Forme di Governo e Scienza Economica

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Forme di Governo e Scienza Economica
Forme di Governo e Scienza Economica
di Hans-Hermann Hoppe
Poiché viviamo in un mondo dove è presente la scarsità, è possibile entrare in conflitto per l’utilizzo delle
risorse limitate. E poiché i conflitti possono sorgere in ogni momento e ovunque si verifichi detta scarsità,
necessitiamo di norme per regolare l’esistenza umana. Norme, il cui scopo è quello di evitare l’ingenerarsi
delle contrapposizioni. E, al fine di scongiurare contrasti anche violenti per il controllo delle limitate risorse,
abbiamo bisogno di regole relative alla loro proprietà esclusiva oppure, per dirla in un altro modo, è
necessario definire in maniera precisa i diritti di proprietà per determinare chi sia titolare di dette situazioni
giuridiche che consentano lo sfruttamento delle risorse.
Queste regole, che la Scuola Austriaca reputa in grado di assolvere il compito di evitare i conflitti, sono le
seguenti: la prima si ascrive alla prerogativa di ogni persona ad essere proprietaria di se stessa e del suo
corpo fisico. La seconda regola si riferisce alla modalità di acquisizione della proprietà e al diritto di
controllo esclusivo sulle risorse, al di fuori del nostro corpo, presenti nel mondo esterno. Inizialmente,
questo non appartiene a nessuno e l’accesso al diritto di proprietà degli oggetti esterni al nostro organismo,
viene ottenuto quando siamo i primi a utilizzare le risorse in questione; attività che ci rende, de facto,
proprietari. Tale atto viene definito “appropriazione originale” o “entrata in possesso”. La terza e la quarta
regola sono implicate dalle prime due: chi utilizza il proprio corpo e gli oggetti di cui si è originariamente
appropriato per produrre qualcosa, per trasformare risorse grezze in prodotti aventi un maggior valore,
diventa automaticamente il proprietario di ciò che ha prodotto. Il produttore è il proprietario del frutto
della sua opera. Infine, l’accesso alla proprietà si può verificare attraverso una cessione volontaria da un
proprietario a un altro.
In questo saggio, ciò che viene enfatizzato è la presenza di regole intuibili relative al proprietà della nostra
persona fisica, che appartiene esclusivamente a noi stessi. Il pensiero di qualcun altro che possa possederci
suona assurdo. Così, l’idea che la proprietà di una risorsa venga assegnata alla seconda persona che l’abbia
messa a frutto invece che alla prima, appare altrettanto assurda. Il produttore non è proprietario del frutto
del suo lavoro, ma tale diritto appartiene a chi non ha realizzato il bene in questione? Ancora una volta,
tutto ciò è assurdo. E, ovviamente, come già detto implicitamente nella regola numero quattro, se
qualcuno potesse sottrarre a un altro individuo la sua proprietà senza consenso o autorizzazione, la civiltà
umana verrebbe distrutta in un solo istante.
Inoltre, è facilmente comprensibile che se queste regole venissero seguite, il benessere ne risulterebbe
massimizzato. Similmente, il rispetto di questi princìpi basilari comporta la reale possibilità che tutti i
conflitti siano ragionevolmente evitati.
La questione si complica in presenza di persone che potrebbero, semplicemente, obiettare: “E con ciò?”
Benché potessimo giustificarle e dimostrare che gli individui riceverebbero dei vantaggi e dei benefici
economici, evitando persino i conflitti qualora si accordassero al rispetto di queste semplici regole,
continuerebbero a esistere dei fuorilegge. Criminali e persone malvagie sussisteranno fintantoché gli
uomini popoleranno il mondo.
Cosa
possiamo
fare
con
queste
persone?
Come
applicare
tali
regole?
Diffonderle non implicherà il loro rispetto da parte degli individui in ogni circostanza; persone cattive
continueranno a esistere sempre.
I liberali della scuola classica hanno fornito una risposta al quesito relativo all’applicazione di tali regole:
questo è l’unico compito che un governo e uno Stato devo assolvere; esso non deve operare in nessun altro
settore, se non assicurarsi che chiunque violi le leggi venga punito e – pur minacciando e irrogando sanzioni
– riportato alla ragione.
In che modo possiamo interpretare questa risposta proveniente dalla scuola liberale – includendo, nel caso
specifico, Ludwig von Mises (poiché la sua posizione in materia era volta a sostenere che tali regole fossero
quelle di una società giusta e che fosse compito dello Stato verificare che i cittadini agiscano
conformemente a tali norme, punendo, o sanzionando chiunque le violi)?
Ora, comprendere se questa opinione sia da ritenersi giusta o sbagliata, che la funzione da attribuire
efficacemente allo Stato sia quella sovraesposta e che questo sia in grado di assolvere a tale compito in
maniera efficiente o meno, dipende, precipuamente, dalla definizione di Stato. Quella che vi fornirò non è
tecnicamente complessa, bensì la formulazione generalmente accettata da chiunque abbia trattato
l’argomento, uno standard: lo Stato è un monopolista territoriale, dotato del potere decisionale e arbitrale
di ultima istanza nello specifico territorio sul quale esercita la sua influenza. Ciò significa che quando
emerge un conflitto, lo Stato è “arbitro” ultimo deputato a decidere chi deve essere “tutelato” e chi, invece,
“soccombere”. Non è possibile appellarsi alla decisione di uno Stato; la sua è la parola finale: o si ha torto o
si ha ragione. E questo, necessariamente, sottintende che la signoria di natura statale è quella finale; lo
Stato è il giudice supremo e la sua decisione insindacabile, ancorché i casi di conflitto coinvolgano lo Stato
stesso o i suoi agenti. Vedremo, successivamente, come tale assunto comporti una rilevante implicazione
sociale, dalla quale scaturiscono importanti conseguenze.
