Stralcio volume

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CAPITOLO I
LA TRASFORMAZIONE ETEROGENEA
COME FATTISPECIE ORDINARIA
SOMMARIO: 1. La trasformazione eterogenea fattispecie ordinaria. – 2. Società commerciali
e figure soggettive non commerciali tra affinità e incompatibilità. Profili d’indagine. –
3. Ritorno al passato? – 4. Uno sguardo ad altri ordinamenti.
1. La trasformazione eterogenea fattispecie ordinaria
Si coglie in modo forse più penetrante che altrove la portata, davvero
sostanziale, della recente riforma del diritto societario, quando si osservi in
che misura essa abbia in più luoghi valicato i tradizionali confini della «materia» e della «forma» commerciali, quali, pur dopo l’unificazione legislativa del 1942, si continuavano a ravvisare all’interno del sistema del diritto
privato. Confini ormai, certo, individuati alla stregua di presupposti notevolmente diversi da quelli definiti dalle previgenti codificazioni commer1
ciali , ma non per ciò meno chiaramente enucleabili.
Innovazione, da un lato, e, dall’altro, contaminatio con istituti fino ad
ora annoverati tra quelli proprî del diritto civile in senso stretto, sono percepibili con particolare ed immediata evidenza nella riformata disciplina
della trasformazione eterogenea.
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Il riferimento è qui d’obbligo alle considerazioni sulla nozione di commercialità nel codice
civile del ’42 di G. OPPO, Princìpi, nel Trattato di diritto commerciale diretto da V. Buonocore,
sez. I, t. I, Torino, 2001, pp. 4 s., 21 ss., 60 ss.; ma anche ad altri celebri saggi dello stesso illustre A., Materia agricola e «forma» commerciale, in Studi Carnelutti, Cedam, Padova, 1950, vol.
III, p. 90 ss., nonché Note preliminari sulla commercialità dell’impresa, in Riv. dir. civ., 1967, I,
p. 562 ss.; Codice civile e diritto commerciale, ibid., 1994, I, p. 221. Inoltre, accanto agli studi di
Oppo, si può utilmente consultare il saggio polemico di V. BUONOCORE, «La cultura giuridica
italiana dagli anni sessanta ad oggi» e il diritto commerciale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2005,
pp. 1 ss., spec. 9 ss.
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Capitolo I
Tale disciplina, sebbene s’incentri su fenomeni trasformativi soltanto a
partire, e verso, società commerciali tipologicamente determinate (le società di capitali), contiene norme che incidono profondamente – e non potrebbe essere altrimenti – anche nella disciplina tradizionale delle figure
soggettive contemplate dal libro I del codice civile; disciplina, quest’ultima, a sua volta soltanto parzialmente e non organicamente investita da precedenti interventi novellatori (principalmente consistiti nella riforma del
procedimento di riconoscimento, operata dal d.p.r. 10 febbraio 2000, n.
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361, in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59) .
Le innovazioni legislative del 2003, insomma, paiono andare ben oltre il
semplice riconoscimento dell’emergere di un generale favor alla conservazione dei patrimoni autonomi: esse segnano in certo qual modo l’irrompere di modelli strutturali e funzionali proprî del diritto delle società commerciali anche all’interno del sistema delle persone giuridiche di diritto
privato e, più generalmente, delle figure soggettive non commerciali. Forse
queste nuove norme, nonostante – lo si ripete – l’insufficiente organicità
dell’intervento, che patisce l’inevitabile limite genetico della legge delega 3
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ottobre 2001, n. 366 , precorrono un’evoluzione che nella pratica potrebbe rivelarsi notevolmente più ampia: si pensi, ad esempio, a come un indiscriminato transito attraverso la forma intermedia della società per azioni –
qui più che mai assunta come «generica struttura istituzionale», secondo
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quanto autorevolmente s’è ipotizzato – potrebbe ora indirettamente, ma
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Le istanze di deregolamentazione del procedimento di riconoscimento delle persone giuridiche, manifestatesi già all’inizio degli anni ’90, sembravano aver subìto una battuta d’arresto: basti
ricordare che già a suo tempo Cons. Stato, Ad. Gen., 13 aprile 1994, in Giur. comm., 1995, I, p.
640 ss., aveva espresso parere negativo sullo schema di regolamento Cassese – poi non più emanato –, ritenendo che la generale previsione dell’art. 17, legge n. 400/88 non consentisse di abrogare mediante atto regolamentare norme di legge in questa materia; cfr. G. PONZANELLI, Gli enti
collettivi senza scopo di lucro nell’attesa della riforma, ibid., I, p. 515 ss. Ancor più numerose erano
state le voci che, già nei decenni precedenti, si erano levate specialmente tra i giuspubblicisti, i
quali non avevano mancato di sottolineare la sopravvenuta incompatibilità di un procedimento,
fino al 2000 ancora strutturato sul modello concessorio, con l’art. 18 della Costituzione repubblicana: v. per tutti M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo², vol. II, Giuffrè, Milano, 1993, p. 666 s.;
P. RESCIGNO, Le fondazioni: prospettive e linee di riforma, ora in Persona e comunità, vol. III,
Cedam, Padova, 1999, p. 243 ss.; A. FUSARO, Le trasformazioni eterogenee: un’apertura delle
frontiere tra società lucrative ed enti non profit?, in Nuova giur. civ. 2004, II, p. 73; G. LEONDINI,
Le associazioni tra autonomia privata e controlli pubblici, Cedam, Padova, 2005, p. 8 ss.
