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Capitolo 3
IL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO
3.1 La natura del Parco
TI Parco Nazionale del Pollino, istituito nel novembre 1993, prende il nome
dal massiccio più alto della zona, e con la sua estensione di circa 193 mila
ettari, è la più vasta e intatta area protetta d'Italia.
È situato nel gruppo montuoso calabro-lucano tra il Tirreno e lo Ionio ed
è formato da una catena di cime con andamento trasversale in direzione
sud-est, separanti l'Appennino dalle montagne silane della Calabria.
Da questo territorio emergono tre principali massicci: quello del Pollino,
situato al centro del Parco; a sud ovest, il complesso dei monti dell'Orsomarso
e, nel settore settentrionale, si erge isolato il Monte Alpi.
Il gruppo del Pollino segna con il suo crinale, disteso lungo la direttrice
NO, il confine tra le due regioni. Esso costituisce il gruppo montuoso più
elevato dell'Appennino meridionale, con le cime più alte e più rappresentative
del Parco (fig. 5): Serra Crispo (2.053 m), Serra delle Ciavole (2.127 m),
Serra del Prete (2.180 m), Monte Pollino (2.248 m) e, per finire, la cima
più alta, Serra Dolcedorme (2.266 m). A nord, il versante lucano del massiccio
si affaccia sulla valle del fiume Sinni con pendici più dolci, sul versante
calabrese a sud, sulla Piana di Castrovillari, con un paesaggio aspro e
selvaggio. Conserva tracce delle ultime glaciazioni testimoniate dai depositi
morenici e dai massi erratici nel Piano di Acquafredda a nei Piani di Pollino.
I Monti dell'Orsomarso costituiscono invece l'ossatura orografica della
zona meridionale del parco, collegati, in un continuum geografico, con il
massiccio del Pollino, attraverso l'altopiano carsificato di Campotenese e
le cime di Cozzo Pellegrino, monte Palanuda, la Montea.
Il complesso racchiude una straordinaria varietà di paesaggi contrapposta
a una semplice conformazione orografica. Nessuna delle cime del complesso
sfiora i 2.000 m di quota: Cozzo del Pellegrino arriva a 1.987 In, mentre la
Mula tocca i 1.935 m.
A settentrione, in posizione marginale nell'ambito del territorio del Parco,
si erge il Monte Alpi (1.900 m). Si tratta di un interessante fenomeno
geologico che finora non ha trovato una spiegazione univoca.
Gli studiosi, infatti, non sono riusciti ancora a spiegare come questa piatta17
fonna carbonatica appartenente alla placca abruzzese-campana abbia potuto
collocarsi nella posizione attuale.
Da queste cime, è possibile abbracciare con uno sguardo, ad occidente, le
coste tirreniche di Maratea, di Praia a Mare, di Belvedere Marittimo e, ad
oriente, il litorale ionico da Sibari a Metaponto.
Per quanto riguarda i sistemi fluviali, il corso d'acqua più importante del
versante lucano del Parco, è il Sinni, che è alimentato da due importanti
affluenti, il Frido e il Sarmento. Il primo, a carattere torrentizio, nasce da
Piano Iannace, nel cuore del massiccio a 1.800 metri di quota e conclude
la sua corsa nei pressi dell' antico convento del Ventrile di Francavilla sul
Sinni. 11 secondo, il Sarmento, inizia la sua corsa nei pressi di Casa del
Conte, una frazione di Terranova del Pollino, attraversa la Gola della Garavina, un profondo canyon di spettacolare bellezza, per immettersi nel Sinni
a ovest di Valsinni.
Il Raganello, torrente famoso per le sue gole nate dall'azione combinata
dell'erosione fluviale e dei movimenti tettonici è alimentato dalle acque
convogliate da Serra delle Ciavole, Toppo Vuturo e Falconara.
Dalle pendici settentrionali di Coppola di Paola sono convogliate le acque
del torrente Mercure, che dopo la confluenza con il Battendiero cambia il
suo nome con Lao. Infine abbiamo la valle del fiume Argentino, un affluente
del Lao, così chiamato per la straordinaria trasparenza delle sue acque
(www.parcopollino.it).
Si tratta di uno scenario vasto e vario nelle sue componenti, con suoli, piante,
animali, climi, uomini, culture, attività che cambiano di passo in passo, da
luogo a luogo, da cima a cima, da vallata a vallata, da paese a paese, da
stagione a stagione, in un continuo, sorprendente alternarsi di viste, di
spettacoli, di colori, di vite.
Questo Parco offre la possibilità di godere di bellezze naturali, ambientali,
paesaggistiche e di testimonianze storiche, artistiche, architettoniche,
monumentali, socio-culturali, antropologiche ed etniche; è un ecosistema
uomo-natura delicatissimo ed eccezionale (Formica, 2001).
3.1.1 Climatologia
Le zone montuose comprese nel Parco Nazionale del Pollino rappresentano
un territorio geograficamente molto complesso, dato la sua posizione a
cavallo di due mari e l'elevata altitudine; ne deriva che anche le caratteristiche
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climatiche dell'intera area risultino molto diversificate.
Dall'andamento termico si evince un clima di tipo mediterraneo con medie
annuali di 15,2°C (14,8°C), 17,4°C (17°C) e 5,5°C rispettivamente per le
stazioni di Maratea, Villapiana Scalo e Ruggio (in parentesi i valori relativi
al periodo 1982-87), cioè per quelle stazioni ubicate rispettivamente alle quote
di 300 m s.l.m., 5 m s.Lm. e 1.600 m s.l.m.. Tutte le stazioni mostrano i minimi
di temperatura nel mese di gennaio ed il massimo nel mese di agosto.
L'analisi dell' andamento delle precipitazioni rivela, anch'esso, un clima
mediterraneo, con i mesi invernali più piovosi, (precipitazioni massime
mensili a dicembre con 168 mm, 205 mm e 335 mm rispettivamente per
Viggianello, S. Severino (1951-87) e Ruggio (1960-62) ed i mesi estivi più
asciutti. La media annuale delle precipitazioni (nel periodo 1982-87) è di
ben 2.527 mm.
Le basse temperature determinano nei mesi invernali frequenti precipitazioni
a carattere nevoso, che coprono i terreni posti a quota superiore a 1.400 m
anche per 5-6 mesi all'anno.
11 regime pluviometrico è influenzato, oltre che dalla altitudine cui si trova
la stazione, anche dalla sua collocazione geografica. Le stazioni lungo il
versante tirrenico hanno mediamente una piovosità più alta rispetto a quelle
poste lungo il margine orientale del Parco. Ad una differente quantità di
pioggia media annuale non corrisponde tuttavia una diversa distribuzione
della piovosità nell'arco dell'anno: è infatti generalizzato per tutte le stazioni
il minimo di piovosità media mensile nel mese di luglio ed il massimo
collocato nel periodo dicembre-gennaio.
In inverno dominano i venti settentrionali che spirano fino a 40-50 km/h,
provocando notevoli abbassamenti della temperatura.
In estate prevalgono i venti meridionali che concorrono ad abbassare l'umidità
relativa dell'aria [Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste (a cura di), 1978].
Analizzando i dati agrometeorologici, rilevati dalla rete di 41 stazioni
elettroniche del S.A.L. (Servizio Agrometeorologico Lucano) che automaticamente monitorano il territorio regionale, emerge che il 2003 si è caratterizzato per i seguenti fenomeni climatici:
• abbondanti precipitazioni del periodo autunnale ed invernale;
• forte gelata primaverile;
• calda e lunga estate.
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Analizzando le precipitazioni, si rileva che nel 2003 sul territorio regionale
sono state registrate ovunque quantità superiori alla media, con una notevole
variabilità tra le varie zone in cui climatologicamente la Basilicata può
essere suddivisa.
Nel Metapontino, in particolare, che rappresenta una delle zone meno piovose
ma anche tra le più floride della Basilicata, sono stati registrati 570 mm, ossia
circa 70 mm in più rispetto alla media annuale (500 mm) dell'arco ionico.
Per quanto concerne la temperatura, il 2003 è stato senza dubbio un anno
che ha lasciato il segno per le sue "anomalie", fenomeno che d'altronde si
è verificato in tutta Italia. Infatti, a fronte di un primo periodo (gennaio)
con temperature al di sopra della media, hanno fatto seguito febbraio, marzo
e la prima parte di aprile, con temperature nettamente inferiori alla media
stagionale, culminate con la gelata dell' 8 e 9 aprile, quando, in molte aree
(Alta Val d'Agri, Collina Materana, Alto Senisese e Lavellese), la temperatura
minima ha fatto registrare valori anche di -5°C, mentre nelle zone costiere
(Metapontino) la minima è stata di -2°C (www.alsia.it).
3.1.2 Aspetti geologici
L'area della Catena del Pollino è un' estesa morfostruttura carbonatica
allungata in direzione N al confine tra Calabria e Lucania. Tale confine
riveste tradizionalmente un particolare interesse nella geologia dell 'Italia
meridionale perché rappresenta la fascia di raccordo tra i terreni sedimentari
dell' Appennino calcareo e le coltri cristallino-metamorfico-sedimentarie
dell' Arco Calabro.
La Catena del Pollino, fatta di rocce carbonatiche meso-cenozoiche, viene
classicamente interpretata come una monoclinale immergente verso NE al
di sotto di terreni ofiolitici e bordata da bacini quaternari. L'assetto tettonico
della dorsale è, in realtà, molto complesso, a causa della scomposizione
della struttura tettogenetica ad opera della deformazione fragile plioquaternaria (Schiattarella, 1996, 1998).
In passato, il confine calabro-Iucano è stato oggetto di studi che hanno
portato a numerose interpretazioni, spesso controverse. I primi studi dell'area
iniziano nel 1904 con De Lorenzo, che ne riconosce una autoctonia totale,
individuando una successione continua dai terreni cristallini alla base, fino
ai depositi plio-pleistocenici di argille azzurre e sabbie. Dopo questa prima
interpretazione, viene riconosciuta una struttura a falde affette da movimenti
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più o meno ampie con sovrapposizioni anomale.
Successivamente, si sono sviluppate più moderne interpretazioni; secondo
Ogniben (1969), il Massiccio del Pollino è costituito da terreni ofiolitici
alloctoni di vario grado metamorfico, denominati Complesso Liguride (per
correlazione con le unità ofiolitiche dell' Appennino Settentrionale), che
poggiano su successioni carbonatiche di età mesozoico-terziaria, denominate
Complesso Panonnide.
TI substrato calcareo del Massiccio del Pollino è stato considerato autoctono
da Selli (1962), e riferito ad una grande unità geologica affiorante dal LazioAbruzzo, fino alla Calabria settentrionale.
Nel settore centro-settentrionale del Pollino affiorano tre distinte unità
strutturali, poste tra loro in contatto tettonico, che sono dall'alto verso il
basso: l'Unità del Frido, il Flysch calabro-Iucano e l'Unità del Pollino.
L'Unità del Frido è costituita da metamorfiti polideformate contenenti
blocchi di dimensione variabile di rocce ofiolitiche e di rocce di crosta
continentale. Questa unità poggia tettonicamente sulle unità carbonatiche
e su vari termini della sottostante Unità del Flysch Calabro-Lucano.
In particolare si riconoscono due subunità tettonicamente sovrapposte, l'una
costituita da prevalenti argilloscisti, l'altra da prevalenti calcescisti.
Dal punto di vista litologico, la subunità ad argilloscisti, rappresentante la
maggior parte dei terreni dell 'Unità del Frido, è formata da argilloscisti
grigio-lucenti e/o nerastri contenenti intercalazioni di metareniti, metasiltiti,
quarziti e più rari livelli di metacalcari, mentre la sovrastante subunità a
calcescisti è costituita prevalentemente da calcescisti di colore grigiastro,
cui si intercalano rari livelli di marmi, quarziti verdastre e argilloscisti.
Le rocce ofiolitiche associate si presentano sottoforma di corpi di peridotiti
serpentinizzate e metabasiti verdine o azzurrine di dimensioni variabili da
qualche metro ad una decina di metri.
Blocchi di rocce cristalline di origine continentale e di metabasalti, calcescisti
e marmi sono inglobate entro le serpentiniti (Monaco et al., 1995).
L'Unità del Flysch Calabro-Lucano (Monaco et al., 1995) è costituita da
una successione non metamorfica, contenente blocchi inglobati tettonicamente. La matrice dell'Unità del Flysch Calabro-Lucano (alternanza peliticocalcareo-arenacea) è rappresentata prevalentemente da argilliti scagliettate
grigio-brune o verdastre con intercalati livelli da pochi cm al metro di
quarzosiltiti e arenarie quarzose a granulometria generalmente fine e di
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colore bruno-verdasto, di calcilutiti marnose e calcareniti grigiastre.
Al di sopra dell'Unità del Aysch Calabro-Lucano e talora dell'Unità del Frido
si trovano in discordanza i terreni che fanno parte della Formazione del
Saraceno. Essa è costituita da una fitta alternanza di prevalenti calcareniti e
calcilutiti grigiastre con liste di selce nera e di sottili interstrati pelitici di colore
grigio-scuro, talora rosso vinato e verdastro. Verso l'alto la successione presenta
più frequenti intercalazioni silicoclastiche arenitiche e microconglomeratiche
in un' alternanza di calcareniti arenacee ed argille siltose grigio-avana.
Raramente affiora un' alternanza di prevalenti marne argillose ed argilliti
marnose, localmente sabbioso-siltose, di colore grigio azzurro con intercalazioni di strati e banchi di arenarie giallastre e di più rari livelli calcarenitici.
I carbonati mesozoico-terziari di piattaforma sono stati variamente denominati
in letteratura da diversi autori (Complesso Panormide di Ogniben, 1969;
Alburno-Cervati di D'Argenio et al., 1973; Unità del Pollino di Amodio
Morelli et al., 1976), ma interpretati, in ogni caso, come terreni derivanti
dalla deformazione della piattaforma campano-lucana.
Le formazioni che compongono l'Unità del Pollino sono rappresentate da
un complesso calcareo-dolomitico, dalla Formazione di Cerchiara e dalla
Formazione del Bifurto.
La Formazione di Cerchiara è costituita da un livello di modesto spessore
(circa 5 m) di mame siltose di colore rosso-vinaccia o giallastro a cui seguono
calcareniti grigiastre contenenti granuli di glauconite.
Più diffusi sono, invece, i terreni della Formazione del Bifurto, consistenti
in argille siltoso-marnose ocracee o grigio-avana e marne giallastre e rossovinaccia contenenti intercalazioni di calcari marnosi, calcisiltiti, calcareniti,
brecciole a macroforaminiferi, di colore grigio-bruno.
Sulle unità precedentemente descritte giacciono depositi quaternari legati
all'aggradazione del Bacino del Mercure o derivanti dal Bacino di S. Arcangelo.