Un corollario di tale enunciato esprime lo Stato quale unica agenzia avente il potere di tassare le persone,
determinare in maniera unilaterale il prezzo da pagare per assolvere a questo servizio, nonché
l’applicazione delle regole ad esso connesso.
Data la definizione di Stato, vorrei dimostrare quanto sia illusorio credere che questo possa essere capace
di assolvere con successo quella che i liberali della scuola classica considerano essere la sua unica funzione,
ossia garantire l’applicazione delle regole.
La prima argomentazione contro questa tesi relativa allo Stato minimo è di natura economica, volendo
constatare come la presenza di un monopolio sia negativa dal punto di vista dei consumatori, mentre la
competizione risulta essere positiva, data la stessa prospettiva. L’enfasi viene posta sul “punto di vista del
consumatore”. Sotto il profilo di un produttore invece, il monopolio rappresenta una condizione ottimale,
contrariamente alla competizione, vista come un fattore di rischio negativo. Viceversa, per i consumatori, la
competizione possiede un’accezione positiva poiché, in uno scenario di monopolio, il prezzo di un dato
prodotto sarà più elevato e la qualità di quello stesso prodotto sarà relativamente più bassa di quella che
dovrebbe possedere, giacché il produttore è “scudato” dalla competizione rappresentata da altri produttori
che vogliono entrare nel mercato offrendo lo stesso prodotto a prezzi più bassi o qualitativamente
superiori. Se vigesse un mercato concorrenziale, invece, vi sarebbe un tentativo costante da parte dei
produttori di ridurre i costi di produzione, offrendo quindi prezzi più bassi ai consumatori e a ottimizzare la
qualità dell’offerta. Se ciò non dovesse verificarsi, il produttore verrebbe semplicemente sconfitto dalla
concorrenza.
Quindi, la prima argomentazione, espressa semplicemente, diverrebbe:
Per quale ragione questo assunto non dovrebbe essere valido anche nella fornitura dei servizi tesi a
garantire la protezione della proprietà privata?
Perché un monopolio in quest’area dovrebbe essere positivo, nonostante sia dimostrata la negatività in
tutte le altre aree?
Quando si parla della produzione di latte, tutti quanti siamo concordi nell’affermare che un monopolio
offrirà un prodotto comparativamente peggiore a prezzi superiori rispetto a quelli di mercato
concorrenziale. Tuttavia, quando si parla di monopolio per la fornitura dei servizi relativi all’ordine e alla
sicurezza, di poteri di decisione finale, la situazione è molto peggiore. Per lo Stato è possibile produrre un
bene di pessima qualità, ma, in quanto monopolista di ultima istanza, potrà fornire altri “prodotti negativi”,
nelle modalità che procederò a illustrarvi.
Se io fossi il decisore finale e avessi l’ultima parola in ogni tipo di conflitto sorto, cosa potrei fare?
Potrei, io stesso, determinare il sorgere di tali conflitti e poi essere l’arbitro ultimo di questi; ho facoltà di
decidere chi ha torto e chi ha ragione. E se fossi stato io a causare il conflitto, appare facile predire quale
sarà la mia decisione finale, in quanto monopolista del mercato. Semplicemente, dirò che ero pienamente
giustificato nel commettere tali azioni contro la parte offesa e la ragione è, comunque, dalla mia parte.
Un poliziotto può colpirti alla testa; ti lamenterai, giustamente, del fatto. Ma chi giudicherà il caso?
Forse non il poliziotto in prima persona, ma un altro individuo il cui datore di lavoro è la stessa agenzia che
ha impiegato anche il poliziotto. Ciò che possiamo facilmente intuire, data la situazione, è che invece di
avere uno scenario in cui esiste e viene promossa la cooperazione pacifica tra gli individui, ne avremo uno
in cui ci saranno continuamente dei conflitti causati da quelle persone che dovrebbero proteggere le nostre
vite e la nostra proprietà. E che la decisione di risoluzione dei conflitti così determinati, verrà fatta in favore
di questi ultimi, a discapito di quelle persone che sono state aggredite dagli stessi agenti dello Stato.
A peggiorare le cose, gli organi dello Stato possono persino decidere che il livello di compensazione, per
avere accesso a questo tipo di giustizia, debba ricadere sulle spalle dei cittadini contribuenti. In sostanza,
possono colpirti alla testa, decidere che tale scelta fosse completamente giustificata, poiché avevi
commesso una mossa sbagliata, e successivamente dirti: per questo servizio, mi devi 100$. E non puoi
rifiutarti di pagare quanto richiesto, altrimenti verresti imprigionato.
Tutto ciò è una diretta conseguenza della definizione di Stato, intenso come arbitro dei conflitti, anche nei
casi in cui esso stesso ne sia stato la causa scatenante.
Come se ciò non bastasse, è possibile applicare a tale scenario l’argomentazione standard contro il mercato
monopolistico: vi sarà una trend di costante deterioramento nella qualità dei servizi giudiziari offerti e, in
parallelo, una trend di crescita dei costi e del prezzo finale per l’offerta di questo servizio. Si paga sempre di
più, per ottenere sempre di meno, in termini di giustizia.
È quindi assolutamente palese la poca fondatezza delle argomentazioni a favore dello Stato minimo, la cui
idea risulta essere un’assurdità.
I liberali della scuola classica, inoltre, hanno commesso un ulteriore errore fatale, nel ruolo di difensori
dello Stato minimo. Quando costoro svilupparono il loro programma – riferendosi a Stati che erano, per la
quasi totalità, delle monarchie, con re e regine – sostennero la tesi secondo la quale gli stati monarchici
fossero istituzioni negative poiché i sovrani possiedono dei privilegi che violano il principio di uguaglianza
davanti alla legge. Ne consegue che il re può compiere atti che ad altre persone semplicemente non sono
concessi e, di conseguenza, diviene necessario istituire una società dove il principio di uguaglianza di fronte
alla
legge
sia
in
vigore.
E quale soluzione proposero? La democrazia.