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Il cui art. 7, lett. b), circoscrive naturalmente l’ambito delle trasformazioni che investono
gli enti non societari alle sole trasformazioni che hanno almeno come partenza o esito una società di capitali: il limite era già segnalato da G. MARASÀ, La riforma di società, cooperative, associazioni e fondazioni, Cedam, Padova, 2005, p. 235 ss.
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G. OPPO, Le grandi opzioni della riforma e le società per azioni, in AA.VV., Le grandi
La trasformazione eterogenea come fattispecie ordinaria
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illimitatamente, consentire fino ad oggi impensabili (e vicendevoli) meta5
morfosi tra associazioni di diritto privato e fondazioni .
D’altro canto, è innegabile che sulla scelta del legislatore, di disciplinare
appunto in modo permanente le trasformazioni eterogenee da o verso figure soggettive ed enti patrimonialmente autonomi, non soltanto non commerciali, ma anche tout court non associativi, abbia influito significativa6
mente l’esperienza – pur frammentaria e in molti luoghi ellittica – delle
leggi speciali di privatizzazione: l’estrema varietà tipologica degli enti privatizzandi interessati da fenomeni di trasformazione (intesa da quelle leggi,
il più delle volte, come vicenda propriamente “conservativa” e non, per
così dire, “estintiva-costitutiva”) ha forse contribuito a indurre i riformatori del 2003 ad adottare una nuova impostazione concettuale, di carattere in
certo qual modo stabile e generale.
opzioni della riforma del diritto e del processo societario, a cura di G. Cian, Cedam, Padova,
2004, p. 25 s.
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L’ipotesi è adombrata anche da G. MARASÀ, Le trasformazioni eterogenee, in Riv. not.,
2003, p. 594. Solo pochi anni fa, e pur dopo la riforma del procedimento di riconoscimento attuata col d.p.r. n. 361/2000, che ha ridotto l’ambito di discrezionalità della p.a. eliminando il
sindacato sulla c.d. meritevolezza dello scopo (G. MARASÀ, La riforma di società, cooperative, associazioni e fondazioni, cit., p. 237; P. SPADA, Persona giuridica e articolazioni del patrimonio:
spunti legislativi recenti per un antico dibattito, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 837), il Cons. Stato,
comm. spec., 20 dicembre 2000, n. 288, in Cons. Stato, 2001, I, p. 490, negava che potesse darsi
trasformabilità dell’associazione in fondazione, essendo le due figure «fondate su presupposti
giuridici e strutturali totalmente diversi tra loro» (ma va anche ricordato, per la verità, un lontano precedente in senso opposto rappresentato da Cons. Stato, sez. I, 3 aprile 1956, n. 516, in
Cons. Stato, 1956, I, p. 354). Del resto, la prassi ha sovente conosciuto l’utilizzazione di moduli
indiretti per conseguire risultati trasformativi, spesso anticipando riforme generali dell’istituto
della trasformazione: è il caso relativamente recente del Belgio, anteriormente all’entrata in vigore delle leggi 23 febbraio 1967 e, rispettivamente, 7 maggio 1999: v. G. DELVAUX, La transformation des sociétés commerciales, Bruylant, Bruxelles, 2005; in precedenza la giurisprudenza
belga era costante nel ritenere che persino la trasformazione intrasocietaria implicasse scioglimento dell’una società e creazione di un’entità giuridica nuova (cfr. Cass. Belgio, 4 marzo 1966,
in Pasicrisie belge, 1966, I, p. 859; 4 febbraio 1966, ibid., p. 722; 4 febbraio 1966, ibid., 1963, I,
p. 362). O, ancora, è il caso della Svizzera dove, dopo la nuova legge che ha ridisciplinato con
enumerazione tassativa le ipotesi di trasformazione (legge federale sulla fusione, la scissione, la
trasformazione e il trasferimento di patrimonio del 3 ottobre 2003, FusG), si reputa che alla tassatività dei casi di trasformazione contemplati dagli artt. 54 e 55 FusG sia possibile ovviare attraverso la strada alternativa della messa in liquidazione dell’ente di partenza, della costituzione
di una nuova società e, infine, della Vermögensübertragung (artt. 69 ss. FusG) dal primo alla seconda: cfr. M. GUGGENBÜHL, Zürcher Kommentar zum Fusionsgesetz, a cura di F. Vischer,
Schulthess, Zürich, 2004, sub art. 54, p. 450.
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È quasi scontato, ed ampiamente condiviso, il rilievo che fosse assai difficilmente ravvisabile una coerenza sistematica nella legislazione speciale: cfr. C. IBBA, La tipologia delle privatizzazioni, in Giur. comm., 2001, I, p. 464.
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Capitolo I
Anzi, sembra lecito soggiungere, l’esperienza delle privatizzazioni a ben
vedere manifestava un disegno complessivo – ammesso per inconcessum
che di disegno sistematico possa o potesse parlarsi – in certo qual modo discordante, se non antitetico, rispetto a quello poi accolto dal legislatore del
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2003. Giacché, com’è stato messo in luce , il legislatore delle privatizzazioni pareva prospettare due opzioni divergenti e tra loro reciprocamente
irreversibili, o verso gli enti del libro I del codice civile, da un lato, o verso
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le società del libro V, dall’altro ; mentre il secondo intervento legislativo
contempla una varietà quasi illimitatamente commutabile di opzioni, non
necessariamente o, almeno, non tutte certamente irreversibili.
