Vendita on-line di semi di canapa indiana, con istruzioni sulla

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Vendita on-line di semi di canapa indiana, con istruzioni sulla
Vendita on-line di semi di canapa indiana, con istruzioni sulla coltivazione, e istigazione all’uso di stupefa
Sabato 15 Agosto 2009 17:37 - Ultimo aggiornamento Sabato 15 Agosto 2009 22:44
Vendita on-line di semi di canapa indiana, con istruzioni sulla coltivazione, e istigazione
all’uso di stupefacenti
Cass. pen., Sez. IV, Sent. 20 maggio - 10 giugno 2009, n. 23903
La Massima
Si configura il reato di cui all'art. 82 D.P.R. 309/1990, nell'ipotesi in cui si forniscono agli
acquirenti dettagliate informazioni circa le modalità di coltivazione dei semi di canapa
indiana, al fine di far sì che si ottengano piante idonee a soddisfare la richiesta di
stupefacente, nonché circa i mezzi strumentali idonei alla coltivazione ottimale dei semi
in parola.
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Cassazione penale, sez. IV, sent. n. 23903/2009. Il fatto.
Nei confronti di un soggetto, indagato per il delitto di cui all’art. 82 D.P.R. 309/90 (istigazione
all’uso illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), avendo egli pubblicizzato su internet la
vendita di semi di canapa indiana e le relative modalità di coltivazione, viene emanato un
provvedimento di perquisizione e sequestro, poi annullato dal Tribunale del Riesame. Il
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di …ricorre per cassazione avverso l’ordinanza
di tale Tribunale. Per il ricorrente, infatti, la pubblicizzazione della vendita di semi di canapa
indiana e degli accessori per la coltivazione della stessa, tramite internet, integra tale reato.
La Cassazione avalla l’impostazione del Procuratore.
Nel 2004 la Cassazione, con la sentenza n. 22911/2004 aveva già preso posizione al
riguardo,esprimendo il seguendo principio di diritto: si configura il reato di cui all’art. 82 D.P.R.
309/1990, nell’ipotesi in cui si forniscono agli acquirenti dettagliate informazioni circa le modalità
di coltivazione dei semi di canapa indiana, al fine di far sì che si ottengano piante idonee a
soddisfare la richiesta di stupefacente, nonché circa i mezzi strumentali idonei alla coltivazione
ottimale dei semi in parola.
Secondo la Cassazione, inoltre, la coltivazione ha inevitabilmente il fine dell’uso, per cui
parlare di istigazione alla coltivazione equivale a parlare di istigazione all’uso.
L’art. 82 cit. non vieta in alcun modo la mera messa in vendita tanto dei semi che di eventuali
strumenti necessari alla coltivazione, ma ciò deve avvenire “in forme e modi asettici”.
L’attività contestata all’indagato, invece, comprende anche quella divulgativa e persuasiva,
avente l’unico fine di istigare alla coltivazione della canapa indiana ed all’uso della stessa.
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Secondo la Suprema Corte, quindi, devono ritenersi pienamente realizzati, sul piano soggettivo,
l’intento di promuovere l’uso dello specifico stupefacente e, dal punto di vista materiale, la
concreta condotta, consistente nel far sì che tale uso si realizzi effettimante da parte dei
destinatari delle esortazioni pubblicitarie.
La Cassazione, quindi, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribumale del riesame, che
dovrà valutare, alla luce dei principi giuridici sopra enunciati, la sussistenza dei presupposti
legittimanti il mantenimento o l’eventuale ripristino del provvedimento cautelare già adottato nei
confronti dell’indagato.
Casi di istigazione ed art. 21 Cost.
La norma generale in materia di istigazione a delinquere è contenuta nell’art. 115, commi I e III,
c.p., che stabilisce la non punibilità dell’istigazione a commettere un reato, quando l’istigazione
sia accolta, ma il reato non sia commesso, salvo che la legge disponga altrimenti (la legge
dispone altrimenti in casi tipici e tassativi di istigazione, quali quelli individuati, per esempio,
dagli artt. 266, 270, 271, 302, 303, 304, 305, 306, 322, 327, 414 ss., 548, c.p., o da leggi
speciali: dall’art. 82 D.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, o dall’ art. 3 l. 13 ottobre 1975, n. 654).