La maggior parte di loro – quindi non tutti, indistintamente – appoggiò questa tesi; argomentandola
seguendo quella logica secondo cui la democrazia è compatibile con il principio di uguaglianza di fronte alla
legge, poiché tutti possono diventare re o regine, senatori o primo ministro, senza la presenza distorsiva di
una struttura basata sull’ereditarietà della classe sociale.
Il mio obiettivo è quello di dimostrare, come primo punto, l’errore commesso nel credere che la
democrazia implichi l’uguaglianza di fronte alla legge. Quando sostituiamo la democrazia alla monarchia,
l’unico risultato che otteniamo è quello si sostituire i privilegi personali con quelli funzionali. In tale
sistema, i governanti democratici è concesso di godere privilegi che ai normali cittadini sono
categoricamente preclusi.
Un pubblico ufficiale può compiere quelle azioni – secondo il diritto pubblico – che non sarebbe mai
possibile mettere in pratica nell’ambito privatistico. Se rubo danaro dal vostro portafogli, verrò punito
secondo le leggi del diritto privato. Se, invece, compio lo stesso atto in qualità di funzionario dell’Agenzia
dell’Entrate, questo non viene considerato un crimine, benché dal punto di vista del derubato non vi sia
alcuna differenza: le leggi del diritto pubblico consentono il furto.
Sempre con riferimento al diritto privato, se prendo qualcuno, costringendolo a lavorare nel mio giardino
per sedici ore, commetto i reati di rapimento e sfruttamento: entrambi punibili a norma di legge. Se,
invece, un agente dello Stato, nelle vesti di pubblico ufficiale, ti impone l’arruolamento nell’esercito – con il
rischio di morire in missione, o per combattere per difendere la democrazia in qualche angolo del mondo –
l’atto del rapimento e dello sfruttamento viene definito “servizio pubblico per il proprio Paese”.
Se prendo i tuoi soldi per darli a qualcun altro, in qualità di privato cittadino, commetto i reati di furto e
ricettazione. Se lo faccio come pubblico ufficiale, compio un servizio di politica sociale.
Prendere da qualcuno per poi far finta di agire nell’interesse di qualcun altro, apparendo come un generoso
benefattore. Se solo guardassimo la realtà per quella che è, ci accorgeremmo che i nostri politici non fanno
altro se non girare in lungo e in largo il Paese per spendere milioni, “donandoli” alla popolazione; gesti che
fruttano loro medaglie e onorificenze. Ma non stanno “donando”, indubitabilmente, soldi propri. Quindi,
ciò che compiono, a tutti gli effetti, è ricettazione.
Non a caso, potremmo quasi arrivare a sostenere che l’opera svolta dagli Stati è, addirittura, peggio di ciò
che viene commesso dai privati criminali, poiché questi, una volta compiuto il delitto, sono costretti a
sparire dalla circolazione rapidamente. Avremmo, perciò, il tempo di prepararci nel caso volessero tornare,
difendendoci adeguatamente. Gli Stati, al contrario, perseverano… su base istituzionale: rapinano e, la
settimana seguente, tornano sul luogo del misfatto; la storia si ripete invariabilmente.
Ci si può tranquillamente attendere ulteriori visite da parte di queste persone.
È quindi un grosso errore credere che, in presenza di uno Stato democratico, vi sarà automaticamente
uguaglianza di fronte alla legge.
I privilegi funzionali prendono il posto di quelli personali e continuano a persistere come durante un regime
monarchico.
La situazione, tuttavia, è persino peggiore: guardando alla transizione da monarchia a democrazia, dove
tutti possono raggiungere qualunque posizione, senza alcun vantaggio di carattere ereditario, quel che
avviene è un passaggio di consegne da chi ritiene che lo Stato sia una sua proprietà privata a chi ne diventa
un custode temporaneo. E ciò produce dei risvolti drammatici.
Per fornire un esempio, immaginiamo, solo per un secondo, che vi doni una casa. Ora ne siete proprietari;
potete trasmetterla ai vostri figli, venderla sul mercato e tenervi il ricavato derivante dall’operazione.
Oppure, supponiamo che io vi conceda una casa, dicendovi che per i successivi 4-5 anni ne avrete il
controllo esclusivo, ma non ne sarete mai i proprietari, non potete determinare il vostro successore, non
potete venderla sul mercato e tenervi il ricavato; vi sarà solo possibile tentare di accrescere il vostro reddito
sfruttando la casa per i prossimo 4-5 anni.
Credete che, dati questi due scenari, vi sarà una differenza di comportamenti nella gestione della casa?
Senza dubbi ci sarà e, per di più, drastica.
Nel primo caso, sarete interessati a mantenere e preservare il valore della vostra proprietà. Nell’eventualità
ne siate i proprietari, cercherete di non consumare la casa, intesa come risorsa, velocemente. Dopo tutto,
qualora lo faceste, ridurreste il suo valore sul mercato: il prezzo della casa scenderebbe. Nondimeno,
dovreste tutelare i vostri interessi, lasciando qualcosa che abbia un valore alla generazione che vi seguirà.
Ipotizzando, invece, siate soltanto dei meri custodi, quali saranno i vostri incentivi? Il maggiore sarà quello
di massimizzare il profitto derivante dall’abitazione nei prossimi 4-5 anni, indipendentemente da quale sarà
il valore della vostra casa-capitale alla fine del periodo. Anche se questa andasse in rovina, avreste avuto 45 anni di gloria, incrementando il vostro reddito concedendo affitti: bizzarramente, potreste nolehgiare lo
stabile a 20-30 persone contemporaneamente. La carta da parati dopo un po’ cederebbe, il sistema
fognario si intaserebbe, le tubazioni salterebbero, la tappezzeria si rovinerebbe… ma che importanza
avrebbe?
Dopotutto, non sarete costretti a pagare il prezzo per il vostro comportamento, in termini di
depauperamento dell’investimento e della conseguente riduzione del prezzo di mercato, visto che non
siete i proprietari.