In particolare, si riscontrano sedimenti fluvio-lacustri, che costituiscono dei
depositi rappresentati sia da clasti grossolani, sia da sedimenti fini. I depositi
grossolani sono costituiti da ghiaie quasi interamente calcaree, derivanti
dalla degradazione fisica dei rilievi carbonatici Solo localmente si osservano
litologie relative a metasedimenti ed ofioliti provenienti dallo smantellamento
erosivo dell'Unità del Frido.
La successione fluvio-lacustre ghiaiosa è legata alla formazione di apparati
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deltizi lacustri, mentre i sedimenti fini, costituiti da silt sabbioso-argilloso,
rappresentano i depositi lacustri in senso stretto.
3.1.3 Aspetti geomorfologici
La presenza di potenti assise calcareo dolomitiche e di estesi affioramenti
fliscioidi ha conferito all'ambiente in esame due distinti paesaggi geomorfologici: naturalmente la diversa resistenza dei materiali alle sollecitazioni
tettoniche ha operato nel primo caso una intensa fratturazione che si manifesta
nello stile a faglie ed a placche monoclinali (Timpa di S. Lorenzo, La
Falconara, ecc.) e nel secondo una serie di deformazioni plastiche quali
pieghe a grande e piccolo raggio e laminazioni anche epidermiche.
TI contrasto tra i ripidi versanti dei contrafforti calcarei e le ondulate superfici
del settore nord orientale, rispecchia una situazione piuttosto diffusa nell'Appennino centro-meridionale, ma in questo tratto dell'Appennino Lucano
è esaltata dal passaggio netto, in una superficie piuttosto ristretta, da una
orografia montana ad ambienti di bassa montagna e collina e sottolineata
dalla notevole diversità del modellamento superficiale.
Se, infatti, nell'area a NE dell' allineamento Monte Manfriana, Serra delle
Diavole, Grande Porta Pollino, Serra di Crispo sono particolarmente evidenti
gli effetti dell'erosione normale su materiali praticamente impermeabili,
poco resistenti e franosi, nel settore calcareo-dolomitico agli effetti dell'erosione fluviale sia accompagnano quelli di agenti geomorfologici diversi
(AA:VV, 1981).
I morfotipi dell'intera aerea esaminata possono essere riferiti ai seguenti
cicli di erosione: erosione glaciale, erosione carsica, erosione fluviale ed
alle relative forme di accumulo.
Le forme glaciali
Nel corso del Quatemario, durante la glaciazione wurmiana, la calotta glaciale
si estese fino in Basilicata e Calabria e il manto nevoso, che avvolse le
montagne, ha lasciato tracce ben visibili come circhi glaciali e depositi morenici.
L'area in cui si rinvengono i morfotipi di glaciazione è circoscritta dalle vette
di Serra delle Diavole (2.127 m), Serra Dolcedorme (2.266 m), Monte Pollino
(2.248 m), Serra del Prete (2.180 m) e nel gruppo del Cozzo del Pellegrino.
A differenza di quanto si verifica in altre catena calcaree dell' Appennino
centro-meridionale le forme di erosione non sono molto pronunciate ed il
loro riconoscimento non è immediato.
Le altre forme di erosione sono rappresentate da frammenti vallivi con
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versanti ad U (nei pressi della faggeta di Chiaromonte in prossimità della
testate del Torrente Frido).
La depressione, racchiusa tra le cime precedentemente ricordate e definita
come Piani del Pollino (comprendente il Piano del Pollino, Piano Toscano
e Piana di Acquafredda), caratterizzata dalla presenza di forme di accumulo
glaciale, rappresenta l'area morfotipicamente più significativa di tutta la
zona rilevata.
Le forme carsiche
Thtta la serie dei rilievi calcareo-dolomitici della serie carbonatica mesozoica
è soggetta a fenomenologie carsiche, di grado diverso a seconda delle
condizioni litologiche e strutturali dei singoli litotipi.
Le forme esterne [lapiés, doline, depressioni endoreiche] sono quasi esclusivamente localizzate sui calcari del Cretaceo o sulle placche di detrito
calcareo cementato e solo eccezionalmente si rinvengono le grandi depressioni carsiche tipiche degli altipiani appenninici (i cosiddetti "campi" o
"piani" carsici) (AAVV, 1981).
Esempi di forme carsiche sul Pollino sono l'inghiottitoio dell' Abisso del
Bifurto, la più profonda voragine meridionale, che si apre nel Monte Sellaro
scendendo fIno a 683 m, le bellissime grotte di Serra del Gufo, gli splendidi
pianori carsici ricche di doline e inghiottitoi (Piani di Pollino, Piano Ruggio,
Piano Iannace), i gruppi di doline sulle vette di Serra del Prete e Monte
Pollino, e sorgenti come quella del Frido.
Le forme di erosione fluviale
In queste zone, i processi di erosione fluviale sono particolarmente attivi
data l'alta energia di rilievo e la vicinanza del livello di base generale.
Data la particolare distribuzione dei tipi litologici e le diversità morfotettoniche i processi erosivi si esplicano con modalità differenti nella parte
tipicamente montuosa e nella sezione nord-orientale.
Nei rilievi calcarei, le vie per lo scorrimento superficiale coincidono quasi
sempre con allineamenti tettonici e, dato i bassi tempi di permanenza al
suolo dell'acqua di precipitazione causati dalla permeabilità dei calcari, dal
fitto reticolo e dalla elevata acclività dei canali, non hanno un grado di
gerarchizzazione sufficiente all'impostazione di reticoli idrografici con
una certa densità di canali di drenaggio.
D'altra parte, la mancanza di una rete idrografIca organizzata è una caratteristica tipica delle zone soggette ai fenomeni carsici. Non è infrequente il
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caso di canali che si interrompono in corrispondenza di coperture detritiche
o di tratti particolarmente ricchi di fessure.
Le caratteristiche idrografiche del settore nord-orientale sono del tutto
diverse da quelle appena ricordate. Densità dei canali e tessitura dei reticoli
rivelano un grado di gerarchizzazione piuttosto elevato rispetto alle aree
calcaree: è il caso del bacino del torrente Raganello. Le ampie superfici
coperte dai materiali del Flysch (Formazione del Frido e delle crete nere)
non offrono alcuno ostacolo allo scorrimento superficiale delle acque di
precipitazione.
L'ampio bacino del Raganello è inoltre caratterizzato dalla presenza di numerose sorgenti perenni, che contribuiscono a mantenere attiva l'erosione lineare.
Accanto ai canyon un'altra tipica forma di erosione fluviale che caratterizza
il paesaggio del Parco è quella dei conoidi di deiezione, lungo il corso delle
fiumare. Si tratta di accumuli di materiali detritici portati a valle dai corsi
d'acqua e depositatisi a formare delle strutture a ventaglio.
L'azione continuata lungo i solchi fluviali e negli interfluvi della erosione
lineare e di quella aureolare su materiali a basso grado di coesione e poco
permeabili comporta, anche su pendici con pendenze di pochi gradi, movimenti epidermici e profondi anche di notevoli dimensioni. I movimenti
franosi comprendono scollamenti, colate di terra e fango, colate di detriti,
soliflussione, smottamenti in continua evoluzione e trasformazione per
erosione accelerata.
3.1.4 Flora
TI patrimonio botanico del Parco Nazionale del Pollino è da tempo oggetto
di interesse da parte di naturalisti, scienziati e viaggiatori di tutta Europa.
Già a partire dagli inizi del secolo scorso, numerosi botanici hanno erborizzato
sul Massiccio del Pollino.
Le prime esplorazioni botaniche spettano ad insigni studiosi tra cui Tenore,
Petagna, Terrano, che visitarono le montagne del massiccio Calabro-Lucano
nel 1826.
Il viaggio dei botanici napoletani portò alla raccolta di molte piante (conservate nell'erbario dell'Orto Botanico di Napoli), alcune rare o molto rare
o in via di estinzione.
Nel 1875 il viaggio di Hurter, Porta e Rigo incrementò l'elenco della flora
del Massiccio con ben altre 108 specie. Alcuni anni dopo i botanici Terrac25
ciano e Calvelli descrissero ben 1.846 entità flogistiche esclusivamente sul
versante calabro.
A seguito di escursioni di Fiori, Cavara, Grande e di Gavioli e Lacaita sul
finire degli anni venti, ulteriori specie botaniche vennero aggiunte all'elenco
della flora del Pollino.
Recenti contributi floristici sono dovuti ai lavori sulla vegetazione dell' Appennino meridionale da parte di Gentile (1969), di Bonin (1978) e AvenaBruno (1975).
Negli ultimi anni tra gli studiosi che hanno analizzato la flora del Parco
vanno ricordati: Avolio (con i suoi studi sul Pino loricato), Spampanato e
Maiorca: "Flora del fiume Argentino", ed infine, Berardo, che, insieme ad
altri collaboratori dell 'Orto Botanico dell 'Università di Calabria, sta conducendo numerosi studi sulla flora del Parco (Gargaglione, 2003).
TI paesaggio vegetale della catena appenninica, su gran parte del suo decorso
peninsulare, presenta aspetti di sostanziale uniformità. Ma questa uniformità
subisce una improvvisa interruzione sui rilievi al confine fra Lucania e
Calabria. Qui, l'assetto della vegetazione lungo i pendii montuosi si complica
e si arricchisce. Oltre il limite altitudinale superiore delle foreste caducifoglie,
sulle vette più elevate dei Monti di Orsomarso e della catena del Pollino,
fino all'acrocoro isolato di Monte Alpi, sono diffuse, infatti, pinete rade di
Pino loricato, in apparente analogia con l'articolazione della vegetazione
di quota delle grandi catene montuose centroeuropee.
Ed è soprattutto da questa latitudine in poi che i cespuglieti di alta quota e
i pascoli delle pendici più aride, assumono caratteristiche prossime a quelle
delle alte montagne e delle praterie steppiche del Medio-Oriente.
Alla luce delle evidenze del patrimonio botanico i gruppi montuosi di
Orsomarso, del Pollino e Monte Alpi seppure "appenninici", sono in realtà
biologicamente molto più simili alle montagne della penisola Balcanica
meridionale e di qui, attraverso questa connessione, a quelle delle coste
orientali del Mar Nero.
La ricchezza floristica del Pollino anche se non del tutto nota e studiata,
riveste una notevole importanza legata alla varietà degli ambienti, i quali
presentano specie le più diverse tra loro, appartenenti alla maggior parte
delle famiglie della flora italiana.
Le notevoli differenze altitudinali dei vari ambienti offrono habitat diversi
con una innumerevole varietà di specie vegetali.
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Si va ad esempio dalle valli del Raganello 250 m s.l.m. alla valle del Sinni
360 m s.l.m., fino ai 2.267 m s.l.m. del Dolcedorme, dai tipici ambienti
delle fiumare caratterizzati dalla intricata macchia mediterranea, fino agli
ambienti cacuminali con i tipici pascoli di altitudine ed i brecciai del versante
Nord del Pollino, da Gravina del Diavolo alla Montea.
Dal censimento floristico emerge la presenza di 2.025 entità ripartite in 636
generi e 117 famiglie.
Le famiglie più rappresentate sono: Compositae 243, Leguminose 184,
Graminaceae 157, Labiatae 102, Umbelliferae 99, Caryophyllaceae 93,
Cruciferae 88, Lialiaceae 76, Scrophulariaceae 71, Rosaceae 69, Ranunculaceae 64, Orchidaceae 58.
Sono assenti, in questo elenco, famiglie come le Amaranthaceae o le Urticaceae, perché legate ad ambienti molto antropizzati o fortemente degradati.
Sulla base dei dati a disposizione si può ricavare un esame approssimativo
dello spettro corologico della flora del Pollino definito dagli areali di
distribuzione delle specie.
11 gruppo prevalente è rappresentato dalle Eurasiatiche (26,2%); la componente mediterranea è fortemente rappresentata ed uniformemente ripartita
tra Eurimediterranee (17,9%) e Stenomediterranee (16,6%). A questa componente fa da contrappunto la contenuta percentuale di Boreali Nordiche
(6,6%). Di particolare interesse risulta l'elevata percentuale di Endemiche
(6,7%) e la bassa percentuale di specie ad ampia distribuzione (9,5%).
Va menzionata l'importante presenza di elementi orientali, indicatori del
collegamento tra la nostra penisola ed il settore orientale del Bacino del
Mediterraneo.
Tra essi degni di esse re citati sono: Genista sericea, Drypis spinosa, Pinus
leucodermis, Gentianella crispata, Paeonia peregrina, sia perchè specie
assai rare, sia perchè del tutto assenti al di fuori del Parco.
Nel Parco oltre ai relitti del quaternario, sono presenti anche specie relitte
del terziario, come ad esempio Taxus baccata, con individui isolati nelle
valli del settore occidentale del Parco.
Altro relitto terziario è Ephedra major, presente in poche stazioni del Parco
in ambienti rupicoli tra i 900 ed i 1.200 m, con un modesto numero di
individui sul Sellaro, Timpa di Cassano e Timpa di Porace.
Sul Pollino esiste un ridotto contingente di endemismi rispetto ad altri gruppi
montuosi dell'Appennino, solo una percentuale del 2,5%, a causa delle
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peculiarità geografiche ed ambientali, che comunque determinano una
notevole ricchezza di specie. Tra queste specie endemiche si ricordano:
• Endemiche esclusive del Pollino
Hanno una diffusione assai limitata, come ad esempio Hieracium
portanum presente solo all'interno del Parco.
• Endemiche esclusive dei rilievi calabro-lucani
Ad esempio Achillea lucana (vive in ambienti rupestri nell'area del
Parco e poche altre località della Basilicata), mentre Achillea rupestre
vive nel settore collinare del Parco.
• Endemiche dell'Appennino meridionale
Arum lucanum, Senecio tenorei, Thalictrum calabricum, Campanula
fragilis, Erysimum majellense, Stipa austroitalica, il raro Ptilostemon
niveus presente su ghiaioni e pendii aridi e pietrosi, Ophrys fuciflora
subsp. pollinensis.
• Endemiche dell'Appennino centro-meridionale
Gentianella columnae, Saxifraga porophylla, Ajuga tenorei, Acer
lobelii.
• Endemiche con areale incluso nell'intero Appennino
come ad esempio Linaria purpurea varo montana.
11 processo di antropizzazione è stato comunque limitato, ciò ha permesso
la conservazione di specie vegetali che, con la loro presenza, caratterizzano
determinate zone all'interno del Parco, anche dal punto di vista estetico e
cromatico. È il caso delle rosse corolle della Peonia, presente al Piano di
Marco e alle falde della Mula; Paeonia peregrina secondo recentissime
ricerche, è presente con rare popolazioni solo all'interno del Parco.
Esistono anche popolamenti più ridotti di Paeonia mascula che talvolta si
presenta anche con individui isolati. Una stazione di questa Peonia è stata
segnalata sulle propaggini del Monte Camara a 1.283 m d'altitudine.
