Pagine da 1 a 16 - Precedente versione del sito
Transcript
Pagine da 1 a 16 - Precedente versione del sito
Capitolo 3 IL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO 3.1 La natura del Parco TI Parco Nazionale del Pollino, istituito nel novembre 1993, prende il nome dal massiccio più alto della zona, e con la sua estensione di circa 193 mila ettari, è la più vasta e intatta area protetta d'Italia. È situato nel gruppo montuoso calabro-lucano tra il Tirreno e lo Ionio ed è formato da una catena di cime con andamento trasversale in direzione sud-est, separanti l'Appennino dalle montagne silane della Calabria. Da questo territorio emergono tre principali massicci: quello del Pollino, situato al centro del Parco; a sud ovest, il complesso dei monti dell'Orsomarso e, nel settore settentrionale, si erge isolato il Monte Alpi. Il gruppo del Pollino segna con il suo crinale, disteso lungo la direttrice NO, il confine tra le due regioni. Esso costituisce il gruppo montuoso più elevato dell'Appennino meridionale, con le cime più alte e più rappresentative del Parco (fig. 5): Serra Crispo (2.053 m), Serra delle Ciavole (2.127 m), Serra del Prete (2.180 m), Monte Pollino (2.248 m) e, per finire, la cima più alta, Serra Dolcedorme (2.266 m). A nord, il versante lucano del massiccio si affaccia sulla valle del fiume Sinni con pendici più dolci, sul versante calabrese a sud, sulla Piana di Castrovillari, con un paesaggio aspro e selvaggio. Conserva tracce delle ultime glaciazioni testimoniate dai depositi morenici e dai massi erratici nel Piano di Acquafredda a nei Piani di Pollino. I Monti dell'Orsomarso costituiscono invece l'ossatura orografica della zona meridionale del parco, collegati, in un continuum geografico, con il massiccio del Pollino, attraverso l'altopiano carsificato di Campotenese e le cime di Cozzo Pellegrino, monte Palanuda, la Montea. Il complesso racchiude una straordinaria varietà di paesaggi contrapposta a una semplice conformazione orografica. Nessuna delle cime del complesso sfiora i 2.000 m di quota: Cozzo del Pellegrino arriva a 1.987 In, mentre la Mula tocca i 1.935 m. A settentrione, in posizione marginale nell'ambito del territorio del Parco, si erge il Monte Alpi (1.900 m). Si tratta di un interessante fenomeno geologico che finora non ha trovato una spiegazione univoca. Gli studiosi, infatti, non sono riusciti ancora a spiegare come questa piatta17 fonna carbonatica appartenente alla placca abruzzese-campana abbia potuto collocarsi nella posizione attuale. Da queste cime, è possibile abbracciare con uno sguardo, ad occidente, le coste tirreniche di Maratea, di Praia a Mare, di Belvedere Marittimo e, ad oriente, il litorale ionico da Sibari a Metaponto. Per quanto riguarda i sistemi fluviali, il corso d'acqua più importante del versante lucano del Parco, è il Sinni, che è alimentato da due importanti affluenti, il Frido e il Sarmento. Il primo, a carattere torrentizio, nasce da Piano Iannace, nel cuore del massiccio a 1.800 metri di quota e conclude la sua corsa nei pressi dell' antico convento del Ventrile di Francavilla sul Sinni. 11 secondo, il Sarmento, inizia la sua corsa nei pressi di Casa del Conte, una frazione di Terranova del Pollino, attraversa la Gola della Garavina, un profondo canyon di spettacolare bellezza, per immettersi nel Sinni a ovest di Valsinni. Il Raganello, torrente famoso per le sue gole nate dall'azione combinata dell'erosione fluviale e dei movimenti tettonici è alimentato dalle acque convogliate da Serra delle Ciavole, Toppo Vuturo e Falconara. Dalle pendici settentrionali di Coppola di Paola sono convogliate le acque del torrente Mercure, che dopo la confluenza con il Battendiero cambia il suo nome con Lao. Infine abbiamo la valle del fiume Argentino, un affluente del Lao, così chiamato per la straordinaria trasparenza delle sue acque (www.parcopollino.it). Si tratta di uno scenario vasto e vario nelle sue componenti, con suoli, piante, animali, climi, uomini, culture, attività che cambiano di passo in passo, da luogo a luogo, da cima a cima, da vallata a vallata, da paese a paese, da stagione a stagione, in un continuo, sorprendente alternarsi di viste, di spettacoli, di colori, di vite. Questo Parco offre la possibilità di godere di bellezze naturali, ambientali, paesaggistiche e di testimonianze storiche, artistiche, architettoniche, monumentali, socio-culturali, antropologiche ed etniche; è un ecosistema uomo-natura delicatissimo ed eccezionale (Formica, 2001). 3.1.1 Climatologia Le zone montuose comprese nel Parco Nazionale del Pollino rappresentano un territorio geograficamente molto complesso, dato la sua posizione a cavallo di due mari e l'elevata altitudine; ne deriva che anche le caratteristiche 18 climatiche dell'intera area risultino molto diversificate. Dall'andamento termico si evince un clima di tipo mediterraneo con medie annuali di 15,2°C (14,8°C), 17,4°C (17°C) e 5,5°C rispettivamente per le stazioni di Maratea, Villapiana Scalo e Ruggio (in parentesi i valori relativi al periodo 1982-87), cioè per quelle stazioni ubicate rispettivamente alle quote di 300 m s.l.m., 5 m s.Lm. e 1.600 m s.l.m.. Tutte le stazioni mostrano i minimi di temperatura nel mese di gennaio ed il massimo nel mese di agosto. L'analisi dell' andamento delle precipitazioni rivela, anch'esso, un clima mediterraneo, con i mesi invernali più piovosi, (precipitazioni massime mensili a dicembre con 168 mm, 205 mm e 335 mm rispettivamente per Viggianello, S. Severino (1951-87) e Ruggio (1960-62) ed i mesi estivi più asciutti. La media annuale delle precipitazioni (nel periodo 1982-87) è di ben 2.527 mm. Le basse temperature determinano nei mesi invernali frequenti precipitazioni a carattere nevoso, che coprono i terreni posti a quota superiore a 1.400 m anche per 5-6 mesi all'anno. 11 regime pluviometrico è influenzato, oltre che dalla altitudine cui si trova la stazione, anche dalla sua collocazione geografica. Le stazioni lungo il versante tirrenico hanno mediamente una piovosità più alta rispetto a quelle poste lungo il margine orientale del Parco. Ad una differente quantità di pioggia media annuale non corrisponde tuttavia una diversa distribuzione della piovosità nell'arco dell'anno: è infatti generalizzato per tutte le stazioni il minimo di piovosità media mensile nel mese di luglio ed il massimo collocato nel periodo dicembre-gennaio. In inverno dominano i venti settentrionali che spirano fino a 40-50 km/h, provocando notevoli abbassamenti della temperatura. In estate prevalgono i venti meridionali che concorrono ad abbassare l'umidità relativa dell'aria [Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste (a cura di), 1978]. Analizzando i dati agrometeorologici, rilevati dalla rete di 41 stazioni elettroniche del S.A.L. (Servizio Agrometeorologico Lucano) che automaticamente monitorano il territorio regionale, emerge che il 2003 si è caratterizzato per i seguenti fenomeni climatici: • abbondanti precipitazioni del periodo autunnale ed invernale; • forte gelata primaverile; • calda e lunga estate. 19 Analizzando le precipitazioni, si rileva che nel 2003 sul territorio regionale sono state registrate ovunque quantità superiori alla media, con una notevole variabilità tra le varie zone in cui climatologicamente la Basilicata può essere suddivisa. Nel Metapontino, in particolare, che rappresenta una delle zone meno piovose ma anche tra le più floride della Basilicata, sono stati registrati 570 mm, ossia circa 70 mm in più rispetto alla media annuale (500 mm) dell'arco ionico. Per quanto concerne la temperatura, il 2003 è stato senza dubbio un anno che ha lasciato il segno per le sue "anomalie", fenomeno che d'altronde si è verificato in tutta Italia. Infatti, a fronte di un primo periodo (gennaio) con temperature al di sopra della media, hanno fatto seguito febbraio, marzo e la prima parte di aprile, con temperature nettamente inferiori alla media stagionale, culminate con la gelata dell' 8 e 9 aprile, quando, in molte aree (Alta Val d'Agri, Collina Materana, Alto Senisese e Lavellese), la temperatura minima ha fatto registrare valori anche di -5°C, mentre nelle zone costiere (Metapontino) la minima è stata di -2°C (www.alsia.it). 3.1.2 Aspetti geologici L'area della Catena del Pollino è un' estesa morfostruttura carbonatica allungata in direzione N al confine tra Calabria e Lucania. Tale confine riveste tradizionalmente un particolare interesse nella geologia dell 'Italia meridionale perché rappresenta la fascia di raccordo tra i terreni sedimentari dell' Appennino calcareo e le coltri cristallino-metamorfico-sedimentarie dell' Arco Calabro. La Catena del Pollino, fatta di rocce carbonatiche meso-cenozoiche, viene classicamente interpretata come una monoclinale immergente verso NE al di sotto di terreni ofiolitici e bordata da bacini quaternari. L'assetto tettonico della dorsale è, in realtà, molto complesso, a causa della scomposizione della struttura tettogenetica ad opera della deformazione fragile plioquaternaria (Schiattarella, 1996, 1998). In passato, il confine calabro-Iucano è stato oggetto di studi che hanno portato a numerose interpretazioni, spesso controverse. I primi studi dell'area iniziano nel 1904 con De Lorenzo, che ne riconosce una autoctonia totale, individuando una successione continua dai terreni cristallini alla base, fino ai depositi plio-pleistocenici di argille azzurre e sabbie. Dopo questa prima interpretazione, viene riconosciuta una struttura a falde affette da movimenti 20 più o meno ampie con sovrapposizioni anomale. Successivamente, si sono sviluppate più moderne interpretazioni; secondo Ogniben (1969), il Massiccio del Pollino è costituito da terreni ofiolitici alloctoni di vario grado metamorfico, denominati Complesso Liguride (per correlazione con le unità ofiolitiche dell' Appennino Settentrionale), che poggiano su successioni carbonatiche di età mesozoico-terziaria, denominate Complesso Panonnide. TI substrato calcareo del Massiccio del Pollino è stato considerato autoctono da Selli (1962), e riferito ad una grande unità geologica affiorante dal LazioAbruzzo, fino alla Calabria settentrionale. Nel settore centro-settentrionale del Pollino affiorano tre distinte unità strutturali, poste tra loro in contatto tettonico, che sono dall'alto verso il basso: l'Unità del Frido, il Flysch calabro-Iucano e l'Unità del Pollino. L'Unità del Frido è costituita da metamorfiti polideformate contenenti blocchi di dimensione variabile di rocce ofiolitiche e di rocce di crosta continentale. Questa unità poggia tettonicamente sulle unità carbonatiche e su vari termini della sottostante Unità del Flysch Calabro-Lucano. In particolare si riconoscono due subunità tettonicamente sovrapposte, l'una costituita da prevalenti argilloscisti, l'altra da prevalenti calcescisti. Dal punto di vista litologico, la subunità ad argilloscisti, rappresentante la maggior parte dei terreni dell 'Unità del Frido, è formata da argilloscisti grigio-lucenti e/o nerastri contenenti intercalazioni di metareniti, metasiltiti, quarziti e più rari livelli di metacalcari, mentre la sovrastante subunità a calcescisti è costituita prevalentemente da calcescisti di colore grigiastro, cui si intercalano rari livelli di marmi, quarziti verdastre e argilloscisti. Le rocce ofiolitiche associate si presentano sottoforma di corpi di peridotiti serpentinizzate e metabasiti verdine o azzurrine di dimensioni variabili da qualche metro ad una decina di metri. Blocchi di rocce cristalline di origine continentale e di metabasalti, calcescisti e marmi sono inglobate entro le serpentiniti (Monaco et al., 1995). L'Unità del Flysch Calabro-Lucano (Monaco et al., 1995) è costituita da una successione non metamorfica, contenente blocchi inglobati tettonicamente. La matrice dell'Unità del Flysch Calabro-Lucano (alternanza peliticocalcareo-arenacea) è rappresentata prevalentemente da argilliti scagliettate grigio-brune o verdastre con intercalati livelli da pochi cm al metro di quarzosiltiti e arenarie quarzose a granulometria generalmente fine e di 21 colore bruno-verdasto, di calcilutiti marnose e calcareniti grigiastre. Al di sopra dell'Unità del Aysch Calabro-Lucano e talora dell'Unità del Frido si trovano in discordanza i terreni che fanno parte della Formazione del Saraceno. Essa è costituita da una fitta alternanza di prevalenti calcareniti e calcilutiti grigiastre con liste di selce nera e di sottili interstrati pelitici di colore grigio-scuro, talora rosso vinato e verdastro. Verso l'alto la successione presenta più frequenti intercalazioni silicoclastiche arenitiche e microconglomeratiche in un' alternanza di calcareniti arenacee ed argille siltose grigio-avana. Raramente affiora un' alternanza di prevalenti marne argillose ed argilliti marnose, localmente sabbioso-siltose, di colore grigio azzurro con intercalazioni di strati e banchi di arenarie giallastre e di più rari livelli calcarenitici. I carbonati mesozoico-terziari di piattaforma sono stati variamente denominati in letteratura da diversi autori (Complesso Panormide di Ogniben, 1969; Alburno-Cervati di D'Argenio et al., 1973; Unità del Pollino di Amodio Morelli et al., 1976), ma interpretati, in ogni caso, come terreni derivanti dalla deformazione della piattaforma campano-lucana. Le formazioni che compongono l'Unità del Pollino sono rappresentate da un complesso calcareo-dolomitico, dalla Formazione di Cerchiara e dalla Formazione del Bifurto. La Formazione di Cerchiara è costituita da un livello di modesto spessore (circa 5 m) di mame siltose di colore rosso-vinaccia o giallastro a cui seguono calcareniti grigiastre contenenti granuli di glauconite. Più diffusi sono, invece, i terreni della Formazione del Bifurto, consistenti in argille siltoso-marnose ocracee o grigio-avana e marne giallastre e rossovinaccia contenenti intercalazioni di calcari marnosi, calcisiltiti, calcareniti, brecciole a macroforaminiferi, di colore grigio-bruno. Sulle unità precedentemente descritte giacciono depositi quaternari legati all'aggradazione del Bacino del Mercure o derivanti dal Bacino di S. Arcangelo. In particolare, si riscontrano sedimenti fluvio-lacustri, che costituiscono dei depositi rappresentati sia da clasti grossolani, sia da sedimenti fini. I depositi grossolani sono costituiti da ghiaie quasi interamente calcaree, derivanti dalla degradazione fisica dei rilievi carbonatici Solo localmente si osservano litologie relative a metasedimenti ed ofioliti provenienti dallo smantellamento erosivo dell'Unità del Frido. La successione fluvio-lacustre ghiaiosa è legata alla formazione di apparati 22 deltizi lacustri, mentre i sedimenti fini, costituiti da silt sabbioso-argilloso, rappresentano i depositi lacustri in senso stretto. 