Va riconosciuto tuttavia che, anche da prima ed indipendentemente
dalla vicenda delle privatizzazioni, altri fermenti premonitori della successiva svolta legislativa si erano manifestati nelle linee di tendenza di giurisprudenza e dottrina, che sempre più, negli ultimi lustri del ‘900, avevano
portato in luce ed accentuato il già ricordato favor alla conservazione dei
patrimoni autonomi e alla loro transizione senza e a prescindere da vicende
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estintive o liquidative .
2. Società commerciali e figure soggettive non commerciali tra affinità e
incompatibilità. Profili d’indagine
Dalle vaste implicazioni della riforma sull’intero impianto normativo
del codice del ’42, si può argomentare che l’ordinamento oggi conosce una
equiparazione d’ordine nuovo tra figure soggettive societarie, siano esse
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C. IBBA, op. cit., p. 470 s.
Il modello sembra in qualche modo imitato anche negli artt. 113-bis e 114 del T.U.E.L.,
per quanto attiene alle forme organizzative della gestione dei servizi pubblici locali.
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Un’attenta ricognizione delle tendenze, risalente ad epoca ben anteriore alla riforma del
2003, è già in G. MARASÀ, Contratti associativi e impresa, Cedam, Padova, 1995, p. 220 ss., mentre un’altra ricognizione aggiornata è svolta da C.G. CORVESE, La trasformazione eterogenea in
società di capitali, Giuffrè, Milano, 2005, p. 21 ss.; per la giurisprudenza successiva al 1995 si vedano pure, senz’alcuna pretesa di completezza, Trib. Roma 18 gennaio 2001, in Dir. fall., 2002,
II, p.458, con nt. Malinconico; App. Venezia 24 maggio 1999, in Foro pad., 2000, I, p. 27 con
nt. Martina; Trib. Napoli 11 febbraio 1998, in Società, 1998, p. 826 con nt. di Fico; App. Torino
25 marzo 1997, in Giur.it., 1998, p. 256 con nt. di M. SARALE, e in Giur. comm., 1998, II, p.
814, con nt. di C. SANTAGATA; App. Potenza 10 febbraio 1996, in Riv. not., 1996, p. 1443, tutte
nel senso che una trasformazione vicendevole sia possibile tra associazioni di diritto privato e
società. Contra, peraltro, Trib. Udine 3 luglio 1997, in Dir. fall., 1998, II, p. 378; Id., 23 maggio
1996, ibid., 1996, II, p. 1144; Trib. Torino 12 novembre 1996, in Giur. comm., 1998, II, p. 814,
con nt. di C. SANTAGATA, cit.
La trasformazione eterogenea come fattispecie ordinaria
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lucrative o mutualistiche, ed entità non societarie; e, ancor più radicalmente, tra società e rapporti plurilaterali d’altro genere, non causalmente connotati alla stessa stregua, e che non necessariamente configurano autonomi
centri d’imputazione di poteri e di doveri (ma che semmai – e paradossalmente – ne costituiscono in certo qual modo l’oggetto).
Proprio il fatto che il legislatore del 2003 abbia disciplinato questa trasformazione solo, e propriamente, come Formwechsel, anziché come über10
tragende Umwandlung , impone all’interprete di ricercare quale sia il filo
conduttore o, se si vuole, il momento unificante delle fattispecie contemplate dalla novella; momento che dovrebbe necessariamente risultare comune tra commercialità, che connota le società di capitali – termine imprescindibile di partenza o di arrivo della metamorfosi –, e non commercialità,
che contraddistingue altre figure.
Dunque anche quella trasformazione, che le rubriche degli artt. 2500septies e 2500-octies c.c. declinano ora come «eterogenea», se ed in quanto
configurata come Formwechsel dovrebbe essere pensata alla stregua di un
nuovo assetto che s’imprima ad interessi preesistenti e permanenti; come
modificazione, in altre parole, di soli rapporti giuridici interni a tale sistema d’interessi. Restandone, per contro, tendenzialmente immutati i rapporti esterni, se è vero che anche nel testo riformato – così come del resto,
con ancor maggiore chiarezza, nel vecchio testo – l’art. 2498 sembra inequivocabilmente delineare per qualsiasi trasformazione (non esclusa, perciò, quella eterogenea) una vicenda di tipo esclusivamente conservativo, e
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non certo una vicenda estintiva o estintiva-costitutiva .
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Al paradigma della übertragende Umwandlung andrebbe invece, in certo qual senso, ricondotta la vecchia «trasformazione» delle fondazioni contemplata dall’art. 28 c.c., peraltro tuttora in vigore. Mentre la riforma del 2003 sembra dunque concepire un unitario modello di trasformazione, Formwechsel ed übertragende Umwandlung, dal canto loro, rappresentano per il
legislatore tedesco del 1994 soltanto due tra le possibili modalità della vicenda lato sensu trasformativa (§ 1 UmwG): cfr. M. LUTTER, in Umwandlungsgesetz, Kommentar, a cura di M. Lutter, Dr. Otto Schmidt, Köln, 2000, Bd. I, p. 110.
