Il meccanismo di distalizzazione dentaria del Dottor Klohen

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Il meccanismo di distalizzazione dentaria del Dottor Klohen
Ai miei amici,
che alle volte mi sembrano i personaggi di un libro.
Il meccanismo di distalizzazione dentaria del Dottor Klohen
Tobia 4 : 15
“Non fare a nessuno ciò che non piace a te. Non bere vino fino all'ebbrezza e non avere per compagna del tuo viaggio
l'ubriachezza. “
Dal volume “The treatment of Drinking Problems”:
Guida in stato di ebbrezza: La probabilità di uno stato di alcool-dipendenza è maggiore quando la concentrazione di
alcool nel sangue al momento del reato è alta[…] gli individui che incorrono frequentemente in questo tipo
d’infrazione non solo fanno tendenzialmente un maggiore uso di alcool, ma hanno anche una maggiore probabilità di
mostrare più gravi disturbi di base e della personalità.
Almeno il 4% dei miei ricordi è riconducibile ad un tipo ben definito che definirei Notturno/Automobilistico. In questo
quattro per cento, il sottoscritto vegeta in qualche Stato di Trance mentre osserva i riflessi dell’illuminazione stradale
scivolare sui finestrini dell’auto a bordo della quale sta viaggiando. Può esservi della musica. Lo Stato di Trance di cui
si è detto, può essere provocato – vedi tu, dall’uso di sostanze psicotrope; ancora, da sostanze ad azione sedativa;
euforizzanti; oppure – più raramente – essere autoindotto. Qualche esempio:
B.B. King trilla “Thrill’s gone” dallo stereo della Thema che Papà, cameratescamente, mi ha affidato per
permettermi di far colpo su di una mia procace coeva, tale L.; L. tastami il pacchetto di mischia e contemp. Alcuni
riflessi puntiformi, simili a lucciole, risalgono dal cofano lucente al parabrezza fumé. La strana coincidenza provocami
lo S.d.T e come ovvio epifenomeno, un’erezione sincro-cardio-pulsante.
Louis Prima in “Just a gigolò”.
In macchina – una Renault 5 – siamo in quattro e torniamo da un week-end sulla neve. In preda al demone orfico, conto
senza tenere il conto (non mi si chieda come, ma è possibile) le luci del raccordo.
Un ricordo di tipo N/A più antico: i B. in “Penny Lane”, “Strawberry fields”, “The long and winding road”,
“Eleanor Rigby”. Mamma al volante. FIAT Panda45, anno di produz. 1980. Il sedile post. poteva assumere quattro
differenti posizioni, tra cui una – la mia preferita del tempo che fu – a culla. Completamente disteso. Compreso per
intero da un posacenere all’altro, tenevo la bocca aperta e lacrimavo sotto le lampade al sodio del litorale. Si chiama
fotofobia. Impossibile resistere: lo S.d.T. m’impediva di chiudere gli occhi.
La fotofobia è scomparsa con la maturazione sessuale, mentre lo S.d.T. oramai, viene solo se invitato a forza di White
Lady.
“Eulogy” dei Tool: Basso, tastiere (?), chitarra elettrica, percussioni. Il mio viso poggia sul finestrino
posteriore lato dx. Il Chiorba è al volante del mezzo, il che, viste le condizioni generali, non è garanzia di rispetto del
codice stradale. È però garanzia di testacoda. Infatti, ogni 3X2, ne fa uno costringendomi a ripetute testate contro il
cristallo Saint Gobain.
Yahoo! Non mi piace. Che senso ha? Non sembra mio e non sembra neanche un urlo selvaggio come invece
voglio intendere. Meglio Iu-uuUUUuuUUuUu!
«Iu-uuUUUuuUUuUu!»: Chiorba, appunto. L’unico che si diverte, il solo che dice qualcosa, anche se
completamente senza senso: «A Puttane! Ndo’ cazzo state? Ve sento, ve sento! Tanto ve sento! Ve sento dalla puzza de
Tampax, ve sento la scia. Tanto ve trovo e quanno ve trovo so’ cazzi vostra! … eccole!», infatti le ha trovate. Eccole là
le donne.
Donne: niente, niente che il Chiorba la puzza che dice la senta davvero?
Due poverette camminano ticchetétàccheggiàndo lungo il marciapiede deserto. Si somigliano. Saranno sorelle.