3.1.3 Aspetti geomorfologici La presenza di potenti assise calcareo dolomitiche e di estesi affioramenti fliscioidi ha conferito all'ambiente in esame due distinti paesaggi geomorfologici: naturalmente la diversa resistenza dei materiali alle sollecitazioni tettoniche ha operato nel primo caso una intensa fratturazione che si manifesta nello stile a faglie ed a placche monoclinali (Timpa di S. Lorenzo, La Falconara, ecc.) e nel secondo una serie di deformazioni plastiche quali pieghe a grande e piccolo raggio e laminazioni anche epidermiche. TI contrasto tra i ripidi versanti dei contrafforti calcarei e le ondulate superfici del settore nord orientale, rispecchia una situazione piuttosto diffusa nell'Appennino centro-meridionale, ma in questo tratto dell'Appennino Lucano è esaltata dal passaggio netto, in una superficie piuttosto ristretta, da una orografia montana ad ambienti di bassa montagna e collina e sottolineata dalla notevole diversità del modellamento superficiale. Se, infatti, nell'area a NE dell' allineamento Monte Manfriana, Serra delle Diavole, Grande Porta Pollino, Serra di Crispo sono particolarmente evidenti gli effetti dell'erosione normale su materiali praticamente impermeabili, poco resistenti e franosi, nel settore calcareo-dolomitico agli effetti dell'erosione fluviale sia accompagnano quelli di agenti geomorfologici diversi (AA:VV, 1981). I morfotipi dell'intera aerea esaminata possono essere riferiti ai seguenti cicli di erosione: erosione glaciale, erosione carsica, erosione fluviale ed alle relative forme di accumulo. Le forme glaciali Nel corso del Quatemario, durante la glaciazione wurmiana, la calotta glaciale si estese fino in Basilicata e Calabria e il manto nevoso, che avvolse le montagne, ha lasciato tracce ben visibili come circhi glaciali e depositi morenici. L'area in cui si rinvengono i morfotipi di glaciazione è circoscritta dalle vette di Serra delle Diavole (2.127 m), Serra Dolcedorme (2.266 m), Monte Pollino (2.248 m), Serra del Prete (2.180 m) e nel gruppo del Cozzo del Pellegrino. A differenza di quanto si verifica in altre catena calcaree dell' Appennino centro-meridionale le forme di erosione non sono molto pronunciate ed il loro riconoscimento non è immediato. Le altre forme di erosione sono rappresentate da frammenti vallivi con 23 versanti ad U (nei pressi della faggeta di Chiaromonte in prossimità della testate del Torrente Frido). La depressione, racchiusa tra le cime precedentemente ricordate e definita come Piani del Pollino (comprendente il Piano del Pollino, Piano Toscano e Piana di Acquafredda), caratterizzata dalla presenza di forme di accumulo glaciale, rappresenta l'area morfotipicamente più significativa di tutta la zona rilevata. Le forme carsiche Thtta la serie dei rilievi calcareo-dolomitici della serie carbonatica mesozoica è soggetta a fenomenologie carsiche, di grado diverso a seconda delle condizioni litologiche e strutturali dei singoli litotipi. Le forme esterne [lapiés, doline, depressioni endoreiche] sono quasi esclusivamente localizzate sui calcari del Cretaceo o sulle placche di detrito calcareo cementato e solo eccezionalmente si rinvengono le grandi depressioni carsiche tipiche degli altipiani appenninici (i cosiddetti "campi" o "piani" carsici) (AAVV, 1981). Esempi di forme carsiche sul Pollino sono l'inghiottitoio dell' Abisso del Bifurto, la più profonda voragine meridionale, che si apre nel Monte Sellaro scendendo fIno a 683 m, le bellissime grotte di Serra del Gufo, gli splendidi pianori carsici ricche di doline e inghiottitoi (Piani di Pollino, Piano Ruggio, Piano Iannace), i gruppi di doline sulle vette di Serra del Prete e Monte Pollino, e sorgenti come quella del Frido. Le forme di erosione fluviale In queste zone, i processi di erosione fluviale sono particolarmente attivi data l'alta energia di rilievo e la vicinanza del livello di base generale. Data la particolare distribuzione dei tipi litologici e le diversità morfotettoniche i processi erosivi si esplicano con modalità differenti nella parte tipicamente montuosa e nella sezione nord-orientale. Nei rilievi calcarei, le vie per lo scorrimento superficiale coincidono quasi sempre con allineamenti tettonici e, dato i bassi tempi di permanenza al suolo dell'acqua di precipitazione causati dalla permeabilità dei calcari, dal fitto reticolo e dalla elevata acclività dei canali, non hanno un grado di gerarchizzazione sufficiente all'impostazione di reticoli idrografici con una certa densità di canali di drenaggio. D'altra parte, la mancanza di una rete idrografIca organizzata è una caratteristica tipica delle zone soggette ai fenomeni carsici. Non è infrequente il 24 caso di canali che si interrompono in corrispondenza di coperture detritiche o di tratti particolarmente ricchi di fessure. Le caratteristiche idrografiche del settore nord-orientale sono del tutto diverse da quelle appena ricordate. Densità dei canali e tessitura dei reticoli rivelano un grado di gerarchizzazione piuttosto elevato rispetto alle aree calcaree: è il caso del bacino del torrente Raganello. Le ampie superfici coperte dai materiali del Flysch (Formazione del Frido e delle crete nere) non offrono alcuno ostacolo allo scorrimento superficiale delle acque di precipitazione. L'ampio bacino del Raganello è inoltre caratterizzato dalla presenza di numerose sorgenti perenni, che contribuiscono a mantenere attiva l'erosione lineare. Accanto ai canyon un'altra tipica forma di erosione fluviale che caratterizza il paesaggio del Parco è quella dei conoidi di deiezione, lungo il corso delle fiumare. Si tratta di accumuli di materiali detritici portati a valle dai corsi d'acqua e depositatisi a formare delle strutture a ventaglio. L'azione continuata lungo i solchi fluviali e negli interfluvi della erosione lineare e di quella aureolare su materiali a basso grado di coesione e poco permeabili comporta, anche su pendici con pendenze di pochi gradi, movimenti epidermici e profondi anche di notevoli dimensioni. I movimenti franosi comprendono scollamenti, colate di terra e fango, colate di detriti, soliflussione, smottamenti in continua evoluzione e trasformazione per erosione accelerata. 3.1.4 Flora TI patrimonio botanico del Parco Nazionale del Pollino è da tempo oggetto di interesse da parte di naturalisti, scienziati e viaggiatori di tutta Europa. Già a partire dagli inizi del secolo scorso, numerosi botanici hanno erborizzato sul Massiccio del Pollino. Le prime esplorazioni botaniche spettano ad insigni studiosi tra cui Tenore, Petagna, Terrano, che visitarono le montagne del massiccio Calabro-Lucano nel 1826. Il viaggio dei botanici napoletani portò alla raccolta di molte piante (conservate nell'erbario dell'Orto Botanico di Napoli), alcune rare o molto rare o in via di estinzione. Nel 1875 il viaggio di Hurter, Porta e Rigo incrementò l'elenco della flora del Massiccio con ben altre 108 specie. Alcuni anni dopo i botanici Terrac25 ciano e Calvelli descrissero ben 1.846 entità flogistiche esclusivamente sul versante calabro. A seguito di escursioni di Fiori, Cavara, Grande e di Gavioli e Lacaita sul finire degli anni venti, ulteriori specie botaniche vennero aggiunte all'elenco della flora del Pollino. Recenti contributi floristici sono dovuti ai lavori sulla vegetazione dell' Appennino meridionale da parte di Gentile (1969), di Bonin (1978) e AvenaBruno (1975). Negli ultimi anni tra gli studiosi che hanno analizzato la flora del Parco vanno ricordati: Avolio (con i suoi studi sul Pino loricato), Spampanato e Maiorca: "Flora del fiume Argentino", ed infine, Berardo, che, insieme ad altri collaboratori dell 'Orto Botanico dell 'Università di Calabria, sta conducendo numerosi studi sulla flora del Parco (Gargaglione, 2003). TI paesaggio vegetale della catena appenninica, su gran parte del suo decorso peninsulare, presenta aspetti di sostanziale uniformità. Ma questa uniformità subisce una improvvisa interruzione sui rilievi al confine fra Lucania e Calabria. Qui, l'assetto della vegetazione lungo i pendii montuosi si complica e si arricchisce. Oltre il limite altitudinale superiore delle foreste caducifoglie, sulle vette più elevate dei Monti di Orsomarso e della catena del Pollino, fino all'acrocoro isolato di Monte Alpi, sono diffuse, infatti, pinete rade di Pino loricato, in apparente analogia con l'articolazione della vegetazione di quota delle grandi catene montuose centroeuropee. Ed è soprattutto da questa latitudine in poi che i cespuglieti di alta quota e i pascoli delle pendici più aride, assumono caratteristiche prossime a quelle delle alte montagne e delle praterie steppiche del Medio-Oriente. Alla luce delle evidenze del patrimonio botanico i gruppi montuosi di Orsomarso, del Pollino e Monte Alpi seppure "appenninici", sono in realtà biologicamente molto più simili alle montagne della penisola Balcanica meridionale e di qui, attraverso questa connessione, a quelle delle coste orientali del Mar Nero. La ricchezza floristica del Pollino anche se non del tutto nota e studiata, riveste una notevole importanza legata alla varietà degli ambienti, i quali presentano specie le più diverse tra loro, appartenenti alla maggior parte delle famiglie della flora italiana. Le notevoli differenze altitudinali dei vari ambienti offrono habitat diversi con una innumerevole varietà di specie vegetali. 26 Si va ad esempio dalle valli del Raganello 250 m s.l.m. alla valle del Sinni 360 m s.l.m., fino ai 2.267 m s.l.m. del Dolcedorme, dai tipici ambienti delle fiumare caratterizzati dalla intricata macchia mediterranea, fino agli ambienti cacuminali con i tipici pascoli di altitudine ed i brecciai del versante Nord del Pollino, da Gravina del Diavolo alla Montea. Dal censimento floristico emerge la presenza di 2.025 entità ripartite in 636 generi e 117 famiglie. Le famiglie più rappresentate sono: Compositae 243, Leguminose 184, Graminaceae 157, Labiatae 102, Umbelliferae 99, Caryophyllaceae 93, Cruciferae 88, Lialiaceae 76, Scrophulariaceae 71, Rosaceae 69, Ranunculaceae 64, Orchidaceae 58. Sono assenti, in questo elenco, famiglie come le Amaranthaceae o le Urticaceae, perché legate ad ambienti molto antropizzati o fortemente degradati. Sulla base dei dati a disposizione si può ricavare un esame approssimativo dello spettro corologico della flora del Pollino definito dagli areali di distribuzione delle specie. 11 gruppo prevalente è rappresentato dalle Eurasiatiche (26,2%); la componente mediterranea è fortemente rappresentata ed uniformemente ripartita tra Eurimediterranee (17,9%) e Stenomediterranee (16,6%). A questa componente fa da contrappunto la contenuta percentuale di Boreali Nordiche (6,6%). Di particolare interesse risulta l'elevata percentuale di Endemiche (6,7%) e la bassa percentuale di specie ad ampia distribuzione (9,5%). Va menzionata l'importante presenza di elementi orientali, indicatori del collegamento tra la nostra penisola ed il settore orientale del Bacino del Mediterraneo. Tra essi degni di esse re citati sono: Genista sericea, Drypis spinosa, Pinus leucodermis, Gentianella crispata, Paeonia peregrina, sia perchè specie assai rare, sia perchè del tutto assenti al di fuori del Parco. Nel Parco oltre ai relitti del quaternario, sono presenti anche specie relitte del terziario, come ad esempio Taxus baccata, con individui isolati nelle valli del settore occidentale del Parco. Altro relitto terziario è Ephedra major, presente in poche stazioni del Parco in ambienti rupicoli tra i 900 ed i 1.200 m, con un modesto numero di individui sul Sellaro, Timpa di Cassano e Timpa di Porace. Sul Pollino esiste un ridotto contingente di endemismi rispetto ad altri gruppi montuosi dell'Appennino, solo una percentuale del 2,5%, a causa delle 27 peculiarità geografiche ed ambientali, che comunque determinano una notevole ricchezza di specie. Tra queste specie endemiche si ricordano: • Endemiche esclusive del Pollino Hanno una diffusione assai limitata, come ad esempio Hieracium portanum presente solo all'interno del Parco. • Endemiche esclusive dei rilievi calabro-lucani Ad esempio Achillea lucana (vive in ambienti rupestri nell'area del Parco e poche altre località della Basilicata), mentre Achillea rupestre vive nel settore collinare del Parco. • Endemiche dell'Appennino meridionale Arum lucanum, Senecio tenorei, Thalictrum calabricum, Campanula fragilis, Erysimum majellense, Stipa austroitalica, il raro Ptilostemon niveus presente su ghiaioni e pendii aridi e pietrosi, Ophrys fuciflora subsp. pollinensis. • Endemiche dell'Appennino centro-meridionale Gentianella columnae, Saxifraga porophylla, Ajuga tenorei, Acer lobelii. • Endemiche con areale incluso nell'intero Appennino come ad esempio Linaria purpurea varo montana. 11 processo di antropizzazione è stato comunque limitato, ciò ha permesso la conservazione di specie vegetali che, con la loro presenza, caratterizzano determinate zone all'interno del Parco, anche dal punto di vista estetico e cromatico. È il caso delle rosse corolle della Peonia, presente al Piano di Marco e alle falde della Mula; Paeonia peregrina secondo recentissime ricerche, è presente con rare popolazioni solo all'interno del Parco. Esistono anche popolamenti più ridotti di Paeonia mascula che talvolta si presenta anche con individui isolati. Una stazione di questa Peonia è stata segnalata sulle propaggini del Monte Camara a 1.283 m d'altitudine. Tra i terreni rocciosi della Mula privi di vegetazione arborea, fioriscono Gentiana verna; Saxifraga marginata ed il raro Galium palaeoitalicum, endemismo dell' Appennino che vive tra le fessure delle rupi e le pendici ciottolose del Dolcedorme e Cozzo del Pellegrino. Le gialle infiorescenze della Gentiana lutea insieme con Meum athamanticum ricoprono i piani carsici di Piano Ruggio, Piani di Pollino e Novacco. Il colore bianco del Narcissus poeticus a Piano Ruggio ricopre le morene, mentre quello di Achillea millefolium domina nel Piano Vincenzo. 