linee guida per la qualità dell`attività del medico competente

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linee guida per la qualità dell`attività del medico competente
LINEE GUIDA PER LA QUALITÀ DELL’ATTIVITÀ DEL MEDICO COMPETENTE
Gino Cavallini*, Renzo Montolli*, Paolo Cerioni*; Vincenzo Gieri°, Franco Mauli°; Francesco Brugnone, Luciano
Romeo ; Luciano Marchiori, Mario Gobbi; Lorenzo Rozio; Marco Renso.
* Ordine dei Medici della Provincia di Verona - ° Medico competente -  Istituto di Medicina del Lavoro -  SPISAL
ULSS 20 Verona -  SPISAL ULSS 21 Legnago -  SPISAL ULSS 22 Bussolengo.
1.
LA SORVEGLIANZA SANITARIA
Una visione moderna del concetto di sorveglianza sanitaria, porta a considerare la necessità della sua
effettuazione come diretta conseguenza della valutazione dei rischi e della quantificazione degli stessi. Fino ad ora però
il quadro legislativo era tale per cui la sorveglianza sanitaria doveva essere effettuata esclusivamente nei casi previsti
dalla normativa vigente (art. 16 D.Lgs. 626/94) e quindi solo in presenza di lavorazioni o fattori di rischio tabellati
(DPR 303/56 - D.Lgs.277/91 - D.Lgs. 626/94 - DPR 1124/65 - DPR 336/94) così come affermato anche dalla Circolare
del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 102 del 7 agosto 1995 (Decreto Legislativo 19 settembre 1994 n.
626, prime direttive per l’applicazione) che al punto 5 dice testualmente: “Medico competente. In relazione alla
definizione di tale figura professionale, nell’art. 2, comma 1, lettera d), giova precisare che non si è inteso estendere in una sede del resto solo definitoria e quindi impropria - l’area di intervento del medico competente, generalizzandola
a tutti i settori di cui all’art. 1.
L’area di intervento del medico competente è quindi quella definita nell’art. 16, comma 1, ove si precisa che la
sorveglianza sanitaria, effettuata dal medico competente ai sensi del successivo comma 2, è richiesta solo nei casi
previsti dalla normativa vigente, cioè quando la legislazione precedente (o anche quella di futura emanazione) faccia
espressa previsione dell’intervento del medico competente, come ad esempio nel caso della tabella allegata all’art. 33
del DPR 303 n. 303/56, del D.Lgs. n. 277/91, ovvero dei titoli V, VI, VII ed VIII del decreto legislativo 626/94 di che
trattasi”.
Una correzione di questa linea interpretativa deriverà sia dalla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità
europee del 15 novembre 2001 (obbligo per il datore di lavoro di valutare “...tutti i rischi per la sicurezza e per la salute
dei lavoratori...” e non solo per quelli “tabellati”), dato che il Governo dovrà apportare le modifiche al D.Lgs. 626/94
entro il 9 aprile 2003, ma soprattutto dal D.Lgs. 25/02 che ha abrogato la tabella allegata all’art. 33 del DPR 303/56
riguardante i fattori di rischio di tipo chimico.
Il quadro che in questo modo si verrà a delineare comporterà una rivalutazione del ruolo del medico
competente, visto non più o non solo come colui che effettua accertamenti sanitari con periodicità prestabilite in base
alla sola presenza di un rischio, ma come professionista della prevenzione a tutto campo, che quindi collabora con il
datore di lavoro nella valutazione dei rischi, lo consiglia e indirizza nelle scelte tecniche, organizzative e procedurali,
informa e forma direttamente i lavoratori.
1.1. L’attività del Medico competente
Le principali norme vigenti per la tutela della salute nei luoghi di lavoro assegnano al medico un ruolo primario nel
campo della salvaguardia e promozione del benessere psico-fisico dei lavoratori, in particolare in quelle attività dove i
rischi per la salute sono più consistenti.
Si tratta di un ruolo che dovendosi confrontare con un complesso di aspetti non solo medici, ma anche tecnici,
sociali, etici e legali peculiari, richiede una competenza (e quindi un bagaglio di conoscenze, capacità e motivazioni)
particolare.