Ciò che si vede, attraverso questi esempi, è la differenza in termini “macro” tra la democrazia e la
monarchia: il sovrano ha una prospettiva di lungo-termine; egli ha interesse a preservare il valore nel
tempo del proprio reame, in modo da potere trasmettere qualcosa di pregio alla generazione successiva.
Un politico democratico, sapendo che sarà al potere solo per alcuni anni, avrà come scopo fondamentale
quello di mungere al massimo e il più velocemente possibile la vacca, per poi allontanarsi rapidamente,
indipendentemente dalle conseguenze. I politici democratici hanno una visione ci corto raggio,
contrariamente a quella dei monarchi. E questo rappresenta l’ennesimo errore di coloro che credono che la
democrazia sia una forma di organizzazione sociale vantaggiosa.
Voglio fornirvi una terza argomentazione contraria alla democrazia la quale, in qualche modo, supporta le
tesi in favore della monarchia. Questa si manifesta allorquando le persone obiettano: “ma non siete
sempre in favore dell’accesso libero al mercato? Non dovreste abbracciare l’ideale democratico perché è
legato a tale accesso libero alle posizioni, realizzando la concorrenza? Se fossimo nelle mani di potentati
ereditari, non avremmo questo accesso libero al mercato e non vi sarebbe concorrenza”.
L’argomentazione è valida, sebbene applicabile esclusivamente alla produzione di beni: ossia, la
concorrenza è benefica soltanto in quelle aree di produzione di oggetti che le persone considerano beni.
Questa cessa di apportare benefici e non è desiderabile nella produzione di “mali” (dall’inglese “bad”,
inteso come sostantivo contrario di “good”, ossia bene di consumo), che riducono il livello di benessere del
consumatore. Tuttavia, essere artefici di conflitti e avere la possibilità di deciderne la risoluzione in proprio
favore è un classico “male”. Il potere di tassare rappresenta una produzione di “mali”: ripetono che non c’è
altra scelta, che alla popolazione non è concesso contrastare il diritto arbitrario di imporre la tassazione, o
di stabilire il livello dei prezzi per i servizi offerti.
Nella produzione dei “mali” è auspicabile non avere concorrenza. Solo nella produzione di beni, tale
concorrenza è ben voluta. Non desideriamo averne in servizi che prevedono una competizione a chi tratta
nel modo peggiore le persone, tra chi si dimostra il “migliore” a gestire dei campi di concentramento.
In tali circostanze, è desiderabile assistere ad uno spettacolo quanto più possibile mal organizzato.
Quindi, desideriamo l’incompetenza al potere. Non vogliamo persone che siano efficienti nel tassarci e nel
causare conflitti. La nostra argomentazione, in virtù di quanto sostenuto, è che l’accesso libero al mercato
funziona inversamente nel momento in cui comprendiamo cosa fanno gli Stati quando vengono paragonati
ai produttori di genuini beni di consumo richiesti dai consumatori.
E qui urge fare delle considerazioni. Un Re sale al trono perché ha la fortuna di nascere in una situazione di
potere prestabilita.
Ovviamente, questo fatto non è garanzia della bontà del Re. Se questi è un pessimo individuo, di solito
viene accompagnato da una dinastia, ossia la famiglia di cui egli è membro. Governando pessimamente
causerebbe la rovina del paese, per cui i suoi familiari saranno estremamente preoccupati, considerando
che le conseguenze dei suoi atti potrebbero determinare una perdita o una riduzione del loro potere. Alla
luce di ciò, una dinastia ricorre, usualmente, ad un espediente: circondando il membro in questione da
individui capaci che esercitano potere di controllo. E se nemmeno questo atto funziona, semplicemente si
sbarazzano del sovrano, uccidendolo o facendo uccidere, compiendo quindi una buona azione. D’altra
parte, il salire al potere tramite diritto di nascita, non esclude che il soggetto in questione sia una brava
persona, empatica e paternalistica che si preoccupa del suo popolo. Poterebbe essere davvero una degno
regnante. Questo viene educato e preparato per assolvere i suoi compiti una volta giunto in posizione di
comando. E, solitamente, si conferma nelle sue qualità.
Adesso, domandatevi cosa avviene quando si presenta uno scenario simile, dove però è presente un livello
di concorrenza, in un regime democratico.
In primis, i governanti democratici, benché pessimi, hanno basse percentuali di essere eliminati. Perché
basse? Semplicemente, tutte le persone diranno “Ok, è solo per 4 anni e poi arriverà una brava persona
proveniente dal mio partito che prenderà il suo posto”. Vi sarà, quindi, una certa esitazione nell’eliminare il
governante, poiché tutti saranno concordi nel sostenere che durerà solo 4 anni e, successivamente, le cose
andranno meglio. Da ciò consegue una scarsa propensione a sbarazzarsi dei cattivi governanti, che io
considero negativa.
In secondo luogo, domandatevi se una brava persona potrà mai arrivare alla sommità in un sistema
democratico. Ossia, se una persona dichiara di non voler tassare i ricchi per dare ai poveri, di far rispettare i
diritti di proprietà privata, e che non vede i ricchi come cattivi a tutti i costi e i poveri come buoni e indifesi,
non farà assolutamente nulla, aderirà ai principi del laissez-faire, e non arriverà mai a guidare un governo.
Io penso sia categoricamente impossibile.
Immaginate di gestire una campagna elettorale basandovi su questi princìpi. Potreste vincere le elezioni in
qualche frazione, al più in un piccolo paese dove tutti si conosco, ma non riuscireste mai a riportare una
vittoria in una società con milioni di individui in cui tutti nutrono la segreta tentazione di derubare gli altri,
attraverso il voto, delle loro proprietà e che ricaverebbero benefici personali da queste azioni ladresche.
Tenendo ciò in conto, credo di potere affermare che le monarchie sono chiaramente superiori.