Tra i terreni rocciosi della Mula privi di vegetazione arborea, fioriscono
Gentiana verna; Saxifraga marginata ed il raro Galium palaeoitalicum,
endemismo dell' Appennino che vive tra le fessure delle rupi e le pendici
ciottolose del Dolcedorme e Cozzo del Pellegrino.
Le gialle infiorescenze della Gentiana lutea insieme con Meum athamanticum
ricoprono i piani carsici di Piano Ruggio, Piani di Pollino e Novacco.
Il colore bianco del Narcissus poeticus a Piano Ruggio ricopre le morene,
mentre quello di Achillea millefolium domina nel Piano Vincenzo.
28
Numerose sono le orchidee dalle forme e dai colori più svariati tra cui quelle
del genere Ophrys: la rara O. apifera e l'endemica O. lacaitae. Non meno
belle sono quelle del genere Orchis come ad esempio Orchis purpurea presente
nel versante lucano del Parco dove vive negli incolti e nelle radure erbose.
Tra i pascoli e le praterie di altimdine spicca la fiorimra dell'orchidea Dactlylorlllza sambucina (insieme alla Viola aetnensis e Pubnonaria angustifolia).
Nelle zone della Petrosa e di Conca del Retino vive una specie di graminacea
caratteristica per i pennacchi piumosi: la Stipa austroitalica, propria dell'Italia
meridionale, tipica dei pascoli aridi e pietrosi.
Una stazione della rara Pulsatilla alpina è presente sulle pendici del Cozzo
del Pellegrino, costituendo l'unica stazione dell' Appennino meridionale.
Questa specie è quindi molto vulnerabile e meritevole di protezione.
Negli ambienti umidi delle gole e dei corsi d'acqua oltre ai Pioppi ed agli
Ontani, vegetano felci tra le quali Adiantum capillus-veneris, il Polipolio
(Polypodium vulgare) e la rara felce Pteris eretica presente soprattutto nella
gola dell' Argentino (Gargaglione, 2003).
Il messaggio della rinascita, dopo il lungo inverno bianco dei prati di
montagna, viene lanciato, lacerando le ultime coltri nevose dallo zafferano,
Crocus Vemus, che tinge estesi scacchieri col suo mantello celeste (Troccoli,
Pisarra, 1994).
3.1.5 Vegetazione
TI Massiccio del Pollino è il simbolo di due regioni, il baluardo che divide
la Basilicata dalla Calabria, ma che contemporaneamente sintetizza l'identità
di due realtà meridionali strettamente connesse tra loro. Dai due versanti
il massiccio appare diverso. Da quello calabro si presenta come un'enorme
montagna seghettata dalle nude e scoscese pareti che vanno ad aprirsi in
ampie pietraie; da quello lucano è più dolce, meno asciutto, le cime più alte
emergono dalle superbe foreste di faggio e cerro che ricoprono i pendii, che
con facilità si percorrono per raggiungere le praterie d'alta quota. Queste
ampie praterie sono racchiuse nel cuore del Massiccio (Piani di Pollino,
Piano Ruggio, Piano Jannace) ad altezze che variano dai 1.400 ai 1.800 m,
un tempo meta dei pastori provenienti dalle due piane di Sibari e Metaponto.
Due modi di essere di un unico ambiente, che è poi tipico della montagna
meridionale: tratti mediterranei si alternano ad altri alpini, come conseguenza
delle frequenti variazioni climatiche.
D'inverno il sistema montano è caratterizzato da innevamenti intensi, ma
29
instabili per il variare del clima dovuto alla vicinanza dei Mari Tirreno e
Ionio. E proprio in questo, nel mutare continuo dei paesaggi, nell'alternarsi
e nel sovrapporsi di aspetti mediterranei ed alpini sta la bellezza forse unica
del Pollino (Gargaglione, 2003).
La vegetazione può essere diversificata secondo lo schema dei piani e degli
orizzonti altitudinali proposti da Gavioli, (1936), anche se altri fattori, quali
il microclima, la natura del suolo, l'esposizione dei versanti, la distanza dal
mare, contribuiscono a rendere solo indicativa la distinzione altimetrica.
• Fascia basale (dal livello del mare fino a raggiungere i 1.000 m)
Alle quote modeste del piano basale predomina la "macchia foresta",
nella quale lo strato vegetativo più appariscente è costituito da piante
xerofile e termofile con la tipica foresta a Leccio (Quercus ilex).
Anche se l'antropizzazione ha fortemente modificato la struttura di
tale formazione, nelle aree dei quadranti meridionali del Parco, su
pendii e rocce, vi sono ancora nuclei di leccete ben conservate ed
ascrivibili al Quercion ilicis, tra cui quelle delle Gole del Lao, dell'Argentino e dell'Esaro. Spesso il Leccio è accompagnato da caducifoglie
come Roverella (Quercus pubescens), Acero minore (Acer monspessulanum), Ornello (Fraxinus omus), ecc.
Il sottobosco è costituito da suffrutici e arbusti sclerofilli e termofili
tra cui: Corbezzolo (Arbutus unedo) ed Erica (Erica arborea), la più
rara Erica multiflora (soprattutto nelle valli del Lao e dell' Argentino,
Vibumo (Vibumum tinus), Lentisco (Pistacia lentiscus), Mirto (Myrtus
communis), Fillirea (Phillirea latifolia), Alterno (Rhamnus alatemus),
Rosmarino (Rosmarinus officinalis), Pungitopo (Ruscus aculeatus),
Alloro (Laurus nobilis) ed altri.
Nel settore orientale del Parco, nelle Timpe di S. Lorenzo, Porace,
ecc. è frequente il Ginepro ossicedro (Juniperus oxycedrus) che,
costituendo una variante di tale macchia, si ritrova come individui
isolati fino ai 900 m grazie all'aumento termico riscontrabile lungo
le pareti delle timpe.
In ogni caso, la macchia mediterranea originaria ora, è presente in
varie forme di degrado, come ad esempio le formazioni a Corbezzolo
ed Erica arborea tipiche dei suoli acidi dovuti alla pratica dell'incendio,
mentre sui suoli dove il passaggio del fuoco è frequente vi domina la
macchia a Cistus monspeliensis e C. salvifolius.
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Il paesaggio costiero è caratterizzato dalla fascia più tennofila della
macchia mediterranea ascrivibile all'alleanza dell 'Oleoceratonion,
con una vegetazione discontinua a Lentisco (Pistacia lentiscus) e
Oleastro (Olea europea varo oleaster).
Gli alvei delle tipiche Fiumare della Calabria e Basilicata sono popolate
da boscaglie a tamerici (Tamarix gallica e T. africana), da oleandri
(Nerium oleander), Pistacia lentiscus e Vitex agnus-castus.
La parte medio-alta del piano basale è rappresentata da boschi di
piante eliofIle. In questa fascia possiamo distinguere due formazioni:
una in cui predomina la Roverella (Quercus pubescens) inquadrabile
nel Quercion pubescenti-petraeae con un sottobosco di specie costituito
da Erica arborea, Teucrium siculum; e l'altra in cui predomina il
Cerro (Quercus cerris) ascrivibile al Quercino cerris.
Il sottobosco è popolato da specie tipiche di questi querceti tra cui
Cuscus aculeatus, Vinca minor, Digitalis micrantha, Lathyrus venetu.
Anche se i limiti altitudinali sono gli stessi, queste due fonnazioni si
distinguono per una diversa esigenza edafIca. Le formazioni a Cerro
si distribuiscono su suoli più maturi e profondi, predilegendo stazioni
meno assolate e di esposizione.
Spesso sono associate ad altre caducifoglie a fonnare boschi misti,
tra cui Acer obtusatum, Fraxinus ornus, Alnus cordata, Ostrya carpinifolia, Castanea sativa.
• Fascia montana (tra i 1.000-1.900 m)
L'elemento vegetazionale dominante del Pollino è il Faggio (Fagus
sylvatica), che alle quote tra i 1.000 ed i 1.900 m fonna le tipiche
faggete dell' Appennino meridionale, che, per le caratteristiche floristiche vengono inquadrate nell'alleanza Geranio-Fagion.
La foresta di faggio è diffusa nella maggior parte delle zone del
Massiccio e comprende due aspetti fondamentali in base alla composizione floristica: l'Aquifolio-Fagetum nella fascia inferiore tra i 1.000
e i 1.500 m e l'Asyneumati-Fagetum fino al limite superiore della
vegetazione forestale.
L'Aquifolio-Fagetum è la faggeta più tennofIla le cui specie caratteristiche sono: Ilex aquifolium, Melica uniflora, Daphne laureola,
Potentilla micrantha varo breviscapa, Euphorbia amygdaloides, Allium
triquetrum varo pendulinum.
31
•
32
In poche aree è possibile rinvenire la presenza di Taxus baccata
accanto al Faggio e all'Agrifoglio.
Nello strato arboreo di tali foreste troviamo specie come Sorbus
aucuparia, Sorbus aria, Quercus cerris, Castanea sativa, Acer pseudoplatanus e l'acero endemico dell'Appennino meridionale Acer lobelii.
L'associazione della zona superiore dell'orizzonte del Faggio l'Asyneumati-Fagetum è la più diffusa a causa delle elevate quote del
Massiccio; essa è caratterizzata dalla presenza di Asyneuma trichocalycinum, Ranunculus brutius, Stellaria nemorium, Lonicera alpigena,
Daphne mezereum, Adoxa moschatelliana, mentre nello strato arboreo
compare il Maggiociondolo (Laburnum alpinum).
Alle quote più alte, nei versanti freddi del massiccio, il faggio si alterna
con l'Abete bianco (Abies alba) formando una delle più interessanti
associazioni miste di faggio ed Abete bianco dell'Appennino meridionale, che differisce dalle altre dell'Appennino, di sicura origine antropica,
anche se sul Pollino non è da considerare assente l'azione dell'uomo.
Le "faggeto-abetine" sono ben rappresentate sul versante nord del
gruppo montuoso: Monte Sparviere, Piano Iannace, Bosco Toscano.
In questo piano di vegetazione aperte di Pino loricato (Pinus leucodermis), come ad esempio su Monte La Spina e Montea, Pollinello
e Belvedere, dove riesce a vivere al di sopra dei limiti vegetazionali
del faggio.
Altra vegetazione tipica di questa fascia è quella delle pinete a Pino
nero (Pinus nigra) del versante sud del Pollino, Pollinello e Mula, che
sono in continuità con le formazioni a Pino loricato, e sono presenti
a quote al di sotto dei 1.700 m; spesso tali pinete naturali sono state
sostituite da ampi rimboschimenti.
Piano altomontano (oltre i 2.000 m)
A queste quote le formazioni forestali diventano più rade ed aumenta
la presenza di Pino loricato che diventa l'unica specie arborea presente,
spingendosi fino a 2.240 m di altezza. Esso non forma i tipici popolamenti forestali, ma si presenta in aggruppamenti radi inseriti in un
contesto vegetazionale di pascolo arido e colonizza ghiaioni in via di
consolidamento o substrati più o meno instabili.
Sulle creste rocciose lucane di Serra Crispo e Serra delle Diavole
(2.000-2.100 m) si trovano diversi esemplari isolati di Pino loricato
plurisecolari di enormi dimensioni, alcuni morti da anni, continuano
a rimanere in piedi sfidando qualsiasi avversità.
Le zone più elevate, dove le temperature rigide per molti mesi l'anno
ed il forte vento impediscono lo sviluppo delle faggete, sono caratterizzate da fitocenosi erbacee che formano le cosiddette "praterie
d'altitudine".
TI continuo disboscamento effettuato per favorire il pascolo ha abbassato notevolmente la quota di queste praterie.
Le praterie altomontane del Massiccio del Pollino hanno una struttura
discontinua; dall'aspetto a gradonatura e dal punto di vista fitosociologico non sono facili da classificare in quanto vi sono contingenti di
specie che si compenetrano tra loro, quello con specie tipiche dei
Seslerietalia, tipici deipopolamenti altomontani, e quello dei Brometalia
con essenze più xerofile di tipo mediterraneo-montane.
Ciò avviene poiché le altitudini raggiunte dal Massiccio permettono
l'instaurarsi delle specie dei Seslerietalia e allo stesso tempo, le
condizioni climatiche più miti, favoriscono l'ascesa delle specie più
termofile appartenenti all'ordine dei Brometalia (con specie come
Bromus erectus, Hippocrepis comosa, Asperula cynanchica), presenti
anche a quote relativamente elevate (1.800-2.000 m).
Le zolle a Sesleria nitida e S. apennina, comprendono una vegetazione
ricca di specie endemiche o localizzate quali Stachys tymphaea,
Ptilostemon niveum, Alyssum diffusum, Globularia meridionalis,
Pedicularis e1egans, Anthyllis pulchella, Armeria nebrodensis, Carex
kitaibeliana, Edraianthus graminifolius, Cytisus spinescens ecc.
Sui Piani di Pollino, ben rappresentate sono le praterie mesofile tipiche
di suoli umidi e profondi in cui prevalgono i tipici elementi degli
Arrhenatheretalia (Meum athamanthicum, Festuca rubra, Anthoxanthum odoratum, Achillea millefolium, Trifoliumpratense).
Molto spesso Gentiana lutea e Asphodelus albus varo pollinensis si
ritrovano abbondantemente nelle radure insieme alle altre specie degli
Arrhenatheretalia.
Infme i brecciai (che sono ancora attivi), limitati al versante nord del
Pollino, sono colonizzati dal Festuceto a Festuca dimorpha.
Altre specie tipiche dei brecciai sono: Galium magellense, Ranunculus
brevifolius, Heracleum orsinii, Doronicum columnae, Thlaspi stylosum,
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Silene multicauli, Geranium macrorrhizum, Leucanthemun laciniatum
e L. tridactylis, Vicia serinica, Crepis pygmaea, Isatis allionii, Viola
magellensis, Saxifraga italica, Achillea barrelieri.
Oltre ai popolamenti di Pino loricato, le zone a Sesleria sono da
considerarsi biotopi di notevole interesse naturalistico nell' area del
Pollino, così come le specie colonizzatrici di ghiaioni e macereti tra
cui Linaria purpurea, Drypis spinosa, Laserpitium latifolium ecc.
(Gargaglione, 2003).
3.1.6 Aspetti forestali
Nel territorio del Parco Nazionale del Pollino, fino al secolo scorso, la
vegetazione forestale ha subito notevolmente il peso dell'azione antropica.
In questi ultimi anni il regime colturale di tali boschi, così come le norme
regionali che regolano la materia è cambiato profondamente.