A quanti intendono operare in qualità di “medico competente” è richiesta pertanto una professionalità specifica e
qualificata che consenta non solo di proteggere la salute dei lavoratori, ma anche di promuovere l’adeguamento del
lavoro alle loro capacità e condizioni di salute e gestire le complesse, e talora contrastanti, responsabilità nei confronti
di diversi interlocutori (lavoratori, imprese, organi di vigilanza, collaboratori, ecc.) mantenendo la piena indipendenza
professionale.
Il ruolo di questa figura non è quindi solo quello di effettuare gli accertamenti sanitari obbligatori per legge, ma
anche di svolgere numerosi altri compiti che esprimono quanto il Diritto e la Medicina del Lavoro, come disciplina
scientifica e culturale, hanno saputo sviluppare nel corso degli anni per la promozione della salute di tutti i lavoratori.
Nel ricordare, richiamando i principali di tali compiti, i principi del Codice di Deontologia Professionale, del
Codice Etico Professionale per gli Operatori di Medicina del Lavoro dell’I.C.O.H. e della Raccomandazione n. 112 del
B.I.T. sui servizi di Medicina del Lavoro, in questo documento si vogliono sottolineare gli aspetti più rilevanti
dell’esercizio dell’attività di “medico competente” secondo scienza e coscienza, nella piena indipendenza ed autonomia
professionale, nella consapevolezza della rilevanza sociale di tale funzione.
1.2. Visita medica e accertamenti complementari mirati ai rischi.
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Il Medico competente, una volta acquisite tutte le informazioni necessarie, deve predisporre un protocollo
sanitario in cui siano indicati tipo e periodicità degli accertamenti per ogni fattore di rischio.
Gli accertamenti sanitari devono essere finalizzati a verificare la presenza di eventuali effetti patologici a carico
degli organi bersaglio per ogni singolo fattore di rischio cui il lavoratore è esposto e devono essere scelti tra quelli che la
comunità scientifica indica come validi per valutare l’esposizione o l’effetto di un determinato rischio. Scopo principale
della sorveglianza sanitaria è individuare il più precocemente possibile la presenza di eventuali effetti.
Nell’ambito della medicina del lavoro non è giustificabile ricorrere ad accertamenti clinici, strumentali e
bioumorali che non siano in grado di fornire informazioni su eventuali effetti del rischio specifico.
Alcuni esami che espongano essi stessi a fattori di rischio (radiografie o esami invasivi) non possono essere
effettuati come screening ma solo su precisa indicazione clinica (art. 98 D.Lgs. 230/95)e dopo aver acquisito il
consenso informato del lavoratore. Fanno eccezione alcuni esami previsti per legge (assicurazione obbligatoria per
silicosi ed asbestosi). Si ricorda che riguardo alla radiografia del torace per i lavoratori esposti alle fibre di asbesto, tale
esame può essere sostituito dagli accertamenti alternativi elencati nel DM 21 gennaio 1987.
La sorveglianza sanitaria è inoltre finalizzata all’ emissione, sulla base degli accertamenti svolti, del giudizio di
idoneità alla mansione specifica.
In alcuni casi possono rendersi necessari ulteriori accertamenti o per redimere dubbi sull’idoneità lavorativa
oppure per definire un’eventuale malattia correlata al lavoro. Nel caso in cui patologie sospette non siano correlabili ai
rischi lavorativi il medico competente ne darà comunicazione scritta al medico di medicina generale. Se invece sussiste
il dubbio che possa trattarsi di una malattia correlata al lavoro, tutti gli accertamenti saranno a carico del datore di
lavoro.
Per ottemperare all’obbligo dell’ informazione e per assicurare un corretto rapporto con il medico curante, si
ritiene utile che ad ogni lavoratore venga consegnata copia degli accertamenti sanitari eseguiti. Ciò consente anche di
ottemperare all’obbligo di consegna della copia della cartella sanitaria all’atto delle dimissioni dall’attività lavorativa
(art. 4 c.8 D.Lgs. 626/94).
Nel caso in cui il datore di lavoro concordi con i rappresentanti dei lavoratori l’erogazione di accertamenti
sanitari non derivanti dalla presenza di particolari rischi per la salute nell’ambiente di lavoro, dovrà essere acquisito il
consenso informato di ogni singolo lavoratore che sarà libero di effettuare o meno tali accertamenti, il cui risultato sarà
consegnato direttamente ad ogni singolo lavoratore in busta chiusa. Solo nel caso in cui il lavoratore chieda al
medico competente di prendere visione dei risultati di tali accertamenti, questi potrà prenderli in considerazione
qualora comportino delle controindicazioni allo svolgimento dell’attività lavorativa che dovranno essere comunicate
al datore di lavoro. Nel caso in cui non fosse possibile collocare il lavoratore ad una mansione compatibile, dovrà
essere richiesto il giudizio di idoneità alla commissione medica prevista dall’art. 5 della L.300/70 (Statuto dei
Lavoratori).