28 Numerose sono le orchidee dalle forme e dai colori più svariati tra cui quelle del genere Ophrys: la rara O. apifera e l'endemica O. lacaitae. Non meno belle sono quelle del genere Orchis come ad esempio Orchis purpurea presente nel versante lucano del Parco dove vive negli incolti e nelle radure erbose. Tra i pascoli e le praterie di altimdine spicca la fiorimra dell'orchidea Dactlylorlllza sambucina (insieme alla Viola aetnensis e Pubnonaria angustifolia). Nelle zone della Petrosa e di Conca del Retino vive una specie di graminacea caratteristica per i pennacchi piumosi: la Stipa austroitalica, propria dell'Italia meridionale, tipica dei pascoli aridi e pietrosi. Una stazione della rara Pulsatilla alpina è presente sulle pendici del Cozzo del Pellegrino, costituendo l'unica stazione dell' Appennino meridionale. Questa specie è quindi molto vulnerabile e meritevole di protezione. Negli ambienti umidi delle gole e dei corsi d'acqua oltre ai Pioppi ed agli Ontani, vegetano felci tra le quali Adiantum capillus-veneris, il Polipolio (Polypodium vulgare) e la rara felce Pteris eretica presente soprattutto nella gola dell' Argentino (Gargaglione, 2003). Il messaggio della rinascita, dopo il lungo inverno bianco dei prati di montagna, viene lanciato, lacerando le ultime coltri nevose dallo zafferano, Crocus Vemus, che tinge estesi scacchieri col suo mantello celeste (Troccoli, Pisarra, 1994). 3.1.5 Vegetazione TI Massiccio del Pollino è il simbolo di due regioni, il baluardo che divide la Basilicata dalla Calabria, ma che contemporaneamente sintetizza l'identità di due realtà meridionali strettamente connesse tra loro. Dai due versanti il massiccio appare diverso. Da quello calabro si presenta come un'enorme montagna seghettata dalle nude e scoscese pareti che vanno ad aprirsi in ampie pietraie; da quello lucano è più dolce, meno asciutto, le cime più alte emergono dalle superbe foreste di faggio e cerro che ricoprono i pendii, che con facilità si percorrono per raggiungere le praterie d'alta quota. Queste ampie praterie sono racchiuse nel cuore del Massiccio (Piani di Pollino, Piano Ruggio, Piano Jannace) ad altezze che variano dai 1.400 ai 1.800 m, un tempo meta dei pastori provenienti dalle due piane di Sibari e Metaponto. Due modi di essere di un unico ambiente, che è poi tipico della montagna meridionale: tratti mediterranei si alternano ad altri alpini, come conseguenza delle frequenti variazioni climatiche. D'inverno il sistema montano è caratterizzato da innevamenti intensi, ma 29 instabili per il variare del clima dovuto alla vicinanza dei Mari Tirreno e Ionio. E proprio in questo, nel mutare continuo dei paesaggi, nell'alternarsi e nel sovrapporsi di aspetti mediterranei ed alpini sta la bellezza forse unica del Pollino (Gargaglione, 2003). La vegetazione può essere diversificata secondo lo schema dei piani e degli orizzonti altitudinali proposti da Gavioli, (1936), anche se altri fattori, quali il microclima, la natura del suolo, l'esposizione dei versanti, la distanza dal mare, contribuiscono a rendere solo indicativa la distinzione altimetrica. • Fascia basale (dal livello del mare fino a raggiungere i 1.000 m) Alle quote modeste del piano basale predomina la "macchia foresta", nella quale lo strato vegetativo più appariscente è costituito da piante xerofile e termofile con la tipica foresta a Leccio (Quercus ilex). Anche se l'antropizzazione ha fortemente modificato la struttura di tale formazione, nelle aree dei quadranti meridionali del Parco, su pendii e rocce, vi sono ancora nuclei di leccete ben conservate ed ascrivibili al Quercion ilicis, tra cui quelle delle Gole del Lao, dell'Argentino e dell'Esaro. Spesso il Leccio è accompagnato da caducifoglie come Roverella (Quercus pubescens), Acero minore (Acer monspessulanum), Ornello (Fraxinus omus), ecc. Il sottobosco è costituito da suffrutici e arbusti sclerofilli e termofili tra cui: Corbezzolo (Arbutus unedo) ed Erica (Erica arborea), la più rara Erica multiflora (soprattutto nelle valli del Lao e dell' Argentino, Vibumo (Vibumum tinus), Lentisco (Pistacia lentiscus), Mirto (Myrtus communis), Fillirea (Phillirea latifolia), Alterno (Rhamnus alatemus), Rosmarino (Rosmarinus officinalis), Pungitopo (Ruscus aculeatus), Alloro (Laurus nobilis) ed altri. Nel settore orientale del Parco, nelle Timpe di S. Lorenzo, Porace, ecc. è frequente il Ginepro ossicedro (Juniperus oxycedrus) che, costituendo una variante di tale macchia, si ritrova come individui isolati fino ai 900 m grazie all'aumento termico riscontrabile lungo le pareti delle timpe. In ogni caso, la macchia mediterranea originaria ora, è presente in varie forme di degrado, come ad esempio le formazioni a Corbezzolo ed Erica arborea tipiche dei suoli acidi dovuti alla pratica dell'incendio, mentre sui suoli dove il passaggio del fuoco è frequente vi domina la macchia a Cistus monspeliensis e C. salvifolius. 30 Il paesaggio costiero è caratterizzato dalla fascia più tennofila della macchia mediterranea ascrivibile all'alleanza dell 'Oleoceratonion, con una vegetazione discontinua a Lentisco (Pistacia lentiscus) e Oleastro (Olea europea varo oleaster). Gli alvei delle tipiche Fiumare della Calabria e Basilicata sono popolate da boscaglie a tamerici (Tamarix gallica e T. africana), da oleandri (Nerium oleander), Pistacia lentiscus e Vitex agnus-castus. La parte medio-alta del piano basale è rappresentata da boschi di piante eliofIle. In questa fascia possiamo distinguere due formazioni: una in cui predomina la Roverella (Quercus pubescens) inquadrabile nel Quercion pubescenti-petraeae con un sottobosco di specie costituito da Erica arborea, Teucrium siculum; e l'altra in cui predomina il Cerro (Quercus cerris) ascrivibile al Quercino cerris. Il sottobosco è popolato da specie tipiche di questi querceti tra cui Cuscus aculeatus, Vinca minor, Digitalis micrantha, Lathyrus venetu. Anche se i limiti altitudinali sono gli stessi, queste due fonnazioni si distinguono per una diversa esigenza edafIca. Le formazioni a Cerro si distribuiscono su suoli più maturi e profondi, predilegendo stazioni meno assolate e di esposizione. Spesso sono associate ad altre caducifoglie a fonnare boschi misti, tra cui Acer obtusatum, Fraxinus ornus, Alnus cordata, Ostrya carpinifolia, Castanea sativa. • Fascia montana (tra i 1.000-1.900 m) L'elemento vegetazionale dominante del Pollino è il Faggio (Fagus sylvatica), che alle quote tra i 1.000 ed i 1.900 m fonna le tipiche faggete dell' Appennino meridionale, che, per le caratteristiche floristiche vengono inquadrate nell'alleanza Geranio-Fagion. La foresta di faggio è diffusa nella maggior parte delle zone del Massiccio e comprende due aspetti fondamentali in base alla composizione floristica: l'Aquifolio-Fagetum nella fascia inferiore tra i 1.000 e i 1.500 m e l'Asyneumati-Fagetum fino al limite superiore della vegetazione forestale. L'Aquifolio-Fagetum è la faggeta più tennofIla le cui specie caratteristiche sono: Ilex aquifolium, Melica uniflora, Daphne laureola, Potentilla micrantha varo breviscapa, Euphorbia amygdaloides, Allium triquetrum varo pendulinum. 31 • 32 In poche aree è possibile rinvenire la presenza di Taxus baccata accanto al Faggio e all'Agrifoglio. Nello strato arboreo di tali foreste troviamo specie come Sorbus aucuparia, Sorbus aria, Quercus cerris, Castanea sativa, Acer pseudoplatanus e l'acero endemico dell'Appennino meridionale Acer lobelii. L'associazione della zona superiore dell'orizzonte del Faggio l'Asyneumati-Fagetum è la più diffusa a causa delle elevate quote del Massiccio; essa è caratterizzata dalla presenza di Asyneuma trichocalycinum, Ranunculus brutius, Stellaria nemorium, Lonicera alpigena, Daphne mezereum, Adoxa moschatelliana, mentre nello strato arboreo compare il Maggiociondolo (Laburnum alpinum). Alle quote più alte, nei versanti freddi del massiccio, il faggio si alterna con l'Abete bianco (Abies alba) formando una delle più interessanti associazioni miste di faggio ed Abete bianco dell'Appennino meridionale, che differisce dalle altre dell'Appennino, di sicura origine antropica, anche se sul Pollino non è da considerare assente l'azione dell'uomo. Le "faggeto-abetine" sono ben rappresentate sul versante nord del gruppo montuoso: Monte Sparviere, Piano Iannace, Bosco Toscano. In questo piano di vegetazione aperte di Pino loricato (Pinus leucodermis), come ad esempio su Monte La Spina e Montea, Pollinello e Belvedere, dove riesce a vivere al di sopra dei limiti vegetazionali del faggio. Altra vegetazione tipica di questa fascia è quella delle pinete a Pino nero (Pinus nigra) del versante sud del Pollino, Pollinello e Mula, che sono in continuità con le formazioni a Pino loricato, e sono presenti a quote al di sotto dei 1.700 m; spesso tali pinete naturali sono state sostituite da ampi rimboschimenti. Piano altomontano (oltre i 2.000 m) A queste quote le formazioni forestali diventano più rade ed aumenta la presenza di Pino loricato che diventa l'unica specie arborea presente, spingendosi fino a 2.240 m di altezza. Esso non forma i tipici popolamenti forestali, ma si presenta in aggruppamenti radi inseriti in un contesto vegetazionale di pascolo arido e colonizza ghiaioni in via di consolidamento o substrati più o meno instabili. Sulle creste rocciose lucane di Serra Crispo e Serra delle Diavole (2.000-2.100 m) si trovano diversi esemplari isolati di Pino loricato plurisecolari di enormi dimensioni, alcuni morti da anni, continuano a rimanere in piedi sfidando qualsiasi avversità. Le zone più elevate, dove le temperature rigide per molti mesi l'anno ed il forte vento impediscono lo sviluppo delle faggete, sono caratterizzate da fitocenosi erbacee che formano le cosiddette "praterie d'altitudine". TI continuo disboscamento effettuato per favorire il pascolo ha abbassato notevolmente la quota di queste praterie. Le praterie altomontane del Massiccio del Pollino hanno una struttura discontinua; dall'aspetto a gradonatura e dal punto di vista fitosociologico non sono facili da classificare in quanto vi sono contingenti di specie che si compenetrano tra loro, quello con specie tipiche dei Seslerietalia, tipici deipopolamenti altomontani, e quello dei Brometalia con essenze più xerofile di tipo mediterraneo-montane. Ciò avviene poiché le altitudini raggiunte dal Massiccio permettono l'instaurarsi delle specie dei Seslerietalia e allo stesso tempo, le condizioni climatiche più miti, favoriscono l'ascesa delle specie più termofile appartenenti all'ordine dei Brometalia (con specie come Bromus erectus, Hippocrepis comosa, Asperula cynanchica), presenti anche a quote relativamente elevate (1.800-2.000 m). Le zolle a Sesleria nitida e S. apennina, comprendono una vegetazione ricca di specie endemiche o localizzate quali Stachys tymphaea, Ptilostemon niveum, Alyssum diffusum, Globularia meridionalis, Pedicularis e1egans, Anthyllis pulchella, Armeria nebrodensis, Carex kitaibeliana, Edraianthus graminifolius, Cytisus spinescens ecc. Sui Piani di Pollino, ben rappresentate sono le praterie mesofile tipiche di suoli umidi e profondi in cui prevalgono i tipici elementi degli Arrhenatheretalia (Meum athamanthicum, Festuca rubra, Anthoxanthum odoratum, Achillea millefolium, Trifoliumpratense). Molto spesso Gentiana lutea e Asphodelus albus varo pollinensis si ritrovano abbondantemente nelle radure insieme alle altre specie degli Arrhenatheretalia. Infme i brecciai (che sono ancora attivi), limitati al versante nord del Pollino, sono colonizzati dal Festuceto a Festuca dimorpha. Altre specie tipiche dei brecciai sono: Galium magellense, Ranunculus brevifolius, Heracleum orsinii, Doronicum columnae, Thlaspi stylosum, 33 Silene multicauli, Geranium macrorrhizum, Leucanthemun laciniatum e L. tridactylis, Vicia serinica, Crepis pygmaea, Isatis allionii, Viola magellensis, Saxifraga italica, Achillea barrelieri. Oltre ai popolamenti di Pino loricato, le zone a Sesleria sono da considerarsi biotopi di notevole interesse naturalistico nell' area del Pollino, così come le specie colonizzatrici di ghiaioni e macereti tra cui Linaria purpurea, Drypis spinosa, Laserpitium latifolium ecc. (Gargaglione, 2003). 