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Così, da ultimo, con esplicito riferimento alla trasformazione eterogenea progressiva, dopo la riforma del 2003, Trib. Vicenza 13 luglio 2007, in Giur. it., 2008, p. 665, con nt. di chi
scrive, Questioni in tema di trasformazione eterogenea e pubblicità. Di questa concezione
inequivoca della vicenda in termini di continuità soggettiva, la dottrina aveva peraltro già fatto
larga applicazione, da ultimo in materia di privatizzazioni formali: per tutti P.G. JAEGER, voce
Privatizzazioni, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1995, § 2; G. CABRAS, Le trasformazioni, nel Trattato Colombo-Portale,VII, 3, Utet, Torino, 1997, spec. p. 66 ss.; G. MARASÀ, Le società, nel Trattato di dir. priv. Iudica-Zatti, Giuffrè, Milano, 2000, p. 60; C. IBBA, La tipologia delle privatizzazioni, cit., p. 477 s. Più in generale, anche con riferimento alla vicenda della fusione, le recenti
Cass., S.U., 8 febbraio 2006, n. 2637, e 23 giugno 2006, n. 14526, entrambe in Riv. dir. proc.,
2007, p. 177, con nt. di E.F. Ricci-C. Consolo; nonché D. DALFINO, Sulla inidoneità interruttiva
della fusione societaria (e sull’effetto successorio che ad essa si accompagna), ibid., p. 91. Ma di
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Capitolo I
Il dato normativo oggi codificato, insomma, impone di trovare riconoscimento e rilevanza giuridica alla trasformazione eterogenea secondo criteri di rigorosa omologia con la (usuale) trasformazione intrasocietaria, e
induce perciò a ricercare nel sistema positivo una nuova nozione concettualmente compatibile della trasformazione stessa, prima di pervenire ad
un sostanziale o pregiudiziale rifiuto di ogni operazione ermeneutica (co12
me pure si è peraltro, di recente, autorevolmente proposto) . O ancora,
prima di giungere alla conclusione, forse altrettanto inappagante, che la riforma del 2003 abbia spezzato definitivamente l’unità concettuale dell’istituto, un tempo uniformemente definito dall’art. 2498 c.c.: cosicché la nuova «trasformazione» eterogenea non rappresenterebbe più null’altro se
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non un nuovo caso di polisemia legislativa , rispetto alla trasformazione
propriamente detta.
Sembra quindi ragionevole tentare di collocare l’indagine fuori della
tradizionale contrapposizione tra società dotate di personalità giuridica e
società connotate da sola autonomia patrimoniale (la stessa autonomia patrimoniale può oggi, invero, completamente mancare in uno od altro dei
termini della vicenda trasformativa); ciò, nella più radicale prospettiva dell’individuazione di quegli interessi, privati e pubblici, collettivi e no (non
va trascurato in proposito che, ora, non solo l’autonomia patrimoniale ma
addirittura la stessa struttura pluripersonale può essere del tutto assente
dalla fattispecie della trasformazione), che si accompagnano alla vicenda
trasformativa eterogenea.
Occorre poi vagliare, se e dove la presenza di un medesimo nucleo d’interessi, in altre e differenti fattispecie pur non enunciate nella legge di riforma, renda la trasformazione eterogenea istituto del diritto comune, generalmente applicabile oltre il quadro positivamente delineato negli artt.
2500-septies e 2500-octies c.c. per regolare fenomeni diversi, privi di regime testuale. Il pensiero corre, ad esempio, alle possibili trasformazioni di
opinione diametralmente opposta, e cioè che – almeno nelle ipotesi estreme della trasformazione di società di capitali in fondazione e in comunione d’azienda – la vicenda dia luogo ad un
fenomeno costitutivo-estintivo, sono A. PACIELLO, La trasformazione delle società cooperative, in
Giur. comm., 2005, I, p. 469; R. ROSAPEPE, Consorzi, società consortili e trasformazione eterogenea, in Riv. dir. comm., 2004, I, p. 717.
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Quantomeno, con riguardo alla trasformazione delle comunioni d’azienda: A. PAVONE LA
ROSA, Comunione di azienda e società di capitali: ammissibilità di una trasformazione?, in Giur.
comm., 2005, I, p. 147 ss., spec. 150 ss.
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La polisemia del linguaggio legislativo, come altri ha osservato (L. SALAMONE, Unità e molteplicità della nozione di valore mobiliare, Giuffrè, Milano, 1995, p. 77 ss.), è fenomeno singolarmente frequente nel campo del diritto commerciale (si pensi ai concetti di azione, di valore
mobiliare, di sottoscrizione, ecc.).
La trasformazione eterogenea come fattispecie ordinaria
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consorzi tra enti locali , di istituzioni pubbliche, di comunioni zur gesam15
ten Hand o di persone giuridiche riconosciute iure antiquo , di «soggetti»
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diversi dalle banche contemplati all’art. 155, comma 6°, T.U. bancario ,
nonché più generalmente di figure soggettive la cui collocazione tassonomica sfugga a criteri certi ed univoci.
Il medesimo orientamento suggerisce infine di considerare attentamente
le competenze a disporre di siffatti interessi attraverso la trasformazione,
nel non facile equilibrio tra regola maggioritaria e principio unanimistico, e
tra autonomia ed eteronomia.