1.3. Giudizio di idoneità
L’ idoneità alla mansione specifica è la capacità psico-fisica comunemente indispensabile per svolgere una
determinata mansione. Non sempre è indispensabile la completa integrità psico-fisica.
Il giudizio di idoneità varia con il modificarsi delle condizioni psico-fisiche del lavoratore o delle condizioni di
lavoro.
Deve essere comunicato al datore di lavoro, preferibilmente in forma scritta, anche sotto forma di registro degli
accertamenti sanitari periodici. Anche ogni singolo lavoratore deve essere in possesso del giudizio di idoneità sul
libretto sanitario e di rischio lavorativo, per chi utilizza questo strumento, o in altra forma analoga di comunicazione dei
risultati degli accertamenti sanitari.
In caso di giudizio di inidoneità deve essere seguita la procedura prevista dall’art. 17 c. 3 del D.Lgs. 626/94,
informando contestualmente il lavoratore, per iscritto, della possibilità di ricorso entro trenta giorni all’organo di
vigilanza (art. 17 c. 4).
Di fronte ad un lavoratore sul quale sussistano dubbi circa l’idoneità lavorativa è bene che il medico
competente valuti attentamente, con il datore di lavoro, le possibili mansioni alternative esistenti nell’azienda prima di
esprimere un giudizio definitivo.
1.4. Requisiti dei compiti informativi del medico competente.
Uno dei compiti più delicati che riguardano con maggiore frequenza l’attività del medico competente è quello
dell’informazione.
Non è indispensabile definire qui tutte le circostanze in cui tale compito può ricorrere, ma è importante invece
tener presente che in alcuni casi (come ad es. per il referto, i certificati per infortunio o malattia professionale, le
denunce previste dall’art. 139 del DPR 1124/65, i doveri d’informazione di cui all’art. 17 del DLgs 626/94, quelli legati
agli articoli 21 e 22 del Codice Deontologico) tale compito è imposto e definito, nelle circostanze e nei modi, da
espliciti obblighi giuridici.
In altri casi esso rappresenta un dovere implicito, ma non meno vincolante, legato ad altri adempimenti. Ne sono
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esempio le informazioni e le opinioni che il medico è tenuto a fornire nell’ambito della collaborazione prevista dal 6°
comma dell’art. 4 del DLgs 626/94 per la valutazione dei rischi, nella riunione periodica prevista dall’art. 11 o
nell’individuazione di mansioni compatibili con alcune categorie di lavoratori.
Se molteplici sono le occasioni in cui il medico competente è chiamato a fornire informazioni, altrettanto numerosi
possono essere gli argomenti ed i destinatari di tali interventi.
Poiché il significato di questi compiti informativi non è mai indifferente, è necessario affrontarli sempre
responsabilmente ed in modo accorto, come un momento critico della propria attività professionale.
L’utilità delle visite mediche, ad es., si concretizza solo nel momento in cui il giudizio del medico si traduce in una
informazione per i lavoratori ed il loro datore di lavoro. Trattandosi di un’informazione importante è opportuno che essa
sia sempre tempestiva e formalmente esplicita. Ciò è particolarmente doveroso quando l’idoneità di un lavoratore è più
o meno limitata.
Imprenditori, lavoratori, Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, Responsabile del Servizio di Prevenzione
e Protezione, SPISAL, INAIL, ISPESL, Autorità Giudiziaria ed eventuali altri Colleghi devono essere quindi raggiunti
dall’informazione che li riguarda in tempi e tramite messaggi adeguati.
Ogni lavoratore ha il diritto di essere correttamente informato, prima dell’esecuzione della visita medica, della
necessità e degli obiettivi che si prefigge di raggiungere la sorveglianza sanitaria in azienda; ha il diritto di ricevere
copia degli esami da lui eseguiti con semplici spiegazioni dei risultati ottenuti; deve essere informato dei rischi
occupazionali a cui è esposto, delle misure preventive poste in essere per tutelare lo stato di salute, degli effetti a lungo
termine di certe esposizioni professionali e della necessità di sottoporsi a controlli sanitari anche dopo la cessazione
dell’attività lavorativa o dell’esposizione. Deve inoltre essere informato dei diritti-doveri che gli competono.