3.1.6 Aspetti forestali Nel territorio del Parco Nazionale del Pollino, fino al secolo scorso, la vegetazione forestale ha subito notevolmente il peso dell'azione antropica. In questi ultimi anni il regime colturale di tali boschi, così come le norme regionali che regolano la materia è cambiato profondamente. Attualmente è l'Ente Parco che regola le utilizzazioni dei boschi governati a fustaia ricadenti nella zona 1 e l'apertura di eventuali nuove piste, mentre i tagli nei cedui, in qualunque delle due zone ricadono, e i tagli di utilizzazione dei boschi governati a fustaia e ricadenti nella zona 2, vengono autorizzati dall'autorità competente, secondo le normative regionali vigenti. Nelle zone rurali, soprattutto montane, vi è ancora una discreta richiesta di legna di piccole dimensioni (diametri 3-10 cm) per forni e stufe, e legna da spacco (diametri 10-20 cm). I tagli fmora concessi per i boschi di alto fusto, di proprietà comunale, sono stati tagli colturali volti a favorire la conservazione dei popolamenti e la loro diversificazione o tagli di poche piante in occasione delle feste tradizionali e popolari; infatti, nei boschi comunali, è da oltre un decennio che non avvengono utilizzazioni a prevalenti fini produttivi. Le proprietà pubbliche, costituite in maggioranza da boschi di alto fusto, prevalgono sui boschi di proprietà privata e costituiscono unità abbastanza estese e di notevole interesse per il Parco in quanto sono situati nel "cuore" stesso del Parco e includono le emergenze vegetazionali di maggior rilievo. D'altra parte i boschi di proprietà privata sono di modeste dimensioni e rientrano nel tradizionale ordinamento produttivo dell'azienda agricola locale. Per quanto riguarda gli usi civici, si tratta di superfici a bosco e a pascolo, sulle quali persistono i diritti di legnatico (raccolta della legna secca a terra), di pascolo e di raccolta dei frutti (soprattutto castagne); tali diritti derivano 34 da realtà antiche, da rapporti già preesistenti con i feudi prima della loro trasformazione in proprietà comunali e demaniali e sono esercitati sulla base di consuetudini locali, attraverso regolamenti comunali e sotto il controllo dell'Autorità forestale. L'uso civico di più difficile disciplina è il pascolo, infatti durante i periodi di siccità, quando il foraggio sui pascoli è scarso, l'introduzione degli animali nel bosco diventa una necessità alla quale ricorrere. Una migliore regolamentazione del carico ed un controllo più diffuso sul territorio dovrebbero consentire una più razionale gestione del diritto e della risorsa. Per l'intero territorio del Parco il coefficiente di boscosità risulta del 46,1 % e raggiunge il 54,9%, se si considerano anche le aree in evoluzione e gli arbusteti, e raggiunge i massimi valori nel versante calabro. Per quanto riguarda i rimboschimenti, degli anni '50 e '60, l'obiettivo è stato principalmente quello di assolvere alla funzione protettiva e di alleggerire la forte pressione sociale, limitando il fenomeno dello spopolamento della montagna e dell'emigrazione. Nella parte medio-alta del massiccio, le specie legnose messe a dimora sono state il Pino loricato (Pinus leucodermis) e il Pino nero (Pinus nigra s.I.); nella parte medio-bassa, invece, sono state impiegate il Pino d'Aleppo (Pinus halepensis) e il Pino domestico (Pinus pinea). In alcuni boschi di latifoglie sono state inserite conifere, quali Pino nero, Abete bianco (Abies alba) e Douglasia (Pseudotsuga menziesii). Le favorevoli condizioni ecologiche del massiccio del Pollino hanno consentito che molti impianti, in particolare quelli di Pino nero, divenissero dei soprassuoli altamente produttivi. Sia i primi, che i più recenti popolamenti artificiali di Pino loricato, presentano uno stato vegetativo ottimale; ciò dimostra come questa specie abbia le caratteristiche ecologiche per affermarsi in questo ambiente anche per via artificiale e ad altitudini maggiori. 3.1.7 Fauna Il patrimonio faunistico del massiccio Pollino era un tempo assai ricco e diversificato. Purtroppo l'azione devastatrice dell'uomo, nel corso dei secoli, ha prodotto l'estinzione di alcuni animali e una grave riduzione numerica di altri: l'agricoltura, il disboscamento, la pastorizia, la caccia e la pesca hanno compromesso in modo grave la fauna di questo ambiente. 35 Nonostante questi fattori negativi l'habitat del Pollino possiede ancora una fauna eterogenea: • specie tipiche di climi caldi (tipo istrice), temperati (tipo capriolo) e freddi (tipo lupo); • esempi di fauna di estremo interesse come entità mediterranea; • specie o razze geografiche endemiche, per esempio legate alla presenza del Pino loricato e dell' Abete bianco; • relitti faunustici di epoche glaciali e transadriatici. Fra gli Insetti merita di essere menzionato Buprestis splendens, uno dei coleotteri più rari d'Europa, e Rosalia alpina, un bellissimo e appariscente Coleottero di colore azzurro cenere con macchie nere vellutate, tipico delle estese faggete mature, presenti nel Pollino e nei Monti di Orsomarso, e indice di un basso grado di alterazione degli ambienti forestali. Fra le numerose specie di farfalle, di grande interesse è Melanargia arge, molto localizzata e poco frequente. Tipica delle zone aride del Parco è invece la malmignatta (Latrodectes tredecimguttatus), un ragno rosso e nero dal morso doloroso e tossico, appartenente allo stesso genere della vedova nera americana. Fra i crostacei Chirocephalus ruffoi è un endemismo del Pollino, addirittura individuato solo in alcune pozze d'alta quota, mentre il gambero di fiume (Austropotamobius pallipes) è un indicatore di una elevata qualità delle acque. Gli Anfibi del Pollino comprendono diverse specie e sottospecie endemiche italiane, tra cui il tritone crestato italiano (Triturus carnifex), la salamandrina dagli occhiali (Salamandrina terdigitata), riconoscibile per il caratteristico disegno sugli occhi, l'ululone dal ventre giallo (Bombina variegata pachypus) e la più comune raganella (Hyla intermedia). Tra i Rettili, nel Parco vivono due specie minacciate: la testuggine palustre (Emys orbicularis), piccola tartaruga carnivora presente a quote eccezionalmente elevate per questa specie, e la più nota testuggine comune (Testudo hermanni). I serpenti più significativi sono il cervone (Elaphe quatuorlineata) ed il colubro leopardino (Elaphe situla), rari, e la comune e velenosa vipera (Vipera aspis). Varia e non meno rilevante è l'avifauna. La coturnice (Alectoris graeca), tipica delle zone montane aperte con scarsa copertura vegetale, è specie assai minacciata che sta giovando, nel territorio del Parco, della cessazione della caccia. Presente è anche il raro picchio nero (Dryocopus martius), 36 il più grande picchio europeo, e i più comuni picchio verde (Picus viridis) e picchio rosso maggiore (Picoides major). Ben dodici sono le specie di rapaci diurni nidificanti, tra cui la magnifica aquila reale (Aquila chrysaetos), presente con poche coppie nel versante meridionale del Parco, il nibbio reale (Milvus milvus) ed il falco pellegrino (Falco peregrinus), eccezionale e rapidissimo volatore. n versante orientale del Parco, più arido e ricco di pareti rocciose, offre l'habitat per due specie estremamente minacciante: il lanario (Falco biarmicus feldeggi) , falcone localizzato nel mediterraneo, ed il capovaccaio (Neophron percnopterus), piccolo avvoltoio bianco e nero ridotto, in Italia, a pochissime coppie nidificanti. TI grande gufo reale (Bubo bubo) è invece il più raro e spettacolare fra i rapaci notturni. Riguardo ai Mammiferi, sono rappresentate tutte le specie più significative dell'Appennino meridionale. Fra i Carnivori vive nel Parco una consistente popolazione di lupo (Canis lupus), il gatto selvatico (Felis silvestris), di distribuzione e abbondanza non noti, la martora (Martes martes), la puzzola (Mustela putorius) e, non ultima, la lontra (Lutra lutra), la cui presenza è stata rilevata in diversi corsi d'acqua laddove si conservano abbondanza di prede e buon grado di copertura vegetale delle sponde. Gli Ungulati, oltre al comune cinghiale (Sus scrofa), comprendono il capriolo (Capreolus capreolus) presente soprattutto sui Monti di Orsomarso con una piccola popolazione ritenuta una delle poche autoctone d'Italia. Fra i Roditori più significativi, va citato il driomio (Dryomys nitedula), un piccolo gliride presente, in Italia, oltre che sui rilievi montuosi calabresi, solo sulle Alpi orientali. n driomio, insieme al moscardino (Muscardinus avellanarius), al ghiro (Myoxus glis) e al quercino (Eliomys quercinus) rappresenta tutte le specie italiane di Gliridi nel Parco. Lo scoiattolo meridionale (Sciurus vulgaris meridionalis) è una sottospecie tipica dell'Appenino centro-meridionale caratterizzata dalla colorazione nera del mantello e dal ventre bianco. L'istrice (Hystrix cristata) è localizzata nel settore meridionale e orientale del Parco, con clima più spiccatamente mediterraneo. Infine, oltre alla lepre europea (Lepus europaeus), frutto di scriteriate immissioni, sopravvivono alcuni nuclei di lepre appemùnica (Lepus corsicanus), specie autoctona dell 'Italia centro-meridionale. Tra i Pipistrelli, finora poco studiati, vanno segnalati il rinolofo minore (Rhinolophus hipposideros), il vespertilio maggiore (Myotis myotis), il vespertilio di Capaccini (Myotis capaccinii), il pipistrello albolimbato 37 (Pipistrellus kuhli), il miniottero (Miniopterus schreibersz) e il poco frequente molosso del Cestoni (Tadarida teniotis) (www.parcopollino.it). I rapaci e il Parco Il Parco Nazionale del Pollino, per la sua notevole estensione e varietà di ambienti, ospita diverse specie di uccelli rapaci, sia stanziati, che migratori. La consistenza e la varietà delle popolazioni di uccelli rapaci sono un indice del grado di alterazione e di disturbo antropico di un territorio. Infatti, i rapaci si nutrono generalmente di rettili, maInnÙferi ed altri uccelli. La caccia, l'uso indiscriminato di pesticidi e la modificazione degli habitat in genere riduce la disponibilità di prede, e quindi le popolazioni si rarefanno fino a scomparire. TI disturbo antropico, invece, può determinare l'abbandono, anche definitivo, di siti di nidificazione. Gli uccelli rapaci sono inoltre minacciati dalla depredazione dei nidi, dai bocconi avvelenati, dal bracconaggio e sono ancora considerati 'nocivi' o oggetto di trofei di caccia o di collezionismo. Per favorire una occupazione stabile dell' area sud-orientale del Parco da parte di Aquile reali, Capovaccai e Nibbi reali, l'Ente Parco ha realizzato un progetto LIFE (co-finanziato dalla CE) che prevede, tra l'altro, il rifornimento di un punto di alimentazione artificiale ('carnaio') costantemente sorvegliato e monitorato. È in corso di realizzazione un' Area faunistica che ospiterà uccelli rapaci inabili alla vita selvatica, con finalità didattiche e divulgative in ordine alla sensibilizzazione delle popolazioni locali e dei visitatori del Parco sui problemi di conservazione degli uccelli rapaci. É in corso di studio, infine, l'eventualità di reintrodurre specie estinte o operare restocking (incremento delle popolazioni attraverso rilasci mirati di esemplari riprodotti in cattività) di specie rare. È stato, infine, avviato un Progetto di reintroduzione dei Grifone (Gyps fulvus) in prossimità delle Gole del Raganello, dove verranno ospitati decine di esemplari provenienti dalla Spagna (www.parcopollino.it). La conservazione del lupo Un tempo diffuso in tutto il continente eurasiatico, il lupo è stato sterminato quasi ovunque in Europa nel corso degli ultimi secoli, a causa dei conflitti con allevatori e cacciatori. Ma nonostante lo sforzo massiccio, attraverso 38 l'uso di veleni, trappole e armi da fuoco, la specie è sopravvissuta in alcune aree ristrette e ha dimostrato una notevole capacità di recupero ogni qualvolta trovava condizioni ecologiche nuovamente favorevoli o laddove il controllo umano non era efficace, come nelle aree montuose più integre e inaccessibili. La sopravvivenza del lupo, in un contesto antropizzato come quello italiano, è stata garantita da una serie di fattori concomitanti: la protezione legale (la specie era cacciabile fIni agli anni '70) e la riduzione dell'impatto umano diretto, il ripristino di condizioni ambientali favorevoli (abbandono della montagna, ritorno degli ungulati selvatici, creazione di aree protette) ma anche la notevole flessibilità biologica che consente alla specie di adattarsi alle condizioni ecologiche locali. Come già accennato, una delle più antiche e principali cause di persecuzione del lupo da parte dell 'uomo è il fatto che questo, oltre ad attaccare la prede selvatiche, non disdegna di infierire anche sul bestiame domestico. Questa situazione, provoca il manifestarsi di atteggiamenti esasperati nei confronti del predatore, che spesso sfociano in una risoluzione personale del problema, vale a dire nell 'utilizzazione di metodi di uccisione illegale. Uno dei principali problemi connessi alla predazione del lupo sul bestiame domestico deriva dalla mancanza di studi specifici e di un monitoraggio efficace del fenomeno; questo si aggiunge alla difficoltà oggettiva di distinguere, in molti casi, le aggressioni causate da un lupo rispetto a quelle dovute ai cani vaganti; per tale motivo vengono spesso attribuite al carnivoro anche responsabilità non sue. Per limitare, tale problema, è importante che le popolazioni locali maggiormente interessate dalla presenza del lupo, vengano tutelate e supportate economicamente nel momento in cui subiscono dei danni. A questo riguardo sono previsti in Italia, come in molti altri paesi, dei programmi di indennizzo che risarciscono l'allevatore dei danni avuti al patrimonio zootecnico. Tale indennizzo non deve essere inteso come una risoluzione defInitiva del fenomeno, ma casomai come uno strumento aggiuntivo agli altri interventi di prevenzione dagli attacchi da lupo. A tale scopo è stato promosso, all'interno del Parco Nazionale del Pollino, un progetto Life fInanziato dalla UE che si pone, come obiettivo principale, la riduzione dei conflitti tra il lupo e le attività antropiche puntando soprattutto sulla sensibilizzazione delle popolazioni locali. Altre finalità del progetto Life sono quelle di garantire la conservazione a lungo termine del lupo, attraverso l'adozione di sistemi 39 di difesa "attivi", come l'allevamento di cani selezionati appositamente per la guardia del bestiame, la realizzazioni di recinzioni elettriche,oltre a favorire l'aumento della disponibilità alimentare "naturale" del lupo mediante la reintroduzione di ungulati selvatici. Parallelamente a queste iniziative, viene condotta un'indagine sull'entità e distribuzione del randagismo canino nell'area, al fine di ridurne l'impatto sulla zootecnia (Boitani et al., 2001). La conservazione del capriolo Tra i Cervidi che popolavano l'area del Pollino, vi erano il Cervo (Cervus elaphus) e il Capriolo (Capreolus capreolus); quest' ultimo è tuttora presente, mentre il primo si è estinto verso la fine del 1800. All'inizio del secolo scorso il capriolo era distribuito su un territorio che dalla Sila si estendeva verso il nord della Basilicata e ancora più a settentrione. Tuttavia, già durante la seconda metà degli anni '50, la sua distribuzione si era talmente contratta che nel territorio oggi corrispondente al Parco Nazionale del Pollino era presente in tre "isole" collegate tra loro da corridoi forestali non sempre idonei a causa dei grandi tagli in atto in quel periodo. Sui restanti rilievi lucani e calabresi era pressoché estinto, fatta eccezione per qualche esemplare presente in Sila. I popolamenti più consistenti erano segnalati negli stessi anni solo su monte La Spina, sul massiccio del Pollino e sui monti detti di Orsomarso. Negli anni '60 anche sul Pollino si erano perse le tracce del capriolo, tanto da considerarlo estinto. Solo successivamente, grazie a una indagine di Lehmann (1973), veniva segnalata l'esistenza sui monti di Orsomarso di un nucleo relitto di caprioli considerati autoctoni e appartenenti alla sottospecie italicus. In effetti, la scomparsa del capriolo sul versante lucano del Parco potrebbe non essere mai avvenuta del tutto, in quanto esistono dati sporadici che si riferiscono a osservazioni e tracce del cervide, riportati da ricercatori e da personale forestale. Per un quarto di secolo il cervide sembrava essere confinato ai soli rilievi calabresi del Parco. Gli studi successivi a quelli di Lehmann facevano pensare che, entro la fine del secolo scorso, anche questo nucleo potesse estinguersi definitivamente (Perco 1985, Calò e Perco 1990). Fortunatamente, grazie alle azioni di conservazione intraprese negli ultimi 40 anni dall'Ente Autonomo Parco Nazionale del Pollino, la situazione del capriolo starebbe lentamente migliorando. Oggi il capriolo è presente su circa 40-50 mila ha di Parco, concentrati soprattutto sul versante calabrese (Boitani et al., 2001). Al fine della conservazione e valorizzazione, l'Ente ha avviato una ricerca pluriennale per acquisire ulteriori dati sulla specie. Alcuni esemplari verranno avviati al recinto di riproduzione e all'area faunistica dell'Orsomarso; altri, invece saranno muniti di radiocollari per poter ottenere dati sull'ecologia della specie. 