A scanso di equivoci: non sto difendendo le monarchie.
Ora, cerchiamo di trovare una risposta corretta alla domanda iniziale, ossia come garantire l’applicazione
delle leggi. È molto semplice: bisogna abolire i monopoli. Questo obiettivo deve essere intrapreso dagli
individui e dalle agenzie, che dovrebbero aderire a tale principio come chiunque altro. Soltanto una volta
che tale compito viene assolto, abbiamo uguaglianza dinanzi alla legge. Quelle istituzioni, quegli individui
che forniscono il servizio di protezione delle nostre vite e delle nostre proprietà devono essi stessi aderire
alle stesse regole per cui richiedono adesione da parte dei cittadini. È ciò che definiamo una società di
diritto privato puro, nella quale vige solo il diritto privato. Le distinzioni tra diritto pubblico e privato
scompaiono.
Cosa implicherebbe una società simile? Ogni persona dovrebbe avere la facoltà di autodifendersi. Dirò una
cosa molto semplice a riguardo: appare chiaro a tutti che, in una società complessa, noi non produciamo le
nostre scarpe, o cuciamo i nostri vestiti, o tagliamo i nostri capelli, ma ci basiamo sulla suddivisione del
lavoro, anche quando si tratta di compiti estremamente specifici. Nonostante ciò, andrebbe enfatizzato il
principio secondo cui ciascun individuo possiede il diritto di auto-difesa nei confronti di coloro che
minacciano aggressione contro i suoi diritti di proprietà. Sappiamo, per esempio, che nel selvaggio West,
quando il potere del governo federale non si estendeva in tutti gli angoli del paese, e quando tutte le
persone erano pesantemente armate, il tasso di criminalità era significativamente più basso rispetto a
quello attuale. Nei film e documentari sul “selvaggio West” si riproduce una realtà infondata, come
testimoniano molti studi condotti sul tema.
Immaginate, allo scopo, di voler rapinare una banca dove ogni impiegato è armato: morireste molto prima
di uscirne.
La violenza nel “selvaggio West” si manifestava, nella maggior parte dei casi, tra partecipanti consenzienti.
Ossia, se ti recavi in un saloon e, una volta ubriaco, facevi scoppiare una rissa con qualcuno, si decideva di
risolvere la questione all’esterno del locale per stabilire chi avesse torto o ragione – nonostante ciò
comportasse, sovente, qualche morto per strada. Non è un crimine, bensì qualcosa di simile a un incontro
di pugilato.
Nessuno, eccetto le due persone coinvolte, doveva preoccuparsi della questione. Bastava astenersi
dall’andare nei saloon e dall’ubriacarsi, così il “selvaggio West” sarebbe stato un posto abbastanza sicuro
per chiunque.
Un libro estremamente importante su questo argomento è stato scritto da John Lott, “Più pistole, meno
crimine”. L’autore fornisce evidenze empiriche di ogni tipo per dimostrare che, se le persone sono libere di
difendersi, il tasso di criminalità tenderà a calare.
Tuttavia, come ho spiegato precedentemente, in una società a elevata complessità, questa è solo una
piccola parte, un modesto contributo per difendere se stessi. Dovremo affidarci ad agenti e agenzie
specializzate per fornirci questo servizio. E un ruolo di particolare importanza verrà giocato dalle compagnie
assicurative.
Voglio illustrare in che modo una società può fornire questo servizio attraverso un sistema concorrenziale
tra compagnie assicurative, per quanto non ritenga utili allo scopo come queste sono, oggi, concepite.
Questo settore è uno dei più pesantemente regolati. Dovremmo sforzarci di pensare alle compagnie
assicurative intese come libere di competere per accaparrarsi i consumatori presenti sul mercato,
disponibili a pagare per i loro servizi e ai quali sia consentito cambiare i fornitori qualora siano
insoddisfatti del servizio che viene loro erogato da una particolare compagnia.
Cosa possiamo aspettarci in una situazione dove è presente una concorrenza tra compagnie assicurative
che vogliono fornirci tale servizio?
Inizialmente, si ravviserà che, come in tutti i settori in cui vi è concorrenza, i prezzi tenderanno a scendere e
la qualità dei prodotti tenderà a migliorare. Se operassero dei monopolisti, i prezzi probabilmente
sarebbero più alti e la qualità dei prodotti ne risulterebbe ridimensionata.
Il secondo aspetto che emergerà, in tale situazione, consisterà nella possibilità di evitare sovra e sotto
produzioni di sicurezza. Come indirizziamo le risorse alla produzione di birra, latte o macchine? In una
situazione di libero mercato, saranno i consumatori a stabile la direzione e l’intensità di allocazione delle
risorse verso i vari scopi. I consumatori decreteranno in che modo le aziende possano espandersi, ridursi o
sparire dal mercato. In uno scenario di monopolio, nessuno si può porre in diretta competizione con il
produttore. Il monopolista può costringere il consumatore a pagare quanto egli desidera per il bene in
questione.
Quante risorse dovranno essere destinate allo scopo di fornire servizi di sicurezza? La risposta è che
maggiori sono le risorse allocate in questo modo, più elevato sarà il vantaggio del produttore di un
particolare servizio. Dovrebbero essere 10, 100 o 1000 poliziotti? E questi andrebbero equipaggiati solo di
manganelli o dovrebbero avere in dotazione dei mitragliatori? Occorrerebbero dei carri-armati per fornirci
questi servizi?
È facilmente immaginabile che se tutte le risorse di una società venissero utilizzate per proteggerci, non
rimarrebbe nulla per sfamarsi.
Il Governo non sa quante risorse allocare per questi specifici scenari. Ma dovrebbe realizzare che la
“quantità” di sicurezza che desideriamo, la quantità di denaro che vorremo spendere per gratificare la
nostra sensazione di sicurezza, è molto differente da individuo a individuo, da regione a regione.