Carine. Si stringono l’una contro l’altra per farsi coraggio ché la stradina è più buia del solito. Papà ha detto mi
raccomando, attente ai vicoli bui e loro sono attente, anche se hanno minimizzato. Allora una non dovrebbe fare più
niente. Niente più discoteca che i ragazzi ci provano di continuo, mentre io in disco ci vado per ballare e basta, e niente
più scollature che poi i muratori ti fischiano. Uffa! Che poi una non è libera di mettersi quello che vuole. Shhhhh! Hai
sentito? Che è questo rumore? Questo è il fischio delle gomme di una macchina. L’hanno detto e stradetto, fidatevi.
Il Chiorba va a centoquaranta quando le avvistiamo da lontano: i capelli sciolti che ondeggiano, le gonne che
sembrano volani da tamburello, i polpacci in contrazione per via delle scarpe col tacco. Le vede e comincia a scalare, a
una decina di metri dalla boa immaginaria, vira qualche grado a babordo e poi stramba a tribordo: di freno a mano.
All’auto la manovra non è affatto nuova e la capisce per intero, tanto che i fischi dei pneumatici sembra vogliano dire
«Sì». La mia testa questa volta si stacca dal vetro per un intero secondo e poi ci si riattacca facendo «Pom». Non sento
niente, ma è solo grazie all’alcool che ho già in corpo. Domattina si vedrà.
Chiorba s’è fermato a mezzo metro dalle due e le fissa con gli occhi sgranati e la lingua di fuori in
un’imitazione riuscita di un cantante heavy-metal. Sembra il cantante dei Kiss prima di entrare in sala trucco.
Le due si sono abbracciate per lo spavento. Mi pare che quella a sinistra abbia i capezzoli turgidi…
Ma quanto sono stronzo! Come se una si va ad eccitare perché vede la morte in faccia. La devo smettere con certe
letture, magari è solo lo spavento, o il freddo, o la loro azione combinata.
Il Chiorba è soddisfatto e parte in sgommata.
Ma tu guarda quei quattro stronzi! Non sono un telepate, ma scommetto un White Russian che l’hanno pensato.
«La devi fare finita, va bene? Prima o poi sbagli e fai secca qualche stronza, e a me, di finire al gabbio a causa tua,
perdonami, non va»: Luca, un altro veterano del gruppo; al momento siede alla destra del guidatore, vale a dire: alla
destra del momentaneo padrone dei nostri destini. Se si considera che: uno, detto posto è chiamato “sedile della morte”
(in virtù di certe statistiche stilate dopo ripetuti crash-test richiesti da un’affidabile casa automobilistica teutonica) e due,
che dal momento che il parabrezza è il cristallo dei dodici di un autovettura che offre maggiore visuale e quindi in
definitiva, anche un maggior grado di consapevolezza dei rischi che si stanno correndo, risulta allora normale che Luca,
altrimenti noto come “il Pazzo”, faccia la paternale al Chiorba. «Primo, noi lo si fa per divertimento. Secondo poi, la
macchina di cui sei passeggero è nient’altro che un estensione dei miei arti, tanto è il controllo che riesco ad esercitare.
Terzo non hai ancora messo una quota per la benzina, per cui taci. La mia guida è arte; la strada la mia tela;
l’automezzo, il mio pennello.»
«A “Pennello”, guarda avanti mentre deliri che un altro po’, e finiamo sul marciapiede».
«Bada alla strada dove metti il piede e tutte le tue vie siano ben rassodate. Proverbi, quattro ventisei»,
«E allora? Me ne fotto delle convenzioni. Io la mia strada me la faccio da me».
Il Pazzo si mette a gridare non appena il vero pazzo fa per montare sul marciapiede ed io per poco non esco
dallo S.d.T..
«Va bene, va bene! Comunque ci ho l’abiesse».
«Moro, è un A.B.S. una cazzo di scheda elettronica, non sono gli scudi deflettori al plasma dell’Enterprise! Lì
sul marcia è pieno di panchine, pali, cestini, cassette della posta e financo cristiani».
Di fronte alla dura realtà il Chiorba smette di giocare a Carmageddon, ma sia chiaro che ha messo la
Playstation solo in pause, e in ogni caso siamo arrivati a destinazione. «Satana che fai dormi? Dài che siamo arrivati»:
questo qui che parla – tanto per concludervi la panoramica – è Baldracco.