Attualmente è l'Ente Parco che regola le utilizzazioni dei boschi governati
a fustaia ricadenti nella zona 1 e l'apertura di eventuali nuove piste, mentre
i tagli nei cedui, in qualunque delle due zone ricadono, e i tagli di utilizzazione
dei boschi governati a fustaia e ricadenti nella zona 2, vengono autorizzati
dall'autorità competente, secondo le normative regionali vigenti.
Nelle zone rurali, soprattutto montane, vi è ancora una discreta richiesta di
legna di piccole dimensioni (diametri 3-10 cm) per forni e stufe, e legna da
spacco (diametri 10-20 cm).
I tagli fmora concessi per i boschi di alto fusto, di proprietà comunale, sono
stati tagli colturali volti a favorire la conservazione dei popolamenti e la
loro diversificazione o tagli di poche piante in occasione delle feste tradizionali e popolari; infatti, nei boschi comunali, è da oltre un decennio che
non avvengono utilizzazioni a prevalenti fini produttivi.
Le proprietà pubbliche, costituite in maggioranza da boschi di alto fusto,
prevalgono sui boschi di proprietà privata e costituiscono unità abbastanza
estese e di notevole interesse per il Parco in quanto sono situati nel "cuore"
stesso del Parco e includono le emergenze vegetazionali di maggior rilievo.
D'altra parte i boschi di proprietà privata sono di modeste dimensioni e
rientrano nel tradizionale ordinamento produttivo dell'azienda agricola locale.
Per quanto riguarda gli usi civici, si tratta di superfici a bosco e a pascolo,
sulle quali persistono i diritti di legnatico (raccolta della legna secca a terra),
di pascolo e di raccolta dei frutti (soprattutto castagne); tali diritti derivano
34
da realtà antiche, da rapporti già preesistenti con i feudi prima della loro
trasformazione in proprietà comunali e demaniali e sono esercitati sulla
base di consuetudini locali, attraverso regolamenti comunali e sotto il
controllo dell'Autorità forestale.
L'uso civico di più difficile disciplina è il pascolo, infatti durante i periodi
di siccità, quando il foraggio sui pascoli è scarso, l'introduzione degli animali
nel bosco diventa una necessità alla quale ricorrere. Una migliore regolamentazione del carico ed un controllo più diffuso sul territorio dovrebbero
consentire una più razionale gestione del diritto e della risorsa.
Per l'intero territorio del Parco il coefficiente di boscosità risulta del 46,1 %
e raggiunge il 54,9%, se si considerano anche le aree in evoluzione e gli
arbusteti, e raggiunge i massimi valori nel versante calabro.
Per quanto riguarda i rimboschimenti, degli anni '50 e '60, l'obiettivo è
stato principalmente quello di assolvere alla funzione protettiva e di alleggerire la forte pressione sociale, limitando il fenomeno dello spopolamento
della montagna e dell'emigrazione.
Nella parte medio-alta del massiccio, le specie legnose messe a dimora sono
state il Pino loricato (Pinus leucodermis) e il Pino nero (Pinus nigra s.I.);
nella parte medio-bassa, invece, sono state impiegate il Pino d'Aleppo
(Pinus halepensis) e il Pino domestico (Pinus pinea).
In alcuni boschi di latifoglie sono state inserite conifere, quali Pino nero,
Abete bianco (Abies alba) e Douglasia (Pseudotsuga menziesii).
Le favorevoli condizioni ecologiche del massiccio del Pollino hanno consentito che molti impianti, in particolare quelli di Pino nero, divenissero
dei soprassuoli altamente produttivi.
Sia i primi, che i più recenti popolamenti artificiali di Pino loricato, presentano
uno stato vegetativo ottimale; ciò dimostra come questa specie abbia le
caratteristiche ecologiche per affermarsi in questo ambiente anche per via
artificiale e ad altitudini maggiori.
3.1.7 Fauna
Il patrimonio faunistico del massiccio Pollino era un tempo assai ricco e
diversificato. Purtroppo l'azione devastatrice dell'uomo, nel corso dei secoli,
ha prodotto l'estinzione di alcuni animali e una grave riduzione numerica
di altri: l'agricoltura, il disboscamento, la pastorizia, la caccia e la pesca
hanno compromesso in modo grave la fauna di questo ambiente.
35
Nonostante questi fattori negativi l'habitat del Pollino possiede ancora una
fauna eterogenea:
• specie tipiche di climi caldi (tipo istrice), temperati (tipo capriolo) e
freddi (tipo lupo);
• esempi di fauna di estremo interesse come entità mediterranea;
• specie o razze geografiche endemiche, per esempio legate alla presenza
del Pino loricato e dell' Abete bianco;
• relitti faunustici di epoche glaciali e transadriatici.
Fra gli Insetti merita di essere menzionato Buprestis splendens, uno dei
coleotteri più rari d'Europa, e Rosalia alpina, un bellissimo e appariscente
Coleottero di colore azzurro cenere con macchie nere vellutate, tipico delle
estese faggete mature, presenti nel Pollino e nei Monti di Orsomarso, e
indice di un basso grado di alterazione degli ambienti forestali.
Fra le numerose specie di farfalle, di grande interesse è Melanargia arge,
molto localizzata e poco frequente.
Tipica delle zone aride del Parco è invece la malmignatta (Latrodectes tredecimguttatus), un ragno rosso e nero dal morso doloroso e tossico, appartenente
allo stesso genere della vedova nera americana.
Fra i crostacei Chirocephalus ruffoi è un endemismo del Pollino, addirittura
individuato solo in alcune pozze d'alta quota, mentre il gambero di fiume
(Austropotamobius pallipes) è un indicatore di una elevata qualità delle acque.
Gli Anfibi del Pollino comprendono diverse specie e sottospecie endemiche
italiane, tra cui il tritone crestato italiano (Triturus carnifex), la salamandrina
dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), riconoscibile per il caratteristico
disegno sugli occhi, l'ululone dal ventre giallo (Bombina variegata pachypus)
e la più comune raganella (Hyla intermedia).
Tra i Rettili, nel Parco vivono due specie minacciate: la testuggine palustre
(Emys orbicularis), piccola tartaruga carnivora presente a quote eccezionalmente elevate per questa specie, e la più nota testuggine comune (Testudo
hermanni). I serpenti più significativi sono il cervone (Elaphe quatuorlineata)
ed il colubro leopardino (Elaphe situla), rari, e la comune e velenosa vipera
(Vipera aspis).
Varia e non meno rilevante è l'avifauna. La coturnice (Alectoris graeca),
tipica delle zone montane aperte con scarsa copertura vegetale, è specie
assai minacciata che sta giovando, nel territorio del Parco, della cessazione
della caccia. Presente è anche il raro picchio nero (Dryocopus martius),
36
il più grande picchio europeo, e i più comuni picchio verde (Picus viridis)
e picchio rosso maggiore (Picoides major). Ben dodici sono le specie di
rapaci diurni nidificanti, tra cui la magnifica aquila reale (Aquila chrysaetos),
presente con poche coppie nel versante meridionale del Parco, il nibbio
reale (Milvus milvus) ed il falco pellegrino (Falco peregrinus), eccezionale
e rapidissimo volatore. n versante orientale del Parco, più arido e ricco di
pareti rocciose, offre l'habitat per due specie estremamente minacciante: il
lanario (Falco biarmicus feldeggi) , falcone localizzato nel mediterraneo, ed
il capovaccaio (Neophron percnopterus), piccolo avvoltoio bianco e nero
ridotto, in Italia, a pochissime coppie nidificanti. TI grande gufo reale (Bubo
bubo) è invece il più raro e spettacolare fra i rapaci notturni.
Riguardo ai Mammiferi, sono rappresentate tutte le specie più significative
dell'Appennino meridionale. Fra i Carnivori vive nel Parco una consistente
popolazione di lupo (Canis lupus), il gatto selvatico (Felis silvestris), di
distribuzione e abbondanza non noti, la martora (Martes martes), la puzzola
(Mustela putorius) e, non ultima, la lontra (Lutra lutra), la cui presenza è
stata rilevata in diversi corsi d'acqua laddove si conservano abbondanza di
prede e buon grado di copertura vegetale delle sponde. Gli Ungulati, oltre
al comune cinghiale (Sus scrofa), comprendono il capriolo (Capreolus
capreolus) presente soprattutto sui Monti di Orsomarso con una piccola
popolazione ritenuta una delle poche autoctone d'Italia.
Fra i Roditori più significativi, va citato il driomio (Dryomys nitedula), un
piccolo gliride presente, in Italia, oltre che sui rilievi montuosi calabresi,
solo sulle Alpi orientali. n driomio, insieme al moscardino (Muscardinus
avellanarius), al ghiro (Myoxus glis) e al quercino (Eliomys quercinus)
rappresenta tutte le specie italiane di Gliridi nel Parco. Lo scoiattolo meridionale (Sciurus vulgaris meridionalis) è una sottospecie tipica dell'Appenino
centro-meridionale caratterizzata dalla colorazione nera del mantello e dal
ventre bianco. L'istrice (Hystrix cristata) è localizzata nel settore meridionale
e orientale del Parco, con clima più spiccatamente mediterraneo. Infine,
oltre alla lepre europea (Lepus europaeus), frutto di scriteriate immissioni,
sopravvivono alcuni nuclei di lepre appemùnica (Lepus corsicanus), specie
autoctona dell 'Italia centro-meridionale.
Tra i Pipistrelli, finora poco studiati, vanno segnalati il rinolofo minore
(Rhinolophus hipposideros), il vespertilio maggiore (Myotis myotis), il
vespertilio di Capaccini (Myotis capaccinii), il pipistrello albolimbato
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(Pipistrellus kuhli), il miniottero (Miniopterus schreibersz) e il poco frequente
molosso del Cestoni (Tadarida teniotis) (www.parcopollino.it).
I rapaci e il Parco
Il Parco Nazionale del Pollino, per la sua notevole estensione e varietà di
ambienti, ospita diverse specie di uccelli rapaci, sia stanziati, che migratori.
La consistenza e la varietà delle popolazioni di uccelli rapaci sono un indice
del grado di alterazione e di disturbo antropico di un territorio. Infatti, i
rapaci si nutrono generalmente di rettili, maInnÙferi ed altri uccelli.
La caccia, l'uso indiscriminato di pesticidi e la modificazione degli habitat
in genere riduce la disponibilità di prede, e quindi le popolazioni si rarefanno
fino a scomparire. TI disturbo antropico, invece, può determinare l'abbandono,
anche definitivo, di siti di nidificazione. Gli uccelli rapaci sono inoltre
minacciati dalla depredazione dei nidi, dai bocconi avvelenati, dal bracconaggio e sono ancora considerati 'nocivi' o oggetto di trofei di caccia o di
collezionismo.
Per favorire una occupazione stabile dell' area sud-orientale del Parco da
parte di Aquile reali, Capovaccai e Nibbi reali, l'Ente Parco ha realizzato
un progetto LIFE (co-finanziato dalla CE) che prevede, tra l'altro, il rifornimento di un punto di alimentazione artificiale ('carnaio') costantemente
sorvegliato e monitorato.
È in corso di realizzazione un' Area faunistica che ospiterà uccelli rapaci
inabili alla vita selvatica, con finalità didattiche e divulgative in ordine alla
sensibilizzazione delle popolazioni locali e dei visitatori del Parco sui
problemi di conservazione degli uccelli rapaci. É in corso di studio, infine,
l'eventualità di reintrodurre specie estinte o operare restocking (incremento
delle popolazioni attraverso rilasci mirati di esemplari riprodotti in cattività)
di specie rare.
È stato, infine, avviato un Progetto di reintroduzione dei Grifone (Gyps
fulvus) in prossimità delle Gole del Raganello, dove verranno ospitati decine
di esemplari provenienti dalla Spagna (www.parcopollino.it).
La conservazione del lupo
Un tempo diffuso in tutto il continente eurasiatico, il lupo è stato sterminato
quasi ovunque in Europa nel corso degli ultimi secoli, a causa dei conflitti
con allevatori e cacciatori. Ma nonostante lo sforzo massiccio, attraverso
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l'uso di veleni, trappole e armi da fuoco, la specie è sopravvissuta in alcune
aree ristrette e ha dimostrato una notevole capacità di recupero ogni qualvolta
trovava condizioni ecologiche nuovamente favorevoli o laddove il controllo
umano non era efficace, come nelle aree montuose più integre e inaccessibili.
La sopravvivenza del lupo, in un contesto antropizzato come quello italiano,
è stata garantita da una serie di fattori concomitanti: la protezione legale
(la specie era cacciabile fIni agli anni '70) e la riduzione dell'impatto umano
diretto, il ripristino di condizioni ambientali favorevoli (abbandono della
montagna, ritorno degli ungulati selvatici, creazione di aree protette) ma
anche la notevole flessibilità biologica che consente alla specie di adattarsi
alle condizioni ecologiche locali.
Come già accennato, una delle più antiche e principali cause di persecuzione
del lupo da parte dell 'uomo è il fatto che questo, oltre ad attaccare la prede
selvatiche, non disdegna di infierire anche sul bestiame domestico.
Questa situazione, provoca il manifestarsi di atteggiamenti esasperati nei
confronti del predatore, che spesso sfociano in una risoluzione personale
del problema, vale a dire nell 'utilizzazione di metodi di uccisione illegale.
Uno dei principali problemi connessi alla predazione del lupo sul bestiame
domestico deriva dalla mancanza di studi specifici e di un monitoraggio
efficace del fenomeno; questo si aggiunge alla difficoltà oggettiva di distinguere, in molti casi, le aggressioni causate da un lupo rispetto a quelle
dovute ai cani vaganti; per tale motivo vengono spesso attribuite al carnivoro
anche responsabilità non sue.
Per limitare, tale problema, è importante che le popolazioni locali maggiormente interessate dalla presenza del lupo, vengano tutelate e supportate
economicamente nel momento in cui subiscono dei danni. A questo riguardo
sono previsti in Italia, come in molti altri paesi, dei programmi di indennizzo
che risarciscono l'allevatore dei danni avuti al patrimonio zootecnico.
Tale indennizzo non deve essere inteso come una risoluzione defInitiva del
fenomeno, ma casomai come uno strumento aggiuntivo agli altri interventi
di prevenzione dagli attacchi da lupo. A tale scopo è stato promosso, all'interno del Parco Nazionale del Pollino, un progetto Life fInanziato dalla UE
che si pone, come obiettivo principale, la riduzione dei conflitti tra il lupo
e le attività antropiche puntando soprattutto sulla sensibilizzazione delle
popolazioni locali. Altre finalità del progetto Life sono quelle di garantire
la conservazione a lungo termine del lupo, attraverso l'adozione di sistemi
39
di difesa "attivi", come l'allevamento di cani selezionati appositamente per
la guardia del bestiame, la realizzazioni di recinzioni elettriche,oltre a
favorire l'aumento della disponibilità alimentare "naturale" del lupo mediante
la reintroduzione di ungulati selvatici.