Ci sono regioni dove i servizi di sicurezza e i relativi fornitori non sono assolutamente necessari. Se abitassi,
da solo, sulla cima di una montagna, potrei difendermi perfettamente da solo; se vivessi in una zona
cittadina densamente popolata, probabilmente sari più incline a pagare per questo tipo di servizio;
similmente, se fossi una signora anziana, sarei più propensa a spendere maggiori risorse in questo settore;
infine, se fossi Schwarzenegger, mi sentirei capace di occuparmene da solo o con alcune guardie del corpo.
Questo problema sarebbe automaticamente risolto se vi fosse libera concorrenza nel settore della
sicurezza. Potresti averne quanta ne vuoi: aumentarla, diminuirla, ma sicuramente non esiste un’entità
superiore che decide di quanta sicurezza tu abbia bisogno. Poiché, ovviamente, per “loro” è sempre meglio
abbondare. Ciò non implica che essi forniscano più servizi, piuttosto, abbastanza semplicemente, che
avranno a disposizione budget sempre maggiori.
Altro vantaggio: i crimini senza vittime. Al giorno d’oggi, una gigantesca quantità delle nostre risorse viene
destinata a combattere i crimini senza vittime, in particolare, ovviamente, la guerra alle droghe. Negli Stati
Uniti vi sono milioni di individui in cella che non hanno commesso nessun delitto, se non quello di aver
fumato erba o sniffato cocaina o qualunque altra sostanza, consumando, quindi, un crimine senza alcuna
vittima.
Possiamo logicamente immaginare che una compagnia disposta ad assicurarti o proteggerti contro i crimini
senza vittime potrebbe richiederti un prezzo più alto rispetto a una che si astiene dal fornire tale servizio?
È lecito prevedere che la maggior parte delle persone, poiché non influenzate dai crimini senza vittime e
non essendo, a loro volta, coinvolte, potranno decidere di non destinare parte delle risorse all’arresto di
una prostituta e di un suo cliente – attività che, dopotutto, non le riguarda in nessun modo. Voglio
semplicemente essere protetto nella mia casa e nella mia proprietà. Pertanto, le compagnie che offrono
questi tipi di servizi di tutela contro i crimini senza vittime, andrebbero immediatamente in bancarotta.
Come ho appena detto, una gran quantità di risorse viene sprecata per combattere contro… i mulini a
vento.
Inoltre, cosa ancor più importante, le compagnie di assicurazione dovrebbero fornirmi un indennizzo in
caso mi accada qualcosa. Si può comprendere che, in virtù del loro monopolio nella fruizione di tali servizi,
le compagnie assicurative diranno “Noi proteggiamo la tua vita e la tua proprietà”. Ma cosa succede
quando taluno rimane ucciso o la casa di talaltro viene violata? Avete mai sentito lo Stato ammettere: “Ho
fallito nel mio compito e, dato il mio insuccesso, vi devo un indennizzo?” Non mi è mai capitato di assistere
a eventi in cui lo Stato riconosce le proprie colpe fallimentari, dichiarando: “Eccovi il giusto indennizzo”.
In un caso simile, le compagnie assicurative vi avrebbero sicuramente indennizzato. Immaginate cosa
accadrebbe se entraste nella sede di una di queste società e dire: “Ok, questo è il premio? Benissimo, lo
pago” e allorquando domandaste “… e se mi succede qualcosa?”, la risposta fosse “Sfiga…”.
Nessuna compagnia assicurativa privata potrebbe permettersi di fornire un servizio seguendo questa linea
di comportamento.
Le persone vogliono tre cose in particolare.
Iniziamo dalla prevenzione. Qual è l’incentivo di un poliziotto pagato con i soldi provenienti dal gettito
fiscale nel prevenire i crimini? La risposta è: “virtualmente nullo”. Il salario di cui beneficia non dipende
dalla sua capacità di prevenire. Anzi, contrastare il crimine è qualcosa di estremamente pericoloso; meglio
evitare e operare infliggendo multe per sosta vietata o eccessi di velocità. Il rischio di subire ritorsioni
violente durante questi tipi di operazioni è estremamente ridotto.
Allora, perché le compagnie assicurative sarebbero capaci di offrire servizi di prevenzione? Poiché,
logicamente, tutto quello che sono in grado di prevenire equivale a ciò per cui non sono costrette a pagare.
Questo rappresenta l’elemento che riduce i loro costi operativi e che le renderà migliori nelle prestazioni.
Cos’altro desiderano le persone?
Il recupero di qualsiasi bene gli fosse rubato o danneggiato. Realisticamente, qual è la probabilità che se
qualcosa viene sottratta dalla vostra abitazione – l’automobile o lo stereo – possa essere effettivamente
trovata e recuperata dalla polizia? “… Te la puoi scordare”.
Non troveranno nulla, se non per caso.
D’altra parte, invece, quale sarà il mio l’incentivo se fossi un “detective” di una compagnia assicurativa?
Dare il meglio di me per rinvenire l’oggetto poiché, qualunque cosa troverò, sarà qualcosa per cui non
dovrò fornire un indennizzo. Una storia esemplificativa: mi trovavo in Italia, quando ad alcuni amici venne
rubata la loro automobile. Denunciammo il furto presso un commissariato della polizia italiana: – “La mia
vettura è stata rubata”, mentre il poliziotto annotava. Alla domanda – “Cosa farete adesso?”, la risposta fu
disarmante: “lo archiviamo…”.
Decidemmo, a questo punto, di rivolgerci ad una compagnia assicurativa tedesca per denunciare lo stesso
problema. Il “detective” incaricato dall’agenzia era un ragazzo tedesco, e la macchina, si badi bene, era
stata rubata in Italia. La ritrovò dopo tre giorni. L’automobile era danneggiata, ciononostante era stata
recuperata, per un’ovvia ragione: era nell’interesse economico della compagnia. Al contrario, questo non è
ravvisato nel servizio monopolizzato offerto dalle forze di polizia; ergo, nessun incentivo a far qualcosa di
simile.