Qualche volta lo S.d.T. può essere denotato da una certa fissità dello sguardo, altre da un’incapacità improvvisa di
trattenere la saliva all’interno del cavo orale. Non devo essere quel che si dice “un fico”. Eppure c’era una ragazza una
volta, una ragazza che aveva un odore fantastico e un enorme apparecchio odontotecnico, che amava osservarmi quando
sbavavo assumendo la mia espressione da triglia miope; diceva che quella era la mia vera espressione; diceva che quello
ero io come lei mi sentiva. Non doveva avere una grande opinione di me.
«Scendi Satana». Scendo dall’automobile. L’aria è piacevolmente umida, non so come possa essere
“piacevolmente umida” l’aria, ma è così. Fidatevi. Un alberello stitico fa da guardia alla macchina del Chiorba e quattro
cacche di dalmata fanno la guardia all’alberello stitico. Baldracco mi legge il pensiero stasera: «Chi ti dice che siano di
dalmata?», «Fidati… Fidati, è così».
Il locale non è molto lontano dall’auto, dall’albero e da tutto il resto del dalmata, così lo raggiungiamo in
meno di tre righe di testo a partire da quando ho cominciato a parlare del locale, ecco: raggiunto. Entriamo. Il locale di
per sé fa schifo, l’unico suo pregio è che è pieno di donne. Un arabo ci fa segno di seguirlo tra i rivoli di fumo: fidatevi
quando vi dico una cosa, è una fumeria. Ci indica un tavolino basso con dei cuscini spezza schiena intorno. Accanto al
nostro, un tavolo di donne. L’arabo mi guarda, ma io guardo Baldracco che guarda per terra, allora l’arabo guarda il
Pazzo che dice: «Per me va bene». Facciamo a fidarci. «Cosa prendete?», «Un White Russian, un Whisky e Kalhua, un
Negroni, un Margarita». L’arabo è perplesso perché il Pazzo non ha interrogato preventivamente i suoi amici: «Ma che
avevate un menù in macchina?», lo guardo come a dire “Bello, non fare lo spiritoso!” e dico: «Fidati!».
Arancia, caffè, rhum e una punta di ascella, ma non di quella sgradevole, questo era l’odore della ragazza dall’enorme
apparecchio odontotecnico. Non abbiamo mai fatto l’amore, ma mi è rimasto impresso il suo odore negli occhi. Giuro,
negli occhi! Non mi credete? Ma se vi dico: «Fidatevi», «Con chi ce l’hai, bello?». «Eh?!», «Dico: “Con chi ce l’hai?”,
hai detto: “Fidatevi”», «Una cosa tra me e me», «Vabbè, sti ca’. Oh! Hai visto quelle quattro del tavolo accanto?»,
«No», «Fanno proprio al caso nostro, sono dei cessi».
La donna cessa è un discreto campo di gara. Innanzitutto, contrariamente a quanto c’insegna il cinematografo, possiede
un elevato coefficiente di difficoltà: la ragazza cessa è diffidente per natura, sa di essere brutta, il che la mette in
costante stato di allerta su possibili fregature. Se tu sei normodotato e lei è consapevolmente cessa, crederà tu voglia
sfilarle i soldi dalla borsetta mentre vi baciate. La ragazza cessa cede con difficoltà, fidatevi. Secondo poi, una volta
vinta l’iniziale diffidenza, la ragazza cessa s’impegnerà con tutte le sue forze per lasciarvi un’ottima impressione delle
sue arti amatorie, come a dire: “Vabbè che sono cessa, ma in quanto a “maniglie, stoviglie e bocchiglie”, non ho rivali”.
La ragazza cessa dà tre, laddove la non-cessa dà uno, fidatevi!
Senza infine contare che la ragazza cessa non è mai veramente brutta; intendiamoci, cessa è cessa, ma in modo
spettacolare, attraente, tale da soddisfare gli appetiti meno rozzi. La cessa è una che ha tanto di quei peli lunghi nelle
gavigne da soddisfare il tricofilo più esigente; spesso qualcuna ha un odore robusto (ahhh!) – adatto al buongustaio;
sovente indossa un intimo bizzarro – che solletica il perverso; sempre – se opportunamente stimolata – regala qualche
pulsione masochista.
«Perché mi fissi?»
Chi è che sta tentando di interrompere il mio stato alienato dall’esterno, chi osa?
