture costruite ogni anno. Questo
primato è stato raggiunto grazie alla massiccia dose di investimenti stranieri nella Penisola Iberica, dove
hanno scelto di insediarsi i maggiori gruppi automobilistici del mondo, da Ford a Nissan. L'unica azienda
nazionale di questo settore, cioè Seat, ha un ruolo ormai marginale sul mercato. E allora, viene da chiedersi,
perché un altro Paese non dovrebbe seguire l'esempio spagnolo? C'è chi teme però che queste
multinazionali vengano da noi per prendersi la tecnologia o il marchio di qualche impresa importante, per poi
tornarsene a casa. Non vede questo rischio? C'è sempre, qualunque sia la provenienza di una
multinazionale, quando il nostro Paese non è in grado di creare un ambiente favorevole agli investimenti. Se
l'Italia riesce a essere attrattiva, poco importa se i capitali arrivano da Asia, Europa o dagli stessi italiani.
Quando le nostre aziende vanno nei Paesi emergenti, però, spesso non trovano le porte aperte... È vero.
Piuttosto che trincerarsi dietro a un miope atteggiamento di ostilità verso lo straniero, i Paesi europei devono
battersi nei negoziati del Wto, l'organizzazione mondiale del commercio, per stimolare la reciprocità. Se le
aziende cinesi o indiane possono venire a investire da noi facilmente, anche le imprese italiane e del Vecchio
Continente devono trovare le stesse condizioni in Asia. Intervista ad Andrea Giuricin, economista dell'Istituto
Bruno Leoni e docente di Mobility management all'Università di Milano Bicocca
NEL BENE E NEL MALE Alcuni esempi positivi e negativi di acquisizioni da parte di multinazionali di Paesi
emergenti. In senso orario, il presidente del Parlamento Ue Martin Schulz in visita all'acciaieria di Piombino,
appena comprata dagli algerini; un veivolo della Piaggio Aero, rilevata ma già rivenduta dagli indiani di Tata; il
marchio Guru che, dopo le vicissitudini del fondatore Matteo Cambi, è finita sull'orlo del fallimento nonostante
l'arrivo di una proprietà orientale, e Krizia, brand di moda finito nelle mani di un gruppo cinese
DOVE PUNTANO LE AZIENDE
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Numero di operazioni per settore
CINESI
128
105
97
62
841
118
95
460
197
79 ALTRI SETTORI ELETTRONICA ALTRI SETTORI INDIANE SERVIZI FINANZIARI MECCANICCA E
MOTORI AUTOMOTIVE SOFTWARE SERVIZI ALLE IMPRESE COMUNICAZIONI BIOTECH E
FARMACEUTICA
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RIPARTIAMO DALLE START UP
L'ITALIA ORA PUNTA SULL'INNOVAZIONE, MA RISPETTO A GERMANIA, FRANCIA, REGNO UNITO E
SPAGNA RESTA INDIETRO DI ALMENO DIECI ANNI. PER RECUPERARE IL GAP SERVONO MOLTE PIÙ
RISORSE
MATTEO T. MOMBELLI
La buona notizia è che il treno è partito. Quella meno buona è che viaggia con almeno dieci anni di ritardo. Si
può riassumere così l'attuale ecosistema italiano delle start up, che nell'ultimo anno ha sì visto crescere
esponenzialmente il numero di imprese innovative nel nostro Paese, così come i fondi a esse destinati, ma
che deve fare ancora tanta strada. Oggi il termine start up è diventato sinomino di ripresa, innovazione. Ma
perché seguire il sogno di fondare un'impresa di successo quando si potrebbe, invece, investire su quelle
esistenti? Perché studi internazionali, come quello di Kauffman Foundation, preso in considerazione anche
dallo stesso ministero dello Sviluppo economico, parlano chiaro: le imprese innovative hanno un maggiore
impatto sui livelli di produttività e occupazione rispetto a quelle tradizionali. Un esempio? Il 40% del pil degli
Stati Uniti viene realizzato da imprese che non esistevano 20 anni fa; di questo 40% circa la metà è prodotto
da aziende digitali come Google, Apple e Facebook. Non solo. Mentre Oltreoceano le aziende mature
cancellano un milione di posti di lavoro, le start up ne creano 3 milioni l'anno. In un'economia avanzata come
la nostra c'è poco da fare: crescita del pil e occupazione si creano con le nuove imprese. «Ben vengano
l'apertura di un bar o di un'azienda manifatturiera», sottolinea Andrea Rangone, responsabile degli
Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, ateneo che ha realizzato il primo osservatorio italiano
dedicato alle start up. Il valore aggiunto, però, sono le nuove imprese hi tech. «Sono quelle che reinventano
le regole del gioco, quel motore di novità e produttività di cui il nostro Paese ha bisogno». Un punto di vista
condiviso anche dalla politica, che già dal 2012, attraverso il decreto Crescita 2.0 (poi rinconvertito nella
legge n. 221/2012), ha istituito un regime agevolato per quelle imprese che si occupano di sviluppo,
produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. In altre parole,
start up innovative. ECOSISTEMA TRICOLORE Negli ultimi tre anni attorno a questo termine si è creato
terreno fertile per lo sviluppo di tali imprese. Solo nel 2014 l'osservatorio start up della School of management
del Politecnico ha registrato un aumento del 120% di start up innovative, che oggi sono più di 3.200, si
trovano per il 60% al Nord (il 21% al Centro e il 22% al Sud) e danno lavoro a circa 13 mila persone, tra soci
e dipendenti. A crescere sono state anche le start up finanziate (+74%), gli investitori istituzionali (+16%) e gli
incubatori (cento in Italia); in aumento di circa il 60% le competizioni dedicate e quasi raddoppiati gli spazi di
coworking (62). «Il ciclo è partito», commenta Rangone. «Cresce l'interesse da parte della politica, della
stampa e della finanza, che si avvicina a piccoli passi. C'è più attenzione anche da parte delle università, che
fino a ieri avevano presentato ai giovani altri modelli di successo: meglio manager o consulenti piuttosto che
imprenditori». Di questo è convinto anche Andrea Di Camillo, ex imprenditore e oggi fondatore della società
di venture capital P101; nel corso della sua carriera ha investito in più di 40 aziende (tra cui Yoox, Venere,
Viamente) e co-fondato Vitaminic e Banzai, quest'ultima appena quotatasi a Piazza Affari. «L'ecosistema sta
migliorando e non è solo una questione di numeri. Più se ne parla e sempre più persone valutano l'avvio di
una start up come un'opportunità: posso decidere se mandare un cv a un'azienda o fare la mia azienda»,
spiega Di Camillo. «Così il mercato si migliora a livello qualitativo e culturale, arrivano più soldi e si innesta un
circolo virtuoso. Rispetto a tre anni fa, quando c'era il Medioevo, le cose sono cambiate». UN BUSINESS
SOSTENIBILE? Agli aspiranti Zuckerberg va ricordato che non è tutto rose e fiori. «Le start up sono società
appena nate il cui percorso di crescita dipende dalle capacità degli imprenditori e dei manager che le
gestiscono», ricorda Di Camillo; e durante questo percorso di crescita «alcune diventano belle aziende, altre
limitano le loro ambizioni, altre ancora non vedranno mai la luce. È un fatto normale». Tassi di mortalità
superiori all'80, se non al 90%, un dato che vale sia per gli Stati Uniti che per l'Italia. Per molti il successo è
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
Mercato
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Business People - ed. N.3 - marzo 2015
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una chimera, anche se bisogna distinguere due livelli. È raro assistere a società che arrivano a quotarsi con
grandi Ipo come Yoox o Volagratis, per queste si parla di percentuali decisamente inferiori all'1%. Ma avviare
una nuova impresa non significa per forza realizzare una nuova Paypal o Uber, soprattutto in un Paese che
fa della piccola e media impresa il suo cavallo di battaglia. E se il successo viene visto semplicemente come
la nascita di un business sostenibile, allora le percentuali cambiano e raggiungono anche il 20%. «È molto
importante parlare ai ragazzi anche di questo livello», spiega Rangone. «Start up non significa solo provare a
creare "Facebook 2 la vendetta", start up è poter fare un lavoro che si ama, anche se si arriverà a soli dieci20 dipendenti, senza quotazione o venture capitalist alle spalle, ma divertendosi e contribuendo
