Gregorio Ricci Curbastro

Transcript

Gregorio Ricci Curbastro
Gregorio Ricci Curbastro
Un calcolo italiano per Einstein
Fabio Toscano
Bologna, 11 maggio 2015
In a century that will be remembered foremost for its
science and technology, one person clearly stands out as
both the greatest mind and paramount icon of our age:
the kindly, absent-minded professor whose wild halo of
hair, piercing eyes, engaging humanity and
extraordinary brilliance made his face a symbol and his
name a synonym for genius.
Time, 31 dicembre 1999
Albert Einstein al Carnegie Institute di Pasadena, 14 gennaio 1931
Rik = Tensore di Ricci
[A Padova] incontrai anche
Gregorio Ricci Curbastro, il
padre della teoria dei tensori
[…]. Discendente da una
antica famiglia di Ravenna,
sembrava un gentiluomo di
campagna. Fu un privilegio
incontrare quest’uomo la cui
opera aveva dato nuovo
vigore sia alla geometria sia
alla fisica matematica.
Dirk Jan Struik
Gregorio Ricci Curbastro nel 1924
Lo studente Einstein e la matematica
Il fatto che [al Politecnico di Zurigo] trascurassi in parte le
matematiche dipese non soltanto dal maggior interesse che avevo per
le scienze naturali, ma anche da questa strana esperienza.
Mi accorsi, cioè, che la matematica si divideva in numerosi rami,
ciascuno dei quali si poteva facilmente accaparrare tutto il breve
tempo che ci è concesso di vivere; per conseguenza mi trovai nella
posizione dell’asino di Buridano, che non era capace di scegliere tra
due mucchi di fieno.
D’altra parte, il mio interesse a conoscere la natura era
indiscutibilmente più forte, e da studente non capivo molto bene che
la possibilità di conoscere più profondamente i princìpi fondamentali
della fisica è legata ai metodi matematici più complicati.
A. Einstein, Autobiografia scientifica (1949)
«Grossmann,
aiutami sennò
divento pazzo!»
A. Einstein, agosto 1912
Marcel Grossmann
[Nel 1912] mi resi conto che i fondamenti della geometria
avevano un significato fisico. Quando da Praga tornai a
Zurigo, vi trovai il matematico Grossmann, mio caro amico: da
lui appresi le prime notizie sul lavoro di Ricci e in seguito su
quello di Riemann.
A. Einstein, dicembre 1922
La geometria di Riemann
Nel 1854 Georg Bernhard Riemann
generalizzò le nozioni e le tecniche che Carl
Friedrich Gauss aveva introdotto per
studiare le superfici bidimensionali, così da
descrivere in modo analogo generici spazi a
n dimensioni (varietà riemanniane).
Sempre ispirandosi alle ricerche di Gauss
sulle superfici, Riemann introdusse gli
strumenti cardine per lo studio delle varietà:
la metrica, ossia la regola per trovare le
distanze tra i punti di una varietà data, e la
curvatura. Riemann definì la curvatura di
una varietà nelle immediate vicinanze di
ogni suo qualsiasi punto come «la misura di
quanto la varietà si allontana dalla planeità
in questo punto».
Carl Friedrich Gauss
Georg Bernhard Riemann
La metrica euclidea
■
La metrica riemanniana
La distanza tra due punti di una varietà è il tratto di
geodetica (linea di minimo percorso) che li unisce e
appartiene alla varietà: esso è un segmento di retta
solo nel caso particolare di una varietà piana, mentre
nel più generico caso di una varietà curva è, tra tutti i
tratti di linee curve che appartengono alla varietà e
uniscono i due punti, quello di lunghezza minore.
Le geodetiche di una
superficie sferica sono i
cerchi massimi
Invarianti differenziali
Un’idea che si presentò subito spontanea nello studio
delle varietà riemanniane fu che le proprietà
geometriche delle varietà fossero indipendenti dai
sistemi di coordinate di volta in volta usati.
Pertanto, le proprietà geometriche dovevano essere
rappresentate da invarianti differenziali, cioè da
espressioni differenziali che mantengono inalterati forma
e valore sotto ogni cambiamento di coordinate.
Un esempio immediato e molto importante di invariante
differenziale rispetto a trasformazioni di coordinate è
l’elemento lineare di una varietà (ovvero la distanza tra
due punti della varietà infinitamente vicini tra loro).
