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Repubblica — 07 marzo 2010 pagina 21 sezione: NAPOLI
CI SONO quelli che i libri li scrivono. Ci sono quelli che i libri li pubblicano. E poi quelli che li
rendono possibili. Si chiamano editor. Un termine inglese che sintetizza la qualifica di direttore
editoriale. Tra i migliori, e più conosciuti, editor d' Italia c' è il napoletano Antonio Franchini. Nato a
Posillipo, 52 anni, da 30 a Milano, dirige la sezione di narrativa italiana della Mondadori. Le sue
scelte in tema di letteratura da vent' anni si rivelano vincenti: "Con le peggiori intenzioni" di
Alessandro Piperno, "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano sono frutto del suo
sguardo lungo. Perché il mestiere di editor è soprattutto scommessa: «I migliori risultati, e quelli
più gratificanti, nascono dagli esordienti. Sono le più belle sorprese: per titoli come l' antico
"Volevo i pantaloni" (siamo ancora negli ' 80) o il formidabile "Gomorra" avevamo iniziato con
tirature basse». Ma come si diventa editor? «Come in tutte le cose dell' editoria le carriere
nascono un po' per vocazione e un po' per fortuna», racconta. Franchini si laurea a 22 anni in
lettere alla Federico II, che frequentava insieme all' amico Pino Montesano. Tenta per qualche
mese la strada delle collaborazioni giornalistiche con alterne fortune. Storie che recupererà nel
libro "L' abusivo", scritto nel 2001. Un libro speciale: dove si racconta dell' impegno e della morte
di Giancarlo Siani, il cronista ucciso dalla camorra a soli 26 anni. E un libro importante: perché
Siani era suo amico e perché in queste pagine Franchini ci mette una parte preziosa della sua
vicenda personale. Chissà che effetto fa passare da editor a scrittori, da giudici a giudicati? «Ho
scritto un libro che si chiama "Cronaca della fine". Racconta un caso editoriale, quello di Dante
Virgili, scrittore nazista, pubblicato nel 1970e vi si spiega come, in letteratura, si è sempre giudici
e giudicati: critici che scrivono romanzi, lettori che fanno gli scrittori, un mondo piccolo dove tutti
tendono a giocare in tutti i ruoli». "L' abusivo" è la quinta fatica letteraria condotta in prima
persona: «Per me è davvero un hobby, scrivo nei ritagli. Anche se da sempre il mio passatempo è
lo sport, che seguo con scrupolo. Sono appassionato di arti marziali e discesa dei torrenti in
kayak». Pratiche che rimandanoa disciplinae coraggio. Ovvero doti indispensabili per lasciare
Napoli a vent' anni. L' età in cui Franchini sceglie Milano sotto spinta di uno zio, avvocato friulano
di origine partenopea. «Benchè fosse ferocemente settentrionale nell' accento e nel carattere, si
sentiva napoletano...». Forse il contrario di Antonio, che parla ancora con accento da napoletano
colto. Ma è fuori città da sempre: «Vengo a Napoli solo per lavoro, ormai. Ho tutta la famiglia a
Milano. Fortunatamente riesco ancora a non dormire in albergo, quando torno. Il giorno che
prenoterò un hotel sarà la fine del mio rapporto con Napoli». Nel capoluogo lombardo Franchini si
inserisce, poco alla volta, nel mondo dell' editoria. Uno strano universo, «fatto di miti coltivati da
ragazzo. Suggestioni come quelle di Pavese, Vittorini, Bianciardi. Ma anche nutrite dagli echi di
una visita di Jack Kerouac a Napoli negli anni ' 60. Mentre la lasciava capì di non averla vista
molto, perso tra i fumi dell' alcool. Perciò chiese agli amici salendo sulla scaletta dell' aereo: "Ma
Napoli, com' è?"». A venticinque anni comincia a lavorare in editoria rispondendo ad un'
inserzione che cerca un giovane da avviare al marketing editoriale. «Per il marketing non andavo
bene, ma quando si liberò un posto in redazione si ricordarono di me». La svolta, insospettabile,
gliela dà l' esperienza svolta al Reader' s Digest, leader della vendita di libri per corrispondenza.
Agli estratti sulle più svariate materie - dal giardinaggio al bricolage - serve una buona opera di
redazione e Antonio ha la mano giusta. «Anche se mi vergognavo di quel lavoro di basso cucito,
fu la competenza più autorevole per entrare nel colosso Mondadori. C' era Ferruccio Parazzoli.
Lavorai con lui come junior editor e si può dire che è stato il miglior apprendistato che potessi
31/07/2010 21.12
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ricevere». Nel ' 89 la consacrazione. Al duo Parazzoli-Franchini venne l' idea di pubblicare
direttamente in edizione economica gli esordienti, sulla scorta degli esempi angloamericani. La
collana si chiamava Oscar Originals, nacque "Volevo i pantaloni" dell' allora diciannovenne Lara
Cardella: Boom di vendite ed il film, a premiare l' intuito di Franchini. Che però si schermisce: «I
successi hanno tanti padri e le sconfitte uno solo. Fu merito di un team di livello, non solo il mio».
Stessa storia per "Gomorra", la cui paternità Antonio divide con Elena Janacech ed Eduardo
Brugnatelli. Franchini racconta di «non aver mai letto qualcosa di così intenso comei primi due
capitoli del libro di Giordano. Grossi stravolgimenti li abbiamo dovuti operare solo sul titolo, che
inizialmente era "Dentro e fuori dell' acqua"». Già, i titoli. Come si scelgono? «Ogni libro ha nelle
sue pagine il suo titolo. Qualche volta l' autore lo sa, altre no e bisogna stanarlo. L' importante è
non sperare mai di avere successi in serie. Il lavoro di editing conta molto, ma poi decidono i
lettori. Bisogna trovare quel punto di incontro tra processo industriale e pensiero culturale. E
questo si ottiene solo ragionando in controtendenza». Franchini sostiene chei capolavori sono
sempre in anticipo. E le maglie del commercio non tengono da sole, se si fa editoria di qualità.
Guai, però, a chiedere il libro preferito di chi i libri li fa preferire: «Non potrei mai rivelarlo, specie
se ci riferiamo alla letteratura italiana. Al massimo posso dire che il film che mi piace di più è "Un
mercoledì da leoni". Un editor è come un confessore e un analista: noi conosciamo gli uomini
dalle pagine scritte, che sono custodi delle verità più intime dell' uomo». Così come non può
raccontare i tanti aneddoti e tic degli autori, quelli che rivelano le zone oscure delle personalità.
Neanche quelli sull' amico Domenico Rea. Ridendo, spiega: «Le storie di Mimì sono tutte
irriferibili!». - GIOVANNI CHIANELLI
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