L’ultima cosa che vogliamo, ovviamente, si palesa nell’aspettativa per cui l’autore del “delitto” sia catturato
e
punito.
Una compagnia assicurativa sarebbe indubbiamente incentivata a catturare il criminale, costringendolo a
indennizzare le proprie vittime. Lo farebbero, semplicemente, per ridurre i costi delle loro operazioni.
Come si comporta, invece, lo Stato? In primo luogo, raramente trova i colpevoli, eccezion fatta per i reati
dove sono previste pene capitali. E quand’anche li trovasse, cosa succede? La vittima del crimine viene
indennizzata? Mai sentito di un caso simile: nessuna compensazione per il danno subito (a tal proposito, si
pensi al caso delle ragazze sequestrate a Cleveland e segregate nella stessa abitazione per circa dieci anni, a
poche centinaia di metri dal luogo della loro sparizione: oltre a un encomio solenne per il privato cittadino,
vicino di casa, autore del ritrovamento e al carcere per i responsabili, quale sanzione, a carico delle forze di
polizie locali, sarà prevista per la loro negligenza e imperizia al fine di indennizzare le vittime? NdR).
Infine, questi “criminali” vengono spesso imprigionati. A spese di chi? La vittima paga i costi di
incarcerazione per i chi commette i crimini. E “alloggiare” i detenuti nelle prigioni americane è un affare
costoso. Non mi giocherei la reputazione, ma mi pare di aver letto, qualche anno fa, che il solo “alloggio”
ammonta a $70000 per detenuto. Nel frattempo, a costoro viene persino concesso il privilegio di lamentarsi
circa la qualità del vitto e della pulizia dei servizi igienici. Possono giocare a ping-pong, guardare la TV,
allenarsi nel sollevamento pesi affinché, una volta usciti di prigione, siano persino più in forma a livello
fisico. Hanno la possibilità di studiare Legge – al fine di potersi difendere meglio, in Tribunale, la prossima
volta.
Susseguentemente, le compagnie assicurative non pretenderanno di disarmarvi. Immaginate di recarvi
presso una compagnia assicurativa e, nel porgere questa richiesta: “Voglio che mi proteggiate, qual è il
vostro premio?”, riceveste come replica – “Innanzitutto, per assicurarci che tu sia efficacemente protetto, è
necessario che ci consegni tutte le armi a tua disposizione: se possiedi una pistola o un coltello, consegnale
a noi, al fine di consentirci di migliorare la tua protezione”. Se rispondessero così, sarebbe facilmente
intuibile che sta succedendo qualcosa di strano.
Nonostante l’assurdità di tale proposta, questo è esattamente il comportamento tenuto dallo Stato. In
alcuni casi, si è riuscito persino a proseguire su questa irragionevole strada. In altri Paesi, i “progressi” sono
stati di minore entità. Tuttavia, ovunque, l’obiettivo dello Stato è esattamente lo stesso: disarmarvi. E
questo è esattamente ciò che qualunque agenzia, mossa dall’intenzione di derubarvi, auspica. Non c’è di
che soprendersi: se io fossi nel business dei furti e delle rapine, sarebbe fantastico sapere che nessuno ha
disposizione, nelle proprie abitazioni, coltelli, martelli, mazze, per non parlare di pistole o fucili. Sarei l’unico
armato e ciò renderebbe l’ambiente ideale per il proseguimento della mia attività criminale.
Tornando all’analisi precedente, si realizzerebbe finanche un sistema concorrenziale per la fornitura dei
servizi assicurativi di sicurezza; un tentativo, da parte di tutte le compagnie, di far aderire i loro clienti a
degli standard di comportamento civile. Per esempio, una compagnia dovrebbe rifiutare di offrire
protezione ai “provocatori”, assicurando soltanto in caso di ricevuta provocazione o aggressione, anziché
nell’eventualità io colpisca qualcuno in testa con una mazza e costui voglia vendicarsi. Non potrò richiedere
l’aiuto alla mia compagnia assicurativa nel caso sia stato io stesso l’origine del conflitto tra le parti. Le
compagnie eviteranno questi tipi di conflitti e, al fine di scongiurarli, ogni cliente incluso nel servizio dovrà
accettare di aderire alla seguente formula: “Devi comportarti in modo non provocatorio. Solo seguendo
questa regola potrai usufruire dei nostri servizi. Se, al contrario, preferisci vivere come un selvaggio, non ti
accetteremo come cliente”. Verrebbero stilati elenchi di “indesiderabili”, clienti che nessuno vorrà
assicurare a causa degli altissimi rischi a loro correlati. E se si è sprovvisti di copertura assicurativa, la vita
può rivelarsi estremamente pericolosa.
La giustizia dei vigilantes sparirebbe, in quanto diverrebbe estremamente costosa. Esclusivamente in caso
di aggressione, ti sarà concesso di difenderti – con l’assicurazione a coprirti le spalle. Le vendette trasversali
cesserebbero di esistere immediatamente in un libero mercato di fornitura dei servizi di sicurezza.
Vieppiù, in siffatto contesto verranno offerti diversi tipi di contratto. Allo stato attuale, non ne è presente
alcuno con lo Stato; questo afferma, semplicemente e non senza presunzione: “vi proteggiamo” . Ma esiste
qualcosa, un sostegno al quale aggrapparsi, che stabilisca se e quali conseguenze si verificano a seconda di
ciò che può avvenire nelle più svariate situazioni in cui lo Stato non compie il dovere che si impone in
maniera assoluta? La risposta è: “decisamente no”.
Per converso, recandovi presso una compagnia assicurativa, questa, a fronte del pagamento di un premio,
sarà in grado di offrirvi un contratto di copertura per le diverse tipologie di contingenze riteniate opportuno
tutelare; il premio, ovviamente, sarà graduato sulla base delle vostre richieste e delle effettive possibilità di
offrire tutela, al variare delle circostanze.