Elwin Bruno Christoffel
Rudolf Lipschitz
Eugenio Beltrami
Fu proprio la tradizione di ricerca degli invarianti differenziali di
varietà riemanniane il contesto da cui prese le mosse l’opera di
Gregorio Ricci Curbastro (il calcolo differenziale assoluto, oggi
calcolo tensoriale), opera che di tale tradizione costituì l’apice.
Le tappe del nuovo calcolo
1884: Con la memoria Princìpi di una teoria delle forme differenziali
quadratiche, Ricci iniziò ad affrontare uno studio sistematico di questo
importante capitolo della matematica dell’epoca, motivando le sue
ricerche dall’osservazione che, a suo parere, in geometria si usavano
allora metodi indiretti e artificiosi, che spesso conferivano ai risultati
ottenuti, sebbene molto utili, una struttura poco organica:
“Così, quasi tutti i Geometri che si sono fino a ora occupati di […]
forme differenziali quadratiche come rappresentanti gli elementi
lineari di spazi a n dimensioni, chiesero alle teorie che valgono pel
nostro spazio e per le superficie ordinarie a due dimensioni, norma
alle loro ricerche. E se i risultati a cui giunsero furono notevoli, i
metodi non appaiono sempre chiari e non rendono dei risultati stessi
sufficiente ragione come quelli, che muovono da vedute e
considerazioni, che non hanno colle questioni da risolvere una
connessione necessaria”.
In aggiunta, sosteneva Ricci, diversi studi, riconducibili ora alla
geometria, ora all’analisi, ora alla fisica, mostravano evidenti
connessioni tra loro dovute proprio alle forme differenziali quadratiche.
Scopo dello studio era dunque di esaminare a fondo la natura di tali
espressioni al fine di mettere ordine tra le varie teorie della geometria,
dell’analisi e della fisica, riducendole in via unitaria.
1886: Con l’articolo Sui parametri e gli invarianti delle forme
quadratiche differenziali, Ricci approfondì e sviluppò i temi affrontati
nella memoria precedente, generalizzando i risultati di ricerche
condotte quasi vent’anni prima da Eugenio Beltrami.
1887: Nella memoria Sulla derivazione covariante ad una forma
quadratica differenziale, Ricci presentò in maniera esplicita
quell’algoritmo, la derivata covariante, che ben presto si sarebbe
rivelato essere il perno fondamentale del suo calcolo.
La derivata covariante era già comparsa per la prima volta nel 1869
nell’opera di Christoffel, il quale tuttavia non aveva compreso la
potenza e la ricchezza concettuale della tecnica da lui ricavata.
La svolta tensoriale
Dallo studio della teoria degli invarianti sulle varietà a n dimensioni,
nel 1888 Gregorio Ricci Curbastro fu condotto, nell’articolo Delle
derivazioni covarianti e controvarianti e del loro uso nell’analisi
applicata, a introdurre il concetto di tensore.
Un tensore è un insieme di funzioni (le componenti del tensore)
che si trasformano, al variare delle coordinate, secondo leggi
ben precise.
Queste leggi ricalcano il comportamento, nei cambiamenti di
coordinate, dei coefficienti di molte espressioni differenziali
invarianti (come, per esempio, i coefficienti gij dell’elemento lineare
ds di una varietà).
Grazie a tali leggi, due tensori uguali in un dato sistema di
coordinate restano uguali in qualsiasi altro sistema di
coordinate.
Equazioni covarianti
■
Quelle tra tensori sono dette equazioni covarianti.
Un’equazione covariante è un’equazione formalmente
invariante rispetto a trasformazioni di coordinate:
l’invarianza è nella relazione tra gli oggetti, che sono
tensori, e non negli oggetti stessi.
La caratteristica saliente dei tensori risiede dunque nella
possibilità di usarli per costruire equazioni covarianti rispetto a
un qualsivoglia cambiamento di coordinate.
Questo fa sì, sosteneva Ricci Curbastro, che i tensori risultino
specificamente utili per esprimere tutte quelle relazioni – di fisica,
analisi, geometria – che per loro natura devono essere
indipendenti dal sistema di coordinate scelto.
