PhotoAid, un`agenzia per il reportage sociale

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PhotoAid, un`agenzia per il reportage sociale
PhotoAid,
un’agenzia per il
reportage sociale
Professione
PhotoAid è un’idea nuova e preziosa che nasce da tre fotoreporter per documentare
e sostenere le organizzazioni umanitarie impegnate in Italia e all’estero: non più
fotografie casuali, ma reportage capaci di promuovere il loro lavoro.
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L’idea è semplice ed interessante allo
stesso tempo. E soprattutto utile. Nasce da
quattro fotografi impegnati nel campo del
reportage sociale che hanno deciso di unire
le loro forze per sostenere, documentare,
far conoscere e, in una parola, aiutare con
le loro fotografie, le organizzazioni non
governative (Ong) e senza scopo di lucro
(Onlus) impegnate nei più svariati progetti
umanitari in Italia e all’estero.
Abbiamo incontrato Michele Cazzani
che, con Nicola Demolli Crivelli, Andrea
Micheli e Francesco Florio, ha fondato
recentemente PhotoAid, Agenzia fotografica non profit per il Reportage Sociale
(www.photoaid.eu).
Come è nata PhotoAid?
Siamo arrivati a questa idea sulla base
delle nostre esperienze personali, molto
simili a quelle di tanti altri fotografi che
spesso cercano di dare una mano agli enti
umanitari documentandone l’attività con i
loro scatti.
E’ una dinamica comune in Italia, che ha
grossi pregi, ma anche grandi limiti.
Il limite più grande è sicuramente quello
dell’aiuto occasionale, dell’intervento
“spot” e non strutturato dei singoli fotografi;
a questo si aggiunge il fatto che non tutte le
Ong hanno la possibilità di usufruirne.
La maggior parte, infatti, per documentare
la propria attività si avvale di scatti amatoriali, realizzati dal proprio personale in
missione; un impegno sicuramente lodevole, ma è drammatico vedere immagini
che non sono in grado di documentare al
meglio il loro lavoro e i loro sforzi.
Non mancano casi sporadici in cui il fotografo professionista dedica il suo lavoro alla
documentazione di un progetto umanitario,
come è successo in passato anche a noi, ma
si tratta pur sempre di eccezioni.
PhotoAid nasce proprio per occuparsi di
tutto questo: per consentire alle organizzazioni umanitarie di avvalersi di materiale
fotografico professionale per illustrare la
propria attività nel modo migliore possibile.
Tutto ciò è ancora più importante da quando
le organizzazioni umanitarie devono presentare il bilancio sociale, in cui viene evidenziato il lato progettuale e pratico: buone foto
aiutano a documentare l’attività in modo più
incisivo e a dimostrare ai finanziatori come
sono stati usati i loro soldi.
Ma non solo: una buona documentazione
fotografica permette di aumentare la visibilità del lavoro ed aiuta a trovare nuovi
sponsor, ad andare oltre gli stereotipi, a
dare una immagine positiva e ottimista
mostrando quello che di buono viene
fatto. Infatti PhotoAid si occupa anche di
contattare giornali e riviste per proporre la
pubblicazione dei reportage e la risposta
delle varie testate è davvero ottima, da D di
Bahia 2004. Foto Andrea Micheli.
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Nairobi, reportage per Amani - Al tuo dio (Foto Nicola Demolli Crivelli).
Repubblica al Corriere della Sera Magazine,
dallo Specchio della Stampa a Famiglia
Cristiana, Avvenire, Internazionale, Vita,
L’Espresso e Panorama.
Inoltre organizza mostre, soprattutto in
spazi all’aperto o in zone di forte passaggio, per far conoscere al grande pubblico
l’attività delle associazioni, aumentando
quindi le possibilità di raggiungere nuovi
sostenitori.
Qual’è il tipo di “linguaggio” delle vostre
fotografie?
Anche questo è un dettaglio molto importante. Le immagini che PhotoAid realizza
intendono caratterizzarsi per un linguaggio
vivace e dinamico, da reportage, che sia
capace di mettere in evidenza e raccontare i successi conseguiti sul campo dalle
Ong nonostante le mille difficoltà di ogni
giorno.
L’immagine moraleggiante, pietistica, cede
quindi il campo, nel nostro modo di lavorare e di vedere, ad un approccio fotografico
concreto, ma sensibile e ottimista.
Quali sviluppi vi attendete per Pho-
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Reportage per Amani - Tanzania, sanità delle donne (Nicola Demolli Crivelli)
Mercato polli a Calcutta: all’alba interi quartieri di Kolkata si trasformano in mercati. Foto di Andrea Micheli per Pyari Onlus
toAid?
