CONCHA BUIKA L`anima nera del flamenco

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CONCHA BUIKA L`anima nera del flamenco
CONCHA BUIKA L'anima nera del flamenco
Scritto da BL
Nel mondo che è ormai uno solo capita di incontrare una cantante di flamenco dalla pelle nera.
E in questo stesso mondo, sempre più unico, capita che questa cantante sia una vera spagnola
di Palma di Maiorca, nata da genitori africani, che non abbia mai calpestato il suolo dei suoi
antenati. Concha Buika è la "new flamenco sensation" in terra di Spagna. Ha trentaquattro anni
e due dischi, il secondo dei quali, Mi niña Lola (uscita italiana il 23 marzo), la sta lanciando tra
le stelle della musica. Buika ha una voce da gitana e i modi della Carmen. In scena, ai
movimenti del flamenco, unisce una felinità elegante, ereditata dal sangue e dai racconti
familiari. "Mio padre è arrivato in Spagna da Rebola, un villaggio della Guinea Equatoriale. È
scappato perché era anarchico, perché il suo non era un Paese libero e lui invece voleva
parlare. Si è sempre considerato un rifugiato politico". Poi, quando lei aveva nove anni, papà è
uscito un momento per comprare qualcosa e non è più tornato. Concha non l'ha mai più visto.
Crede che a Valencia, dove lui abita, gli sia arrivata la notizia del grande successo della figlia.
Ma non le interessa, davvero se ne frega. Racconta tutto questo seduta nel Palazzo dei Festival
di Cannes, dove è stata la vera sorpresa del Midem, il mercato del disco. Qui, in concerto, ha
presentato Mi niña Lola che inizia ad affacciarsi in molte radio europee. E non è così facile che
un prodotto spagnolo, per di più "aflamencado", riesca a varcare i confini. "Sono nata a
Maiorca, nel "barrio chino", pieno di tossici e puttane. Questo potevamo permetterci, eravamo
gli unici africani del quartiere ed eravamo poveri. Sono cresciuta in mezzo ai gitani. Dalla
finestra di casa entrava odore forte di cibo mischiato alla musica e alla poesia della "copla" (la
canzone spagnola con testi poetici, come il tango per l'Argentina, ndr). Tutti in famiglia - siamo
sei figli - cantavamo, ballavamo, scrivevamo poesie, ma senza mai pensare che un giorno
sarebbe potuta diventare una professione. Quando avevo diciassette anni una zia che cantava
negli alberghi mi ha ceduto il suo posto in un gruppo di blues. Sono andata, ho improvvisato.
Non sapevo l'inglese, e in un locale di Palma di Maiorca non puoi cantare in un inglese
imperfetto: è sempre la madre lingua di almeno metà di quelli che ti ascoltano". Buika ne
approfitta per eseguire le sue canzoni. Ne scrive a decine, compulsivamente. Dice che la
salvano dall'odio, che non le piace, ma che è un sentimento che conosce; e dice che le canta
per non impazzire. In compenso fa impazzire le persone che le lavorano attorno. Buika è ribelle,
istintiva, selvaggia. Vive da anni con Africa, cantante (bianca) dei Mojo Project, apprezzata
band indipendente spagnola. Ma un tempo aveva il marito, dal quale ha avuto un bambino che
oggi ha sette anni. Dopo alcuni mesi trascorsi a Las Vegas con la famiglia (mettendosi ogni
sera un parruccone in testa e facendo finta di essere Tina Turner in un casinò), Buika era
tornata in Spagna. L'incontro con Africa ha cambiato la sua vita. Se l'è portata in casa, dal
marito, e per due anni hanno vissuto in tre. Poi non ha più funzionato. "Sono andata via
lasciando tutto a lui. Mi sono sentita libera, felice". Da questo è nata una delle più belle canzoni
del disco: "Jodida pero contenta", fottuta però contenta. Le altre sono "coplas", due delle quali
assai popolari: Mi niña Lola, cavallo di battaglia del cantaor Pepe Pinto, e Ojos verdes. C'è una
versione aflamencada di Nostalgia, tango di Enrique Cadicamo, ci sono cinque canzoni firmate
da Buika e due da Javier Limon, il produttore spagnolo che ha raccolto attorno a sé una vivace
comune musicale di artisti amici (tra i quali Paco de Lucia). La musica di Buika è fatta di
flamenco, di soul, di jazz e anche un po' di rap, tutto insieme. Però in scena lei arriva con una
band elettrica e acustica in cui ci sono tra gli altri un chitarrista di flamenco e un percussionista
seduto su un "cajon" (il cassone di legno tipico del flamenco). "Una vera, pura musica
tradizionale non è possibile", dice Buika. "Chi la ascolterebbe? Le musiche popolari non
nascono con l'idea di essere suonate su un palcoscenico davanti a un pubblico. Le nostre,
influenzate da forme popolari, invece sì. Ma nella vita e nella musica - per me sono la stessa
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cosa - non mi pongo problemi di genere". Dove ha trovato il coraggio di cantare in pubblico e
perché ci hanno messo così tanto a stanarla dai club di Maiorca? "Non è questione di coraggio.
È il bisogno di essere finalmente ascoltata. Nella mia famiglia ci sono troppi figli, troppi nipoti
perché ognuno abbia l'attenzione che merita. Allora ho deciso di cantare per sconosciuti. L'ho
fatto anche per superbia e non credo sia un peccato. Mi piace dire quello che sento perché, lo
riconosco, adoro provocare reazioni. La sensazione di perdermi non mi fa paura perché poi
chiedere scusa mi piace moltissimo". Perché ci ha messo tanto a fare un disco? "Perché io non
cerco nessuno e al lato produttivo di questa mia passione non penso. Non so neanche quanti
dischi vendo. Canto e basta. E se soltanto dopo i trent'anni ho deciso di mettermi in questo tipo
di meccanismo, allora vuole dire che quello era il momento giusto".
Laura Putti - fonte: la Repubblica delle Donne
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