all'innovazione del sistema». Ma se almeno il 70% delle imprese che ricevono i finanziamenti non vedrà mai
la luce, il business è conveniente per gli investitori? «Ovvio! Se non lo fosse, non farei questo lavoro», sorride
Di Camillo, che aggiunge: «Una domanda del genere negli Stati Uniti non verrebbe neanche fatta. In un
mercato normale questa è una fase naturale di investimento, che serve a ricambiare il tessuto economico di
un Paese». A.A.A. RISORSE CERCANSI Nel 2013 i finanziamenti complessivi in start up hi tech - provenienti
sia da investitori istituzionali che da business angel e venture capitalist - hanno raggiunto i 129 milioni di euro
(+15% sul 2012); nel 2014 gli ultimi dati disponibili parlano di un bilancio in calo a 110 milioni di euro, dovuto
in buona misura alla chiusura dei fondi con target di investimento sul Sud Italia. Il lato positivo è che si è
comunque registrato un netto incremento del ruolo svolto dagli investitori non istituzionali (business angel,
acceleratori e incubatori), che a oggi pesa per il 50% delle risorse. Numeri che rimangono ben lontani rispetto
a quelli di Germania, Francia, Regno Unito e Spagna: Roma investe in start up un ottavo rispetto a Parigi e
Berlino, un quinto rispetto a Londra e meno della metà rispetto a Madrid. Il problema, spiega il ricercatore del
Politecnico, è che «per almeno un decennio ci siamo completamente dimenticati delle start up hi tech. Dopo
la bolla di Internet negli anni 2000, non le abbiamo più considerate, pensando fosse tutta una fregatura; non
abbiamo considerato che un pezzo del nostro futuro potesse essere legato a esse». In altri Paesi questo non
è avvenuto e ora possono contare su un ecosistema collaudato, con alle spalle almeno 15 anni di esperienza
sul campo. «È come se fossimo un ragazzino alle elementari, mentre Paesi come Francia, Germania e
Svezia sono studenti universitari». C'è quindi un gap temporale enorme da recuperare. Ma il "ragazzino" ha
iniziato il suo ciclo di apprendimento e stuLE SKILL NECESSARIE LA DIFFERENZA LA FANNO LE PERSONE Non tutti nascono imprenditori: la
stessa idea gestita da diversi individui può trasformarsi in fallimento o successo. TESTARE IL MERCATO
Inutile perdere troppo tempo a lavorare sulla carta. Meglio arrivare rapidamente a un prototipo e testarlo sul
mercato per ricevere un feedback dai clienti e creare un prodotto di valore. Soprattutto nel mondo delle start
up digitali, la velocità è un valore aggiunto. COMPORRE IL TEAM DETERMINAZIONE, FORZA DI
VOLONTÀ Bisogna saper condividere con un possibile investitore le proprie ambizioni. Chi finanzia cerca
qualcuno che possa dire: «So che è un rischio, ma posso puntare a fare qualcosa di grande». A volte, sulla
base delle proprie caratteristiche personali e della start up, è utile farsi affiancare da un co-founder, da un
tecnico o da un responsabile commerciale. SE SI ESCLUDE LA DEFINIZIONE GIURIDICA DI "START UP
INNOVATIVA" (STARTUP.REGISTROIMPRESE.IT), ATTORNO A QUESTO SEMPLICE TERMINE SI È
CREATA UN PO' DI CONFUSIONE. C'È CHI LO INTENDE COME L'AVVIO DI UN'ATTIVITÀ
IMPRENDITORIALE, MENTRE PER ALTRI È SINONIMO DI IMPRESE TECNOLOGICAMENTE
AVANZATE. PIÙ CHIARO, INVECE, QUALI SONO LE BASI PER IL SUCCESSO DI QUESTO TIPO DI
AZIENDE:
IN UN'ECONOMIA AVANZATA COME LA NOSTRA C'È POCO DA FARE: CRESCITA DEL PIL E
OCCUPAZIONE SI CREANO CON LE NUOVE IMPRESESARDEX
DECISYON EMPATICA TALENT GARDEN MUSIXMATCH Fonte: Le prime start up segnalate da La top 100
del 2015 di StartupItalia www.decisyon.com Partita come start up, ormai Decisyon è molto di più: un'azienda
ben avviata, una piccola multinazionale italiana del software. Fondata a Latina nel 2005 da Franco Petrucci,
Decisyon ha fatto il salto di qualità nel 2009, grazie all'incontro nella Silicon Valley con un altro italiano,
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Cosimo Palmisano, fondatore della start up Ecce/Customer, poi fusa a quella italiana di cui è divenuto
vicepresidente. Il sodalizio ha portato a una società in grado di creare il servizio che, attraverso