Ma la prospettiva più importante, da cui un’indagine critica incentrata
sugli interessi non pare poter prescindere, è proprio la considerazione dei
limiti entro i quali le trasformazioni eterogenee possano comprimere, o
addirittura sopprimere, taluni di siffatti interessi, specialmente incidendo
su quelli d’ordine individuale, e proprio con riguardo alle figure soggettive
di diritto civile, estranee – almeno, tradizionalmente – alla sfera dei rap14
I consorzi per la gestione associata di servizi e l’esercizio associato di funzioni sono
previsti dall’art. 31 del T.U.E.L. (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267): di essi già ci si era chiesto, in
altra occasione (G. CARRARO, in L’ordinamento degli enti locali, Commento, a cura di M. Bertolissi, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 188), se, anche anteriormente all’introduzione del comma 7°bis, dell’art. 115, T.U.E.L., ne fosse ipotizzabile la trasformazione in società per azioni; ed oggi
ancora ci si può chiedere – pur dopo tale modificazione legislativa – se la loro trasformabilità sia
limitata ai soli consorzi aventi per oggetto la gestione di pubblici servizi o non s’estenda invece
anche a quelli costituiti per l’esercizio associato di funzioni ovvero a quelli che cumulino entrambi gli scopi.
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Si pensi, ad esempio, alle antiche comunanze ed organizzazioni collettive delle famiglie
proprietarie di boschi e pascoli allodiali, di derivazione germanica, di cui è disseminato tutto
l’arco alpino (tra queste, le celeberrime Regole ampezzane e cadorine: cfr. E. ROMAGNOLI, Comunioni familiari e Regole dell’arco alpino, in Riv. dir. agr., 1971, I, p. 151; G. PALERMO, I beni
civici, la loro natura e la loro disciplina, in Riv. dir. civ., 2006, I, p. 600 s.; Commiss. usi civici Venezia, 19 settembre 1986, in Giur. agr. it., 1987, p. 437), che spesso esercitano attività economiche di non poco momento; oppure alle, altrettanto celebri, Contrade di Siena, la cui personalità
giuridica è senz’altro ius receptum: Comm. trib. I gr. Siena, 25 ottobre 1990, in Foro it., 1992,
III, c. 132; Cass. 8 novembre 2001, n. 13829, in Riv. giur. trib., 2002, p. 855; più in generale,
sulla personalità giuridica degli enti preunitari, F. FERRARA sr., Le persone giuridiche², nel Trattato del Vassalli, Utet, Torino, 1956, p. 265 s.; Cass. 23 luglio 1935, in Giur. it., 1935, p. 895;
Cass. 18 ottobre 1960, n. 2785, in Rep. Foro it., 1960, voce Persona giuridica, n. 35; Cass. 19 ottobre 1964, n. 2622, in Foro it., 1965, I, c. 666.
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Si tratta di quelle figure soggettive che “senza fine di lucro, raccolgono tradizionalmente
in ambito locale somme di modesto ammontare ed erogano piccoli prestiti” (tra queste, le c.d.
casse peote, alla cui possibilità di trasformazione si è avuta occasione di accennare a suo tempo,
nello scritto Le casse peote del Veneto e la nuova legge bancaria, in Banca, borsa e tit. cred., 2000,
I, p. 394 e nt. 44; cfr. altresì L. BONZANINI, Commentario all’art. 35 del d.lgs. 4 agosto 1999, n.
342, in A.A. DOLMETTA, Le nuove modifiche al T.U. bancario, Giuffrè, Milano, 2000, p. 137); F.
CAPRIGLIONE, Commentario al T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia², Cedam, Padova,
2001, t. II, p. 1192.
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Capitolo I
porti «commerciali» e di per sé causalmente prive di rilievo economico.
Questo conduce, in definitiva e da ultimo, ad interrogarsi sul fondamento
causale della stessa trasformazione eterogenea e sul ruolo che vi giocano la
presenza o l’assenza di un’attività d’impresa.
3. Ritorno al passato?
Una valutazione critica dei numerosi e talora antitetici interessi, coinvolti nella trasformazione eterogenea da e verso le persone giuridiche contemplate dal libro I del codice civile, delinea indubbiamente – come s’è anticipato e come si svolgerà innanzi – motivi d’incertezza esegetica e d’insufficiente coerenza sistematica. Ma suscita anche, a tutta prima e se si tengano presenti taluni precedenti non immediati, la singolare e, se si vuole, paradossale impressione che la riformata disciplina, pur pensata e presentata
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come molto innovativa , contempli aspetti strutturali e funzionali che rimandano piuttosto ad un passato relativamente remoto e che parevano definitivamente abbandonati nel corso del lungo cammino evolutivo, conosciuto nell’ultimo secolo e mezzo dagli istituti del diritto commerciale.
Ci s’intende riferire, ad esempio, all’ult. comma dell’art. 2500-octies,
che – in tema di trasformazione eterogenea delle fondazioni – sembra implicare una sorprendente e certo inconsapevole ricomparsa di una sorta
d’ingerenza governativa, non solo nella vita delle persone giuridiche, ma
direttamente nell’esercizio dell’iniziativa economica sotto forma di società
di capitali in mano privata: un intervento, insomma, non dissimile da quello già previsto dall’art. 156 c. comm. ’65 e, ancor prima, dall’art. 47 del co18
dice albertino e dall’art. 37 del c. comm. napoleonico del 1807 .
Siffatta ingerenza, va detto, alla fine del XIX secolo e con l’avvento del
c. comm. ’82, già si considerava nulla più che un relitto d’importanza sto19
rica . Eppure è appena il caso di ricordare come, pochi decenni prima,
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Così la Relazione ministeriale alla riforma del 2003, § 14.