Dal punto di vista collettivo, almeno una volta l’anno il medico competente deve comunicare, in forma anonima, i
risultati della sorveglianza sanitaria. Ciò può avvenire in assemblea generale o per gruppo omogeneo di rischio e
comunque nell’ambito della riunione periodica con i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e il datore di lavoro.
Deve inoltre collaborare nella scelta dei dispositivi di protezione individuale, informando i lavoratori sui motivi per cui
devono essere utilizzati, intervenendo anche nell’addestramento.
L’art. 23 del Codice Deontologico ricorda autorevolmente che “la cartella clinica deve essere redatta chiaramente,
con puntualità e diligenza, nel rispetto delle regole della buona pratica clinica e contenere, oltre a ogni dato obiettivo
relativo alla condizione patologica e al suo decorso, le attività diagnostico-terapeutiche praticate.” Le comunicazioni
scritte devono essere sempre redatte in maniera facilmente leggibile.
Per quanto riguarda la riservatezza della documentazione sanitaria e la tutela del segreto professionale si deve fare
riferimento al Titolo II, Capo III del Codice Deontologico.
2. IL GIUDIZIO DI IDONEITÀ NEI CONFRONTI DI LAVORATORI APPARTENENTI ALLE
COSIDDETTE CATEGORIE DEBOLI.
2.1. Lavoratori invalidi iscritti alle liste di collocamento obbligatorio
La Legge n° 68 del 12 Marzo 1999 apporta notevoli modifiche rispetto alla precedente normativa sul
collocamento obbligatorio. La novità più importante è l’introduzione del cosiddetto collocamento mirato dei disabili
(art. 2), ossia una “…serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con
disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto…”.
Oltre al concetto dell’inserimento lavorativo mirato, le altre novità significative sono rappresentate da:  l’applicazione
dello strumento della convenzione.  L’abolizione delle rigidità delle assunzioni per categoria.  La previsione di
categorie uniche.  L’assegnazione di agevolazioni correlate alla gravità della disabilità dei lavoratori assunti  La
previsione di un apposito fondo regionale, destinato al finanziamento di programmi di inserimento lavorativo,
alimentato dai proventi degli esoneri ed eventuali sanzioni.
In estrema sintesi, i principi ispiratori della nuova legge sono quelli dell’integrazione sociale e della
valorizzazione della persona disabile. Coerentemente, l’inserimento lavorativo è perseguito in funzione di un’effettiva
integrazione del lavoratore nel contesto lavorativo e viene individuato nel collocamento mirato lo strumento più
adeguato per raggiungere lo scopo. Con ciò la legge n° 68/99 si differenzia in modo significativo dalla precedente
disciplina del collocamento obbligatorio, che dedicava ben poca attenzione alle specifiche esigenze e caratteristiche del
lavoratore e del contesto lavorativo.
Per godere dei benefici previsti da questa legge, il lavoratore interessato deve iscriversi in un apposito elenco dei
lavoratori disabili e rientrare tra le categorie di beneficiari definite dalla stessa legge. Le categorie di beneficiari sono:
1) Disabili fisici, psichici, sensoriali, intellettivi con una riduzione lavorativa superiore al 45% e la condizione di
disabilità. 2) Non vedenti con cecità assoluta o parziale (residuo visivo non superiore a 1/10 in entrambi gli occhi, con
eventuale correzione) e condizione di disabilità. 3) Sordomuti con sordità dalla nascita o prima dell’apprendimento della
lingua parlata e condizione di disabilità. 4) Invalidi del lavoro con un grado di invalidità superiore al 33%. 5) Invalidi di
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guerra, civili di guerra e per servizio con minorazioni comprese dalla I alla VIII categoria cui al DPR 23.12.1978 n° 915
e successive modificazioni.
Per la condizione di disabilità si intende il tipo di attestazione rilasciato dalla commissione medica integrata ex
art. 4 della legge 104/92 c/o ASL.
Si sottolinea che tutti i datori di lavoro pubblici e privati con più di 14 dipendenti sono tenuti ad avere alle loro
dipendenze un numero di lavoratori disabili secondo quote prestabilite così differenziate- Datori di lavoro che occupano
da 15 a 35 dipendenti: 1 disabile. Da 36 a 50 dipendenti: 2 disabili. Oltre i 50 dipendenti: il 7% dei lavoratori occupati.