un'approfondita analisi dei dati, anche non strutturati, permette di prendere decisioni migliori all'interno
dell'azienda. Ha ricevuto il più grosso investimento dell'anno fatto in start up innovative in Italia: 22 milioni di
dollari dal fondo Cataliyst. Città Latina Team 115 persone Finanziamenti 37 milioni di dollari
www.empatica.com Nata a Milano nel 2011, ha già più di 150 clienti nel mondo, tra cui la Nasa. Fondata da
tre ingegneri del Politecnico di Milano (Matteo Lai, Simone Tognetti e Maurizio Garbarino), Empatica punta a
migliorare la vita delle persone attraverso l'analisi sofisticata dei dati raccolti da dispositivi wearable. Dopo i
primi device la fusione con uno spinoff del Mit Media Lab di Boston e l'ingresso in società di Rosalind Picard
porta alla nascita di Embrace, primo bracciale che previene gli attacchi epilettici. Il progetto, lanciato sul
portale di crowdfunding Indiegogo, è un successo: raccolti oltre 500 mila dollari, 100 mila dei quali in un solo
giorno. Città Milano e Boston Team 15 persone Finanziamento 2 milioni di dollari www.musixmatch.com
Soddisfare la grande richiesta mondiale di testi delle canzoni con una semplice app. Da questa intuizione
nasce MusiXmatch, realtà bolognese fondata nel 2010 da un team di ex dipendenti Dada, storica Internet
company nata nel 1995. Oggi, grazie a una partnership con Spotify, MusiXmatch sincronizza i testi delle
canzoni con l'album musicale di 30 milioni di utenti nel mondo. La start up ha ottenuto uno dei più grossi
round di investimento nel 2014 e, sempre lo scorso anno, ha superato il milione di euro di fatturato. Città
Bologna Team 30 persone Fatturato 1,5 milioni di euro www.sardex.net Si potrebbe definire il baratto del
terzo millennio quello ideato da Carlo Mancosu e dai fratelli Gabriele e Giuseppe Littera. Sardex ha creato
una moneta di scambio complementare per la fornitura di beni e servizi tra aziende e pmi. Grazie a un circuito
di vendita di prodotti e servizi pari a 36 milioni di beni da 2.500 aziende destinati a rimanere invenduti, la start
up è riuscita a muovere l'economia della Sardegna e creare valore. E oggi il circuito di credito commerciale
realizzato su Sardex.net viene utilizzato in otto regioni italiane. Per iscriversi le aziende devono dare una
quota annuale in relazione al proprio fatturato. Città Serramanna (Vs) Team 46 persone Fatturato 1,2 milioni
di euro talentgarden.org Arriva da Brescia il primo network europeo di coworking digitale, nato con l'obiettivo
di creare un luogo fisico dove riunire tutte le persone di talento che si occupano di innovazione. Lanciato a
fine 2011 nella città lombarda, oggi Talent Garden può vantare una rete di 500 membri residenti e migliaia di
persone che transitano negli spazi allestiti in otto città italiane (Talent Garden è presente anche a Barcellona
e nella lituana Kaunas) durante gli oltre 300 eventi organizzati ogni anno. Città Brescia Team 30 persone
Fatturato 2 milioni di euro
START UP INNOVATIVE IN ITALIA
VALORE DI PRODUZIONE MEDIO
VALORE MEDIO DELL'ATTIVO
DA NORD A SUD:
CHI SONO GLI IMPRENDITORI
QUANTE SONO REGIONE PER REGIONE
2,51%
55
20
83
26,54%
196
382
11,98%
3.348 131.451 € 243.850 €
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665
119
35
10
46 32
253
DISTRIBUZIONE PER SETTORE ECONOMICO
473
90
1.932
Donne TURISMO Stranieri Under 35 COSTRUZIONI COMMERCIO ALTRI SETTORI NON CLASSIFICATE
Aggiornato a Febbraio 2015 Aggiornato a Febbraio 2015 Aggiornato a Settembre 2014 TRASPORTI E
SPEDIZIONI SERVIZI ALLE IMPRESE ABRUZZO BASILICATA CALABRIA CAMPANIA EMILIA ROMAGNA
FRIULI VENEZIA GIULIA LAZIO LIGURIA LOMBARDIA MARCHE MOLISE PIEMONTE PUGLIA
SARDEGNA SICILIA TOSCANA TRENTINO ALTO ADIGE UMBRIA VALLE D'AOSTA VENETO Fonte:
Camere di Commercio d'Italia Aggiornato a Febbraio 2015 ASSICURAZIONI E CREDITO AGRICOLTURA E
ATTIVITÀ CONNESSE ATTIVITÀ MANIFATTURIERE, ENERGIA, MINERARIE
È RARO VEDERE SOCIETÀ CHE ARRIVANO A QUOTARSI CON GRANDI IPO, MA È GIÀ UNA
VITTORIA LA NASCITA DI UNA PMI IN GRADO DI SOPRAVVIVERE