Sebbene secondo alcuni autori queste ultime fattispecie costituiscano reati di pericolo astratto,
la giurisprudenza prevalente le identifica quali reati di pericolo concreto, nei quali la lesione o
messa in pericolo del bene giuridico tutelato va accertata di volta in volta dall’interprete.
In questo senso si è espressa la Corte Costituzionale, con la sent. n. 65/70, in tema di apologia
di reato ex art. 414, co. III, c.p.: tale fattispecie ricorre solo quando “per le sue modalità integri
comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti
…Tuttavia
, la mera critica della legislazione e della giurisprudenza, l’attività propagandistica diretta alla
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deletio legis, l’affermazione che fatti previsti come delitti possono avere positivo contenuto
morale e sociale non costituiscono il reato di apologia di delitto.
”. Il che si porrebbe in contrasto con la libertà di manifestare il proprio pensiero, garantita
dall’art. 21, I co., Cost..
Il contenuto di tale affermazione del Giudice delle Leggi è stato precisato dalla Cassazione (per
tutte, si veda Cass. pen, sez. I, n. 11578/97), secondo cui “a integrare l’elemento oggettivo del
delitto di cui all’art. 414 comma III non basta l’esternazione di un giudizio positivo su un episodio
criminoso... ma occorre che il comportamento dell’agente sia tale per il suo contenuto
intrinseco, per la condizione personale dell’autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica,
da determinare il rischio, non teorico, ma effettivo, della consumazione di altri reati
”.
La Corte costituzionale ha ribadito questa sua posizione anche con riferimento all’art. 415 c.p.,
sostenendo che non ogni pubblica istigazione all’odio fra le classi sociali è punibile, ma solo
quella “
attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità”, escludendo “le attività
dirette a manifestare un’ideologia politica o filosofica basata sulla lotta e il contrasto fra le classi
sociali
”,
quali espressioni
della libera manifestazione del pensiero, tutelata dall’art. 21 Cost. (C. Cost., n. 108/74).
La successiva giurisprudenza di legittimità ha utilizzato tale canone ermeneutico, applicandolo
anche ad altre fattispecie “astratte” di istigazione(non solo all’istigazione a delinquere ex art.
414 c.p. e all’istigazione a disobbedire alle leggi ex art. 415 c.p., ma anche ai casi di di pubblica
istigazione e apologia ex art. 303 c.p., di istigazione di militari a disobbedire alle leggi ex art.
266 c.p., di istigazione alla corruzione ex art. 322 c.p., di istigazione all’odio razziale ex l. 25
giugno 1993 n. 205).
La non punibilità di tali fattispecie dipende dall’applicazione degli articoli 21 Cost. (principio di
libertà di manifestazione del pensiero), 25, co. II e 27, co III, Cost. (su cui parte della dottrina
fonda il principio di offensività), 49, co. II, c.p., che esclude la punibilità quando “per la inidoneità
dell’azione... è impossibile l’evento dannoso o pericoloso
”.
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L’istigazione all’uso di sostanze stupefacenti
L’art. 82 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 punisce, con la reclusione da uno a sei anni e con la
multa da € 1032 a € 5164, chiunque pubblicamente istiga all’uso illecito di sostanze
stupefacenti o psicotrope, ovvero svolge, anche in privato, l’attività di proselitismo per tale uso
delle predette sostanze, ovvero induce una persona all’uso medesimo (co. I), prevedendo un
aumento di pena se il fatto è commesso nei confronti di persone di età minore ovvero all’interno
o nelle adiacenze di scuole di ogni ordine e grado, di comunità giovanili o di caserme, all’interno
di carceri, di ospedali o di servizi sociali e sanitari (co. II) e un raddoppio di pena se i fatti sono
commessi nei confronti di minore degli anni quattordici, di persona palesemente incapace o di
persona affidata al colpevole per ragioni di cura, educazione, di istruzione, di vigilanza o di
custodia.
La disposizione contempla, quindi, le seguenti tre condotte: l’istigazione pubblica, l’attività di
proselitismo e l’induzione.
Secondo la Cassazione il “proselitismo…implica un’attività volta ad ampliare la schiera di
utilizzatori di sostanze stupefacenti da parte di chi non solo ne fa propaganda, ma già ne fa
abituale uso, e che incita o tenta di persuadere altri a seguire il suo esempio
» (Cassazione penale, sez. VI, n. 16041/2001). L’istigazione pubblica e l’induzione
presuppongono invece l’assenza della qualifica di utilizzatori da parte dei soggetti attivi del
reato.