Parallelamente a queste iniziative, viene condotta un'indagine sull'entità
e distribuzione del randagismo canino nell'area, al fine di ridurne l'impatto
sulla zootecnia (Boitani et al., 2001).
La conservazione del capriolo
Tra i Cervidi che popolavano l'area del Pollino, vi erano il Cervo (Cervus
elaphus) e il Capriolo (Capreolus capreolus); quest' ultimo è tuttora presente,
mentre il primo si è estinto verso la fine del 1800.
All'inizio del secolo scorso il capriolo era distribuito su un territorio che
dalla Sila si estendeva verso il nord della Basilicata e ancora più a settentrione.
Tuttavia, già durante la seconda metà degli anni '50, la sua distribuzione
si era talmente contratta che nel territorio oggi corrispondente al Parco
Nazionale del Pollino era presente in tre "isole" collegate tra loro da corridoi
forestali non sempre idonei a causa dei grandi tagli in atto in quel periodo.
Sui restanti rilievi lucani e calabresi era pressoché estinto, fatta eccezione
per qualche esemplare presente in Sila. I popolamenti più consistenti erano
segnalati negli stessi anni solo su monte La Spina, sul massiccio del Pollino
e sui monti detti di Orsomarso.
Negli anni '60 anche sul Pollino si erano perse le tracce del capriolo, tanto
da considerarlo estinto.
Solo successivamente, grazie a una indagine di Lehmann (1973), veniva
segnalata l'esistenza sui monti di Orsomarso di un nucleo relitto di caprioli
considerati autoctoni e appartenenti alla sottospecie italicus.
In effetti, la scomparsa del capriolo sul versante lucano del Parco potrebbe
non essere mai avvenuta del tutto, in quanto esistono dati sporadici che si
riferiscono a osservazioni e tracce del cervide, riportati da ricercatori e da
personale forestale.
Per un quarto di secolo il cervide sembrava essere confinato ai soli rilievi
calabresi del Parco. Gli studi successivi a quelli di Lehmann facevano
pensare che, entro la fine del secolo scorso, anche questo nucleo potesse
estinguersi definitivamente (Perco 1985, Calò e Perco 1990).
Fortunatamente, grazie alle azioni di conservazione intraprese negli ultimi
40
anni dall'Ente Autonomo Parco Nazionale del Pollino, la situazione del
capriolo starebbe lentamente migliorando. Oggi il capriolo è presente su
circa 40-50 mila ha di Parco, concentrati soprattutto sul versante calabrese
(Boitani et al., 2001).
Al fine della conservazione e valorizzazione, l'Ente ha avviato una ricerca
pluriennale per acquisire ulteriori dati sulla specie. Alcuni esemplari verranno
avviati al recinto di riproduzione e all'area faunistica dell'Orsomarso; altri,
invece saranno muniti di radiocollari per poter ottenere dati sull'ecologia
della specie.
3.1.8 Pedologia
La natura dei suoli del Parco riflette fortemente quella dei substrati: in
corrispondenza di substrati conglomeratici troviamo suoli fortemente pietrosi
e sui substrati argillosi suoli a tessitura fine.
Non solo la litologia, ma anche la pendenza influenza le caratteristiche
pedologiche, infatti più elevata è la pendenza, più forti sono i processi di
asporto naturale della terra ad opera delle forze meteoriche e gravitative,
e meno è profondo lo strato potenzialmente radicabile.
Se un suolo ha profondità limitata, la possibilità di attecchimento della
vegetazione dipende strettamente dal passaggio tra suolo e roccia ed inoltre
dalle caratteristiche della roccia stessa. Ad esempio, se la transizione tra
suolo e roccia è abbastanza graduale, come nel caso delle dolomie presenti
nel Parco, allora esiste un buon potenziale di attecchimento degli alberi.
Sui calcari, invece, la transizione è più netta, perciò il potenziale di radicazione è limitato al suolo sottile ed alle fessure presenti nella roccia. Infine,
nei conglomerati e negli argilloscisti, la transizione tra suolo e roccia è
molto graduale e tale da consentire la radicazione degli alberi anche nella
parte superiore della roccia stessa.
Dal punto di vista chimico, ai substrati leggermente calcarei, come quelli
di collina e montagna, corrispondono suoli neutri o subacidi. Suoli acidi si
riscontrano esclusivamente in corrispondenza delle formazioni originariamente acide, come le rocce ignee acide e le filladi.
In tutta l'area, i suoli dei fondovalle recenti e dei terrazzi fluviali sono
sabbiosi e/o ghiaiosi, e conseguentemente soggetti ad un elevato rischio
d'inquinamento, sia del suolo stesso sia delle acque. Salendo dalla fascia
costiera verso l'interno del bacino del Sinni, si incontrano grandi estensioni
41
collinari, di natura argillosa e ad uso agricolo, e quindi soggette al rischio
d'erosione.
3.1.9 Uso dei suoli agricoli e zootecnici
L'agricoltura e la zootecnia, più che in altre regioni italiane, costituiscono
un settore importante della vita economica e sociale della Regione e soprattutto rappresentano le più rilevanti fonne di utilizzazione del suo territorio.
L'uso del suolo e le sue destinazioni produttive in generale, ed agricole in
particolare, sono il risultato di un processo secolare, ma al tempo stesso
dinamico, di adattamento delle risorse e dei vincoli alle necessità dell'insediamento umano.
Gli allevamenti zootecnici assumono tipologie diverse a seconda delle aree,
spesso fonne di allevamento specializzato convivono con altre miste, di
dimensioni ridotte. Sia per i bovini che per gli ovicaprini, le produzioni
riguardano carni, latte e loro derivati.
Il settore cerealicolo-zootecnico è sicuramente l'orientamento produttivo
prevalente, con forte presenza di capi erbivori e di tecniche di allevamento
ed alimentazione fortemente estensive. Assai consistente è anche il settore
dell'olivicoltura ed in misura minore della viticoltura; entrambe concentrate
soprattutto sul versante cosentino, dove le condizioni pedoclimatiche risultano
più favorevoli.
3.1.10 Stabilita del territorio e dissesto idrogeologico
Nella Regione i maggiori eventi sismici sono stati registrati nella parte
occidentale, lungo la dorsale appenninica e verosimilmente collegabili alla
presenza delle numerose faglie ivi presenti, con orientamento nordovestsudest. I terremoti si sono verificati con frequenza periodica e sono documentati a partire dal 1273. Tali eventi hanno avuto notevoli ripercussioni
sul piano economico-sociale delle comunità lucane.
Dunque anche il territorio del Parco risulta affetto da forti caratteri di
instabilità o, meglio, di sensibilità all'instabilità.
La causa principale risiede nell' attività tettonica che è stata ed è ancora
particolarmente attiva, interessando sostanzialmente, con la sola eccezione
delle alluvioni oloceniche, praticamente tutte le fonnazioni presenti.
Per quanto riguarda il dissesto idrogeologico, le principali cause naturali
che favoriscono i movimenti franosi sono: la costituzione litologica, la
42
giacitura degli strati, la morfologia e il clima. L'uomo, poi, con le sue attività,
interviene a favorire i fenomeni di dissesto.
In corrispondenza dei substrati calcaro-dolomitici, i dissesti sono in genere
poco diffusi; quando si verificano sono riferibili a crolli (nelle zone maggionnente tettonizzate) e a fenomeni di scivolamento (nelle zone dove si
manifestano intercalazioni marnose ed argillose).
Nelle quote medie si riscontrano depositi superficiali argillosi-marnosi non
costipati e alternanze con prevalenti componenti argilloso-marnose.
Nei depositi, l'erodibilità superficiale è elevata, la stabilità è generalmente
buona, salvo nelle pendici più acclivi in cui possono verificarsi alcune
modeste frane di smottamento.
Nelle alternanze argillose o arenaceo-marnose l'erodibilità è media. Sono
invece frequenti fenomeni di dissesto sia superficiale che profondo e di tipi
misto: scoscendimenti, smottamenti, scivolamenti e colamenti.
Nelle quote inferiori si trovano ancora le alternanze sopra citate, nonché
fonnazioni in cui il dissesto è poco diffuso ma la cui erodibilità è alta
(conglomerati). Le frane qui presenti sono riferibili in genere a fenomeni
di crollo. Le formazioni ignee che si riscontrano nel territorio manifestano
un dissesto poco diffuso.
3.2 QUADRO LEGISLATIVO DI RIFERIMENTO
3.2.1 I Parchi Nazionali in Italia
Le leggi istitutive dei più antichi parchi nazionali italiani avevano un quadro
molto più limitato dei patrimoni da proteggere e non evidenziavano affatto
l'importanza di una valorizzazione delle attività umane condotte dalle
comunità locali.
Nel 1922, per esempio, istituendo il Parco Nazionale del Gran Paradiso si
parlava di "conservare la fauna e la flora e di preservare speciali formazioni
geologiche e la bellezza del paesaggio". Nel 1923 il Parco Nazionale
d'Abruzzo veniva istituito per "la tutela delle bellezze naturali e delle
fonnazioni geologiche e paleontologiche, per la tutela delle piante e dei
boschi, per la tutela dei pascoli, per la tutela della selvaggina e del patrimonio
ittico" (www.legambiente.com).
Dal dopo guerra in poi, se si esclude l'istituzione del Parco della Calabria,
il numero delle aree protette nazionali non ha segnato incrementi.
43
Ciò nonostante si è sviluppato un fervente dibattito a livello scientifico e
nel mondo dell' associazionismo ambientalista che chiedeva a gran voce,
soprattutto dagli anni sessanta in poi, sull'onda della scoperta dell'importanza
dei problemi legati alla salvaguardia ambientale, l'aumento della superficie
protetta in Italia ai livelli degli altri Paesi del mondo industrializzato.
Questo, che per molti era un sogno, si è concretizzato solo agli inizi degli
anni '90 dove una serie di atti legislativi, fra cui la "legge quadro sulle aree
protette", hanno dato il via agli iter procedurali, alcuni per altro non ancora
conclusi, per l'istituzione di quelli che vengono chiamati i "nuovi parchi
nazionali".
Con la legge 305/89 vengono istituiti i primi sette nuovi parchi nazionali:
Monti Sibillini, Foreste Casentinesi, Pollino, Arcipelago Toscano, Dolomiti
Bellunesi, Aspromonte e Delta del Po. Direttamente dalla legge quadro
394/91 vengono invece creati: Cilento Vallo di Diano, Gargano, Gran Sasso
e Monti della Laga, Maiella, Val Grande, Vesuvio e Gennargentu.
Con la legge 394/91 si è riusciti finalmente a introdurre un nuovo modo di
considerare la natura, il suo valore universale e umano, anche attraverso
l'elaborazione delle indicazioni contenute in diverse Convenzioni Internazionali.
L'importanza che gli ambienti naturali hanno per la vita delle comunità che
vi abitano e che ne usufruiscono è posta in primo piano, ma l'elemento
innovativo della legge è racchiuso nella sua volontà di stimolare una valorizzazione delle risorse culturali e sociali insieme a quelle naturali.
La legge ha una chiarissima finalità: "garantire e promuovere, in forma
coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del
paese".
Ma qual è il patrimonio naturale del paese? La legge lo dice chiaramente:
si tratta delle "formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche
che hanno un rilevante valore naturalistico e ambientale". Molti angoli
d'Italia sono ricchi di questo patrimonio naturale, angoli spesso vulnerabili
e fragili; così, per garantire che questi luoghi non si impoveriscano e non
perdano la loro delicata ricchezza, i loro territori devono essere "sottoposti
ad uno speciale regime di tutela e di gestione".
Sono diverse le novità importanti della legge: si chiarisce cosa prevede uno
"speciale regime di tutela e di gestione". Finalità è "la conservazione di
specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità
44
geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di
biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri
idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici"; fondamentale è inoltre
applicare "metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare
un'integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia
dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività
agro-silvo-pastorali e tradizionali".
Altri obiettivi che le aree protette devono perseguire sono la "promozione
di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica" e l'impegno
verso "la difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici".
Per realizzare questo progetto organico e ampio di conservazione e valorizzazione ambientale e culturale, il lavoro dovrà essere fondato sull'effettiva
partecipazione democratica di istituzioni e comunità locali: "nella tutela e
nella gestione delle aree naturali protette, lo Stato, le Regioni e gli Enti
locali attuano forme di cooperazione e di intesa".
Le aree protette nate in seguito alla legge 394/91 hanno ricevuto un nuovo
quadro di indirizzi da perseguire, un quadro organico e dettagliato che
prevede anche l'importante possibilità di promuovere la valorizzazione e
la sperimentazione di nuove attività produttive compatibili con la natura.
Oggi nel nostro paese vi sono 22 parchi nazionali istituiti e 2 in attesa dei
provvedimenti attuativi. Complessivamente coprono oltre un milione e
mezzo di ettari, pari al 5% circa del territorio nazionale. Il parco nazionale
integra e completa la salvaguardia operata dai parchi regionali, e viceversa,
occupandosi di territori alquanto vasti (almeno per la realtà italiana) e
coinvolgendo diverse decine di Comuni.
Accanto ad una differenza amministrativa dunque (in quanto è istituito e
dipende dal Ministero dell' Ambiente) il parco nazionale presenta una
differenza dalle altre forme di protezione anche per la gestione di un territorio
ampio, variegato, con una significativa presenza umana. Oltre alla pianificazione e alla vigilanza dunque, il parco nazionale deve esaltare la sua
missione di strumento di collegamento e valorizzazione delle realtà locali
che devono trovare nella bellezza (e delicatezza) del territorio su cui abitano
l'elemento di coesione, la risorsa chiave del loro sviluppo.
Un ruolo importante nell 'intervento statale di tutela stanno assumendo i
parchi marini, destinati a proteggere in modo integrato tratti di mare e di
costa (spesso intere isole o arcipelaghi) che presentano componenti ambientali
45
e paesaggistiche ad un tempo eccezionali e caratteristiche del Mediterraneo
(www.parks.it).
3.2.2 Vistituzione del Parco Nazionale del Pollino
Parco di carta, parco-accademia, parco-fantasma, parco-telenovela, parco
di Penelope, parco filosofale: queste le tante definizioni attribuite al Parco
del Pollino. Questa abbondanza di appellativi deriva dal fatto che nessuna
altra area protetta in Italia è riuscita ad eguagliare il primato in dibattiti,
studi, progetti, piani, tutti immancabilmente finiti nel nulla.
Un fiume di parole che viene da molto lontano se già nel lontano 1958, per
fare il punto sulla necessità della valorizzazione del massiccio veniva
pubblicato il volume "Precedenti storici per la valorizzazione scientifica e
turistica del Pollino", a cura del castrovillarese A. Miglio.