Possono essere computati nel numero dei disabili anche i lavoratori già assunti che acquisiscono l’invalidità durante il
rapporto di lavoro. In questo caso la percentuale non basta sia superiore al 45% ma deve essere uguale o superiore al
60%.
Gli organismi incaricati di realizzare concretamente l’inserimento lavorativo dei disabili garantendo
l’applicazione ed il funzionamento della Legge 68/99 sono  Commissione A.S.L. di accertamento invalidità e disabilità
ex art. 1 co. 4 L. 68/99 la Commissione provinciale per il lavoro. Comitato tecnico provinciale.  i Servizi preposti al
collocamento. Servizi per l’inserimento lavorativo dei disabili (S.I.L.)
Alla prima è affidato il compito di accertare mediante una diagnosi funzionale le condizioni di disabilità del
lavoratore che ha presentato l’idonea domanda, di controllare la permanenza dello stato invalidante, di valutare ed
accertare se il lavoratore già disabile ed assunto come tale può continuare a svolgere la propria mansione all’interno
della stessa azienda, fornire suggerimenti in merito ai servizi di sostegno e agli strumenti atti all’inserimento lavorativo.
Alla Commissione provinciale del lavoro è affidato un ruolo di indirizzo delle politiche per l’inserimento lavorativo dei
disabili. Il Comitato tecnico, composto da funzionari esperti del settore sociale, dei Servizi per l’impiego, medico legale
e di medicina del lavoro, ha compiti di consulenza tecnica e definire gli strumenti e le prestazioni atti all’inserimento. I
Servizi preposti al collocamento e i S.I.L. collaborando tra di loro, secondo le rispettive competenze, hanno il compito
di: programmare, attuare, verificare gli interventi di inserimento lavorativo dei disabili. Di avvio al lavoro, tenuta delle
liste, rilascio delle autorizzazioni, degli esoneri e delle compensazioni territoriali, stipula delle convenzioni, attuazione
del collocamento mirato.
Quando gli organismi competenti (che possono variare in ogni regione e da provincia a provincia in base a
trasferimenti di competenze decise dalle regioni stesse) deve, alla fine del percorso, abbinare la persona con una
disabilità ad un posto di lavoro sorge generalmente un problema. Da un verso vi è una sufficiente documentazione di
tipo sanitario e di profilo complessivo della persona da inserire, dovuta in gran parte al lavoro compiuto a monte dalla
commissione di accertamento dell’invalidità e della disabilità ai sensi dell’art. 1, co. 4 L. 68/99. Dall’altra vi è una
scarsissima descrizione, documentazione, illustrazione del posto di lavoro, della mansione, dei compiti che l’azienda
intende affidare al soggetto disabile. Il medico competente deve a questo proposito collaborare in modo attivo con il
datore di lavoro nella descrizione del profilo professionale richiesto, ponendo in primo piano sia le capacità richieste sia
i rischi che la mansione e l’ambiente di lavoro comportano. E’ stata elaborata anche una scheda, che si allega, in cui
l’azienda può fornire in modo dettagliato una serie di informazioni riguardo il profilo richiesto in relazione al posto di
lavoro da ricoprire, che il medico competente è chiamato a compilare in collaborazione con il datore di lavoro.
Con questo meccanismo l’abbinamento lavoratore disabile – mansione lavorativa dovrebbe essere ottimale, o comunque
abbastanza efficace. Risulta però essere indipendente da fattori di rischio lavorativi tabellati presenti in azienda, se
questi ultimi non sono in relazione al tipo di disabilità accertata. Ne deriva pertanto che in questo caso il medico
competente dovrà emettere il giudizio di idoneità alla mansione specifica e, nel caso in cui venisse riscontrata
un’inidoneità, il datore di lavoro dovrà ricollocare il lavoratore invalido assegnandogli una mansione compatibile con le
sue menomazioni, sentito il parere del medico competente.
PERCORSO
 Il lavoratore disabile deve presentare all’Azienda Sanitarie Locale una richiesta al fine di essere sottoposto
all’accertamento dell’invalidità civile (oppure come cieco o sordomuto).