Il contratto, ovviamente, non può essere cambiato. La compagnia assicurativa non può impegnarsi in un
particolare accordo, salvo riservarsi il diritto di modificarlo unilateralmente. Peccato che questo sia
esattamente il comportamento tenuto dagli Stati. Questi cambiano costantemente le leggi, rendono illegale
ciò che fino a ieri era considerato lecito, o viceversa. Le regole vengono costantemente modificate; nessun
contratto assicurativo verrebbe mai stipulato se si potessero unilateralmente cambiare le regole, dichiarare
ciò che è legale o illegale e poi cambiare idea in materia.
La presenza di una pluralità di contratti da offrire comporterebbe anche dei vantaggi addizionali. Possiamo
immaginare
tre
scenari
differenti.
Nel primo, due individui sono in conflitto l’uno contro l’altro e sono protetti dalla stessa compagnia
assicurativa. È un’eventualità plausibile, tuttavia, sapendo e prevedendo ciò, la compagnia prevederebbe
una clausola apposita che disciplina il comportamento da tenere in simili circostanze e la procedura da
seguire per la risoluzione delle divergenze. Entrambe le parti sottoscrivono queste condizoni, così che
possano agevolmente trovare applicazione.
La seconda circostanza attiene all’insorgere di una contrapposizione tra clienti di compagnie assicurative
differenti. Chiaramente, anche in questa situazione saranno fornite clausole specifiche volte alla risoluzione
di detti contrasti. Se entrambe le compagnie coinvolte arriveranno alla giusta conclusione, stabilendo a chi
attribuire torto e ragione, il problema non sussiste. E, qualunque sia la loro decisione, sarà frutto di un
accordo unanime. Potrebbero esserci delle udienze, ma accadrà esattamente ciò che è stato stipulato e
questo verrà applicato, senza ulteriori complicanze.
L’ultimo è il caso più complicato e affascinante: cosa accadrebbe tra due persone, assicurate con compagnie
diverse, e parti in un conflitto sul quale sono stati espressi giudizi opposti dalle rispettive agenzie
assicurative? Per intenderci, la mia compagnia dice che la ragione è dalla mia parte, mentre la tua sostiene
il contrario. In una siffatta situazione, forse la più classica nella quale ci si può trovare, non possiamo
semplicemente affidarci al giudizio di una delle due compagnie assicurative e lasciare che l’altra si adatti
alla decisione della prima; nessuna offrirebbe un contratto simile, poiché il potenziale cliente rischierebbe
di soccombere in un contenzioso persino là dove avesse, effettivamente, ragione. L’ideale sarebbe
appellarsi a una terza parte: compagnie di arbitrato indipendenti, concorrenti sul mercato, offrirebbero
esattamente questo servizio – porre fine ai contenziosi – senza dipendere da nessuna delle compagnie
coinvolte. A queste spetterà il compito di decidere in questi tipi di conflitti. Quale sarà l’incentivo per
queste compagnie di arbitrato indipendente? Avere la certezza di essere richiamate in futurr udienze,
qualora i convenuti ravvisino che il loro giudizio si è uniformato a criteri di giustizia e alla ricerca del
massimo grado di consenso da entrambe le parti in causa.
Per illustrare al meglio questo concetto, immaginate, per esempio, che esistano agenzie che aderiscono
internamente al Diritto Canonico, alla Legge di Mosé o a quella Islamica. Queste hanno validità tra persone
appartenenti allo stesso gruppo. Ora, cosa avviene quando insorge un conflitto tra un Cristiano e un
individuo assicurato con un’organizzazione islamica?
Indubitabilmente, le agenzie di arbitrato, deputate a decidere in queste circostanze, devono basare le
decisioni espresse su principi di giustizia universalmente condivisi, vale a dire, talmente generali da essere
conformi e accettate dai clienti e dalle agenzie alle quali si sono rivolti. Avremmo quindi leggi di varia natura
affiancate da una costante tendenza a lavorare verso un codice universale di leggi, un massimo comune
denominatore tra tutti i diversi sistemi legali esistenti.
Devo menzionare, nella mia conclusione, l’esistenza di qualcosa di assimilabile a questi concetti, con
riferimento alle relazioni internazionali. Cosa avviene se un canadese si trova in contrapposizione con un
americano? O, più in generale, quando si tratta di individui che, seppur appartenenti a nazionalità diverse,
possono essere materialmente separati da pochi metri di distanza? Non vi è un monopolio giudiziario in
questo caso. Tali persone vivono in uno stato di anarchia vis-à-vis.
Prima osservazione: vi sono più conflitti tra canadesi e americani che si trovano in stretta vicinanza l’un
l’altro o tra due canadesi o due americani che vivono vicini? Difficile fornire una risposta esauriente.
Parimenti, sorgono più contrapposizioni tra svizzeri e tedeschi che si trovano a ridosso dei rispettivi confini
rispetto a due svizzeri o due tedeschi che vivono vicini? Anche qui, prendere posizione è impossibile.
Cosa avviene in questo caso? Lo svizzero si reca presso la Corte svizzera; il tedesco si rivolge al proprio
tribunale. Se trovano un accordo, nessun problema; altrimenti, si ricorre all’arbitrato. Quello che vige nel
nostro attuale sistema è, in realtà, una situazione di semi-arbitrato poiché, dopotutto, anche le Corti
sovranazionali sono composte da persone che vengono indicate dagli Stati d’appartenenze. Ciononostante,
è possibile osservare che, per quanto riguarda la frequenza e la semplicità che caratterizza tali operazioni,
l’assenza di un monopolio giudiziario non è causa di alcun problema.
Il medesimo sistema potrebbe funzionare all’interno di qualsiasi paese.
Pensateci bene…
Articolo di Hans-Hermann Hoppe su Mises.org
Traduzione di Bruno Maria Criscuolo
Adattamento a cura di Antonio Francesco Gravina