Cfr. A. SANTUARI, La società di capitali fra autorizzazione governativa e libertà di associazione durante il periodo 1800-1865, in Riv. dir. civ., 1996, II, p. 41 ss.; A. ALBANESE, Il controllo
preventivo sugli atti delle società di capitali e delle cooperative fra storia e cronaca, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 2001, p. 779; nonché U. MORERA, L’omologazione degli statuti di società, Giuffrè,
Milano, 1988, p. 25.
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L’espressione è di C. VIVANTE, Trattato di dir. commerciale³, Vallardi, Milano, s.d., vol. II,
p. 243 nt. 60. L’a. ricorda al riguardo anche il passo della Relazione MANCINI al codice di commercio del 1882 (p. 268) che illustra le ragioni della modifica legislativa e segna dunque il
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La trasformazione eterogenea come fattispecie ordinaria
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appunto in occasione della precedente codificazione commerciale del
1865, la conservazione dell’intervento governativo nella fase di costituzione delle società di capitali fosse stata al centro di un acceso dibattito par20
lamentare , in esito al quale l’orientamento maggiormente conservatore
aveva finito col prevalere, giustificato da un duplice asserito obiettivo:
l’attribuzione alla p.a. di un controllo imparziale circa il rispetto dei presupposti normativi per la costituzione della società (controllo, come si sa,
dall’art. 91 c. comm. ’82 poi definitivamente devoluto all’autorità giudiziaria), da un lato, e dall’altro la valutazione discrezionale dell’iniziativa economica, a tutela della pubblica fiducia e al fine di prevenire deprecabili av21
venture speculative .
Va osservato peraltro che le identiche perplessità già avvertite di fronte
alla disposizione dell’art. 156 c. comm. ’65 – l’essere, cioè, l’autorità governativa pessimo amministratore degli affari economici privati, e i pubblici funzionari generalmente poco competenti e poco attenti alla tutela degli
passaggio definitivo al sistema del riconoscimento c.d. normativo per l’anonima e l’accomandita
per azioni. A. PADOA SCHIOPPA, Le società commerciali nei progetti di codificazione del Regno
italico, in Saggi di storia del diritto commerciale, Giuffrè, Milano, 1992, p. 131, ricorda come anche nel resto d’Europa (Francia e Inghilterra in particolare), la necessità dell’autorizzazione governativa per le società azionarie si mantenne all’incirca fino al settimo decennio dell’800. E si
veda anche M. COSSU, Società aperte e interesse sociale. Considerazioni introduttive, in Riv. dir.
civ., 2006, I, p. 82 s.
20
L. BORSARI, Il codice di commercio annotato, p. I, Utet, Torino, 1868, p. 472, ed A. MARGHIERI, Delle società e delle associazioni commerciali, nel Codice di commercio commentato, a
cura di Bolaffio e Vivante, vol. III, Tedeschi, Verona, 1904, p. 85, ricordano la relazione e il disegno di legge della Commissione Corsi (tra i cui membri sedeva lo stesso P.S. Mancini che,
anni dopo, come guardasigilli avrebbe praticamente condotto a termine la codificazione dell’82
e definitivamente soppresso il regime dell’autorizzazione governativa), presentati alla Camera il
18 dicembre 1862, per l’abolizione della tutela governativa, definita «irrazionale» dagl’illustri
relatori (la relazione è citata anche da A. PADOA SCHIOPPA, Disciplina legislativa e progetti di
riforma delle società per azioni, in Saggi di storia, cit., p. 208; A. SANTUARI, op. cit., p. 62 s.). Il
parlamento non solo non approvò tale proposta, ma al contrario accolse l’orientamento del governo, favorevole ad ampliare addirittura l’originaria previsione dell’art. 47 del codice albertino,
estendendo la necessità dell’autorizzazione anche alle accomandite per azioni nominative, che
fino ad allora ne erano rimaste esenti proprio in virtù del particolare regime circolatorio delle
partecipazioni.
21
Così la Relazione del guardasigilli VACCA al c. comm. ’65, sub libro I, in Codice di commercio del Regno d’Italia coll’aggiunta dell’indice alfabetico analitico e della relazione del Ministro a
S.M. per l’approvazione di detto codice, Minerva Subalpina, Torino, 1865, p. 223 ss. Per la storia
della codificazione del 1882, ed in particolare sull’abolizione del principio dell’ingerenza governativa (definito «mostruoso» dal Mancini: v. Processi verbali della Commissione incaricata di
studiare le modificazioni da introdursi nel Codice di commercio del Regno d’Italia, in Atti della
Commissione, Roma, 1884, n. 57), cfr. ancora A. PADOA SCHIOPPA, La genesi del Codice di commercio del 1882, in Saggi di storia, cit., p. 161 ss.
10
Capitolo I
22
interessi coinvolti – paiono ritornare oggi d’attualità con riferimento ai
tratti contrastanti esibiti dal nuovo art. 2500-octies c.c.