 Successivamente (se la valutazione della commissione per l’invalidità è superiore al 45%) deve richiedere una
valutazione ai sensi appunto della Legge 68/99, in cui viene definito dalla commissione dell’ASL
 Chiede, una volta in possesso della certificazione, l’inserimento nelle liste di collocamento obbligatorio, presso gli
uffici preposti al collocamento dei disabili, di norma a livello provinciale.
 Gli stessi uffici possono elaborare un progetto di collocamento mirato, anche in collaborazione dei Servizi di
inserimento lavorativo delle A.S.L. (Servizi cui il lavoratore può peraltro accedere in modo autonomo, secondo modalità
previste da ciascuna A.S.L.)
 Il progetto di inserimento lavorativo deve prevedere l’abbinamento corretto tra disabilità mansione e ambiente di
lavoro, e può prevedere peraltro una serie di strumenti quali il tirocinio, convenzioni tra le parti, agevolazioni alla ditta,
aumento dei limiti per quanto concerne i periodi di prova e i contratti di apprendistato e formazione lavoro.
 Può essere previsto anche un monitoraggio successivo all’assunzione.
 Deve sottoporsi agli accertamenti sanitari previsti per legge, compresa l’idoneità preventiva del medico competente.
2.2. Minori.
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Il riferimento per l’attività del medico competente nei confronti di tale categoria di lavoratori deve essere il
documento emanato dalla Regione Veneto: Indirizzi applicativi relativi all’attuazione del D.Lgs. 345/99
“Attuazione della direttiva 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro”, come integrato e modificato
dal D.Lgs. 262/00 del quale si riportano di seguito le parti di interesse per il medico competente.
Innanzitutto si ricorda che a decorrere dall’anno scolastico 1999-2000, l’art. 68 della L. 144/99, ferme restando le
disposizioni vigenti per l’adempimento dell’obbligo di istruzione, prevede la progressiva istituzione dell’obbligo di
frequenza di attività formative fino al compimento del 18° anno di età. Tale obbligo, come previsto dall’art. 1 del DPR
257/00 di attuazione del precedente, può essere assolto in percorsi anche integrati di istruzione e formazione:
a) nel sistema di istruzione scolastica;
b) nel sistema della formazione professionale di competenza regionale;
c) nell’esercizio dell’apprendistato.
In sintesi, un ragazzo può iniziare a lavorare solo se:
 ha compiuto 15 anni (verificabile dal documento di identità) e ha assolto l’obbligo scolastico (9 anni di scuola)
(verificabile attraverso la certificazione di assolvimento dell’obbligo scolastico o di proscioglimento rilasciata dalla
scuola);
 viene assunto come apprendista (perché è uno dei percorsi previsti per l’assolvimento dell’obbligo formativo);
oppure viene assunto con contratti a termine che si esauriscono nel periodo di chiusura delle scuole purchè
dimostrino di essersi iscritti per l’anno scolastico successivo presso una scuola statale o paritaria o un centro di
formazione professionale di competenza regionale.
L’art. 8 della L. 977/67 come sostituito dall’art. 9 del D.Lgs. 345/99 e successivamente modificato dal D.Lgs.
262/00 subordina l’ammissione al lavoro dei minori al riconoscimento di idoneità alla specifica attività lavorativa a
seguito di visita medica. Inoltre l’idoneità deve essere accertata periodicamente mediante apposite visite da effettuarsi
ad intervalli non superiori ad 1 anno.
Per qualsiasi rapporto di lavoro, le suddette visite devono essere effettuate a cura e a spese del datore di lavoro il quale
dovrà rivolgersi:
- al medico competente della propria azienda, definito ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 626/94, se il minore viene
occupato in attività per le quali esiste l’obbligo della sorveglianza sanitaria, comprendendo in tale ambito anche le
mansioni con livello di esposizione personale a rumore tra 80 e 85 dBA (situazione che non prevede la sorveglianza
sanitaria per gli adulti).
- al medico del Servizio Sanitario Nazionale se il minore viene occupato in attività per le quali non esiste l’obbligo
della sorveglianza sanitaria (lavorazioni non a rischio).
Per medico del Servizio Sanitario Nazionale si intendono indifferentemente:
 un medico del Distretto Sanitario di Base;
 un medico del Dipartimento di Prevenzione (sarà compito della ULSS definire la competenza);
 un medico Ospedaliero (sarà compito della ULSS definire la competenza);
 un medico di medicina generale convenzionato.