«Oh, oh! Dico a te!»
Sento vacillare il mio S.d.T.
«Io mi chiamo Prisca, e tu?»: è la cessa del tavolo accanto che mi parla; si fanno vieppiù audaci di giorno in
giorno queste cesse…
«SATANA!»,
«Dove?»,
«Qui». Emetto un roboante rutto. Ride. I miei amici, impassibili. Le sue amiche sembrano turbate; forse una
addirittura disgustata. Arirutto. Ora ridono tutt’e quattro.
Fatto curioso di psicologia comportamentale: alcuni individui ricevono un’educazione borghese, che
quantunque abbia il pregio di fornire di default una stereotipata, seppur efficace, regola per l’abbinamento
camicia/calzini, tuttavia lamenta forti deficienze di fronte al caso eccezionale. Nel pacchetto, assieme all’algoritmo di
manipolazione delle posate ai pranzi di gala, ci sono le risposte comportamentali da assumersi migliori di fronte a
un’amica che piange o ad un ragazzo che t’invita a ballare, ma come tutti i protocolli ha il limite di non poter prevedere
l’imprevedibile. Di fronte all’imprevisto, il protocollo prevedibilmente viene meno; nella fattispecie l’imprevisto è un
semplice rutto, anzi per la precisione una doppietta di rutti. Il soggetto, che d’ora in poi indicheremo con “S”, non
avendo una personalità autonoma ricorre al protocollo, ma il protocollo prevede come risposte solamente
“BALLARE/BIASIMARE” e “RINGRAZIARE/SOSPIRARE/ANNUSARE”, rispettivamente per le voci “ROCK
AND ROLL” e “ROSE”. No, potete controllare di nuovo. Lì in mezzo, nel protocollo, il “ROTTO” manca. Fidatevi. S
ha cercato soluzioni nel protocollo, ma le soluzioni mancano, di conseguenza S sbircia nei protocolli degli altri: in breve
S farà quel che fanno gli altri. Se dopo il rutto noi avessimo riso, o sorriso, le ragazze al tavolo avrebbero riso con noi,
ma invece noi siamo rimasti impassibili, il che ha posto il gruppo in un uno stato metastabile di stand-by, d’attesa per
altri eventi esterni che momentaneamente potessero essere assunti come protocolli decisionali. Prisca ha riso (vedremo
poi perché), quindi il loro stato metastabile di stand-by ha valutato come aderente al contesto la risposta protocollare di
Prisca. Di per sé S non ha un’autonomia decisionale, mai. Diciamo che per S vige una sola regola: “Qualunque cosa
succeda, non disattendere le aspettative”.
Veniamo ora al caso di Prisca. Questa ha riso solo perché, essendo più prossima alla sorgente del rutto, l’ha
interpretato come una forma primitiva di witz, ossia di mottetto, in uso presso la tribù del suo interlocutore: S, in
modalità “Ottentotto tra i selvaggi”, adotta un modello comportamentale teso ad allontanare il conflitto col selvaggio,
s’intende, ogni qualvolta si presenti un eventuale malinteso che potrebbe provocarlo. Per cui fidatevi: se volete attirare
l’attenzione d’una cessa, la mossa giusta è ruttare. Non capirà perché lo facciate, ma in fondo, apprezzerà.
«Perché ti spegni a quel modo?», mi chiese un giorno la ragazza profumata dall’immenso apparecchio ortodontico e io
non seppi darle risposta allora… e adesso? Saprei risponderle adesso? Lo so perché cado in quello che chiamo uno
S.d.T.? No. Potrei dire che mi succede perché rifiuto ”l’ora” e “il qui”, ed in parte corrisponde a verità. In parte… Il
fatto è che non è che nello S.d.T. io stia meglio, semplicemente non “sto”. Non sento niente; né piacere né dolore; non
sento fame, non provo tristezza, né allegria. Anestetizzato.
Anestetizzato.
Aneste…
«Ste che?». Perché lo fai, eh Prisca? Perché mi richiami tra voi? Cosa ti spinge? T’interesso? E che te ne fai di
uno come me?