Il 1958 comunque può essere considerato l'anno in cui i grandi valori
naturalistici e culturali del Pollino si affacciano per la prima volta sulla
scena nazionale. È infatti, nel giugno di quell' anno che viene presentato
alla Camera dei Deputati un "Progetto di Legge per la Valorizzazione del
Pollino" e nell'agosto dello stesso anno viene celebrata a Piano Ruggio la
VII Festa Nazionale della Montagna. Ritroveremo poi l'area del Pollino in
tutti gli elenchi di ambienti naturali italiani da tutelare, a partire dalla prima
enunciazione di A. M. Simonetta apparsa su Casabella nell'aprile del 1964.
Il Pollino è stato il terreno di scontro di tante battaglie ambientaliste, in
particolare per il WWE Nel febbraio del 1968 la neonata associazione
presentò a Potenza una "Proposta di un parco nazionale calabro-Iucano del
Pollino". Contemporaneamente all' idea proposta dal WWF, veniva presentato
il progetto "Pollinea" dal Consorzio per il Nucleo di Industrializzazione del
Golfo di Policastro, che prevedeva oltre a improbabili stazioni sciistiche,
la costruzione di strade in quota che, se realizzate, avrebbero smembrato il
"cuore" del Parco.
A questo primo tentativo di speculazione ne succedette un altro nel 1970
con il progetto presentato dalla società OTE del gruppo EFIM-INSUD.
Un progetto impostato con vedute faraoniche che inglobava l'intero massiccio
in una grande città delle nevi. Nello stesso anno il CNR incarica un'equipe
di illustri naturalisti del WWF, tra cui Valerio Giacomini, Franco Tassi e
Fu1co Pratesi, pietre miliari dell'ambientalismo italiano, per l'elaborazione
di un "Piano d'assetto naturalistico territoriale del Parco Nazionale Calabro
46
Lucano del Pollino".
11 progetto elaborato, oltre a graduare il territorio in diversi livelli di tutela
e protezione, dimostrò per la prima volta, attraverso un'attenta analisi costibenefici, come la conservazione della natura fosse più redditizia dei progetti
speculativi sopra citati.
Questo studio rappresenta la prima indagine scientifica, al di fuori di ogni
pregiudizio, tendente a dimostrare come l'istituzione di un'area protetta,
oltre a proteggere e tutelare l'ambiente, risulti un'occasione di sviluppo e
non di svantaggio per le popolazioni locali. Analoga ricerca venne commissionata nel 1990 dal WWF al NOMISMA per il Parco d'Abruzzo.
La Regione Basilicata nel marzo del 1973 pubblica un libro bianco tentando
un compromesso tra le due ipotesi contrapposte presentate dal WWF e
dall 'EFIM. Questo documento comunque ebbe il merito di produrre una
iniziativa legislativa con la quale la Regione Basilicata proponeva alla
Regione Calabria l'elaborazione congiunta di un "Progetto speciale per la
valorizzazione del Pollino".
L'iniziativa non ebbe seguito, e ciò indusse la Regione Basilicata ad assumersi
il compito di portare avanti la proposta con la formula di Parco Regionale.
TI 29 agosto 1977 veniva bandito un concorso di idee per la creazione di un
Parco naturale nel versante lucano del Massiccio. Il concorso venne vinto
da un Gruppo Interdisciplinare di studio coordinato dall'architetto Ferrara
e composto da numerosi studiosi, tra i quali il prof. Valerio Giacomini, il
prof. Alberto Simonetta, il prof. Umberto Bagnaresi, l'arch. Augusto Cagnardi, il dr. Giampietro Rota, l'ing. Annibale Formica. TI gruppo vincitore,
quattro anni dopo, nel luglio del 1981, consegna alla Regione il PROGETTO
POLLINO, sei volumi che sintetizzano le analisi e le proposte elaborate,
di cui nel dicembre 1985, sarà approvato soltanto il Piano Territoriale di
Coordinamento. Il Parco Regionale del Pollino, sebbene istituito con L.R.
n. 3/1986, non è stato mai messo in condizione di avviare la benché minima
attività di gestione.
Lo stato italiano si occuperà del Pollino in modo episodico e anomalo, basti
pensare che l'istituzione del Parco nazionale avverrà con l'art. 18 della legge
finanziaria n. 67 del 1988. Due anni dopo, nel 1990, con un decreto ministeriale si fisserà la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia.
TI Parco Nazionale del Pollino si avvia, di fatto, a diventare una realtà solo
nel 1993 con l'istituzione dell'Ente e nel 1994 con la costituzione degli
47
organi di gestione (Testo di Annibale Formica e Bruno Nicola, tratto da
"Uomo & Natura", Trimestrale delle aree protette Mediterranee, ed. Electa,
Anno I, n. 1, pp. 8-12).
3.3 Geositi e geoturismo
La complessità del paesaggio italiano ed il ricco patrimonio ambientale che
lo caratterizza, fanno dell'Italia uno dei territori al mondo in cui la dimensione
areale è inversamente proporzionale alla ricchezza e alla frequenza di luoghi
e oggetti di rilevanza documentale. Come avviene già per il patrimonio
archeologico ed architettonico, così anche il patrimonio ambientale stenta
a trovare, in Italia, ambiti specifici di conoscenza e valorizzazione. Tuttavia,
di recente, nei confronti dei Beni culturali e ambientali si sta registrando
un interesse via via crescente, sia in ambiti scientifici, che attraverso iniziative
legislative di censimento, protezione e recupero (Piacente, Poli, 2003).
La nostra società dovrebbe interessarsi alla geoconservazione perché essa
concerne la salvaguardia di luoghi speciali, località che sono "finestre" sul
passato della Terra.
Infatti attraverso tali siti si possono leggere gli eventi impressi nelle rocce
e comprenderne i paesaggi chiave, compresa la storia della vita. Le rocce,
formatesi in tempi inimmaginabili, costituiscono una creazione che include
i fossili e i minerali e l'ambiente entro il quale risiede l'uomo, poiché l'uomo
è parte di questa lunga storia (Poli, 1999).
Il ruolo della conservazione delle bellezze naturali, intese non solo come
fattori biotici, ma anche come elementi fisici del territorio, è stato avvertito
fin dall'inizio del secolo scorso con i primi spettacolari esempi di parchi
nazionali negli Stati Uniti d'America.
Da allora in avanti, infatti, l'uomo ha individuato tra le diverse risorse
naturali da salvaguardare anche quelle particolari caratteristiche di carattere
geologico-geomorfologico in senso generale che, unitamente a valenze di
tipo botanico, faunistico, ecc., costituiscono ambienti di grande pregio,
meritevoli di essere tutelati (Burlando, 2003).
In Italia la necessità di proteggere gli elementi fisici del territorio, compresi
più genericamente nell' ambito delle bellezze naturali e degli aspetti del
paesaggio, è stata avvertita fin dai primi del '900 con i primi importanti
dispositivi legge; successivamente, ed in maniera sempre più articolata in
questi ultimi anni, molte normative nazionali e regionali hanno avuto come
48
oggetto la salvaguardia e la valorizzazione dei beni ambientali, facendo
spesso riferimento anche alla tutela delle fonnazioni geologiche, dei processi
geomorfologici, delle associazioni paleontologiche, ecc. (Brancucci, Burlando, 2001).
Secondo il Progetto GEOSITES dello IUGS (Intemational Union Geological
Scìences) un geosito può essere ogni località, area o territorio dove sia
possibile definire un interesse geologico o geomorfologico per la conservazione (Massoli-Novelli, 2003).
I geositi rappresentano molto spesso punti di riferimento o addirittura
l'elemento centrale del paesaggio.
"Questi segni fisici sono costituiti da rupi, cime isolate, cascate, vallate,
corsi d'acqua, specchi lacustri, litorali, canyon o elementi che costituiscono
singolarità dell'ambiente fisico e come tali vengono fissati nella mente e
conservati nella memoria. E quanto più sono particolari, singolari, o, comunque, fuori dall'ordinario per fonna o anche per colore, distribuzione o
accostamenti, tanto più essi verranno associati ad un luogo o ad un momento
particolare della vita di ciascuno di noi. Altre volte i geositi costituiscono
lo sfondo o lo scenario persistente nel quale si esemplifica la vita della
comunità, tanto da divenire elementi caratterizzanti o significanti, nei quali
si ritrovano le radici e l'identità degli individui che le compongono" (Barca,
Di Gregorio, 1999).
Un qualsiasi "oggetto geologico" diventa patrimonio comune dell'umanità,
e quindi "Bene culturale", solo nel momento in cui la conoscenza viene
condivisa e l'oggetto può essere fruito (Panizza, Piacente, 1989), altrimenti
rimane solo un reperto, insignificante parte di un catalogo (Poli, 1999).
TI nodo da sciogliere in un percorso di valorizzazione non è necessariamente
quello di detenninare un valore assoluto del geosito, né tantomeno quello
di individuare il complesso dei geositi presenti in un dato territorio ma, al
contrario, stabilire tutti i possibili valori-significati-relazioni che lo stesso
intrattiene nel sistema territoriale (fisico o biologico) e nel contesto economico, sociale e culturale presi a riferimento.
Possiamo, così, attribuire un "ruolo progettuale" a ciascuno dei geositi
individuati in modo da corrispondere alle azioni ed agli utilizzatori che
avremo selezionato, tenuto conto che il medesimo geosito può assumere
un ruolo diverso.
Un aspetto che può aiutarci nella definizione del ruolo è l'interesse geologico
49
di un geosito in quanto ci pennette di comprendere cosa lo rende speciale
nell'ambito del contesto, dell' area o del paesaggio che ci prefiggiamo di
valorizzare.
I siti di interesse geologico possono costituire una concreta opportunità di
produrre sviluppo di qualità ad alto valore aggiunto soprattutto in aree con
valori diffusi o marginali. Tuttavia è altrettanto importante sottolineare che
non esistono aree marginali o insignificanti, bensì soltanto luoghi che non
hanno ancora trovato la giusta convergenza fra potenzialità e iniziative, tra
tessuto locale e interventi amministrativi (Piacente, Poli, 2003).
Per tutti questi motivi il paesaggio ci fornisce la chiave interpretativa più
importante per far conoscere pienamente un territorio; una interfaccia
semplice e diretta che consente di svelare le conoscenze relative ai geositi
ad un pubblico priva di una preparazione specifica pennettendo, tra l'altro,
la comprensione degli eventi e dei fenomeni che hanno prodotto le fonne
attuali (Poli, 2003).
L'idea è quella di trasfonnare i geositi in altrettante occasioni di sviluppo
delle identità locali, di educazione ambientale, di crescita culturale e di
apprezzamento del paesaggio nelle sue multiformi espressioni.
Oggetti e situazioni che spesso ammiriamo in paesi esotici e lontani, ma
che non riusciamo a vedere nelle nostre regioni, vicino a casa nostra, perché
non ci vengono forniti gli strumenti per poterli riconoscere e interpretare
produttivamente.
L'interpretazione è dunque la chiave di volta che consente di far diventare
un geosito una risorsa "produttiva" sotto i profili della tutela, della frizione,
dello sviluppo economico, della identificazione territoriale.
Un tale processo riveste una importanza fondamentale in quanto rende il
geosito un valore condiviso con cui ci si identifica e che si percepisce come
patrimonio comune.
Instaurare un processo continuo di comunicazione con le popolazioni locali,
al fine di portare le persone a guardare e considerare in modo diverso ciò
che le circonda, costituisce la dotazione primaria ed indispensabile di
qualsiasi processo di sviluppo economico e sociale del territorio che abbia
al centro uno o più siti di interesse geologico.
TI geoturismo può essere visto come una delle possibili strategie di conservazione dei luoghi di elevato interesse geologico.
L'attività del geoturismo e degli itinerari/sentieri geologici è appena al
50
principio nel nostro Paese, ma esistono già numerose iniziative, per esempio,
l'Associazione Italiana di Geologia e Turismo, con sede a Bologna. Quest' Associazione ha tra le sue finalità la valorizzazione del patrimonio
geologico italiano, in particolare dei geositi, ai fini di un turismo culturale
qualificato, la specializzazione di geologi e di naturalisti su problemi specifici
di un geo-turismo volto alla realizzazione di itinerari a tematismo squisitamente geologico e la formazione di Guide e Tour Operator per l'integrazione
della componente geologica con quelle tradizionali per fini turistici, mostrando esempi concreti di itinerari usuali arricchiti ed ampliati dagli aspetti
geologici (www.geologiaeturismo.it).
Un aspetto particolare di questo fenomeno risulta quello offerto dalle aree
protette e dai parchi nazionali, dove spesso gli aspetti geologici risultano
poco o nulla valorizzati, essendo subordinati a quelli biologici.
Gli impatti positivi legati al geoturismo risultano essenzialmente tre:
• il supporto alla conoscenza, e quindi alla promozione della immagine
del geosito ma anche della geologia in generale, con beneficio di tutti;
• la conservazione del bene, raggiunta attraverso il maggior interesse
del pubblico e delle amministrazioni con i necessari finanziamenti;
• la rivitalizzazione economica dell'area nel caso di geositi di particolare
vastità ed interesse, oppure nei casi minori, la possibilità di alcuni
posti di lavoro sia diretti che indotti. Sono numerosi i casi in Italia
ove il potenziamento del geoturismo, per la presenza di un geosito di
elevata valenza, può apportaree benefici socio-economici: in Basilicata
il caso dei due rari laghi gemelli, di origine vulcanica, di Monticchio
nel Vulture ne costituisce un esempio.
Gli impatti negativi che possono essere prodotti dal geoturismo consistono
essenzialmente nel "consumo della risorsa", attraverso danneggiamenti di
diversa entità e qualità a seconda del tipo di geosito.
I geositi più fragili, per esempio, risultano le cavità carsiche ipogee; impatto
minimo o nulli ricevono, invece, i geomorfoditi in roccia compatta (calcari,
dolomie, rocce intrusive, ecc.).
In conclusione, appare fondamentale che coloro che desiderano promuovere
il turismo geologico e culturale abbiano il fine primario, e la capacità, di
farsi capire dai non-geologi, utilizzando un linguaggio facile ed accessibile,
ovviamente sempre basato su dati scientifici (Massoli-Novelli, 2003).
51
3.3.1 Paesaggi geologici e geositi in Basilicata
TI paesaggio è il prodotto di una serie di processi naturali sui quali si sovrappone l'azione antropica, e quindi non può essere analizzato soltanto nei suoi
aspetti estetici e percettivi. Fra i processi naturali che detenninano la peculiarità di un paesaggio, quelli che caratterizzano preliminarmente una regione
sono i processi geologici e geomorfologici, in regioni con aree no fortemente
segnate dall' azione antropica, le variabili geologiche contribuiscono in
maniera notevole all 'individuazione di unità omogenee di territorio, consentendo così l'identificazione del "paesaggio geologico".