3.1.8 Pedologia La natura dei suoli del Parco riflette fortemente quella dei substrati: in corrispondenza di substrati conglomeratici troviamo suoli fortemente pietrosi e sui substrati argillosi suoli a tessitura fine. Non solo la litologia, ma anche la pendenza influenza le caratteristiche pedologiche, infatti più elevata è la pendenza, più forti sono i processi di asporto naturale della terra ad opera delle forze meteoriche e gravitative, e meno è profondo lo strato potenzialmente radicabile. Se un suolo ha profondità limitata, la possibilità di attecchimento della vegetazione dipende strettamente dal passaggio tra suolo e roccia ed inoltre dalle caratteristiche della roccia stessa. Ad esempio, se la transizione tra suolo e roccia è abbastanza graduale, come nel caso delle dolomie presenti nel Parco, allora esiste un buon potenziale di attecchimento degli alberi. Sui calcari, invece, la transizione è più netta, perciò il potenziale di radicazione è limitato al suolo sottile ed alle fessure presenti nella roccia. Infine, nei conglomerati e negli argilloscisti, la transizione tra suolo e roccia è molto graduale e tale da consentire la radicazione degli alberi anche nella parte superiore della roccia stessa. Dal punto di vista chimico, ai substrati leggermente calcarei, come quelli di collina e montagna, corrispondono suoli neutri o subacidi. Suoli acidi si riscontrano esclusivamente in corrispondenza delle formazioni originariamente acide, come le rocce ignee acide e le filladi. In tutta l'area, i suoli dei fondovalle recenti e dei terrazzi fluviali sono sabbiosi e/o ghiaiosi, e conseguentemente soggetti ad un elevato rischio d'inquinamento, sia del suolo stesso sia delle acque. Salendo dalla fascia costiera verso l'interno del bacino del Sinni, si incontrano grandi estensioni 41 collinari, di natura argillosa e ad uso agricolo, e quindi soggette al rischio d'erosione. 3.1.9 Uso dei suoli agricoli e zootecnici L'agricoltura e la zootecnia, più che in altre regioni italiane, costituiscono un settore importante della vita economica e sociale della Regione e soprattutto rappresentano le più rilevanti fonne di utilizzazione del suo territorio. L'uso del suolo e le sue destinazioni produttive in generale, ed agricole in particolare, sono il risultato di un processo secolare, ma al tempo stesso dinamico, di adattamento delle risorse e dei vincoli alle necessità dell'insediamento umano. Gli allevamenti zootecnici assumono tipologie diverse a seconda delle aree, spesso fonne di allevamento specializzato convivono con altre miste, di dimensioni ridotte. Sia per i bovini che per gli ovicaprini, le produzioni riguardano carni, latte e loro derivati. Il settore cerealicolo-zootecnico è sicuramente l'orientamento produttivo prevalente, con forte presenza di capi erbivori e di tecniche di allevamento ed alimentazione fortemente estensive. Assai consistente è anche il settore dell'olivicoltura ed in misura minore della viticoltura; entrambe concentrate soprattutto sul versante cosentino, dove le condizioni pedoclimatiche risultano più favorevoli. 3.1.10 Stabilita del territorio e dissesto idrogeologico Nella Regione i maggiori eventi sismici sono stati registrati nella parte occidentale, lungo la dorsale appenninica e verosimilmente collegabili alla presenza delle numerose faglie ivi presenti, con orientamento nordovestsudest. I terremoti si sono verificati con frequenza periodica e sono documentati a partire dal 1273. Tali eventi hanno avuto notevoli ripercussioni sul piano economico-sociale delle comunità lucane. Dunque anche il territorio del Parco risulta affetto da forti caratteri di instabilità o, meglio, di sensibilità all'instabilità. La causa principale risiede nell' attività tettonica che è stata ed è ancora particolarmente attiva, interessando sostanzialmente, con la sola eccezione delle alluvioni oloceniche, praticamente tutte le fonnazioni presenti. Per quanto riguarda il dissesto idrogeologico, le principali cause naturali che favoriscono i movimenti franosi sono: la costituzione litologica, la 42 giacitura degli strati, la morfologia e il clima. L'uomo, poi, con le sue attività, interviene a favorire i fenomeni di dissesto. In corrispondenza dei substrati calcaro-dolomitici, i dissesti sono in genere poco diffusi; quando si verificano sono riferibili a crolli (nelle zone maggionnente tettonizzate) e a fenomeni di scivolamento (nelle zone dove si manifestano intercalazioni marnose ed argillose). Nelle quote medie si riscontrano depositi superficiali argillosi-marnosi non costipati e alternanze con prevalenti componenti argilloso-marnose. Nei depositi, l'erodibilità superficiale è elevata, la stabilità è generalmente buona, salvo nelle pendici più acclivi in cui possono verificarsi alcune modeste frane di smottamento. Nelle alternanze argillose o arenaceo-marnose l'erodibilità è media. Sono invece frequenti fenomeni di dissesto sia superficiale che profondo e di tipi misto: scoscendimenti, smottamenti, scivolamenti e colamenti. Nelle quote inferiori si trovano ancora le alternanze sopra citate, nonché fonnazioni in cui il dissesto è poco diffuso ma la cui erodibilità è alta (conglomerati). Le frane qui presenti sono riferibili in genere a fenomeni di crollo. Le formazioni ignee che si riscontrano nel territorio manifestano un dissesto poco diffuso. 3.2 QUADRO LEGISLATIVO DI RIFERIMENTO 3.2.1 I Parchi Nazionali in Italia Le leggi istitutive dei più antichi parchi nazionali italiani avevano un quadro molto più limitato dei patrimoni da proteggere e non evidenziavano affatto l'importanza di una valorizzazione delle attività umane condotte dalle comunità locali. Nel 1922, per esempio, istituendo il Parco Nazionale del Gran Paradiso si parlava di "conservare la fauna e la flora e di preservare speciali formazioni geologiche e la bellezza del paesaggio". Nel 1923 il Parco Nazionale d'Abruzzo veniva istituito per "la tutela delle bellezze naturali e delle fonnazioni geologiche e paleontologiche, per la tutela delle piante e dei boschi, per la tutela dei pascoli, per la tutela della selvaggina e del patrimonio ittico" (www.legambiente.com). Dal dopo guerra in poi, se si esclude l'istituzione del Parco della Calabria, il numero delle aree protette nazionali non ha segnato incrementi. 43 Ciò nonostante si è sviluppato un fervente dibattito a livello scientifico e nel mondo dell' associazionismo ambientalista che chiedeva a gran voce, soprattutto dagli anni sessanta in poi, sull'onda della scoperta dell'importanza dei problemi legati alla salvaguardia ambientale, l'aumento della superficie protetta in Italia ai livelli degli altri Paesi del mondo industrializzato. Questo, che per molti era un sogno, si è concretizzato solo agli inizi degli anni '90 dove una serie di atti legislativi, fra cui la "legge quadro sulle aree protette", hanno dato il via agli iter procedurali, alcuni per altro non ancora conclusi, per l'istituzione di quelli che vengono chiamati i "nuovi parchi nazionali". Con la legge 305/89 vengono istituiti i primi sette nuovi parchi nazionali: Monti Sibillini, Foreste Casentinesi, Pollino, Arcipelago Toscano, Dolomiti Bellunesi, Aspromonte e Delta del Po. Direttamente dalla legge quadro 394/91 vengono invece creati: Cilento Vallo di Diano, Gargano, Gran Sasso e Monti della Laga, Maiella, Val Grande, Vesuvio e Gennargentu. Con la legge 394/91 si è riusciti finalmente a introdurre un nuovo modo di considerare la natura, il suo valore universale e umano, anche attraverso l'elaborazione delle indicazioni contenute in diverse Convenzioni Internazionali. L'importanza che gli ambienti naturali hanno per la vita delle comunità che vi abitano e che ne usufruiscono è posta in primo piano, ma l'elemento innovativo della legge è racchiuso nella sua volontà di stimolare una valorizzazione delle risorse culturali e sociali insieme a quelle naturali. La legge ha una chiarissima finalità: "garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese". Ma qual è il patrimonio naturale del paese? La legge lo dice chiaramente: si tratta delle "formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche che hanno un rilevante valore naturalistico e ambientale". Molti angoli d'Italia sono ricchi di questo patrimonio naturale, angoli spesso vulnerabili e fragili; così, per garantire che questi luoghi non si impoveriscano e non perdano la loro delicata ricchezza, i loro territori devono essere "sottoposti ad uno speciale regime di tutela e di gestione". Sono diverse le novità importanti della legge: si chiarisce cosa prevede uno "speciale regime di tutela e di gestione". Finalità è "la conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità 44 geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici"; fondamentale è inoltre applicare "metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare un'integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali". Altri obiettivi che le aree protette devono perseguire sono la "promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica" e l'impegno verso "la difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici". Per realizzare questo progetto organico e ampio di conservazione e valorizzazione ambientale e culturale, il lavoro dovrà essere fondato sull'effettiva partecipazione democratica di istituzioni e comunità locali: "nella tutela e nella gestione delle aree naturali protette, lo Stato, le Regioni e gli Enti locali attuano forme di cooperazione e di intesa". Le aree protette nate in seguito alla legge 394/91 hanno ricevuto un nuovo quadro di indirizzi da perseguire, un quadro organico e dettagliato che prevede anche l'importante possibilità di promuovere la valorizzazione e la sperimentazione di nuove attività produttive compatibili con la natura. Oggi nel nostro paese vi sono 22 parchi nazionali istituiti e 2 in attesa dei provvedimenti attuativi. Complessivamente coprono oltre un milione e mezzo di ettari, pari al 5% circa del territorio nazionale. Il parco nazionale integra e completa la salvaguardia operata dai parchi regionali, e viceversa, occupandosi di territori alquanto vasti (almeno per la realtà italiana) e coinvolgendo diverse decine di Comuni. Accanto ad una differenza amministrativa dunque (in quanto è istituito e dipende dal Ministero dell' Ambiente) il parco nazionale presenta una differenza dalle altre forme di protezione anche per la gestione di un territorio ampio, variegato, con una significativa presenza umana. Oltre alla pianificazione e alla vigilanza dunque, il parco nazionale deve esaltare la sua missione di strumento di collegamento e valorizzazione delle realtà locali che devono trovare nella bellezza (e delicatezza) del territorio su cui abitano l'elemento di coesione, la risorsa chiave del loro sviluppo. Un ruolo importante nell 'intervento statale di tutela stanno assumendo i parchi marini, destinati a proteggere in modo integrato tratti di mare e di costa (spesso intere isole o arcipelaghi) che presentano componenti ambientali 45 e paesaggistiche ad un tempo eccezionali e caratteristiche del Mediterraneo (www.parks.it). 3.2.2 Vistituzione del Parco Nazionale del Pollino Parco di carta, parco-accademia, parco-fantasma, parco-telenovela, parco di Penelope, parco filosofale: queste le tante definizioni attribuite al Parco del Pollino. Questa abbondanza di appellativi deriva dal fatto che nessuna altra area protetta in Italia è riuscita ad eguagliare il primato in dibattiti, studi, progetti, piani, tutti immancabilmente finiti nel nulla. Un fiume di parole che viene da molto lontano se già nel lontano 1958, per fare il punto sulla necessità della valorizzazione del massiccio veniva pubblicato il volume "Precedenti storici per la valorizzazione scientifica e turistica del Pollino", a cura del castrovillarese A. Miglio. Il 1958 comunque può essere considerato l'anno in cui i grandi valori naturalistici e culturali del Pollino si affacciano per la prima volta sulla scena nazionale. È infatti, nel giugno di quell' anno che viene presentato alla Camera dei Deputati un "Progetto di Legge per la Valorizzazione del Pollino" e nell'agosto dello stesso anno viene celebrata a Piano Ruggio la VII Festa Nazionale della Montagna. Ritroveremo poi l'area del Pollino in tutti gli elenchi di ambienti naturali italiani da tutelare, a partire dalla prima enunciazione di A. M. Simonetta apparsa su Casabella nell'aprile del 1964. Il Pollino è stato il terreno di scontro di tante battaglie ambientaliste, in particolare per il WWE Nel febbraio del 1968 la neonata associazione presentò a Potenza una "Proposta di un parco nazionale calabro-Iucano del Pollino". Contemporaneamente all' idea proposta dal WWF, veniva presentato il progetto "Pollinea" dal Consorzio per il Nucleo di Industrializzazione del Golfo di Policastro, che prevedeva oltre a improbabili stazioni sciistiche, la costruzione di strade in quota che, se realizzate, avrebbero smembrato il "cuore" del Parco. A questo primo tentativo di speculazione ne succedette un altro nel 1970 con il progetto presentato dalla società OTE del gruppo EFIM-INSUD. Un progetto impostato con vedute faraoniche che inglobava l'intero massiccio in una grande città delle nevi. Nello stesso anno il CNR incarica un'equipe di illustri naturalisti del WWF, tra cui Valerio Giacomini, Franco Tassi e Fu1co Pratesi, pietre miliari dell'ambientalismo italiano, per l'elaborazione di un "Piano d'assetto naturalistico territoriale del Parco Nazionale Calabro 46 Lucano del Pollino". 