La chiesa cattolica di Poschiavo è consacrata a San Vittore. Il santo

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La chiesa cattolica di Poschiavo è consacrata a San Vittore. Il santo
Tra Ginevra
e Poschiavo
Lo sguardo severo di Dio
Testo di Joëlle Kuntz
L
a chiesa cattolica di Poschiavo è consacrata a
San Vittore. Il santo fu anche il patrono di un
priorato conventuale a Ginevra, distrutto nel
1532. Le due città sono unite così nella venerazione dei martiri leggendari, soldati della legione tebea
decimata su ordine dell’Imperatore Diocleziano nel III
secolo ad Agauno (Saint-Maurice) perché si rifiutarono
di uccidere dei cristiani. San Maurizio e i suoi compagni
San Vittore e Sant’Urso, a capo dell’eroica legione, furono fin dal Medioevo oggetto di un culto fervente in tutto
l’Occidente, soprattutto in Svizzera. A Ginevra se ne conserva il nome di una via e a Poschiavo quello, appunto,
della chiesa collegiata – tracce di una fede popolare che
sparse per mille anni le sue leggende, i suoi miracoli,
le sue reliquie, i suoi canti, le sue opere d’arte e la sua
poesia.
La Riforma mise fine al culto dei santi. Ginevra si rifugiò
nella fede di Calvino. Poschiavo invece fu divisa. Le
leghe grigioni avevano abolito il potere assoluto del
vescovo, esteso i diritti dei comuni, che, uno dopo l’altro,
passarono alla Riforma secondo la dottrina di Zwingli. I
protestanti italiani che vi si erano rifugiati godettero di
una protezione particolare da parte delle leghe. La loro
presenza religiosa sfociò, dal 1550, nella formazione di
una comunità protestante nella val Poschiavo, che però
dovette fuggire ben presto dalle persecuzioni. Nel 1621,
gli Asburgo cercarono di riprendersi la Valtellina, conquistata dalle leghe nel 1512, riuscendo effettivamente
a penetrare nel territorio grigione, dove attizzarono le
rivalità religiose. La Valtellina, cattolica per rifiuto del
potere delle leghe, istigò gli Asburgo contro i protestanti
che furono massacrati a centinaia, strage che si ricorda
tuttora con il nome di Sacro Macello.
Ginevra seguiva gli eventi da vicino e, allarmata, si
apprestò a elevare le sue preghiere. Zurigo, dove si
diffuse ugualmente un sentimento di minaccia, si rivolse
a Ginevra con la richiesta di predisporre delle truppe
da inviare in soccorso alla Svizzera orientale. Ma fu la
Francia a cacciare gli Asburgo dalla Valtellina.
La situazione dei protestanti di Poschiavo migliorò nel
1642, quando le leghe imposero, tramite decisione
arbitrale, la convivenza delle due confessioni. Volta verso
l’Italia, la valle non si convertì mai e cattolici e protestanti
vi condivisero anime e beni con una generosità mutevole
secondo le circostanze. Non possedendo terreni, i riformati
si specializzarono nelle professioni intellettuali o di
servizio. Crearono la prima e, per molto tempo, unica
tipografia dei Grigioni, la tipografia Landolfi, che
diffondeva gli scritti religiosi e, più tardi, l’Illuminismo
in tutta la regione. Gli studenti si recavano a Ginevra per
formarsi all’Académie de Genève. Tuttavia, erano ormai
passati i tempi nei quali la città di Calvino fu consultata
dai riformati grigioni, com’era avvenuto invece nel 1577
in merito a una controversia sulla disciplina: certe Chiese
dei Grigioni erano convinte che bisognasse fissare per
iscritto tutto quello che succedeva nella comunità in modo
meticoloso, mentre altre difesero l’opinione di fissare solo
i fatti più notevoli. Ginevra dette ragione alle seconde.
Al Congresso di Vienna, nel 1815, la val Poschiavo condivise
con Ginevra la sorte di un territorio incerto: entrambe
si trovarono, sì, all’interno di una Svizzera voluta dai
grandi poteri, tuttavia furono confinate entro un quadro
geografico assai ristretto. Ginevra valutava l’allargamento
tramite l’annessione del Pays de Gex e una parte dell’Alta
Savoia. La val Poschiavo prendeva in considerazione la
rivendicazione della Valtellina, annessa da Napoleone
nel 1797. Ciononostante, i Confederati non si ostinarono:
né i protestanti di Ginevra, né quelli dei Grigioni erano
particolarmente entusiasti dell’idea di accogliere nuove
popolazioni cattoliche. Il Congresso di Vienna è spesso
considerato dai cronisti elvetici come un’occasione persa
per queste due estremità della Svizzera. Fu così che Ginevra
e Poschiavo rimasero zone di confine; l’una molto francese
e l’altra molto italiana per il loro rispettivo radicamento
economico, sociale e culturale; ed entrambe molto svizzere
per il loro stretto allacciamento all’organizzazione politica
federale. L’una come l’altra intrattengono con il proprio
retroterra naturale patti dettati dai propri interessi,
sapendo per esperienza unire in sé appartenenze plurime.