L'individuazione e la catalogazione dei geositi in Basilicata deve partire
dall'identificazioni di tali paesaggi:
• Paesaggio della aree costiere: Piana costiera ionica e terrazzi marini
(area metapontina ed entroterra del Golfo di Taranto); Costa alta
tirrenica (Maratea);
• Paesaggio fluvio-carsico e forratico della Murgia materna e delle
gravine del Bradano e di Picciano;
• Paesaggio della Fossa bradanica e del Bacino di Sant'Arcangelo
• Aree calanchive dei versanti argillosi (Montalbano, Pisticci, Aliano);
• Aree subpianegianti delle sommità collinari sabbioso-conglomeratiche
(Irsina, Grottole, Fardella);
• Paesaggio della fascia esterna della catena in unità a dominante arenacea (Dolomiti Lucane);
• Paesaggio dei rilievi della catena in unità a dominante argillosa (Avigliano, Laurenzana, Latronico);
• Paesaggio dei bacini intracatena pliocenici (Ofanto, Potenza, Calvello);
• Paesaggio della montagna appenninica silico-calcarea (Monte Volturino, Monte Sirino);
• Paesaggio della montagna appenninica calcarea (Monti della Maddalena, Monte di Viggiano, Pollino).
Evidenziando solo l'aspetto paseaggistico, alcuni importanti elementi
vengono ignorati o non adeguatamente evidenziati come per esempio, i siti
di importanza paleontologica, affioramenti singolari come quelli delle rocce
ofiolotiche di basamento del confine calabro-lucano, ecc.
Si evince pertanto che il riconoscimento di unità omogenee del paesaggio
geologico non è sufficiente per l'individuazione dei geositi. È indispensabile
invece la sovrapposizione di più indicazioni geologiche. Considerando infi52
ne i geositi anche come risorsa turistica, è fondamentale ricordarsi della
fruibilità del bene.
Nel caso della regione Basilicata questa può essere offerta con uno sforzo
minimo.
Per esempio numerose aree protette possono arricchire la loro proposta
naturalistica mostrando attenzione anche agli aspetti geologici.
Va inoltre evidenziato che molti abitati permettono di individuare percorsi
geologici e offrono la possibilità di affiancarsi a quelli storico-artistici
presenti ormai diffusamente.
Si pensi a tale proposito agli "inconsapevoli" itinerari geologici che si
percorrono passeggiando per gli abitati di Matera o di Castelmezzano
(Lavecchia et al., 2003).
In questi luoghi, la connessione tra caratteri geologici, geomorfologici del
territorio ed evoluzione urbana è tale che anche il turista distratto potrebbe
autonomamente cogliere alcuni dei tanti elementi di interesse geologico
osservabili camminando, nel caso di Matera, negli antichi rioni "Sassi" o
affacciandosi da punti panoramici sulla forra incisa dal Torrente Gravina
di Matera (Tropeano, 2003).
3.4 Thrismo e cultura in Basilicata: una visione d'insieme
La regione Basilicata può essere definita, a mio avviso, una Regione turistica
potenziale: in essa sono presenti attrattive culturali e paesaggistiche tali
che, se debitamente valorizzate, possono richiamare un flusso di turisti e
sostenere lo sviluppo di un valido sistema di accoglienza.
Infatti la Basilicata dispone di un rilevante patrimonio culturale, il cui
censimento ha permesso di individuare oltre mille risorse sul territorio.
La loro distribuzione per tipologia mostra una prevalenza di chiese e abbazie,
fenomeno molto comune in Basilicata, e una certa rilevanza di eventi e
rassegne che in qualche modo rivelano un livello non trascurabile di vivacità
del territorio anche in relazioni a manifestazioni a valenza culturale.
Alla luce delle rilevazioni effettuate in Basilicata, emerge la presenza di
aspetti positivi e di elementi di criticità nel quadro delle relazioni esistenti
tra risorse/servizi/soggetti nei settori, finalizzati alla valorizzazione e fruibilità
del patrimonio culturale, visto in una prospettiva turistica.
La forte crescita dei flussi turistici in Basilicata negli ultimi anni può spiegarsi
con i seguenti fattori.
53
• Gli investimenti significativi in infrastrutture e servizi ricettivi di
fascia medio alta.
• L'effetto "novità" della destinazione: molti turisti, soprattutto del
centro-nord, scelgono la Basilicata per conoscere destinazioni e luoghi
nuovi; la regione è ancora molto "da scoprire" sul piano turistico e
questo costituisce un elemento di attrattiva.
• La comparsa di un turismo balneare sempre più attento alla qualità
dell' ambiente naturale e alla presenza di fattori di attrattiva di tipo
storico-culturale. Diversi indicatori segnalano una crescita significativa
del turismo culturale, che assume un carattere prevalentemente
"escursionistico".
• Crescita del turismo culturale nei centri d'arte cosiddetti "minori".
Per contro, a rallentare il processo di valorizzazione del patrimonio culturale
della Basilicata concorrono diversi fattori, tra i quali assumono un peso
rilevante quelli qui di seguito elencati.
• L'insufficiente cultura turistica, intesa come capacità di riconoscere
il valore del patrimonio in sé e per il potenziale di attrazione turistica
che esso esprime (ciò non consente di far diventare prodotto per il
turismo le risorse esistenti).
• La carenza dei servizi in grado di favorire una effettiva fruizione delle
risorse e di farne apprezzare il valore (itinerari turistici attrezzati,
servizi di informazione turistica, guide turistiche ecc.).
• La collocazione geografica e le caratteristiche morfologiche di gran
parte del territorio lucano, che pur costituendo uno degli elementi
naturali di più forte attrattiva rappresentano la ragione primaria delle
difficoltà di accesso alle aree turistiche della regione. Difficoltà che,
sul piano del sistema dei trasporti, sono aggravate dalla carente possibilità di collegamenti veloci che consentano un rapido accesso alle
località turistiche, a causa della funzione del tutto secondaria svolta
dal sistema ferroviario e dell' assenza di aeroporti.
I più recenti documenti di programmazione regionale segnano comunque
una svolta rispetto a un approccio al patrimonio storico-culturale improntato
esclusivamente alla tutela e alla conservazione dei beni.
Sembra ormai superata una concezione puramente conservativa del patrimonio a favore di una concezione del patrimonio come risorsa per uno
sviluppo sostenibile (TCI, 2002).
54
3.4.1 Effetti del turismo sul sistema economico della localiUi d'accoglienza
Se pensiamo al recente passato, più o meno fino agli anni '80, la cultura
era considerata una cosa importante ma quasi superflua rispetto allo sviluppo
economico: era considerata come qualcosa che non produceva un reddito,
i settori tradizionalmente considerati produttivi erano l'industria, l'agricoltura,
il commercio, il terziario.
Non a caso fmo agli anni '90 la maggior parte dei fondi strutturali e dei fondi
europei erano utilizzati proprio per attrezzare aree industriali, artigiane,
incubatori di piccole e medie imprese, ma quasi mai per progetti di tipo culturale.
Successivamente la cultura diventò un settore importante solo se produceva
reddito; si era scoperto infatti, anche sulla scia di quanto era successo in
altre regioni, che essa poteva produrre un beneficio economico immediato,
e in quest'ottica ci si mosse con iniziative di valorizzazione di alcuni degli
elementi culturali più importanti e vistosi.
Anche questa concezione è poi caduta perché è chiaro che la cultura non
produce quasi mai un reddito diretto, non esistono beni culturali e musei
che si automantengono, che non hanno bisogno di un supporto esterno, e
probabilmente non è neanche giusto perché la cultura è un qualcosa che
deve essere dato ad un prezzo politico, alla portata di tutti.
L'atteggiamento degli ultimi anni, in pratica a partire dagli anni '90, si è
modificato e quando un Ente pubblico investe nel settore della cultura, ed
in particolare nel settore del patrimonio culturale attraverso il recupero dei
beni, la loro valorizzazione, il sostegno ad iniziative museali o ecomuseali,
gli obbiettivi che ci si pone sono un po' più complessi e diversi.
Naturalmente in primis la tutela dei beni, questo va da sé, perché compito
primario ovviamente dell 'Ente pubblico è quello di tutelare e recuperare i
beni per poterli trasmettere, così come noi li abbiamo ricevuti dalle generazioni precedenti, alle future generazioni.
Poi riaffermazione dell'identità, ma anche finalità economiche, pur se non
di tipo diretto: un bene viene recuperato, un museo viene realizzato e
valorizzato, un patrimonio ambientale viene fatto conoscere non solo perché
si pensa che la gente che va a visitarlo debba pagare un biglietto, e il
pagamento dei biglietti sia tale da poterlo mantenere, ma perché la valorizzazione di un territorio, la valorizzazione di un bene culturale - sia esso un
edificio, ma anche un paesaggio, una cultura diffusa - concorrono a favorire
lo sviluppo e la crescita di chi di quel bene usufruisce, attraverso un turismo
55
di tipo culturale. Quindi flussi turistici nuovi che portano sì delle ricadute
economiche, ma anche e soprattutto perché siamo ormai consapevoli che
un territorio valorizzato, ben mantenuto, che fa del recupero dei beni un
valore imprescindibile, favorisce un miglioramento della qualità della vita
di chi in quel territorio vive e lavora.
Ne consegue che quasi tutti i progetti che riguardano il recupero dei beni
riguardano infatti oggi molto spesso anche il recupero del territorio, dei
centri storici nel loro complesso, delle altre parti del paesaggio circostante
(Formento, 2006).
In linea generale, il turismo svolge un ruolo dinamicizzante sull'economia
di un Paese: possiede, infatti, la capacità di sviluppare una rete di iniziative
e di innescare un circuito virtuoso di crescita con effetti sul Pil (Prodotto
interno lordo) e sulla sua distribuzione (Tisdell, 2000; Totola, 2001).
TI turismo normalmente si avvia in zone dove è già insediata una popolazione
autoctona e si svolgono attività produttrici di reddito; pertanto esso si
aggiunge o si sovrappone ai settori economici preesistenti, come un valore
aggiunto, determinando effetti indotti e situazioni di complementarità e/o
concorrenza.
Una situazione di complementarità si verifica con attività come l'artigianato,
in particolar modo artigianato d'arte, che viene spesso stimolato dal turismo.
A volte, inoltre, il turismo determina una vera e propria rinascita dell'artigianato locale: a Cipro, per esempio, il turismo ha rivitalizzato una serie di
attività in crisi, quali ceramica, ricamo, tessitura; nella Francia orientale, al
confme con il Piemonte, nel Queyras, la presenza del parco naturale regionale
ha rilanciato l'artigianato del legno ecc.
Situazioni di concorrenza si presentano, invece, nelle attività legate al settore
agricolo, qualora si verifichi una sottrazione di manodopera locale nelle
stagioni più propizie ai lavori dei campi o una riduzione degli spazi agricoli
a favore del turismo, con conseguente lievitazione dei prezzi del terreno e
diminuzione della propensione agli investimenti legati al settore agricolo.
Riguardo ai posti di lavoro, il turismo ha la capacità di trattenere la popolazione residente non solo nelle aree forti, e quindi già collaudate ma anche
in quelle deboli, soggette a spopolamento dovuto alla crisi di alcuni settori
economici.
Lo sviluppo turistico può inoltre modificare la distribuzione spaziale della
popolazione: molte regioni vengono investite dal fenomeno della desertifi56
cazione dello spazio interno, a favore di una forte concentrazione di uomini
e attività nell'area a sviluppo turistico. In Italia, per esempio, nel secondo
dopoguerra, si è verificata una consistente migrazione di persone dalla
catena appenninica in direzione della costa tirrenica e adriatica.
I posti di lavoro offerti dal turismo sono, però, spesso stagionali, precari e
talvolta, scarsamente retribuiti. Esistono stazioni turistiche che divengono
veri e propri nuclei cittadini nella stagione turistica, mentre durante il resto
dell'anno si presentano deserte (Galvani, 1987).
Frequente è poi la pratica del lavoro nero e diffusi sono i casi di sottoccupazione, che interessano soprattutto studenti, casalinghe, pensionati e
lavoratori extracomunitari.
Il principio secondo il quale il turismo produce effetti moltiplicatori nei
riguardi dell'occupazione è valido solo per i Paesi economicamente evoluti
e, in genere, gli effetti moltiplicatori nei riguardi dell'occupazione dipendono
dal grado di integrazione fra il turismo e gli altri settori economici locali.
L'industria del turismo, dunque, crea posti di lavoro diretti, che corrispondono
alle attività che hanno rapporti diretti con la clientela (settore alberghiero,
ristorazione, agenzie di viaggi, servizi ricreativi e sportivi), ma anche indiretti, che interessano le attività economiche necessarie al funzionamento
del sistema turistico (fornitori di beni) e della manutenzione delle infrastrutture necessarie.
Il turismo, infine, influenza in modo più o meno diretto il commercio. In
presenza di una località turistica si nota un'elevata concentrazione di strutture
commerciali rispetto alla media delle località non interessate dal fenomeno.
È inevitabile anche la lievitazione dei prezzi, in particolare delle abitazioni,
che in alcuni casi costringe i residenti a orientare la propria residenza verso
località ritenute meno care. Si verificano anche una palese disparità a
vantaggio di negozi di souvenir e di shopping, rispetto a quelli destinati alla
vendita di beni comuni (frutta, latticini, pane), e infine una marcata stagionalità nell'apertura degli esercizi commerciali.
3.5 Cic1oturismo in Basilicata
Il fenomeno del cicloturismo è ancora poco sviluppato in Italia, ma è in
forte crescita; ci sono circa 6 milioni di cicloturisti in Europa (fonte Enit),
di questi, quasi 2 milioni sono tedeschi.
In Germania, il 65% delle persone utilizza la bicicletta nel tempo libero,
57
ben 4.700.000 tedeschi ha progettato di svolgere nel biennio 2001/2 delle
vacanze cicloturistiche. In prevalenza, il pernottamento avviene in albergo
con il 40% dei casi. Quest'ultimo dato ci pennette di capire che il cicloturismo
ha effetti estremamente positivi sull'economia e assicura ovunque un'importante creazione di valore aggiunto.
Nel 1991, Ernst Miegelbauer ha condotto un'inchiesta sull'itinerario ciclabile
del Danubio (320 km), interrogando ospiti ed esercenti. Nel 1991 circa
100.000 ciclisti e cicliste hanno speso circa 57 miliardi di lire. In media, i
cicloturisti sono stati in viaggio nove giorni e hanno speso attorno alle
63.000 lire al giorno.
Attualmente, l'Austria dispone di nove itinerari ciclabili autonomi segnalati
(con lunghezze che variano dai 110 ai 340 km), che non sono tuttavia
collegati fra di loro. Da un'altra indagine si apprende che il 20% dei turisti
che soggiornano in Austria usa la bicicletta durante le vacanze.