11 progetto elaborato, oltre a graduare il territorio in diversi livelli di tutela e protezione, dimostrò per la prima volta, attraverso un'attenta analisi costibenefici, come la conservazione della natura fosse più redditizia dei progetti speculativi sopra citati. Questo studio rappresenta la prima indagine scientifica, al di fuori di ogni pregiudizio, tendente a dimostrare come l'istituzione di un'area protetta, oltre a proteggere e tutelare l'ambiente, risulti un'occasione di sviluppo e non di svantaggio per le popolazioni locali. Analoga ricerca venne commissionata nel 1990 dal WWF al NOMISMA per il Parco d'Abruzzo. La Regione Basilicata nel marzo del 1973 pubblica un libro bianco tentando un compromesso tra le due ipotesi contrapposte presentate dal WWF e dall 'EFIM. Questo documento comunque ebbe il merito di produrre una iniziativa legislativa con la quale la Regione Basilicata proponeva alla Regione Calabria l'elaborazione congiunta di un "Progetto speciale per la valorizzazione del Pollino". L'iniziativa non ebbe seguito, e ciò indusse la Regione Basilicata ad assumersi il compito di portare avanti la proposta con la formula di Parco Regionale. TI 29 agosto 1977 veniva bandito un concorso di idee per la creazione di un Parco naturale nel versante lucano del Massiccio. Il concorso venne vinto da un Gruppo Interdisciplinare di studio coordinato dall'architetto Ferrara e composto da numerosi studiosi, tra i quali il prof. Valerio Giacomini, il prof. Alberto Simonetta, il prof. Umberto Bagnaresi, l'arch. Augusto Cagnardi, il dr. Giampietro Rota, l'ing. Annibale Formica. TI gruppo vincitore, quattro anni dopo, nel luglio del 1981, consegna alla Regione il PROGETTO POLLINO, sei volumi che sintetizzano le analisi e le proposte elaborate, di cui nel dicembre 1985, sarà approvato soltanto il Piano Territoriale di Coordinamento. Il Parco Regionale del Pollino, sebbene istituito con L.R. n. 3/1986, non è stato mai messo in condizione di avviare la benché minima attività di gestione. Lo stato italiano si occuperà del Pollino in modo episodico e anomalo, basti pensare che l'istituzione del Parco nazionale avverrà con l'art. 18 della legge finanziaria n. 67 del 1988. Due anni dopo, nel 1990, con un decreto ministeriale si fisserà la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia. TI Parco Nazionale del Pollino si avvia, di fatto, a diventare una realtà solo nel 1993 con l'istituzione dell'Ente e nel 1994 con la costituzione degli 47 organi di gestione (Testo di Annibale Formica e Bruno Nicola, tratto da "Uomo & Natura", Trimestrale delle aree protette Mediterranee, ed. Electa, Anno I, n. 1, pp. 8-12). 3.3 Geositi e geoturismo La complessità del paesaggio italiano ed il ricco patrimonio ambientale che lo caratterizza, fanno dell'Italia uno dei territori al mondo in cui la dimensione areale è inversamente proporzionale alla ricchezza e alla frequenza di luoghi e oggetti di rilevanza documentale. Come avviene già per il patrimonio archeologico ed architettonico, così anche il patrimonio ambientale stenta a trovare, in Italia, ambiti specifici di conoscenza e valorizzazione. Tuttavia, di recente, nei confronti dei Beni culturali e ambientali si sta registrando un interesse via via crescente, sia in ambiti scientifici, che attraverso iniziative legislative di censimento, protezione e recupero (Piacente, Poli, 2003). La nostra società dovrebbe interessarsi alla geoconservazione perché essa concerne la salvaguardia di luoghi speciali, località che sono "finestre" sul passato della Terra. Infatti attraverso tali siti si possono leggere gli eventi impressi nelle rocce e comprenderne i paesaggi chiave, compresa la storia della vita. Le rocce, formatesi in tempi inimmaginabili, costituiscono una creazione che include i fossili e i minerali e l'ambiente entro il quale risiede l'uomo, poiché l'uomo è parte di questa lunga storia (Poli, 1999). Il ruolo della conservazione delle bellezze naturali, intese non solo come fattori biotici, ma anche come elementi fisici del territorio, è stato avvertito fin dall'inizio del secolo scorso con i primi spettacolari esempi di parchi nazionali negli Stati Uniti d'America. Da allora in avanti, infatti, l'uomo ha individuato tra le diverse risorse naturali da salvaguardare anche quelle particolari caratteristiche di carattere geologico-geomorfologico in senso generale che, unitamente a valenze di tipo botanico, faunistico, ecc., costituiscono ambienti di grande pregio, meritevoli di essere tutelati (Burlando, 2003). In Italia la necessità di proteggere gli elementi fisici del territorio, compresi più genericamente nell' ambito delle bellezze naturali e degli aspetti del paesaggio, è stata avvertita fin dai primi del '900 con i primi importanti dispositivi legge; successivamente, ed in maniera sempre più articolata in questi ultimi anni, molte normative nazionali e regionali hanno avuto come 48 oggetto la salvaguardia e la valorizzazione dei beni ambientali, facendo spesso riferimento anche alla tutela delle fonnazioni geologiche, dei processi geomorfologici, delle associazioni paleontologiche, ecc. (Brancucci, Burlando, 2001). Secondo il Progetto GEOSITES dello IUGS (Intemational Union Geological Scìences) un geosito può essere ogni località, area o territorio dove sia possibile definire un interesse geologico o geomorfologico per la conservazione (Massoli-Novelli, 2003). I geositi rappresentano molto spesso punti di riferimento o addirittura l'elemento centrale del paesaggio. "Questi segni fisici sono costituiti da rupi, cime isolate, cascate, vallate, corsi d'acqua, specchi lacustri, litorali, canyon o elementi che costituiscono singolarità dell'ambiente fisico e come tali vengono fissati nella mente e conservati nella memoria. E quanto più sono particolari, singolari, o, comunque, fuori dall'ordinario per fonna o anche per colore, distribuzione o accostamenti, tanto più essi verranno associati ad un luogo o ad un momento particolare della vita di ciascuno di noi. Altre volte i geositi costituiscono lo sfondo o lo scenario persistente nel quale si esemplifica la vita della comunità, tanto da divenire elementi caratterizzanti o significanti, nei quali si ritrovano le radici e l'identità degli individui che le compongono" (Barca, Di Gregorio, 1999). Un qualsiasi "oggetto geologico" diventa patrimonio comune dell'umanità, e quindi "Bene culturale", solo nel momento in cui la conoscenza viene condivisa e l'oggetto può essere fruito (Panizza, Piacente, 1989), altrimenti rimane solo un reperto, insignificante parte di un catalogo (Poli, 1999). TI nodo da sciogliere in un percorso di valorizzazione non è necessariamente quello di detenninare un valore assoluto del geosito, né tantomeno quello di individuare il complesso dei geositi presenti in un dato territorio ma, al contrario, stabilire tutti i possibili valori-significati-relazioni che lo stesso intrattiene nel sistema territoriale (fisico o biologico) e nel contesto economico, sociale e culturale presi a riferimento. Possiamo, così, attribuire un "ruolo progettuale" a ciascuno dei geositi individuati in modo da corrispondere alle azioni ed agli utilizzatori che avremo selezionato, tenuto conto che il medesimo geosito può assumere un ruolo diverso. Un aspetto che può aiutarci nella definizione del ruolo è l'interesse geologico 49 di un geosito in quanto ci pennette di comprendere cosa lo rende speciale nell'ambito del contesto, dell' area o del paesaggio che ci prefiggiamo di valorizzare. I siti di interesse geologico possono costituire una concreta opportunità di produrre sviluppo di qualità ad alto valore aggiunto soprattutto in aree con valori diffusi o marginali. Tuttavia è altrettanto importante sottolineare che non esistono aree marginali o insignificanti, bensì soltanto luoghi che non hanno ancora trovato la giusta convergenza fra potenzialità e iniziative, tra tessuto locale e interventi amministrativi (Piacente, Poli, 2003). Per tutti questi motivi il paesaggio ci fornisce la chiave interpretativa più importante per far conoscere pienamente un territorio; una interfaccia semplice e diretta che consente di svelare le conoscenze relative ai geositi ad un pubblico priva di una preparazione specifica pennettendo, tra l'altro, la comprensione degli eventi e dei fenomeni che hanno prodotto le fonne attuali (Poli, 2003). L'idea è quella di trasfonnare i geositi in altrettante occasioni di sviluppo delle identità locali, di educazione ambientale, di crescita culturale e di apprezzamento del paesaggio nelle sue multiformi espressioni. Oggetti e situazioni che spesso ammiriamo in paesi esotici e lontani, ma che non riusciamo a vedere nelle nostre regioni, vicino a casa nostra, perché non ci vengono forniti gli strumenti per poterli riconoscere e interpretare produttivamente. L'interpretazione è dunque la chiave di volta che consente di far diventare un geosito una risorsa "produttiva" sotto i profili della tutela, della frizione, dello sviluppo economico, della identificazione territoriale. Un tale processo riveste una importanza fondamentale in quanto rende il geosito un valore condiviso con cui ci si identifica e che si percepisce come patrimonio comune. Instaurare un processo continuo di comunicazione con le popolazioni locali, al fine di portare le persone a guardare e considerare in modo diverso ciò che le circonda, costituisce la dotazione primaria ed indispensabile di qualsiasi processo di sviluppo economico e sociale del territorio che abbia al centro uno o più siti di interesse geologico. TI geoturismo può essere visto come una delle possibili strategie di conservazione dei luoghi di elevato interesse geologico. L'attività del geoturismo e degli itinerari/sentieri geologici è appena al 50 principio nel nostro Paese, ma esistono già numerose iniziative, per esempio, l'Associazione Italiana di Geologia e Turismo, con sede a Bologna. Quest' Associazione ha tra le sue finalità la valorizzazione del patrimonio geologico italiano, in particolare dei geositi, ai fini di un turismo culturale qualificato, la specializzazione di geologi e di naturalisti su problemi specifici di un geo-turismo volto alla realizzazione di itinerari a tematismo squisitamente geologico e la formazione di Guide e Tour Operator per l'integrazione della componente geologica con quelle tradizionali per fini turistici, mostrando esempi concreti di itinerari usuali arricchiti ed ampliati dagli aspetti geologici (www.geologiaeturismo.it). Un aspetto particolare di questo fenomeno risulta quello offerto dalle aree protette e dai parchi nazionali, dove spesso gli aspetti geologici risultano poco o nulla valorizzati, essendo subordinati a quelli biologici. Gli impatti positivi legati al geoturismo risultano essenzialmente tre: • il supporto alla conoscenza, e quindi alla promozione della immagine del geosito ma anche della geologia in generale, con beneficio di tutti; • la conservazione del bene, raggiunta attraverso il maggior interesse del pubblico e delle amministrazioni con i necessari finanziamenti; • la rivitalizzazione economica dell'area nel caso di geositi di particolare vastità ed interesse, oppure nei casi minori, la possibilità di alcuni posti di lavoro sia diretti che indotti. Sono numerosi i casi in Italia ove il potenziamento del geoturismo, per la presenza di un geosito di elevata valenza, può apportaree benefici socio-economici: in Basilicata il caso dei due rari laghi gemelli, di origine vulcanica, di Monticchio nel Vulture ne costituisce un esempio. Gli impatti negativi che possono essere prodotti dal geoturismo consistono essenzialmente nel "consumo della risorsa", attraverso danneggiamenti di diversa entità e qualità a seconda del tipo di geosito. I geositi più fragili, per esempio, risultano le cavità carsiche ipogee; impatto minimo o nulli ricevono, invece, i geomorfoditi in roccia compatta (calcari, dolomie, rocce intrusive, ecc.). In conclusione, appare fondamentale che coloro che desiderano promuovere il turismo geologico e culturale abbiano il fine primario, e la capacità, di farsi capire dai non-geologi, utilizzando un linguaggio facile ed accessibile, ovviamente sempre basato su dati scientifici (Massoli-Novelli, 2003). 