«Che te ne fai di uno come me?»,
«Come?… NIENTE! Di’, ma che sei scemo?»,
«Ipogonadismo, t’ho avvertita…»,
«Ma che stai a di’?»,
«Fidati…»,
«Di cosa?»,
«Negli individui di sesso maschile, l’alcool provoca una diminuzione dei tassi ematici di testosterone
attraverso un effetto diretto a livello dei testicoli, sulle cellule di Leydig che sono responsabili della sintesi di tale
ormone. E io sono un forte alcolista…»,
«Embè?»,
«Embè, praticamente non mi va mai di scopare»,
«Già, non gli va proprio mai…»,
«E se per mancanza di forza gli è impedito di peccare, all'occasione propizia farà del male. Siracide diciannove
venticinque…»
«Mi dispiace, ma in ogni caso non è una cosa che m’interessi!»,
«C'è gente che si crede pura, ma non si è lavata della sua lordura! Proverbi trenta dodici!»,
«Ad ogni modo cara Prisca, quello pelato è il Chiorba, questo qui è il Pazzo, e il profeta invece è Baldracco».
«Perché Baldracco?»,
«Che cosa hai ordinato?», domanda questi invece di rispondere;
«Sex on the Beach»,
«Ha un aspetto bellissimo!»,
«Ed è anche ottimo!»,
«Eh! Lo credo! Saresti così gentile da farmelo assaggiare?»,
«Certamente!», e lui se lo finisce.
…E ancora mi si viene a chiedere perché si chiama così…
Con il dorso della mano dx sfioro la guancia sx di Prisca. Un gesto inutile, così tanto per fare. Prisca non sa come
interpretarlo (Be’ in effetti, uno neanche ti conosce e ti accarezza la guancia…). Arrossisce un poco. Poi arrivano ad
interrompermi i nostri quattro cocktail.
…Cocktail… Il cocktail preferito da lei, proprio Lei… quella dal mastodontico ortodontico… quella là! era il
“Bull Shot”, e quando lo preparava era raggiante, mi faceva diventare matto: andava in macelleria e diceva: «Mezzo
chilo di carne di manzo da bollito, per favore!». Nessuna come lei. Nessuna ha mai detto manzo da bollito in quel
modo…
Dopo aver lasciato raffreddare il brodo, eliminava il grasso filtrandolo con una delle sue calze color carne a
compressione graduata, e mentre io giocherellavo con la sua calza ingrassata, ciucciandola e immaginandomi che quel
molle lì dentro fosse il suo polpaccio sudato, Lei versava una parte del brodo unitamente a tre parti di vodka nello
shaker, vi aggiungeva poi le salse Worceister e Tabasco, il sale di sedano e il pepe. Serrato lo shaker tra le dita, come
posseduta dallo strumento del barista, faceva vibrare unisonamente ad esso le sue pendule mammelle. D’estate
aggiungeva dei cubetti di ghiaccio; d’inverno serviva calda la corroborante bevanda. Puntualmente io la rigettavo
corroborata sul pianale di fòrmica marmorizzata della cucina di sua madre. Che schifo, il cocktail col brodo.
Dal volume “The treatment of Drinking Problems”:
Influenza del bere sulla personalità: Molti pazienti non sono consapevoli del fatto che l’alcool altera la loro
personalità, mentre altri dichiarano “Quando bevo sono completamente diverso, come Dottor Jekyll e Mister Hyde”. Si
tratta di un aspetto che va analizzato attentamente, in termini di effetti positivi e negativi. Alcuni riferiscono che sotto
l’effetto dell’alcool spesso sono più socievoli, più ottimisti e si sentono più sicuri di sé; d’altra parte, in altri casi il bere
si associa a irritabilità, aggressività (che può portare ad atti di violenza), sospettosità, scontrosità,
autocommiserazione o appiattimento affettivo.
«Io mi chiamo Misa»: un borborigmo proveniente da un’amica di Prisca.
«Obrigado…io sono Chiorba. Per via della capoccia…»,
«Piacere, “Il Pazzo”! Ma chiamami semplicemente Pazzo… e lei?»,
«Elisa, piacere»,
M’intrometto: «Dunque, dunque… lasciatemi indovinare… Prisca, Misa, Elisa… e tu devi essere Luisa.
Stasera ci piglio su tutto, fidatevi»,
«Ma…ma… come ha fatto?»,
«Compresi che non era mandato da Dio, ma aveva pronunziato quella profezia a mio danno, perché Tobia e
Sanballàt l'avevano prezzolato. Neemia sei dodici…»,
«E fidatevi, perché lo so che non ci credete che stasera ci piglio su tutto»,
«Infatti non ci crediamo no!»: tutt’e quattro in coro.