Il breve excursus consente quindi di risalire a un periodo storico in cui
l’accentramento nel governo del potere di concedere, per così dire, il privilegio dell’incorporazione, comune sia alle figure soggettive non commerciali che a quelle commerciali, inevitabilmente avrebbe potuto indurre una
minor caratterizzazione tipologica e procedimentale, tanto all’interno di
23
ciascuna categoria, quanto tra l’una e l’altra di queste . Ma è invece notevole la constatazione che i riferimenti di quel periodo, pur caratterizzato
da un’amplissima discrezionalità amministrativa, non testimoniano che
22
Ne riferiscono L. BORSARI, op. loc. cit. (l’a. peraltro si dichiarava personalmente favorevole
al sistema dell’ingerenza governativa), ed A. MARGHIERI, op. cit., p. 83 ss. Ed è curioso notare
che, ancora decenni dopo l’entrata in vigore del c. comm. ’82, la p.a. tentasse surrettiziamente
di mantenere una sorta di sindacato indiretto sulle società pur omologate dall’autorità giudiziaria, ritardando o condizionando la pubblicazione dell’atto costitutivo nel bollettino ministeriale:
il fenomeno era stigmatizzato da A. SCIALOJA, Arbitraria ingerenza ministeriale nel controllo di
legalità sulle società per azioni, in Riv. dir. comm., 1911, I, p. 459.
23
Ciò, quantomeno, con riferimento al diritto vigente negli Stati sardi (e quindi all’immediato antecedente della legislazione postunitaria): qui, per il periodo anteriore alla codificazione albertina, «per le diverse leggi che imperarono […] non era determinata una forma speciale
per l’approvazione dei corpi morali» (così Cass. Torino, 4 settembre 1879, in Rep. gen. di giurisprudenza civ., pen., comm. ed amm. del Regno, I suppl., p. I, Torino, 1884, voce Enti morali,
n. 27; v. anche Cass. 23 luglio 1935, cit.); tant’è che la dottrina soleva annoverare tout court
senza distinzione le società commerciali tra i corpi morali: G. GIORGI, La dottrina delle persone
giuridiche o corpi morali, Cammelli, Firenze, 1913, vol. I, p. 84. Diverso appare invece il caso
del Lombardo-Veneto, dove l’ininterrotta conservazione in vigore (in virtù della Sovrana risoluzione 23 dicembre 1816) del codice di commercio napoleonico, da una parte, e la immediata
promulgazione dal 1° gennaio 1816 (Patente 16 ottobre 1815) dell’ABGB austriaco, dall’altra,
avevano prodotto una diversificazione dei modelli costitutivi: il primo, connotato dall’ingerenza governativa, per le società di capitali (art. 37 c.comm. Napoleone); il secondo, invece,
dominato dal principio dell’attribuzione della personalità alle associazioni non commerciali su
base normativa e sul semplice presupposto della conclusione di una valida Gründungsvereinbarung (v. § 26 ABGB): e ciò almeno fino all’emanazione della patente imperiale 15
marzo 1851, che sottopose ad autorizzazione preventiva talune associazioni ed istituzioni di
nuova creazione: F. V. ZEILLER, Commentario sul codice civile universale per tutti gli stati ereditarj tedeschi della monarchia austriaca, trad. it., Milano, 1815, p. 134; G. BASEVI, Annotazioni
al codice civile austriaco, Bolchesi, Milano, 1855, p. 27; J. AICHER, Kommentar zum
allgemeinen bürgerlichen Gesetzbuch, Manz, Wien, 1990, p. 86 ss.; con espresso riferimento al
§ 26 ABGB, Cass. Firenze, 31 gennaio 1878, in Foro it., 1878, III, I, c. 219; Cass. Firenze, 27
gennaio 1881, in Rep. Foro it., 1881, voce Corpi morali, n. 3; e in tempi recenti anche l’interessante Trib. Padova, decr. 22 giugno 1994, in Giur. merito, 1995, p. 470. Per il solo Veneto,
inoltre, il sistema cambiò nuovamente con l’entrata in vigore, nell’ultimo triennio della terza
dominazione austriaca, ossia a partire dal 1° luglio 1863, del nuovo codice di commercio germanico (ADHGB: su quest’ultimo, noto anche come codice di Norimberga, v. qualche riferimento in M. COSSU, op. loc. cit.).
La trasformazione eterogenea come fattispecie ordinaria
11
scarse o nulle tracce di trasformazioni strutturali vicendevoli, e ancor meno
di trasformazioni oggi definibili «eterogenee».
Così era, ad esempio, ius receptum che – prima dell’emanazione della
legge 15 aprile 1886, n. 3818, che ne istituì poi un apposito procedimento
d’omologazione, ad instar di quello previsto per le società di capitali dal c.
comm. ’82 – le società operaie di mutuo soccorso non potessero venire e24
rette in ente morale ; che la capacità giuridica dei corpi morali costituiti
prima dell’unificazione legislativa dovesse rimanere regolata dalle sole leggi
anteriori né che la loro struttura potesse legittimamente venir modificata
25
sulla base dei nuovi codici unitari ; che, infine, il governo non avesse il
potere di trasformare o sopprimere enti preunitari sorti per iniziativa privata e dotati di mezzi privati, e che contro il provvedimento di trasformazione – siccome lesivo del diritto del singolo ente alla libera esistenza – si
desse senz’altro ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria, alla stregua del26
l’art. 2 legge 20 marzo 1865, all. E .
Si può concludere osservando che, anche e a maggior ragione nel mutato contesto legislativo instauratosi a partire dalla codificazione del 1882,
sembrò rimanere del tutto ignota l’idea di una vicendevole trasformabilità
tra corpi morali non commerciali e persone giuridiche commerciali; e ciò
pur in assenza, in quel codice, di un dato testuale che disciplinasse – come
27
nel c.c. ‘42 – la trasformazione almeno come istituto intrasocietario .