La prima “avviene nei confronti di una platea indeterminata di soggetti e pubblicamente, mentre
l’induzione deve essere diretta a uno o più soggetti determinati attraverso un’opera di
persuasione degli stessi
” (Tribunale di Firenze – GIP- sentenza 23 luglio 2007).
Con riferimento specifico all’istigazione, essa è stata interpretata quale reato di pericolo
concreto: “ai fini della configurabilità del reato di istigazione all’uso di sostanze stupefacenti,
occorre che l’agente, per il contesto in cui opera e per il contenuto delle sue esortazioni, abbia,
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sul piano soggettivo, l’intento di promuovere tale uso e, dal punto di vista materiale, di fatto si
adoperi, con manifestazioni verbali, con scritti, o anche con il ricorso a un linguaggio
“simbolico”, affinché l’uso di stupefacenti da parte dei destinatari delle sue esortazioni sia
effettivamente realizzato
» (ex multis, Cass. pen., sez. VI, n. 1604172001; Tribunale
min., L’Aquila, 6 febbraio 1997; Tribunale di Piacenza, 29 novembre 1993).
In passato, la Suprema Corte (Cass. pen., sez. VI, n. 16041/2001 cit.) aveva escluso
l’integrazione del reato di cui all’art. 82 D.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, nel caso di una
manifestazione politico-culturale favorevole alla liberalizzazione dell’uso delle droghe leggere,
nel corso della quale erano stati distribuiti volantini, che enunciavano teorie circa la mancata
nocività della marijuana.
La Cassazione aveva qualificato tali condotte come "una presa di posizione politico - culturale
favorevole alla liberalizzazione dell'uso delle droghe leggere"
, come tali non punibili ex art. 21 Cost..
Al contrario, nell’ipotesi di vendita di bustine di semi di “cannabis sativa”, con indicazioni e
consigli per la relativa coltivazione
, la giurisprudenza della Cassazione (Cass. pen., VI, n. 22911/2004) aveva confermato
un’ordinanza del Tribunale del Riesame, che si era pronunciata sui presupposti della misura
cautelare applicata per il reato di cui all’art. 82 cit..
Nel caso di specie, la condotta di commercializzazione dei semi era parsa idonea a determinare
l’uso di sostanze stupefacenti, nonostante l’acquirente non avesse effettuato alcuna
coltivazione con il predetto materiale.
Inoltre, la Cassazione aveva sottolineato che “la coltivazione ha inevitabilmente il fine dell’uso,
di tal che parlare di induzione alla coltivazione è equipollente a parlare di induzione all’uso
”(Cass. pen., sez. IV, n. 22911/2004, cit.).
Il termine canapa è riferibile unicamente alle sommità fiorite o fruttifere della pianta; ne
rimangono esclusi i semi e le foglie non accompagnate dalle relative sommità. Con la l. 412/74,
l’Italia ha recepito la Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo
1961, in base alla quale (art. 1, comma 1, lett. b) vengono espressamente esclusi dal concetto
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di cannabis i semi della pianta.
La Tabella II della Convenzione fa riferimento espresso alla “cannabis indica, foglie e
infiorescenze
”. Nell’ordinamento
italiano non risulta vietato il commercio di semi di
cannabis
(si
veda, a tal proposito, Cass. pen., II, n. 10496/1988,
che, sulla scorta di tali considerazioni (difetto di foglie ed infiorescenze), non ha ritenuto
integrata
la fattispecie di cui all’art. 73 D.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309).
Sul punto, tuttavia, non vi è univocità di vedute.
Mentre una parte della giurisprudenza di merito (Tribunale di Firenze- GIP- sent. 23 luglio
2007), come la Cassazione nel 2004, ritiene che indurre a coltivare significhi indurre ad usare
poi l’oggetto della coltivazione, altro orientamento pretorio (Tribunale di Rovereto, sent. n. 300
del 29 novembre 2007; Tribunale di Benevento, Sentenza n. 74 del 7 febbraio 2008; Tribunale
di Ferrara, Sez. riesame, Ordinanza 3 dicembre) è giunto a conclusioni in parte diverse.