«E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice: “Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma
non vedrete”. Matteo tredici quattordici…»
Forse sarà stato per via di tutto quel brodo di manzo che Lei aveva quell’odore caratteristico; del resto la pelle è il più
grande organo escretore del corpo umano. L’amavo per quel suo odore di ascella in brodo… E del suo apparecchio ve
ne ho già parlato? L’amavo anche per quell’affare che la rendeva ultraumana. Per me era una chimera di carne e
acciaio.
“Apparecchio ad ancoraggio extraorale di Klohen”, questo era il nome tecnico del mastodontico ortodontico. Proverò a
descrivervi l’anatomia dell’apparecchio di Klohen. In primo luogo, esso consta di tre porzioni distinte: una intraorale –
fissa – a sua volta consistente di più bande (Lei ne aveva quattro) cementate generalmente sui primi molari permanenti;
un’altra parte – rimovibile – costituita da un arco metallico a due corpi arciformi concentrici, resi solidali da una
saldatura; infine da una fascia nucale elastica. La parte rimovibile s’aggancia a quella fissata sui molari, e così dalla
bocca del paziente partono due briglie d’acciaio che non gli permettono, almeno fin tanto che l’apparecchio è montato,
di serrare le labbra; infine i fili s’agganciano alla fascia nucale che, come dice il suo nome, corre tutt’intorno alla testa
del paziente; l’effetto di questo apparecchio è quello d’allontanare i denti reciprocamente o, meglio, nel linguaggio
dell’ortognatodonzia: “di distalizzare gli elementi dentari delle arcate”. Di fatto, agli altri era sempre sembrata un
somaro con cavezza, morso e briglie; non ci vedevano il bello che ci vedevo io. Be’, peggio per loro…
«Posso chiederti un favore, Prisca?»,
«Dimmi pure Satana…»,
«Prova a dire manzo da Bollito…»,
«…Ci risiamo…»,
«Scusa, ma perché?»,
«Il Signore disse: «Io perdono come tu hai chiesto. Numeri quattordici, venti…»
«Tu dillo e basta…»,
«È uno scherzo, vero?»,
«No, non è uno scherzo, fidati»,
«Dài, mi state a piglia’ in giro!»: ridendo – la stolta…
«No, fidati. Davvero…»,
«È uno scherz…»,
«DILLO, CAZZO!»,
«La collera del re è simile al ruggito del leone; chiunque lo eccita rischia la vita. Proverbi qualcosa… eh! ogni
tanto non mi ricordo neanche io…»,
«MA CHE SEI SCEMO!»,
«Una risposta gentile calma la collera, una parola pungente eccita l'ira. Proverbi quindici uno, due!… no
scusate: uno, uno!»,
«DILLOOOO! DILLOOOO! DILLOOOOOO!»,
«Poiché, sbattendo il latte ne esce la panna, premendo il naso ne esce il sangue, spremendo la collera ne esce la
lite. Proverbi trenta trentatré, certo che sulla collera sono ferratissimo!»,
«Occhè occhè, occhèi!… MaNZo dA bOLLitO…»,
«No, no!… ripeti: manzo da bollito…»,
«manZo da bollito»,
«Quasi…»,
«manzo da bollito»,
«Senti, lascia perde… raga’! io vado al bagno».
Dal volume “The treatment of Drinking Problems”:
Effetti farmacologici dell’alcool; l’apparato urinario: L’alcool ha di per sé un’azione diuretica che è indipendente
dall’aumento del flusso urinario causato dall’indigestione di grandi volumi di fluidi; questo effetto diuretico, che è
proporzionale al tasso della concentrazione alcoolica nel sangue, sopravviene quando i livelli ematici sono in fase
crescente, e non quando questi sono stabili o in diminuzione.
Esco dal bagno e mi sento pazzo. Cazzo come mi sento pazzo. Quando torno al mio mini-tavolino trovo i miei
amici che hanno concertato assieme a Misa, Elisa, Luisa e Prisca d’andare a prendere – tutti quanti assieme! – un lievito
in un qualche sozzo forno abusivo copertura per lo spaccio di stupefacenti. Concordo, perché queste qui mi hanno già
rotto. Sono senza macchina. Vengono con noi. Diciamo loro che almeno devono offrire. Rispondono che non c’è alcun
problema.