Ma ancora altre impressioni suscitano le nuove disposizioni in tema di
trasformazione eterogenea; impressioni che, a ben vedere, si rivelano di segno discorde rispetto ad una diversa questione che la novella parrebbe per
molti versi aver definitivamente risolta. Ci s’intende riferire alla storica disputa tra concezione contrattualistica e concezione istituzionalistica della
24
Né tantomeno trasformate in associazioni di diritto privato: Cons. Stato, 4 febbraio 1876,
in Foro it., 1876, I, III, c. 113.
25
Cfr. Cons. Stato, 28 agosto 1876, in Giur. Cons. St., 1876, II, p. 183; Cass. Torino, 7 febbraio 1890, in Giur. it., 1890, I, 1, c. 322; Cass. Torino, 15 dicembre 1893, ibid., 1894, I, 1, c.
165; Cass. Torino, 12 settembre 1898, ibid., 1898, I, 1, c. 363.
26
Trib. Parma 6 giugno 1898, in Dir. eccl., 1898, p. 107.
27
È noto che, nel vigore del c. comm. ’82, il quale della trasformazione societaria non faceva
menzione, la communis opinio annoverava i «cambiamenti di forma» delle società commerciali
(ivi comprese le cooperative) tra i meri cambiamenti introdotti nello statuto, consentiti dall’art.
96 senza necessità di scioglimento della esistente e di costituzione di una società nuova: cfr. C.
VIVANTE, Trasformazioni delle società commerciali da una specie nell’altra, in Riv. dir. comm.,
1903, I, p. 90 ss.; ID., Trattato di diritto commerciale, cit., p. 105 ss.; U. MANARA, Delle società e
delle associazioni commerciali, Trattato teorico-pratico: parte generale, Utet, Torino, 1902, I, n.
306 ss.
12
Capitolo I
società di capitali, ed al comune convincimento che il legislatore del 2003
28
abbia inequivocabilmente aderito al primo dei due modelli contrapposti .
Norme che abilitano la trasformazione eterogenea di figure soggettive
collettive, senza il concorso della volontà positiva di tutti e singoli i componenti del gruppo, danno implicita prevalenza all’interesse di quest’ulti29
mo rispetto a quello dell’individuo .
Quando le norme abbiano questi caratteri, esse imprimono innegabilmente alla fattispecie una connotazione fortemente istituzionalistica, e ne
contraddicono le pur annunciate velleità contrattualistiche.
4. Uno sguardo ad altri ordinamenti
Risulta certamente utile, per apprezzare l’ampiezza dell’innovazione introdotta dalla riforma del 2003, allargare l’orizzonte anche alle soluzioni
che offrono, sul tema, ordinamenti diversi, connotati da maggiore o minor
prossimità al nostro.
28
Ma, come non si mancherà di sottolineare nel corso del presente lavoro, alla luce della
concreta disciplina della trasformazione il convincimento risulta tutt’altro che plausibile. Al
riguardo non si può mancare di segnalare sin d’ora i contributi di M. LIBERTINI, Scelte fondamentali di politica legislativa e indicazioni di principio nella riforma del diritto societario del 2003.
Appunti per un corso di diritto commerciale, in Rivista di diritto societario, 2008, p. 204 ss.; G.
COTTINO, Contrattualismo e istituzionalismo (Variazione sul tema da uno spunto di Giorgio
Oppo), in Riv. soc., 2005, p. 693; quest’ultimo a. ammonisce tra l’altro a non considerare come
inconciliabili sul piano ideologico le due contrapposte tesi. V. ancora ID., L’impresa nel pensiero
dei Maestri degli anni Quaranta, in Giur. comm., 2005, p. 5 ss.; G. OPPO, Le grandi opzioni della
riforma e le società per azioni, cit., p. 26.
La disputa si connette strettamente al celebre tema dell’Unternehmen an sich, concetto la
cui paternità si deve probabilmente a W. RATHENAU, Vom Aktienwesen. Eine geschäftliche Betrachtung, Fischer, Berlin, 1917, p. 12 ss.; è tuttavia innegabile l’influenza determinante esercitata dalle teorie di Otto von Gierke sulla genesi e sullo sviluppo del concetto stesso: per una esau
riente ricostruzione storica, A. RIECHERS, Das ›Unternehmen an sich‹. Die Entwicklung eines
Begriffes in der Aktienrechtsdiskussion des 20. Jahrhunderts, Mohr, Tübingen, 1996, spec. p. 53
ss.; F. LAUX, Die Lehre vom Unternehmen an sich. Walther Rathenau und die aktienrechtliche
Diskussion in der Weimarer Republik, Duncker & Humblot, Berlin, 1998.
29
G. MARASÀ, Le trasformazioni eterogenee, cit., p. 593, nota che il consenso richiesto per la
trasformazione eterogenea non sempre è più severo rispetto a quello richiesto per altre
modifiche contrattuali: e indica ad es. il caso del consorzio, cui l’art. 2500-octies c.c. richiede la
sola maggioranza (“assoluta”), laddove l’art. 2607 esigerebbe altrimenti l’unanimità. E, per altro
verso, v. altresì L. PISANI, Il principio di maggioranza nella nuova disciplina della trasformazione
della società di persone, in Riv. dir. comm., 2005, I, p. 379 ss.