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Se la realtà virtuale si tinge di
rosa
/ 13.10.2016
di Paola Peduzzi
Se il mondo non ascolta le donne, o ne parla male, o predispone per loro un insieme di regole e di
aspettative esclusive e a volte deprimenti – basta vedere gli studi psicologici prodotti in questi ultimi
tempi per spiegare perché una donna, durante un incontro pubblico, deve stare attenta a come
sorride e a quante volte lo fa, certamente non deve alzare la voce, perché se ci prova nessuno
percepisce la sua passione, tutti sentono la sua isteria: Hillary Clinton è avvisata, insomma – perché
non costruire una realtà virtuale dominata dalle donne? Il «New York Magazine» ha pubblicato un
articolo in cui spiega come molte artiste stiano cercando di utilizzare quell’universo inesplorato che
è la realtà virtuale per costruirlo a propria immagine e somiglianza. Si tratta di un’avventura da
pionieri: l’industria della «Vr», virtual reality, è destinata a valere secondo le stime 150 miliardi di
dollari entro il 2020, ma la tecnologia che si applica e le migliaia di possibilità che esistono in una
realtà da costruire offrono alle creatrici di sesso femminile «la rara opportunità» di partire da zero:
nella Vr tutti sono novizi, non ci sono gerarchie, non ci sono formalità, c’è soltanto spazio.
Gran parte delle ossessioni riguardanti la realtà virtuale gira attorno al mondo del «gaming» e del
porno – perché, dicono alcuni, è un’emanazione diretta del dominio maschile della Silicon Valley. La
maggior parte dei soldi investiti in questo settore continua a essere esclusiva di questi due temi, che
sono come è ovvio parecchio redditizi. Quando il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, comprò
Oculus VR un paio di anni fa, disse che l’acquisto era finalizzato alla realizzazione di giochi sempre
più evoluti: il fondatore di Oculus, Palmer Luckey, è tornato di recente nelle cronache perché ha
creato un’organizzazione no profit a favore di Donald Trump specializzata in meme contro Hillary
Clinton – un altro ragazzaccio del mondo hi-tech non esattamente sensibile al ruolo delle donne. Su
questa questione, il dominio maschile nella Silicon Valley con quelle «chiacchiere da spogliatoio»
che lo stesso Trump ha appena sdoganato, sono stati scritti libri e articoli di denuncia, ma invece che
scontrarsi su un terreno tanto accidentato, molte artiste hanno pensato di aprire un altro fronte.
Nonny de la Peña, ex giornalista di «Newsweek» e regista di documentari, è stata definita la
«madrina» della realtà virtuale, dopo che ha prodotto nel 2012 Hanger in Los Angeles, in cui
mostrava la vita di una persona in fila a una banca del cibo nella città californiana. Fu uno dei primi
esperimenti di utilizzo della realtà virtuale per creare empatia, che è il termine più utilizzato quando
si parla della presenza delle donne in questo nuovo mondo. Lavorano su una maggiore sensibilità, le
donne. Ma questo non significa che si rifugiano in segmenti lagnosi o radicalmente femministi. Angie
Smets, produttrice di studio Guerrilla Games della Sony, la scorsa settimana ha lanciato il primo
device della PlayStation per giochi nella realtà virtuale. Per costruire questi nuovi contesti, Smest ha
lavorato con un team a prevalenza femminile per introdurre dinamiche relazionali nei giochi che
fossero innovative e permeate da una sensibilità che, tendenzialmente, non prevale nella visione
classica di questo tipo di giochi di scontri e lotte.
Non esistono soltanto i giochi e i film nella realtà virtuale, esiste anche l’informazione: Kathleen
Lingo è il «commissioning editor» della sezione degli editoriali del «New York Times» che è anche la
casa di alcuni dei contenuti di realtà virtuale che il quotidiano americano ha lanciato, dopo aver fatto
una campagna di marketing sontuosa: ha inviato ai suoi abbonati una Google Cardboard (il costo è di
15 dollari) che si può utilizzare con molte app. L’ultimo servizio di realtà virtuale prodotto dal «New
York Times» è uno splendido viaggio dentro all’hajj alla Mecca, il pellegrinaggio nei luoghi sacri
dell’islam che costituisce il quinto pilastro della religione musulmana. «Se c’è un evento importante,
raccontalo con la realtà virtuale», è il motto della Lingo che, come tutte le sue colleghe pioniere,
pensa che il valore aggiunto di questo nuovo mondo sia il fatto che «non si deve chiedere il permesso
a nessuno».
Come accade in tutti i contesti, sarà poi il mercato a decidere quali prodotti e con quali declinazioni
risulteranno i più seguiti e profittevoli. Ma un mondo virtuale in cui le donne sono pioniere ha già il
suo interesse, e i suoi benefici: nella «Vr» vanno forti le esperienze di donne che imparano come si fa
a negoziare un salario pari a quello degli uomini.