In automobile (ci siamo stretti, o meglio, le abbiamo fatte accomodare sopra di noi) il Pazzo urla sostenendo di
essere pazzo ed intanto le palpa a turno – il finto tonto…
Noialtri ovviamente tacciamo quel tanto che basta per metterle in difficoltà:
D: «Ma tu che fai nella vita?»;
R: «
»;
D: «E tu invece?»;
R: «
»;
D: «Manca molto?»;
R: «
»;
D: « »;
R: «La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Timoteo, due undici…»;
D: «MA STAI IN SILENZIO TU? Ma come ti permetti?»;
R: « ».
«Un testo giustificato si presenta assai meglio» mi ripeteva sovente la ragazza dal mastodontico ortodontico,
ma io le rispondevo che per me rappresentava una fatica colossale persino premere l’apposito tastino virtuale sul
programma di videoscrittura. Sta di fatto che non lo faccio neanche ora, anzi, soprattutto ora che lei non c’è più.
Appena scesi dall’automezzo Prisca mi chiede cosa intendessi per “testo giustificato”. Baldracco per una volta
abbandona le Sacre Scritture e le consiglia di non farmi altre domande del genere. È un genere di saggezza, quella
amicale, che alle volte trascende il puro gusto di vedere una cessa in difficoltà.
La coda di fronte l’esercizio del cornettaro è esagerata tanto da far sbuffare Chiorba. Che cos’è un amico lo si
vede dalla prontezza con cui questo cerca di alleviarti le spalle dalle piccole noie quotidiane, ché a quelle grosse non
può farci niente. Baldracco comincia ad urlare ed io gli vado appresso recitando a soggetto:
«ALLORA UN UOMO CHE ERA NELLA SINAGOGA, POSSEDUTO DA UNO SPIRITO IMMONDO, SI
MISE A GRIDARE! …Marco uno ventitré»,
«PROSTRATEVI TUTTI DI FRONTE ALL’ANGELO CADUTO!» e lì per lì, colto da un lampo di genio, ti
comincio persino a sputare sull’asfalto e ad infarcire le mie solite frasi senza senso di parole ora francesi, ora tedesche,
ora inglesi. L’ho visto fare a Salvatore del “Nome della Rosa”.
«Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i
demòni per mezzo del principe dei demòni, Marco tre ventidue». A poco a poco la gente si scansa facendoci entrare
nella cornetteria. Prisca evidentemente non può farne a meno, va da Baldracco e gli chiede spiegazioni. Evidentemente
non è così stupida.
«Ma fate sempre così?»,
«Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno. Marco cinque trentasette. Senti un po’,
ma ‘sto orologio?»,
«È un regalo di mio nonno. Me lo ha regalato prima di morire»,
«Me lo fai provare?»,
«Sì, ma stai attento. Ci tengo»,
«I morti non vivranno più, le ombre non risorgeranno; poiché tu li hai puniti e distrutti, hai fatto svanire ogni
loro ricordo. Isaia ventisei quattordici».
Prisca non sa come interpretare le ultime parole di Baldracco, Luca però sì, e infatti sta ridendo. Il profetico
Baldracco ha vaticinato il futuro.
Dal volume “The treatment of Drinking Problems”:
Teorie sul “matrimonio alcoolico”: […] una di queste teorie sostiene che in realtà la donna in questione desidera che
il marito beva. Partendo dall’osservazione che un numero considerevole di queste donne sono figlie di padri alcoolisti,
viene avanzata l’ipotesi che abbiano sposato un alcoolista in modo da poter perpetuare problemi e dinamiche non
risolte. Tentano di ostacolare più o meno apertamente il trattamento del marito, lo persuadono a lasciare più o meno
prematuramente l’ospedale, gli dicono che qualche bicchiere i più non può fargli alcun male; possono arrivare persino
a portargli a casa da bere, e gli ripetono che “ora che è sobrio è orribile”; […] lo ha sposato sapendo che era un
alcoolista, gode nel vederlo debole e disprezzabile, ha preso in mano con piacere la direzione della casa e del bilancio
familiare, e desidera veder confermata la sua convinzione che gli uomini sono esseri ignobili.
