Una mesta cerimonia dell`Alza Bandiera

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Una mesta cerimonia dell`Alza Bandiera
Una mesta cerimonia dell’Alza Bandiera
Cerimonia mesta, quella di questa mattina, alla Caserma Vittorio Veneto dedicata al ricordo di uno
di noi, di uno dei migliori fra noi.
L’Alpino Paracadutista del 9° scaglione ’89 Karl Unterkircher ha completato il proprio cammino
terreno su uno di quei Ottomila che amava e che aveva fatto amare anche a noi. Aveva svolto il
servizio militare nell’allora Compagnia Alpini Paracadutisti costantemente impegnato in attività di
lancio col paracadute, di istruttore militare di sci e di roccia, di addestramento.
Aveva mantenuto i contatti con i più vecchi fra di noi e nel giugno del 2005 aveva passato una
mattinata con tutti i ranger del reggimento. Era una mattina particolare: Lino Lacadelli ed Erich
Abram ci parlavano dell’ascensione del K2 del ’54 per ricordarci Mario Puchoz - la forte guida
Valdostana morta al secondo campo durante detta spedizione – che era un reduce di Russia del
Battaglione Sciatori “Monte Cervino”. Nella seconda parte della mattinata dalla fase del ricordo si
era passati alla fase del futuro e Karl - raccontando della sua salita delle due più alte montagne del
mondo avvenuta nella stessa stagione - ci aveva rilanciato il ruolo della montagna quale palestra del
fisico e dello spirito, quale luogo di perfezionamento tecnico ed etico, quale campo di gara tra uno
stile di vita comune e uno stile di vita elevato.
Ne aveva parlato con parole semplici che all’inizio uscivano con fatica perché, come spiegò
successivamente, era commosso e impressionato nel parlare ai “nipoti” d’arme e a chi gli era stato
superiori negli anni di “naia” . Ma ben presto si riprese anche grazie allo spirito sempre ragazzino di
Rolly Marchi che tra barzellette e motti di spirito parlava di almeno sessantanni di storia
dell’alpinismo inanellando ricordi che spaziavano da Cassin a Karl passando per i nomi più illustri:
Bonatti, Messner, Casarotto, Kamerlander e via elencando.
Tutti abbiamo vissuto l’orgoglioso di un’unità che aveva avuto tra le proprie fila alpinisti, uomini,
militari quali Puchoz, quali Karl, quali Claudio Baldassarri (comandante del primo plotone degli
Alpini Paracadutisti e compagno di cordata del grande Maestri).
Ogni tanto una telefonata per complimentarsi del nuovo successo alla quale rispondeva con
semplicità e bonomia quasi parlassimo di accadimenti quotidiani; chiacchierata che non poteva
finire senza l’immancabile domanda su che cosa stavamo facendo e in quali teatri operativi stavamo
operando con l’inevitabile parallelismo tra i nostri scenari afgani e irakeni e i suoi himalaiani e
pakistani.
Avevamo cercato il filo rosso che univa le zone più famose dell’alpinismo extraeuropeo con gli
scenari oggi più dolorosamente turbolenti e avevamo espresso la speranza che un giorno per noi
l’Afghanistan diventasse luogo di scalata e non di fase tattica.
Una speranza che ci anima ancora e che tu hai portato con te oltre gli Ottomila, oltre un crepaccio a
seimila metri, oltre l’orizzonte limitato della nostra vista umana, troppo umana e annebbiata dalle
lacrime.
Maggiore Medico Federico Lunardi