Nei Paesi Bassi, nel 1987, la Fondazione "Landelijke Fietsplatform" ha
messo in cantiere una rete nazionale di itinerari ciclabili, realizzando fino
ad oggi sei cosidetti itinerari LF (Landelijke Fietsrouten) con lunghezze
che variano dai 200 ai 360 km. Alla cura e alla manutenzione degli itinerari
provvede la Fondazione stessa.
Dall'apertura del primo percorso LF nel 1988, sono state vendute complessivamente oltre 100.000 guide (64 pagine). Nel 1993,500.000 olandesi
hanno trascorso le vacanze pedalando nel proprio paese (con più di due
pernottamenti). Un'indagine condotta nel 1993 ha fornito i dati sugli effetti
del cicloturismo a livello nazionale (www.arnicidellabicicletta.it). I pernottamenti annui sono stimati a 246.000. Secondo questi calcoli, il cicloturismo
fa confluire ogni anno nelle casse nazionali ben 19 miliardi di lire.
Affinché si giunga a questi risultati è, però, indispensabile offrire percorsi
protetti, riservati e ben segnalati con informazioni su distanze, tempi, mete
e servizi di supporto.
Oltre a essere un mezzo di trasporto ecologico, le due ruote silenziose
offrono l'opportunità di estraniarsi dalla vita frenetica delle città, ritrovare
il piacere di osservare il mondo che ci circonda e vivere in maniera più
diretta e profonda il contatto col paesaggio.
La Basilicata è la regione ideale per il cicloturismo, per almeno due ragioni:
la prima è rappresentata dalla sua bassa densità abitativa - circa 60 abitanti
per chilometro quadrato - che si traduce anche in una bassa densità di
58
automobili circolanti sulla rete stradale; la seconda ragione è data dalla
grande varietà di paesaggi, tali da consentire al cicloturista di organizzare
itinerari che, anche nell' arco della stessa giornata, spaziano dal mare alla
montagna.
L'Azienda di promozione turistica della Basilicata propone otto itinerari
tematici tesi a fornire una conoscenza dei vari aspetti della regione, articolati
in quattordici tappe in linea e tre specifici percorsi ad anello dedicati all'area
costiera ionica, per una percorrenza complessiva di circa 1.300 chilometri.
Le strade percorse dalle varie tappe possono essere quasi tutte classificate
a bassissima densità di traffico, con valori compresi tra un minimo di lO ad
un massimo di 100 automobili in transito all'ora, fatta eccezione per i pochi
tratti di strada in prossimità dei due capoluoghi - Potenza e Matera - e delle
strade costiere, trafficate nel periodo estivo.
Per quanto riguarda l'andamento altimetrico dei percorsi, non sono previste
tappe particolarmente difficili e solo in pochi casi e per brevi percorrenze,
le pendenze superano il 6%.
Bisogna tenere presente, tuttavia, che le caratteristiche orografiche della
regione obbligano a percorsi in continuo saliscendi, con superamento anche
di più valichi nella stessa tappa, peculiarità queste, che comunque rendono
ancora più appetibili i percorsi agli appassionati e agli sportivi.
Le tappe sono state comunque disegnate in modo da contenere il dislivello
totale in salita, nei limiti dei 2.000 m di quota da superare in un giorno.
La partenza delle tappe avviene sempre in centri abitati raggiungibili, oltre
che con l'auto o con il pullman, anche in treno: Potenza, Maratea, Metaponto.
Il cicloturista li potrà raggiungere, quindi, anche utilizzando la comoda
formula del treno+bici che le Ferrovie dello Stato mettono ormai a disposizione su tutto il territorio nazionale.
La Basilicata è una regione prevalentemente montuosa, con clima generalmente freddo in inverno e caldo spesso secco, ma sopportabile in estate.
Fanno eccezione l'area nord orientale della regione, confmante con la Puglia,
ed i limitati tratti costieri ionico e tirrenico, caratterizzati da temperature
più elevate e da maggiori percentuali di giorni di sereno.
Potendo scegliere, conviene, quindi, programmare le proprie escursioni in
bici nelle stagioni intermedie - autunno e primavera - nei tratti costieri e
durante la stagione estiva nel resto della regione (APT, 2000).
59
3.6 Ricettività nell'area del Parco Nazionale del Pollino
Tra le molteplici motivazioni che inducono all'istituzione di un'area protetta
ricordiamo la conservazione della natura, attraverso il mantenimento degli
ecosistemi, la ricerca scientifica, che consente opportunità di studio, la
ricreazione e lo svago finalizzati al raggiungimento del benessere psicofisico
dell'individuo.
Visitare un parco, soggiornarvi e quindi conoscerlo consente di stabilire
uno stretto contatto con l'ambiente naturale e con la cultura delle popolazioni
che vi abitano.
La tendenza di questi ultinù anni vede una maggior attenzione verso una
più profonda integrazione tra uomo e ambiente naturale, allo scopo di
favorire l'estensione e la conservazione del patrimonio verde. In questa
prospettiva si deve porre anche il turista nel momento in cui visita un'area
protetta.
Nell' ottica di una sua permanenza discreta e non nociva per il paesaggio e
le specie animali e vegetali in esso ospitate, occorre pertanto selezionare i
luoghi accessibili, guidare i flussi escursionistici, promuovere un più ampio
ventaglio di proposte, coinvolgendo attivamente il visitatore nella cura e
nella gestione dei parchi con campi di lavoro, corsi e stage di studio e
conoscenza.
TI Mezzogiorno può puntare su questo nuovo modello di sviluppo econODÙco
di tipo endogeno e sostenibile, infatti più del 50% delle aree protette esistenti
in Italia è localizzato nel Meridione, mentre solo il 22% al Nord e il 26%
al Centro.
In questo contesto, un ruolo di primo piano può essere svolto dal Parco
Nazionale del Pollino, istituito nel novembre del 1993, che rappresenta più
del 12,5% della superficie delle aree protette italiane, estendendosi per quasi
193.000 ettari tra Basilicata e Calabria.
Dell' area turistica di riferimento fanno parte 22 Comuni e vi si concentra
circa il 13% delle risorse culturali complessive.
La vocazione culturale prevalente della zona è legata alla presenza di palazzi
e residenze, di chiese e abbazie: quest'ultimo dato merita un particolare
commento per l'elevata frequenza di santuari e luoghi di culto, spesso isolati
o posti in vetta, che caratterizzano l'area montana lucana.
Passando all'offerta turistica e culturale la quota sul totale regionale dell'area
è del 10%: indicatori significativi sono il notevole numero di consorzi e
60
ristoranti, ma soprattutto di alberghi, segno che nella zona si è già sviluppata
una certa economia legata alla fruizione turistica montana (TCI, 2002).
Allo stato attuale, pur possedendo l'area del Parco una serie di fattori
d'attrattiva di notevole rilevanza sotto molteplici aspetti, primi fra tutti
quelli ambientali - naturalistici e quelli storico culturali, il potenziale esistente
non è stato espresso che in minima parte e pertanto non può essere attualmente considerata meta di consistenti flussi turistici sistemizzati.
Tra il 1995 e il 1999 è stato stimato un incremento medio annuo delle
presenze del 5%, anche se l'apporto di risorse finanziarie aggiuntive nell'area
del Parco, che viene dai visitatori, non è molto elevato, a causa delle disorganizzazione dei flussi stessi.
Sempre con riferimento alla stessa indagine, si è rilevato che gli ospiti sono
spinti a soggiornare nel Parco prevalentemente da motivazioni di carattere
ambientale; questa predominanza che si traduce in una domanda di tipo
strettamente "leisure", non ha tuttavia impedito lo sviluppo di altri segmenti
(turismo religioso, balneare, scolastico, sportivo).
Un dato importante da considerare è il carattere di stagionalità che attualmente
caratterizza il turismo che si realizza all'interno del Parco.
La porzione più rilevante delle presenze, infatti, si concentra nei mesi estivi,
e precisamente, in ordine decrescente, in agosto, luglio, giugno, maggio,
nei week-end e per brevi soggiorni durante le festività di Natale e specialmente Pasqua.
Dall'analisi comparata degli arrivi e delle presenze, inoltre, emerge che i
primi superano notevolmente le seconde, perciò si rileva che il fenomeno
dell'escursionismo, vale a dire permanenza nella località turistica senza
pernottamento, è preponderante rispetto al soggiorno vero e proprio.
Dalle regioni limitrofe all'area del Parco (Puglia, Campania e Sicilia)
proviene più del 70% dei visitatori; le presenze straniere sono, invece,
scarse, anche se a giudizio degli operatori si registra, in quest'ultimo periodo
uno sviluppo.
Nell'area centrale non esistono complessi ricettivi di grandi dimensioni, infatti
circa 80% delle stesse dispone di un numero di posti letto inferiore a 60.
Ancora molte delle strutture localizzate nel Parco non sono attrezzate ad
accogliere disabili, quasi tutte (98%) sono dotate di ristorante interno, solo
il 30% dispone di sale convegni e solo nel 35% dei casi esiste la disponibilità
ad accogliere animali domestici.
61
Per quanto concerne gli altri tipi di servizi collaterali (campi da tennis,
piscine, palestre, ecc.), dall'analisi dei dati emerge una forte presenza di
questo tipo di servizi nelle strutture localizzate sulla costa, mentre la percentuale si riduce notevolmente se si considerano le strutture localizzate in
area centrale.
Dal punto di vista della ricettività locale, il Pollino è prevalentemente
costituito da alberghi e da agriturismi, mentre la presenza di campingvillaggi è residuale.
In tutti gli agriturismi è possibile usufruire di un'ospitalità che non si limita
alla sola offerta del pernottamento ma comprende anche la possibilità di
scoprire sapori, odori e piaceri della tavola, negli annessi locali per la
ristorazione e nei punti vendita di prodotti tipici.
Esiste una forte consapevolezza degli operatori dell' area della necessità di
mettere in campo una strategia ed una serie di azioni tese a trasfonnare
l'offerta turistica attuale, che pur con i suoi punti di eccellenza, risulta ancora
disorganica e frastagliata, non concertata con le altre realtà economiche in
un "prodotto turistico vendibile".
Le risorse naturali, ambientali, sociali, culturali, infrastrutturali, religiose
e sportive, infatti, da sole non sono in grado di rappresentare un "prodotto
turistico vendibile"; occorre attivarle opportunamente attraverso almeno
quattro fasi:
1. riconoscimento, valorizzazione, conservazione;
2. accessibilità e fruibilità;
3. integrazione in un prodotto turistico;
4. promozione e commercializzazione.
In questi ultimi anni l'Ente Parco ha lavorato principalmente rispetto alle
prime due fasi ed ha in programma di realizzare quelle successive solo al
completamento delle due precedenti; considerando che uno sconvolgimento
della sequenza altererebbe l'efficacia dell'intervento (si pensi ai danni che
si creerebbero promuovendo massicciamente un prodotto turistico che allo
stato attuale non rappresenta ancora un "prodotto vendibile").
In un'area protetta, inoltre, la necessità di pianificare e programmare con
attenzione ogni tipo di sviluppo, e dunque anche quello turistico, è molto più
pressante, poiché una crescita disordinata può costituire una minaccia per le
risorse che rappresentano la base sulla quale costruire lo sviluppo stesso.
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Infatti ogni tipo di intervento che si andrà ad attuare nell' area non deve
turbare l'ecosistema, cosa che avverrebbe, ad esempio con interventi di
artificializzazione dell'ambiente, ma deve valutare la capacità di carico in
modo tale da non impattare negativamente risorse difficihnente riproducibili
Inoltre sviluppo non deve intaccare l'identità culturale e sociale delle
popolazioni coinvolte, né stravolgere il loro stile di vita.
Solo rispettando questi principi basilari si può sviluppare, nell' area del
Parco non solo un turismo ma anche un generale sviluppo socio-economico
durevole (Esposito, 2001).
3.6.1 Gli sport praticabili nel Parco del Pollino
L'articolata varietà del territorio e delle condizioni geomorfologiche offrono
la possibilità di praticare diversi sport, tenuto conto che, se ben praticati,
non urtano contro le esigenze della tutela del patrimonio naturalistico del
comprensorio, non comportano alcun adattamento dell'ambiente all'esigenze
della pratica sportiva, non turbano l'elementare precetto che in un'area
Parco impone il rispetto del silenzio, che può essere rotto solo da eventi
naturali.
Sci da fondo
La persistenza delle nevi per molti mesi dell'anno e l'estensione davvero
considerevole della bianca coltre sull'area protetta consentono la pratica di
questo sport in diverse zone del parco. Aree ideali, i grandi pianori da Ruggio
a Novacco, da Piano Lanzo ai Piani di Pollino. A Terranova del Pollino,
una lunga pista, corre lungo il tratto Lago Duglia - Sorgente Chidichimo.
Thrismo equestre
TI turismo equestre è praticabile nel Parco, grazie alla presenza di maneggi
e scuole di equitazione, per esempio a Terranova del Pollino e San Severino.
Scoprire il Parco a cavallo riporta a percorrere vie e mulattiere che un tempo
erano passaggi obbligati per chi viveva in un rapporto di mutualità con la
montagna.
Parapendio e deltaplano
Dai picchi e dalle alture del Parco, incominciano a levarsi appassionati di
questo sport, i quali hanno costituito a Senise un centro di pratica del
parapendio.
Torrentismo
Percorrere il greto di un torrente, risalirlo o discenderlo lungo i suoi margini,
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guadandolo all'occorrenza, costituisce uno sport che richiede agilità e
accortezza nei movimenti. Si va dalla risalita semplice e interessante dell'Abatemarco (Verbicaro, alle discese affascinanti e impegnative del Ragnaello, Pietraponte al Ponte del Diavolo, fino alla difficile discesa del Grimavolo, il torrente-cascata più impervio del Parco.
Canoismo e rafting
Da diversi anni il letto del Lao è stato scoperto da cultori dello sport della canoa
e del rafting, come ambiente tra i più idonei del Mezzogiorno per affrontare
con canoa e gommoni il corso a tratti impegnativo del fiume.
Alpinismo
Le pareti della Falconara, del Pollino. Del Sellaro, delle piccole dolomiti
di Frascineto, i dirupi di Boccademone, sono già meta di scalatori che
provano l'ebbrezza della risalita con corde e chiodi.
Mountain Bike
Percorrere con la bicicletta da montagna le innumerevoli piste che intersecano
il Parco, è quanto di più suggestivo e tonificante si possa fare. Si può
utilizzare la mountain bike per lunghi spostamenti su pista ombreggiata dai
faggi e tutte in piano, prediligendo la parte di sud-ovest, ma si può anche
intraprendere la faticosa ascesa ai Piani di Pollino.
Trekking
Con zaino e scarponi è lo sport naturalistico più semplice per tutte le gambe
e per tutte le età. Esso è praticabile nel parco a qualsiasi quota, scegliendo
dislivelli e sentieri più svariati (Troccoli, Pisarra, 1994).
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