Dal momento che tali certificazioni sono giudizi di idoneità alla specifica mansione è preferibile che le visite
mediche siano effettuate nelle strutture dell’ULSS già da tempo individuate (Servizi SPISAL o SISP dei Dipartimenti di
Prevenzione).
Per la compilazione del certificato di idoneità, il medico deve disporre di informazioni affidabili e dettagliate in
merito ai compiti lavorativi affidati al minore. A tal fine il datore di lavoro dovrà fornire tutte le notizie necessarie alla
ricostruzione delle mansioni svolte dal minore.
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2.2.1 Lavori vietati
L’art. 6 della L. 977/67, sostituito dall’art. 7 del D.Lgs. 345/99, successivamente modificato dal D.Lgs. 262/00,
stabilisce che è vietato adibire i minori alle lavorazioni, ai processi e ai lavori indicati nell’allegato I della stessa legge
aggiunto dal D.Lgs. 345/99 e modificato dal D.Lgs. 262/00.
In deroga al divieto, il datore di lavoro può adibire lavoratori minorenni alle lavorazioni vietate su autorizzazione
della Direzione provinciale del lavoro che la concede alle seguenti condizioni:
- i lavori vietati sono svolti dall’adolescente per indispensabili motivi di formazione professionale (es. apprendistato)
e soltanto per il tempo strettamente necessario alla formazione stessa;
- l’attività viene svolta in ambienti di lavoro di diretta pertinenza del datore di lavoro sotto la sorveglianza di
formatori competenti anche in materia di prevenzione e di protezione;
- l’attività viene svolta nel rispetto di tutte le condizioni di sicurezza e di salute previste dalla normativa vigente in
ordine al quale sarà richiesto parere all’ULSS competente per territorio.
L’autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro viene rilasciata su richiesta del datore di lavoro (il modello
di richiesta di autorizzazione dovrà essere fornito dalla Direzione Provinciale del Lavoro competente per territorio) che
dovrà contemporaneamente attestare il rispetto delle condizioni di sicurezza e salute sul lavoro e la competenza dei
formatori in materia di prevenzione e protezione del lavoro.
Il medico competente dovrà pertanto verificare che la Direzione Provinciale del Lavoro abbia rilasciato detta
autorizzazione prima di emettere il giudizio di idoneità alla mansione del minore.
2.3. Lavoratrici madri.
Le lavoratrici in stato di gravidanza che svolgono attività lavorative pericolose, faticose e insalubri, così come
identificate dalla L. 1204/71, dal DPR 1026/76 e dal Dlgs. 645/96, sono per definizione temporaneamente non idonee a
svolgere quella lavorazione. Tale incompatibilità della mansione non deriva da una valutazione soggettiva del medico,
ma da una presunzione, stabilita per legge, di nocività della lavorazione.
Prima del recepimento della Direttiva Comunitaria con il D. Lgs. 645/96, non veniva attribuita in quest’ambito
alcuna funzione particolare al medico competente. Attualmente egli assume un ruolo determinate sia nella fase di
valutazione dei rischi per la salute riproduttiva, sia per l’attività di informazione delle lavoratrici.
Il D.Lgs. 151/01 “Testo unico sulla maternità e paternità” non ha apportato modifiche rispetto alle norme
preesistenti.
2.4. Lavoratori con problemi di tossicodipendenza o di alcolismo.
In alcune realtà lavorative si possono riscontrare casi di etilismo o tossicodipendenza tra i lavoratori che spesso
rendono estremamente pericolosa, anche per i colleghi, l’attività lavorativa, specie se tali soggetti sono adibiti a
mansioni particolari come la guida di mezzi di sollevamento, il controllo di impianti o di macchinari complessi.