«Adoro il modo il modo in cui la barba ti s’impregna di birra, mi fa pensare a un luogo amichevole, caldo, un
po’ sporco magari, ma nel quale mi sento a mio agio; è come baciare un intero pub di amici»: la ragazza del
mastodontico ortodontico era effettivamente un pochetto stranuccia, ma io avrei fatto di tutto per compiacerla, e così ero
arrivato persino a lavarmi i denti col Brancamenta. Tuttavia, dopo un po’ persi completamente interesse per la vita di
relazione. Non volevo mai uscire. La sola vista di una qualunque persona che non fosse lei mi era insopportabile; i
discorsi della gente, di chiunque, mi apparivano oramai tutti uguali e tutti inesorabilmente vacui. Trascorrevamo
giornate, mesi interi senza uscire di casa. A letto. Per di più senza scopare. Ed io mi sentivo tristemente felice, mentre
ora sono solo felicemente triste.
«Ma guarda che sei strano forte!»,
«Che è adesso?»,
«Sono due ore che mi fissi l’apparecchio senza parlare. Di’, la vuoi una birra?»,
«Sì – rispondevo io – lo voglio!».
«Ma guarda che sei strano forte!»,
«Che è adesso?»,
«Ti ho chiesto se volevi un cornetto o una bomba calda e tu mi hai risposto che volevi una birra, poi hai
blaterato qualcosa sull’essere triste o felice, non ho capito bene e adesso mi vieni a chiedere di sposarmi».
Nello S.d.T. spesso confondo presente e passato, e tutto mi sembra contemporaneamente nuovo e già visto. In
fila riconosco le due di prima, quelle che abbiamo spaventato facendo il testacoda. Anche Chiorba le ha riconosciute ed
ora va da loro a chiedere da accendere. Adesso che fa? Ha tirato fuori dalla tasca la pistola (scarica) che si porta sempre
dietro. Quelle si sono messe ad urlare. Gliela punta contro alternativamente in una sorta di ambarabàciccìcoccò
sciroccato e dice calmo: «Ammazzo prima te, o quella stronzetta dell’amica tua? – quindi preme il grilletto (sempre
alternando) e fa con la bocca: - Pum! Pum! – (sempre alternando) ». Andiamo via di corsa prima che qualcuno chiami i
carabinieri e lasciamo Prisca, Misa, Elisa e Luisa a fare la fila per i cornetti.
Il Chiorba parte sgommando e ululando: «Iu-uuUUUuuUUuUu!». Per un attimo riusciamo a ridere tutti e
quattro. Poi Baldracco ci chiede di dargli un parere spassionato: vuole sapere se gli dona il suo nuovo orologio. Il Pazzo
dice che fa schifo, allora lui lo butta dal finestrino. Fa sempre così, fidatevi.
Un bel giorno la ragazza dal mastodontico ortodontico, quella del Bull Shot, quella là, viene da me in lacrime e
mi fa:
«Non ce la faccio più ad andare avanti così! Non ti va mai di fare nulla, sempre lì ad ubriacarti come un
deficiente, non abbiamo mai fatto neanche l’amore…». Giuro che ci sono rimasto come uno stronzo, al che me la sono
guardata per bene e le ho fatto:
«E adesso io ti salterò addosso alla brutto dio.»,
«E lei che ha fatto?»,
«Mi ha dato un ceffone e mi ha detto che non mi voleva più vedere.»
«Be’, Un anello d'oro al naso d'un porco, tale è la donna bella ma priva di senno. Proverbi, undici ventidue…».
Dal volume “The treatment of Drinking Problems”:
Esperienze allucinatorie transitorie: […]le allucinazioni sono tipicamente vivide, caotiche e bizzarre e spesso possono
coinvolgere tutte le modalità sensoriali […] uno dei pazienti vedeva soldati fuori dalla sua finestra, Marilyn Monroe
sul tetto, poliziotti che vendevano fiori e insetti. I pazienti sono spesso completamente coinvolti da queste immagini e
interagiscono con esse: per esempio, nutrono i cani invisibili, oppure litigano con gli omini pelosi.
“Eulogy” dei Tool: Basso, tastiere, chitarra elettrica, percussioni. Il mio viso poggia sul finestrino posteriore
lato destro. Andrea è al volante, e come al suo solito è particolarmente ligio al codice stradale. È chirurgo maxillofacciale, e tutti i giorni ha a che fare con persone sfigurate dagl’incidenti stradali. Gli faccio:
«Chiorba, che ti risulti, esiste un affare che si chiama “apparecchio di Klohen”?»,
«Mai sentito».