Arriviamo tutti da esperienze legate al
reportage sociale, come dimostrano alcuni
lavori fatti nel corso degli anni che abbiamo
messo “in vetrina” sul nostro sito Internet,
ma il primo lavoro in assoluto che abbiamo
svolto come Agenzia è stato quello per la
Onlus Pyari, che sta costruendo una casafamiglia in India.
Tra gli sviluppi futuri pensiamo ai video,
a un portale internet e anche all’ipotesi di
realizzare una rivista free-press sul mondo
della cooperazione umanitaria internazionale.
Come si lavora sul campo? Che difficoltà
deve affrontare il fotografo?
Quando si va a documentare il lavoro delle
organizzazioni umanitarie si deve essere
consapevoli che si va a fotografare una
realtà in cui non si è protagonisti. Ci si
immerge tra persone che fanno un lavoro
difficile in situazioni difficili, specie quando
si tratta di emergenze; bisogna quindi evitare in ogni modo di costituire un fattore di
disturbo, visto che il personale già si occupa
di organizzare e seguire la logistica per il
Agricoltura tradizionale nelle campagne di Balarampur, dove Pyari Onlus sta costruendo la prima casa famiglia. Foto di Andrea Micheli.
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Reportage
nel Kosovo
per la Caritas
ambrosiana
(Foto Michele
Cazzani).
Reportage nel Kosovo per la Caritas ambrosiana (Foto Michele Cazzani).
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Reportage nel Kosovo
per la Caritas
ambrosiana
(Foto Michele
Cazzani).
Reportage per Emergency nel Kurdistan iracheno (Foto Michele Cazzani).
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fotografo.
Occorre mettere da parte l’istinto da reporter d’assalto e lavorare in punta di piedi,
essere pronti a fare un passo indietro, avere
un approccio sensibile e pensare che i veri
protagonisti sono le persone che stanno
lavorando in condizioni spesso critiche.
Quale è stata un’esperienza particolarmente significativa nel tuo caso?
Sicuramente quella con Emergency, una
esperienza molto coinvolgente che mi ha
aperto la strada che sto percorrendo oggi
con PhotoAid.
Tutto è nato grazie alle immagini realizzate
alle Paralimpiadi di Atlanta, fotografie il cui
taglio molto positivo era stato apprezzato da
Gino Strada; mi chiamarono per realizzare
un reportage nel Kurdistan iracheno, presso
il loro centro di riabilitazione e applicazione
protesi per le vittime delle mine antiuomo.
Da questa esperienza è nata la mia passione
per la cooperazione, e ora PhotoAid.
Quello che ho sempre amato di questo
lavoro, la cosa più bella, è che ti porta a
incontrare persone di grande valore; ci si
immerge nelle situazioni e si scatta, ma ciò
che resta di più profondo è l’incontro con
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Reportage per Emergecy - il piccolo Moktar (Foto Michele Cazzani).
Reportage per Emergency (Foto Michele Cazzani).
Reportage per Emergency, centro di riabilitazione (Foto Michele Cazzani).
queste persone e il rapporto che nasce.
Ci sono immagini, tue, dei tuoi colleghi,
che si legano ad esperienze particolari?
Nel mio caso, non posso non ricordare il
lavoro che ho fatto in Kosovo, durante l’invasione serba, per la Caritas Ambrosiana.
Avendo già vissuto situazioni di grande
stress come fotografo in aree di guerra,
pensavo di avere “filtri sufficienti”, ma in
Kosovo mi sono trovato spiazzato: dopo
quel che ho visto succedere là, ho cambiato
il mio modo di fotografare e ho deciso che
non avrei più fotografato la morte, giurando a me stesso che, per raccontarla, avrei
cercato immagini simboliche. Tra queste,
la madre e la figlia che mostrano la giacca
della figlia uccisa qualche giorno prima dai
paramilitari serbi.
La giacca, con il buco del proiettile in bella
vista, dice tutto: è una immagine forte, simbolica di quel che è la guerra, ma non sfocia
nella “pornografia” del mostrare cadaveri.
Un altro scatto molto forte ritrae un uomo
che piange, consolato da un frate in un
cimitero; poco più in là c’era un mucchio
di cadaveri, tra cui quello del figlio.
Ma non occorre mostrarlo, la disperazione
del padre si percepisce lo stesso. Sempre
nello stesso reportage, sono molto legato
alle immagini realizzate nelle parrocchie
dove i padri erano rimasti per assicurare
sostegno spirituale agli anziani che non si
erano rifugiati in Albania, e alle fotografie
dell’arrivo delle forze di pace della Kfor, che
rappresentò la fine di un incubo.
La gente era felice, le famiglie rientravano
nelle loro case, le ragazze in jeans scendevano nelle strade accanto ai vecchi contadini
nei loro abiti tradizionali.