Le equazioni differenziali, a cui si giunge nelle applicazioni della Analisi alla
Geometria, alla Meccanica e alla Fisica, hanno necessariamente un carattere
di indipendenza dalla scelta delle variabili, che in generale non è messo in
evidenza dalle notazioni comunemente usate, perché con queste non si tiene
conto della forma che le variabili prescelte danno alla espressione
dell’elemento lineare dello spazio. La possibilità di tener conto di questa
forma dipende […] dal fatto che le equazioni […] appunto per la loro
indipendenza dalla scelta delle variabili, contengono sempre dei sistemi di
funzioni, [cioè tensori, come per esempio] le tre componenti di una forza […],
lo spostamento di un punto o del flusso di calore; o delle nove componenti
delle pressioni […], o dei nove coefficienti di conduttività del calore, etc.
G. Ricci Curbastro, 1888
In altri termini, se si vogliono equazioni formalmente invarianti – cioè
equazioni covarianti – per cambiamenti di coordinate, allora le quantità
fisiche, analitiche e geometriche presenti in tali equazioni devono essere
rappresentate da tensori.
L’invarianza delle equazioni tensoriali può consentire così di scegliere le
variabili (coordinate) nei modi più opportuni per semplificare i calcoli e per
una generalizzazione immediata a spazi geometrici di dimensione
arbitraria e di natura qualsiasi (varietà riemanniane).
Il Calcolo di Ricci
Introdotta la nozione di tensore, Ricci Curbastro elaborò un
procedimento di calcolo per i tensori, definendo per essi le
operazioni di somma, prodotto e composizione (o contrazione).
Egli creò inoltre un calcolo differenziale per i tensori, che
generalizzava al loro caso le usuali tecniche dell’analisi classica.
Ricci Curbastro applicò i
suoi metodi a numerosi
problemi in campo
geometrico, analitico e
fisico. In quest’ultimo
ambito fu alquanto
prezioso il contributo del
più brillante degli allievi di
Ricci: Tullio Levi-Civita.
Tuttavia, prima del 1912 il nuovo calcolo non fu adeguatamente
apprezzato dai contemporanei di Ricci, e anzi incontrò notevoli
difficoltà di accettazione.
Premio Reale 1887
È naturale il domandare se l’importanza e la fecondità dei risultati
ottenuti sieno adeguati agli sforzi non lievi […]. Ci sembra che i
lavori del Prof. Ricci, piuttosto che una somma di ultimi risultati
definitivamente acquisiti ed immediatamente utilizzabili,
rappresentino un poderoso sforzo di elaborazione preparatoria,
sforzo che in parte apparisce già conducente ad una meta
onorevole, in parte aspetta la sua giustificazione finale da ulteriori
cimenti, nei quali forse il primitivo e assai complesso apparato
analitico potrà essere definitivamente surrogato da più semplici
algoritmi esecutivi.
Eugenio Beltrami
Premio Reale 1901
A meritare il premio reale [occorre]
almeno un lavoro di un valore veramente
eccezionale […]. Gli algoritmi sviluppati
[da Ricci] si dimostrano certamente utili,
sebbene non indispensabili, nel trattare
varie questioni matematiche; e di ciò
troviamo le prove nei lavori stessi del
Ricci e in quelli di alcuni pochi seguaci.
Ma considerando, nei lavori presentati, i
risultati veramente nuovi acquisiti alla
scienza, [essi] non ci sono apparsi di
tale e tanta importanza da meritare
l’altissima distinzione.
Luigi Bianchi
Einstein scopre Ricci
Al momento mi sto occupando esclusivamente
del problema della gravitazione e ora credo che
riuscirò a superare tutte le difficoltà grazie
all’aiuto di un amico matematico di qui. Ma una
cosa è certa: in tutta la mia vita non ho mai
lavorato tanto duramente, e l’animo mi si è
riempito di un grande rispetto per la
matematica, la parte più sottile della quale
avevo finora considerato, nella mia
dabbenaggine, un puro lusso. In confronto a
questo problema, l’originaria teoria della
relatività è un gioco da bambini.
A. Einstein, ottobre 1912
Grazie al prezioso ausilio di Grossmann, nel 1912 Einstein si
impadronì del calcolo di Ricci (oltre che della geometria di Riemann) e
ne fece lo strumento principe della sua nuova teoria della gravitazione
(teoria della relatività generale).