Il Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (D.P.R. 309/90) con l’art. 124 dà diritto ai lavoratori
tossicodipendenti assunti a tempo indeterminato alla conservazione del posto di lavoro per il tempo necessario, non oltre
i tre anni, se accedono ai trattamenti riabilitativi presso i servizi delle ULSS o di altre strutture terapeutico-riabilitative e
socio-assistenziali. L’art. 125 prevede inoltre che: “Gli appartenenti alle categorie di lavoratori destinati a mansioni che
comportano rischi per la sicurezza, la incolumità e la salute di terzi, individuate con decreto del Ministro del Lavoro e
della Previdenza Sociale, di concerto con il Ministro della Sanità, sono sottoposti, a cura di strutture pubbliche
nell’ambito del Servizio sanitario nazionale e a spese del datore di lavoro, ad accertamento di assenza di
tossicodipendenza prima dell’assunzione in servizio e, successivamente, ad accertamenti periodici....” La mancata
emanazione del decreto applicativo previsto rende tutt’ora inapplicabile quest’ultimo articolo per cui il medico
competente è l’unica figura all’interno dell’azienda che attualmente può cercare di mettere in moto un percorso
riabilitativo. Analogamente la “Legge quadro in materia di alcol e problemi alcolcorrelati”, L. n° 125/01, prevede
l’applicazione dell’art. 124 del DPR 309/90 sopra richiamato anche per i lavoratori affetti da patologie alcol-correlate
che intendano accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione. Con la stessa legge viene fatto divieto di assunzione
e somministrazione di bevande alcoliche nelle attività lavorative comportanti un elevato rischio di infortunio o per la
sicurezza, l’incolumità o la salute di terzi. Viene inoltre introdotta la possibilità di effettuare controlli alcolimetrici nei
luoghi di lavoro direttamente dal medico competente o dai medici del lavoro degli organi di vigilanza competenti per
territorio. Si è ancora in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale che individua le aziende ad elevato rischio di cui
sopra.
Attualmente di fronte al dipendente alcolista o tossicodipendente il datore di lavoro spesso assume questi due
tipi di atteggiamento:
1) di rifiuto, con rapido ricorso al licenziamento;
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2) in alcuni casi, soprattutto nei confronti di alcolisti, si assiste ad un’accettazione paternalistica che però comporta una
sottovalutazione del problema e delle sue conseguenze.
Considerando invece la tossicodipendenza e l’alcolismo come malattie, laddove il lavoratore è soggetto a
sorveglianza sanitaria obbligatoria, il medico competente è tenuto ad esprimere il giudizio di idoneità e, in caso di
inidoneità il datore di lavoro, dove ciò è possibile, identifica una mansione alternativa compatibile con lo stato di salute
del soggetto. Se non vi sono mansioni adatte l’unica alternativa al licenziamento è quella di indirizzare il
tossicodipendente presso le strutture deputate alla cura e riabilitazione attraverso l’intervento coordinato di medico
competente, medico curante e SER.T. (Servizio tossicodipendenze). Laddove non è prevista la presenza del medico
competente, il datore di lavoro, oltre a poter richiedere il giudizio di idoneità alla commissione medica ex art.5 della
L.300/70, può attivare lo stesso percorso riabilitativo, attraverso l’interessamento del medico curante che potrà
richiedere una visita di consulenza al Servizio pubblico di medicina del lavoro il quale indirizzerà il lavoratore al
SER.T.
In ogni caso è condizione indispensabile il consenso dell’ interessato.
3. REQUISITI DI IDONEITÀ DELL’AMBULATORIO ANCHE IN RIFERIMENTO ALLA RUMOROSITÀ
AMBIENTALE.
Le caratteristiche dell’ambulatorio aziendale devono essere tali da garantire l’igiene e il decoro. Se tali
caratteristiche minime non potessero essere garantite, le visite mediche dovranno essere effettuate presso uno studio
medico il quale dovrà rispettare i criteri igienico-sanitari normalmente richiesti dai Servizi di Igiene e Sanità Pubblica
delle ULSS al fine del rilascio dell’agibilità e della destinazione d’uso (volume d’aria, antibagno, servizi igienici,
illuminazione, ecc..).
Inoltre, riguardo alla rumorosità ambientale, dovrà essere rispettato quanto previsto nell’allegato VII del D.Lgs.
277/91.
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Bibliografia
1. Verona Medica n° 4 - sett. 1996 - “L’attività del medico competente” - G. Cavallini, V. Gieri, L. Marchiori, R.
Montolli, P. Cerioni;
2. 61° Congresso Nazionale della Società di Medicina del Lavoro e Igiene Industriale - Chianciano Terme - ottobre
1998: “Il giudizio di idoneità specifica alla mansione in medicina del lavoro” - M. Gobbi, L. Marchiori, L. Romeo, E.
Peroni, D. Zambon.
3. Notiziario A.N.M.A., Associazione nazionale medici d’azienda e competenti, n° 4 - dicembre 1994 “Il medico
competente D.Lgs. 626/94” - G. d’Allio.
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