Tornando al lavoro per Emergency, c’è una
immagine realizzata nel centro di riabilitazione di Sulaymaniyah che nasce da una
storia emozionante.
Mi ero fermato qualche giorno presso il
centro per documentare la realizzazione
delle protesi e durante la mia permanenza
arrivò questo ragazzino, Ashad, che aveva
perso la gamba sopra il ginocchio a causa
di una mina antiuomo; ricordo che arrivava
da un villaggio rurale, era molto intimidito
e si guardava intorno circospetto.
Con il passare dei giorni lentamente iniziò a
capire il luogo e si tranquillizzò; quando la
sua protesi fu pronta poteva tornare a camminare ed essere dimesso e proprio allora
incontrò Asfandia, un altro ragazzo ferito
appena arrivato al centro: era timoroso e a
disagio come lui nei primi giorni, ma Ashad
gli raccontò la sua esperienza e gli mostrò
la sua protesi: la foto racconta l’ideale
“passaggio di testimone”. E’ una foto emozionante che racconta nel modo migliore il
lavoro di Emergency sul campo.
Abbiamo rivolto la stessa domanda anche
ad Andrea Micheli.
Un’immagine che ritengo molto significativa è quella che campeggia sull’home
page del sito di PhotoAid e che raffigura
due portieri di squadre calcio che si voltano
le spalle.
Nel maggio del 2004 ero a Bahia assieme
al mio amico Elliott Erwitt (mio maestro
e compagno di tanti viaggi) per raccontare
la vita della città e realizzai questo scatto,
una immagine panoramica eseguita con una
Hasselblad Xpan.
Per un portiere il mondo è davanti, dietro
non esiste nulla, tutta la sua concentrazione
è su quanto è nel suo campo visivo.
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Reportage per Emergency (Foto Michele Cazzani).
Allo stesso modo, secondo le regole classiche della fotografia, in un ritratto devi
lasciar spazio allo sguardo del soggetto,
ma in questa immagine, come in un corto
circuito logico o in un gioco di specchi, proprio dietro al soggetto se ne trova un altro
uguale, anche lui intento nella sua partita e
all’oscuro di quel che gli accade dietro.
La seconda immagine a cui sono molto
legato fa parte del reportage realizzato per
Pyari Onlus (www.pyarionlus.org), un’organizzazione che sta raccogliendo fondi per
la costruzione di una casa famiglia per le
PHOTOAID
E’ possibile sostenere Photoaid versando
un contributo a:
Banca Intesa Milano, conto Photoaid
Agenzia 4237 via F. Sforza 48 Milano
c/c 6153103059/36 - ABI 03069 - CAB
009488
Per informazioni www.photoaid.eu
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bimbe di strada di Calcutta e che ha molto
bisogno di aiuto.
La casa verrà costruita nella stessa campagna che ho fotografato e ospiterà bimbe
abbandonate nella metropoli, che è un posto
infernale (in India spesso le bimbe vengono abbandonate perché crescerle e fornire
loro una dote è un costo troppo alto per le
famiglie); al contrario in campagna la vita
è più serena, una vita povera ma dignitosa,
come si capisce dai volti delle donne che
piantano il riso.
Una curiosità tecnica: avevo finito la scheda di memoria e quindi ho scattato con una
compatta (Casio Exilim, 12 megapixel); uso
spesso le compatte per le fotografie che non
richiedono ottiche speciali o una particolare
velocità.
Per Nicola Demolli Crivelli l’esperienza
nel reportage sociale è stata anche decisiva per una scelta di vita.
Non posso non ricordare le foto del mio
reportage “Tanzania, sanità delle donne”
perché prima di allora non avevo mai visto
nascere un bambino; è in quel piccolo ospedale di Iringa che ho assistito per la prima
volta ad una nascita, un evento che mi ha
suscitato una grande emozione.
Ricordo che la sera, camminando, ero
straordinariamente felice e mi sembrava
di volare.
C’è poi un’altra foto, scattata a Nairobi, che
raffigura un uomo di spalle con le braccia
spalancate mentre all’orizzonte incombe
una grande nuvola minacciosa. Quella
nuvola che nella foto è lontana, in pochi
minuti è arrivata su di noi; mi sono rifugiato in un veicolo ritrovandomi “sommerso”
da bambini; erano dappertutto, due sulle
mie ginocchia, altri appiccicati sulle spalle.
Gli stessi bambini che fino a poco prima
fotografavo ora erano stretti a me, bimbi di
strada puzzolenti e sudati, in un camioncino
dai vetri appannati mentre fuori diluviava.
In quel momento, per la prima volta nella
mia vita, ho capito che volevo dei figli:
adesso sono papà di due bimbi.
Donata Fassio