Entro l’estate del 1912 Einstein aveva già colto il nucleo fisico di una
teoria relativistica della gravitazione:
la gravità non è una forza in senso proprio, bensì è la geometria
(specificamente, la curvatura) dello spazio-tempo determinata dalla
distribuzione di materia ed energia;
■
in particolare, in presenza di materia ed energia lo spazio-tempo
diventa “curvo” (cioè, di tipo non euclideo), mentre in assenza di
materia ed energia sarebbe “piatto” (cioè, di tipo euclideo);
■
così, per esempio, i pianeti orbitano intorno al Sole non perché ne
sono attratti da una forza a distanza, ma perché seguono traiettorie ben
precise (geodetiche) nello spazio-tempo incurvato dalla massa del
Sole.
■
Con l’acquisizione dei concetti cardine della geometria di Riemann, per
Einstein i termini “curvo” e “piatto” venivano ad assumere una precisa
valenza formale: lo spazio-tempo, cioè, doveva essere trattato
matematicamente come una varietà quadridimensionale di tipo
riemanniano.
Alla base della sua teoria della gravitazione Einstein pose il
principio di relatività generale:
Le leggi della fisica devono essere espresse in una forma
che sia identica per sistemi di riferimento dotati di uno stato
di moto qualsiasi.
La codificazione matematica del principio di relatività generale è
allora il principio di covarianza generale:
Le equazioni della fisica devono essere invarianti per
arbitrarie trasformazioni di coordinate.
Nell’agosto del 1912, Einstein e Grossmann non ebbero alcuna
difficoltà ad accorgersi che, facendo ricorso ai metodi di Ricci
Curbastro, il problema matematico della covarianza generale era già
risolto.
Dunque, le equazioni della nuova teoria relativistica della gravitazione
dovevano essere equazioni tensoriali.
Il calcolo di Ricci fu quindi indispensabile nel consentire ad Einstein di
edificare la teoria della relatività generale con rigore e precisione
formale.
Il compito più arduo e travagliato che Einstein dovette affrontare per
giungere a una teoria definita fu quello di trovare l’equazione tensoriale
di campo, ossia l’equazione da cui ricavare il campo gravitazionale
generato da una assegnata distribuzione di materia ed energia.
A tale risultato Einstein pervenne nel novembre del 1915. Con
l’individuazione della corretta equazione di campo la teoria della
relatività generale trovò una struttura logica completa e la sua
formulazione definitiva.
L’equazione tensoriale del campo gravitazionale
■
Times, 7 novembre 1919
Corriere della Sera, 28 ottobre 1921
Riassumendo…
[Il calcolo differenziale assoluto] è una teoria concettuale e algoritmica,
che permette di tradurre le proprietà geometriche e fisiche dello spazio in
forma analitica indipendente dalla scelta delle coordinate, cui lo spazio
s’intende riferito.
Il calcolo differenziale assoluto è, nel suo schema essenziale, opera di G.
Ricci Curbastro […], il quale, movendo dalla nozione di derivazione
covariante introdotta da E. B. Christoffel, lo costituì in corpo di dottrina […].
Dallo stesso Ricci e dai suoi discepoli, fra cui T. Levi-Civita, fu applicato a
numerosi problemi di geometria differenziale e di fisica matematica; ma
attrasse su di sé l’attenzione di tutti i matematici, quando l’Einstein […]
trovò in esso lo strumento mirabilmente preparato e, quasi, predestinato
all’esposizione matematica della sua teoria della relatività generale.
Da allora il calcolo differenziale assoluto è entrato a far parte del comune
patrimonio di cultura dei matematici.
Tullio Levi-Civita e Ugo Amaldi, 1931
Matematica “predestinata”?
La teoria della relatività è un
meraviglioso esempio di come la
matematica ha fornito lo strumento
teorico per una teoria della fisica,
senza che il problema di fisica
abbia avuto un ruolo risolutivo per
le corrispondenti creazioni
matematiche.
I nomi di Gauss, Riemann, Ricci,
Levi-Civita e le loro opere
apparterrebbero ai contributi
importanti del pensiero occidentale
anche se questi non avessero
portato al superamento dei sistemi
inerziali.
Albert Einstein, 1952

Documenti analoghi

Presentazione PDF

Presentazione PDF però – secondo molti – per riottenere risultati noti in modo molto più complicato, diventa uno dei grandi passi del pensiero matematico. Ricci e Einstein si incontreranno solo nel 1921, quando Eins...

Dettagli