51 3.3.1 Paesaggi geologici e geositi in Basilicata TI paesaggio è il prodotto di una serie di processi naturali sui quali si sovrappone l'azione antropica, e quindi non può essere analizzato soltanto nei suoi aspetti estetici e percettivi. Fra i processi naturali che detenninano la peculiarità di un paesaggio, quelli che caratterizzano preliminarmente una regione sono i processi geologici e geomorfologici, in regioni con aree no fortemente segnate dall' azione antropica, le variabili geologiche contribuiscono in maniera notevole all 'individuazione di unità omogenee di territorio, consentendo così l'identificazione del "paesaggio geologico". L'individuazione e la catalogazione dei geositi in Basilicata deve partire dall'identificazioni di tali paesaggi: • Paesaggio della aree costiere: Piana costiera ionica e terrazzi marini (area metapontina ed entroterra del Golfo di Taranto); Costa alta tirrenica (Maratea); • Paesaggio fluvio-carsico e forratico della Murgia materna e delle gravine del Bradano e di Picciano; • Paesaggio della Fossa bradanica e del Bacino di Sant'Arcangelo • Aree calanchive dei versanti argillosi (Montalbano, Pisticci, Aliano); • Aree subpianegianti delle sommità collinari sabbioso-conglomeratiche (Irsina, Grottole, Fardella); • Paesaggio della fascia esterna della catena in unità a dominante arenacea (Dolomiti Lucane); • Paesaggio dei rilievi della catena in unità a dominante argillosa (Avigliano, Laurenzana, Latronico); • Paesaggio dei bacini intracatena pliocenici (Ofanto, Potenza, Calvello); • Paesaggio della montagna appenninica silico-calcarea (Monte Volturino, Monte Sirino); • Paesaggio della montagna appenninica calcarea (Monti della Maddalena, Monte di Viggiano, Pollino). Evidenziando solo l'aspetto paseaggistico, alcuni importanti elementi vengono ignorati o non adeguatamente evidenziati come per esempio, i siti di importanza paleontologica, affioramenti singolari come quelli delle rocce ofiolotiche di basamento del confine calabro-lucano, ecc. Si evince pertanto che il riconoscimento di unità omogenee del paesaggio geologico non è sufficiente per l'individuazione dei geositi. È indispensabile invece la sovrapposizione di più indicazioni geologiche. Considerando infi52 ne i geositi anche come risorsa turistica, è fondamentale ricordarsi della fruibilità del bene. Nel caso della regione Basilicata questa può essere offerta con uno sforzo minimo. Per esempio numerose aree protette possono arricchire la loro proposta naturalistica mostrando attenzione anche agli aspetti geologici. Va inoltre evidenziato che molti abitati permettono di individuare percorsi geologici e offrono la possibilità di affiancarsi a quelli storico-artistici presenti ormai diffusamente. Si pensi a tale proposito agli "inconsapevoli" itinerari geologici che si percorrono passeggiando per gli abitati di Matera o di Castelmezzano (Lavecchia et al., 2003). In questi luoghi, la connessione tra caratteri geologici, geomorfologici del territorio ed evoluzione urbana è tale che anche il turista distratto potrebbe autonomamente cogliere alcuni dei tanti elementi di interesse geologico osservabili camminando, nel caso di Matera, negli antichi rioni "Sassi" o affacciandosi da punti panoramici sulla forra incisa dal Torrente Gravina di Matera (Tropeano, 2003). 3.4 Thrismo e cultura in Basilicata: una visione d'insieme La regione Basilicata può essere definita, a mio avviso, una Regione turistica potenziale: in essa sono presenti attrattive culturali e paesaggistiche tali che, se debitamente valorizzate, possono richiamare un flusso di turisti e sostenere lo sviluppo di un valido sistema di accoglienza. Infatti la Basilicata dispone di un rilevante patrimonio culturale, il cui censimento ha permesso di individuare oltre mille risorse sul territorio. La loro distribuzione per tipologia mostra una prevalenza di chiese e abbazie, fenomeno molto comune in Basilicata, e una certa rilevanza di eventi e rassegne che in qualche modo rivelano un livello non trascurabile di vivacità del territorio anche in relazioni a manifestazioni a valenza culturale. Alla luce delle rilevazioni effettuate in Basilicata, emerge la presenza di aspetti positivi e di elementi di criticità nel quadro delle relazioni esistenti tra risorse/servizi/soggetti nei settori, finalizzati alla valorizzazione e fruibilità del patrimonio culturale, visto in una prospettiva turistica. La forte crescita dei flussi turistici in Basilicata negli ultimi anni può spiegarsi con i seguenti fattori. 53 • Gli investimenti significativi in infrastrutture e servizi ricettivi di fascia medio alta. • L'effetto "novità" della destinazione: molti turisti, soprattutto del centro-nord, scelgono la Basilicata per conoscere destinazioni e luoghi nuovi; la regione è ancora molto "da scoprire" sul piano turistico e questo costituisce un elemento di attrattiva. • La comparsa di un turismo balneare sempre più attento alla qualità dell' ambiente naturale e alla presenza di fattori di attrattiva di tipo storico-culturale. Diversi indicatori segnalano una crescita significativa del turismo culturale, che assume un carattere prevalentemente "escursionistico". • Crescita del turismo culturale nei centri d'arte cosiddetti "minori". Per contro, a rallentare il processo di valorizzazione del patrimonio culturale della Basilicata concorrono diversi fattori, tra i quali assumono un peso rilevante quelli qui di seguito elencati. • L'insufficiente cultura turistica, intesa come capacità di riconoscere il valore del patrimonio in sé e per il potenziale di attrazione turistica che esso esprime (ciò non consente di far diventare prodotto per il turismo le risorse esistenti). • La carenza dei servizi in grado di favorire una effettiva fruizione delle risorse e di farne apprezzare il valore (itinerari turistici attrezzati, servizi di informazione turistica, guide turistiche ecc.). • La collocazione geografica e le caratteristiche morfologiche di gran parte del territorio lucano, che pur costituendo uno degli elementi naturali di più forte attrattiva rappresentano la ragione primaria delle difficoltà di accesso alle aree turistiche della regione. Difficoltà che, sul piano del sistema dei trasporti, sono aggravate dalla carente possibilità di collegamenti veloci che consentano un rapido accesso alle località turistiche, a causa della funzione del tutto secondaria svolta dal sistema ferroviario e dell' assenza di aeroporti. I più recenti documenti di programmazione regionale segnano comunque una svolta rispetto a un approccio al patrimonio storico-culturale improntato esclusivamente alla tutela e alla conservazione dei beni. Sembra ormai superata una concezione puramente conservativa del patrimonio a favore di una concezione del patrimonio come risorsa per uno sviluppo sostenibile (TCI, 2002). 54 3.4.1 Effetti del turismo sul sistema economico della localiUi d'accoglienza Se pensiamo al recente passato, più o meno fino agli anni '80, la cultura era considerata una cosa importante ma quasi superflua rispetto allo sviluppo economico: era considerata come qualcosa che non produceva un reddito, i settori tradizionalmente considerati produttivi erano l'industria, l'agricoltura, il commercio, il terziario. Non a caso fmo agli anni '90 la maggior parte dei fondi strutturali e dei fondi europei erano utilizzati proprio per attrezzare aree industriali, artigiane, incubatori di piccole e medie imprese, ma quasi mai per progetti di tipo culturale. Successivamente la cultura diventò un settore importante solo se produceva reddito; si era scoperto infatti, anche sulla scia di quanto era successo in altre regioni, che essa poteva produrre un beneficio economico immediato, e in quest'ottica ci si mosse con iniziative di valorizzazione di alcuni degli elementi culturali più importanti e vistosi. Anche questa concezione è poi caduta perché è chiaro che la cultura non produce quasi mai un reddito diretto, non esistono beni culturali e musei che si automantengono, che non hanno bisogno di un supporto esterno, e probabilmente non è neanche giusto perché la cultura è un qualcosa che deve essere dato ad un prezzo politico, alla portata di tutti. L'atteggiamento degli ultimi anni, in pratica a partire dagli anni '90, si è modificato e quando un Ente pubblico investe nel settore della cultura, ed in particolare nel settore del patrimonio culturale attraverso il recupero dei beni, la loro valorizzazione, il sostegno ad iniziative museali o ecomuseali, gli obbiettivi che ci si pone sono un po' più complessi e diversi. Naturalmente in primis la tutela dei beni, questo va da sé, perché compito primario ovviamente dell 'Ente pubblico è quello di tutelare e recuperare i beni per poterli trasmettere, così come noi li abbiamo ricevuti dalle generazioni precedenti, alle future generazioni. Poi riaffermazione dell'identità, ma anche finalità economiche, pur se non di tipo diretto: un bene viene recuperato, un museo viene realizzato e valorizzato, un patrimonio ambientale viene fatto conoscere non solo perché si pensa che la gente che va a visitarlo debba pagare un biglietto, e il pagamento dei biglietti sia tale da poterlo mantenere, ma perché la valorizzazione di un territorio, la valorizzazione di un bene culturale - sia esso un edificio, ma anche un paesaggio, una cultura diffusa - concorrono a favorire lo sviluppo e la crescita di chi di quel bene usufruisce, attraverso un turismo 55 di tipo culturale. Quindi flussi turistici nuovi che portano sì delle ricadute economiche, ma anche e soprattutto perché siamo ormai consapevoli che un territorio valorizzato, ben mantenuto, che fa del recupero dei beni un valore imprescindibile, favorisce un miglioramento della qualità della vita di chi in quel territorio vive e lavora. Ne consegue che quasi tutti i progetti che riguardano il recupero dei beni riguardano infatti oggi molto spesso anche il recupero del territorio, dei centri storici nel loro complesso, delle altre parti del paesaggio circostante (Formento, 2006). In linea generale, il turismo svolge un ruolo dinamicizzante sull'economia di un Paese: possiede, infatti, la capacità di sviluppare una rete di iniziative e di innescare un circuito virtuoso di crescita con effetti sul Pil (Prodotto interno lordo) e sulla sua distribuzione (Tisdell, 2000; Totola, 2001). TI turismo normalmente si avvia in zone dove è già insediata una popolazione autoctona e si svolgono attività produttrici di reddito; pertanto esso si aggiunge o si sovrappone ai settori economici preesistenti, come un valore aggiunto, determinando effetti indotti e situazioni di complementarità e/o concorrenza. Una situazione di complementarità si verifica con attività come l'artigianato, in particolar modo artigianato d'arte, che viene spesso stimolato dal turismo. A volte, inoltre, il turismo determina una vera e propria rinascita dell'artigianato locale: a Cipro, per esempio, il turismo ha rivitalizzato una serie di attività in crisi, quali ceramica, ricamo, tessitura; nella Francia orientale, al confme con il Piemonte, nel Queyras, la presenza del parco naturale regionale ha rilanciato l'artigianato del legno ecc. Situazioni di concorrenza si presentano, invece, nelle attività legate al settore agricolo, qualora si verifichi una sottrazione di manodopera locale nelle stagioni più propizie ai lavori dei campi o una riduzione degli spazi agricoli a favore del turismo, con conseguente lievitazione dei prezzi del terreno e diminuzione della propensione agli investimenti legati al settore agricolo. Riguardo ai posti di lavoro, il turismo ha la capacità di trattenere la popolazione residente non solo nelle aree forti, e quindi già collaudate ma anche in quelle deboli, soggette a spopolamento dovuto alla crisi di alcuni settori economici. Lo sviluppo turistico può inoltre modificare la distribuzione spaziale della popolazione: molte regioni vengono investite dal fenomeno della desertifi56 cazione dello spazio interno, a favore di una forte concentrazione di uomini e attività nell'area a sviluppo turistico. In Italia, per esempio, nel secondo dopoguerra, si è verificata una consistente migrazione di persone dalla catena appenninica in direzione della costa tirrenica e adriatica. I posti di lavoro offerti dal turismo sono, però, spesso stagionali, precari e talvolta, scarsamente retribuiti. Esistono stazioni turistiche che divengono veri e propri nuclei cittadini nella stagione turistica, mentre durante il resto dell'anno si presentano deserte (Galvani, 1987). Frequente è poi la pratica del lavoro nero e diffusi sono i casi di sottoccupazione, che interessano soprattutto studenti, casalinghe, pensionati e lavoratori extracomunitari. Il principio secondo il quale il turismo produce effetti moltiplicatori nei riguardi dell'occupazione è valido solo per i Paesi economicamente evoluti e, in genere, gli effetti moltiplicatori nei riguardi dell'occupazione dipendono dal grado di integrazione fra il turismo e gli altri settori economici locali. L'industria del turismo, dunque, crea posti di lavoro diretti, che corrispondono alle attività che hanno rapporti diretti con la clientela (settore alberghiero, ristorazione, agenzie di viaggi, servizi ricreativi e sportivi), ma anche indiretti, che interessano le attività economiche necessarie al funzionamento del sistema turistico (fornitori di beni) e della manutenzione delle infrastrutture necessarie. Il turismo, infine, influenza in modo più o meno diretto il commercio. In presenza di una località turistica si nota un'elevata concentrazione di strutture commerciali rispetto alla media delle località non interessate dal fenomeno. È inevitabile anche la lievitazione dei prezzi, in particolare delle abitazioni, che in alcuni casi costringe i residenti a orientare la propria residenza verso località ritenute meno care. Si verificano anche una palese disparità a vantaggio di negozi di souvenir e di shopping, rispetto a quelli destinati alla vendita di beni comuni (frutta, latticini, pane), e infine una marcata stagionalità nell'apertura degli esercizi commerciali. 3.5 Cic1oturismo in Basilicata Il fenomeno del cicloturismo è ancora poco sviluppato in Italia, ma è in forte crescita; ci sono circa 6 milioni di cicloturisti in Europa (fonte Enit), di questi, quasi 2 milioni sono tedeschi. In Germania, il 65% delle persone utilizza la bicicletta nel tempo libero, 57 ben 4.700.000 tedeschi ha progettato di svolgere nel biennio 2001/2 delle vacanze cicloturistiche. In prevalenza, il pernottamento avviene in albergo con il 40% dei casi. Quest'ultimo dato ci pennette di capire che il cicloturismo ha effetti estremamente positivi sull'economia e assicura ovunque un'importante creazione di valore aggiunto. Nel 1991, Ernst Miegelbauer ha condotto un'inchiesta sull'itinerario ciclabile del Danubio (320 km), interrogando ospiti ed esercenti. Nel 1991 circa 100.000 ciclisti e cicliste hanno speso circa 57 miliardi di lire. In media, i cicloturisti sono stati in viaggio nove giorni e hanno speso attorno alle 63.000 lire al giorno. Attualmente, l'Austria dispone di nove itinerari ciclabili autonomi segnalati (con lunghezze che variano dai 110 ai 340 km), che non sono tuttavia collegati fra di loro. Da un'altra indagine si apprende che il 20% dei turisti che soggiornano in Austria usa la bicicletta durante le vacanze. Nei Paesi Bassi, nel 1987, la Fondazione "Landelijke Fietsplatform" ha messo in cantiere una rete nazionale di itinerari ciclabili, realizzando fino ad oggi sei cosidetti itinerari LF (Landelijke Fietsrouten) con lunghezze che variano dai 200 ai 360 km. Alla cura e alla manutenzione degli itinerari provvede la Fondazione stessa. Dall'apertura del primo percorso LF nel 1988, sono state vendute complessivamente oltre 100.000 guide (64 pagine). Nel 1993,500.000 olandesi hanno trascorso le vacanze pedalando nel proprio paese (con più di due pernottamenti). Un'indagine condotta nel 1993 ha fornito i dati sugli effetti del cicloturismo a livello nazionale (www.arnicidellabicicletta.it). I pernottamenti annui sono stimati a 246.000. Secondo questi calcoli, il cicloturismo fa confluire ogni anno nelle casse nazionali ben 19 miliardi di lire. Affinché si giunga a questi risultati è, però, indispensabile offrire percorsi protetti, riservati e ben segnalati con informazioni su distanze, tempi, mete e servizi di supporto. Oltre a essere un mezzo di trasporto ecologico, le due ruote silenziose offrono l'opportunità di estraniarsi dalla vita frenetica delle città, ritrovare il piacere di osservare il mondo che ci circonda e vivere in maniera più diretta e profonda il contatto col paesaggio. La Basilicata è la regione ideale per il cicloturismo, per almeno due ragioni: la prima è rappresentata dalla sua bassa densità abitativa - circa 60 abitanti per chilometro quadrato - che si traduce anche in una bassa densità di 58 automobili circolanti sulla rete stradale; la seconda ragione è data dalla grande varietà di paesaggi, tali da consentire al cicloturista di organizzare itinerari che, anche nell' arco della stessa giornata, spaziano dal mare alla montagna. L'Azienda di promozione turistica della Basilicata propone otto itinerari tematici tesi a fornire una conoscenza dei vari aspetti della regione, articolati in quattordici tappe in linea e tre specifici percorsi ad anello dedicati all'area costiera ionica, per una percorrenza complessiva di circa 1.300 chilometri. Le strade percorse dalle varie tappe possono essere quasi tutte classificate a bassissima densità di traffico, con valori compresi tra un minimo di lO ad un massimo di 100 automobili in transito all'ora, fatta eccezione per i pochi tratti di strada in prossimità dei due capoluoghi - Potenza e Matera - e delle strade costiere, trafficate nel periodo estivo. Per quanto riguarda l'andamento altimetrico dei percorsi, non sono previste tappe particolarmente difficili e solo in pochi casi e per brevi percorrenze, le pendenze superano il 6%. Bisogna tenere presente, tuttavia, che le caratteristiche orografiche della regione obbligano a percorsi in continuo saliscendi, con superamento anche di più valichi nella stessa tappa, peculiarità queste, che comunque rendono ancora più appetibili i percorsi agli appassionati e agli sportivi. Le tappe sono state comunque disegnate in modo da contenere il dislivello totale in salita, nei limiti dei 2.000 m di quota da superare in un giorno. La partenza delle tappe avviene sempre in centri abitati raggiungibili, oltre che con l'auto o con il pullman, anche in treno: Potenza, Maratea, Metaponto. Il cicloturista li potrà raggiungere, quindi, anche utilizzando la comoda formula del treno+bici che le Ferrovie dello Stato mettono ormai a disposizione su tutto il territorio nazionale. La Basilicata è una regione prevalentemente montuosa, con clima generalmente freddo in inverno e caldo spesso secco, ma sopportabile in estate. Fanno eccezione l'area nord orientale della regione, confmante con la Puglia, ed i limitati tratti costieri ionico e tirrenico, caratterizzati da temperature più elevate e da maggiori percentuali di giorni di sereno. Potendo scegliere, conviene, quindi, programmare le proprie escursioni in bici nelle stagioni intermedie - autunno e primavera - nei tratti costieri e durante la stagione estiva nel resto della regione (APT, 2000). 59 3.6 Ricettività nell'area del Parco Nazionale del Pollino Tra le molteplici motivazioni che inducono all'istituzione di un'area protetta ricordiamo la conservazione della natura, attraverso il mantenimento degli ecosistemi, la ricerca scientifica, che consente opportunità di studio, la ricreazione e lo svago finalizzati al raggiungimento del benessere psicofisico dell'individuo. Visitare un parco, soggiornarvi e quindi conoscerlo consente di stabilire uno stretto contatto con l'ambiente naturale e con la cultura delle popolazioni che vi abitano. La tendenza di questi ultinù anni vede una maggior attenzione verso una più profonda integrazione tra uomo e ambiente naturale, allo scopo di favorire l'estensione e la conservazione del patrimonio verde. In questa prospettiva si deve porre anche il turista nel momento in cui visita un'area protetta. Nell' ottica di una sua permanenza discreta e non nociva per il paesaggio e le specie animali e vegetali in esso ospitate, occorre pertanto selezionare i luoghi accessibili, guidare i flussi escursionistici, promuovere un più ampio ventaglio di proposte, coinvolgendo attivamente il visitatore nella cura e nella gestione dei parchi con campi di lavoro, corsi e stage di studio e conoscenza. TI Mezzogiorno può puntare su questo nuovo modello di sviluppo econODÙco di tipo endogeno e sostenibile, infatti più del 50% delle aree protette esistenti in Italia è localizzato nel Meridione, mentre solo il 22% al Nord e il 26% al Centro. In questo contesto, un ruolo di primo piano può essere svolto dal Parco Nazionale del Pollino, istituito nel novembre del 1993, che rappresenta più del 12,5% della superficie delle aree protette italiane, estendendosi per quasi 193.000 ettari tra Basilicata e Calabria. Dell' area turistica di riferimento fanno parte 22 Comuni e vi si concentra circa il 13% delle risorse culturali complessive. La vocazione culturale prevalente della zona è legata alla presenza di palazzi e residenze, di chiese e abbazie: quest'ultimo dato merita un particolare commento per l'elevata frequenza di santuari e luoghi di culto, spesso isolati o posti in vetta, che caratterizzano l'area montana lucana. Passando all'offerta turistica e culturale la quota sul totale regionale dell'area è del 10%: indicatori significativi sono il notevole numero di consorzi e 60 ristoranti, ma soprattutto di alberghi, segno che nella zona si è già sviluppata una certa economia legata alla fruizione turistica montana (TCI, 2002). Allo stato attuale, pur possedendo l'area del Parco una serie di fattori d'attrattiva di notevole rilevanza sotto molteplici aspetti, primi fra tutti quelli ambientali - naturalistici e quelli storico culturali, il potenziale esistente non è stato espresso che in minima parte e pertanto non può essere attualmente considerata meta di consistenti flussi turistici sistemizzati. Tra il 1995 e il 1999 è stato stimato un incremento medio annuo delle presenze del 5%, anche se l'apporto di risorse finanziarie aggiuntive nell'area del Parco, che viene dai visitatori, non è molto elevato, a causa delle disorganizzazione dei flussi stessi. Sempre con riferimento alla stessa indagine, si è rilevato che gli ospiti sono spinti a soggiornare nel Parco prevalentemente da motivazioni di carattere ambientale; questa predominanza che si traduce in una domanda di tipo strettamente "leisure", non ha tuttavia impedito lo sviluppo di altri segmenti (turismo religioso, balneare, scolastico, sportivo). Un dato importante da considerare è il carattere di stagionalità che attualmente caratterizza il turismo che si realizza all'interno del Parco. La porzione più rilevante delle presenze, infatti, si concentra nei mesi estivi, e precisamente, in ordine decrescente, in agosto, luglio, giugno, maggio, nei week-end e per brevi soggiorni durante le festività di Natale e specialmente Pasqua. Dall'analisi comparata degli arrivi e delle presenze, inoltre, emerge che i primi superano notevolmente le seconde, perciò si rileva che il fenomeno dell'escursionismo, vale a dire permanenza nella località turistica senza pernottamento, è preponderante rispetto al soggiorno vero e proprio. Dalle regioni limitrofe all'area del Parco (Puglia, Campania e Sicilia) proviene più del 70% dei visitatori; le presenze straniere sono, invece, scarse, anche se a giudizio degli operatori si registra, in quest'ultimo periodo uno sviluppo. Nell'area centrale non esistono complessi ricettivi di grandi dimensioni, infatti circa 80% delle stesse dispone di un numero di posti letto inferiore a 60. Ancora molte delle strutture localizzate nel Parco non sono attrezzate ad accogliere disabili, quasi tutte (98%) sono dotate di ristorante interno, solo il 30% dispone di sale convegni e solo nel 35% dei casi esiste la disponibilità ad accogliere animali domestici. 61 Per quanto concerne gli altri tipi di servizi collaterali (campi da tennis, piscine, palestre, ecc.), dall'analisi dei dati emerge una forte presenza di questo tipo di servizi nelle strutture localizzate sulla costa, mentre la percentuale si riduce notevolmente se si considerano le strutture localizzate in area centrale. Dal punto di vista della ricettività locale, il Pollino è prevalentemente costituito da alberghi e da agriturismi, mentre la presenza di campingvillaggi è residuale. In tutti gli agriturismi è possibile usufruire di un'ospitalità che non si limita alla sola offerta del pernottamento ma comprende anche la possibilità di scoprire sapori, odori e piaceri della tavola, negli annessi locali per la ristorazione e nei punti vendita di prodotti tipici. Esiste una forte consapevolezza degli operatori dell' area della necessità di mettere in campo una strategia ed una serie di azioni tese a trasfonnare l'offerta turistica attuale, che pur con i suoi punti di eccellenza, risulta ancora disorganica e frastagliata, non concertata con le altre realtà economiche in un "prodotto turistico vendibile". Le risorse naturali, ambientali, sociali, culturali, infrastrutturali, religiose e sportive, infatti, da sole non sono in grado di rappresentare un "prodotto turistico vendibile"; occorre attivarle opportunamente attraverso almeno quattro fasi: 1. riconoscimento, valorizzazione, conservazione; 2. accessibilità e fruibilità; 3. integrazione in un prodotto turistico; 4. promozione e commercializzazione. In questi ultimi anni l'Ente Parco ha lavorato principalmente rispetto alle prime due fasi ed ha in programma di realizzare quelle successive solo al completamento delle due precedenti; considerando che uno sconvolgimento della sequenza altererebbe l'efficacia dell'intervento (si pensi ai danni che si creerebbero promuovendo massicciamente un prodotto turistico che allo stato attuale non rappresenta ancora un "prodotto vendibile"). In un'area protetta, inoltre, la necessità di pianificare e programmare con attenzione ogni tipo di sviluppo, e dunque anche quello turistico, è molto più pressante, poiché una crescita disordinata può costituire una minaccia per le risorse che rappresentano la base sulla quale costruire lo sviluppo stesso. 62 Infatti ogni tipo di intervento che si andrà ad attuare nell' area non deve turbare l'ecosistema, cosa che avverrebbe, ad esempio con interventi di artificializzazione dell'ambiente, ma deve valutare la capacità di carico in modo tale da non impattare negativamente risorse difficihnente riproducibili Inoltre sviluppo non deve intaccare l'identità culturale e sociale delle popolazioni coinvolte, né stravolgere il loro stile di vita. Solo rispettando questi principi basilari si può sviluppare, nell' area del Parco non solo un turismo ma anche un generale sviluppo socio-economico durevole (Esposito, 2001). 3.6.1 Gli sport praticabili nel Parco del Pollino L'articolata varietà del territorio e delle condizioni geomorfologiche offrono la possibilità di praticare diversi sport, tenuto conto che, se ben praticati, non urtano contro le esigenze della tutela del patrimonio naturalistico del comprensorio, non comportano alcun adattamento dell'ambiente all'esigenze della pratica sportiva, non turbano l'elementare precetto che in un'area Parco impone il rispetto del silenzio, che può essere rotto solo da eventi naturali. Sci da fondo La persistenza delle nevi per molti mesi dell'anno e l'estensione davvero considerevole della bianca coltre sull'area protetta consentono la pratica di questo sport in diverse zone del parco. Aree ideali, i grandi pianori da Ruggio a Novacco, da Piano Lanzo ai Piani di Pollino. A Terranova del Pollino, una lunga pista, corre lungo il tratto Lago Duglia - Sorgente Chidichimo. Thrismo equestre TI turismo equestre è praticabile nel Parco, grazie alla presenza di maneggi e scuole di equitazione, per esempio a Terranova del Pollino e San Severino. Scoprire il Parco a cavallo riporta a percorrere vie e mulattiere che un tempo erano passaggi obbligati per chi viveva in un rapporto di mutualità con la montagna. Parapendio e deltaplano Dai picchi e dalle alture del Parco, incominciano a levarsi appassionati di questo sport, i quali hanno costituito a Senise un centro di pratica del parapendio. Torrentismo Percorrere il greto di un torrente, risalirlo o discenderlo lungo i suoi margini, 63 guadandolo all'occorrenza, costituisce uno sport che richiede agilità e accortezza nei movimenti. Si va dalla risalita semplice e interessante dell'Abatemarco (Verbicaro, alle discese affascinanti e impegnative del Ragnaello, Pietraponte al Ponte del Diavolo, fino alla difficile discesa del Grimavolo, il torrente-cascata più impervio del Parco. Canoismo e rafting Da diversi anni il letto del Lao è stato scoperto da cultori dello sport della canoa e del rafting, come ambiente tra i più idonei del Mezzogiorno per affrontare con canoa e gommoni il corso a tratti impegnativo del fiume. Alpinismo Le pareti della Falconara, del Pollino. Del Sellaro, delle piccole dolomiti di Frascineto, i dirupi di Boccademone, sono già meta di scalatori che provano l'ebbrezza della risalita con corde e chiodi. Mountain Bike Percorrere con la bicicletta da montagna le innumerevoli piste che intersecano il Parco, è quanto di più suggestivo e tonificante si possa fare. Si può utilizzare la mountain bike per lunghi spostamenti su pista ombreggiata dai faggi e tutte in piano, prediligendo la parte di sud-ovest, ma si può anche intraprendere la faticosa ascesa ai Piani di Pollino. Trekking Con zaino e scarponi è lo sport naturalistico più semplice per tutte le gambe e per tutte le età. Esso è praticabile nel parco a qualsiasi quota, scegliendo dislivelli e sentieri più svariati (Troccoli, Pisarra, 1994). 64