Nell’ipotesi analizzata dal Tribunale fiorentino, l’imputato effettuava tale attività di
commercializzazione di sementi attraverso un sito internet. Su tale sito egli avvertiva il lettore
circa il divieto di coltivare cannabis e consigliava di utilizzare i semi per fini non vietati dalla
legge (ad es. collezionismo). Indicava però le varietà di semi contenuti nel catalogo, apponendo
la fotografia delle piante, che sarebbero scaturite dalla loro coltivazione, indicando le proprietà
delle stesse, i tempi per la fioritura, se era possibile coltivarle all’esterno o all’interno,
precisandone l’aroma e le qualità narcotiche.
Era proprio il contenuto di questa descrizione particolareggiata a costituire, secondo il giudice
toscano, elemento oggettivo idoneo a qualificare come istigazione la condotta del gestore del
sito, a renderla pericolosa così da integrare la fattispecie di cui all’ art. 82 D.p.r. 9 ottobre 1990,
n. 309.
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Il Tribunale di Rovereto, con la sent. 300 del 29 novembre 2007, aveva invece assolto
l’imputato dal medesimo reato, poiché “nessun tipo di indicazione veniva in quella sede fornito
per la coltivazione di piante né, tantomeno, per la successiva preparazione del prodotto
stupefacente ricavabile, né veniva svolta attività di promozione della successiva coltivazione
”.
Le sentenze, in realtà, pur giungendo ad esiti diversi, in realtà avevano utilizzato lo stesso
discrimine: in tanto l’art. 82 D.P.R. 309/90 poteva ritenersi integrato in quanto fossero espresse
dall’imputato sufficienti indicazioni circa le modalità di coltivazione della canapa.
Il Tribunale di Benevento, nella sent. n. 74 del 7 febbraio 2008, cit., aveva assolto sulla scorta
del fatto che i gestori del sito avevano invitato gli utenti dal desistere dal consumo di sostanze
stupefacenti, senza fornire istruzioni sulla coltivazione.
Il Tribunale di Ferrara, Sez. riesame, con l’ordinanza 3 dicembre 2008, cit., ha ribadito che la
vendita di semi, di per sé, non è reato, infatti, “la legge se da un canto vieta la coltivazione,
dall’altro non vieta affatto la produzione o la vendita delle cose necessarie per la coltivazione,
creando così una classica lacuna nel sistema sanzionatorio che non può essere coperta in via
interpretativa per il principio della tassatività delle fattispecie penali da interpretare
restrittivamente e con esclusione di qualunque estensione analogica
”.
Quest’ultima decisione è stata annullata dalla sentenza della Cassazione sopra enucleata (sez.
IV, n. 23903/2009): nel caso di specie, secondo il giudice di legittimità, la vendita di semi non
era avvenuta in maniera “ asettica e neutrale”, come riteneva il tribunale del riesame. Vi era
stata pubblicità
on-line sulle metodologie di
coltivazione e sugli accessori idonei a migliorare la crescita delle piantine, perciò era
concretamente integrato sia l’elemento soggettivo del reato ex art. 82 D.p.r. 9 ottobre 1990, n.
309, costituito dall’intento di promuovere l’uso di sostanze stupefacenti, sia l’elemento
materiale, costituito dall’essersi l’indagato avvalso di manifestazioni verbali, scritti e di un
linguaggio “simbolico”, affinché l’uso di stupefacenti, da parte dei destinatari delle sue
esortazioni, fosse effettivamente realizzato.
Dall’esame dei precedenti giurisprudenziali consegue che la condotta di istigazione all’uso di
stupefacenti è penalmente rilevante solo se concretamente idonea a provocare la coltivazione e
quindi l’uso di stupefacenti. Integra il reato, di cui all’82 D.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, la condotta
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di chi vende semi di canapa indiana, dando istruzioni circa le modalità di coltivazione dei
medesimi, nonché degli effetti droganti della sostanza ricavabile.
La Cassazione fa dipendere la punibilità della condotta dalla presenza o assenza di
informazioni sulla coltivazione, non essendo reato la vendita “asettica” di semi di canapa
indiana.
Tale ricostruzione ermeneutica è stata criticata da parte della dottrina, poiché, secondo una tale
impostazione, non sarà punibile il venditore di semi che, scaltramente, si astenga dal dare
informazioni sulle modalità di coltivazione degli stessi e sulle qualità stupefacenti della pianta
ottenuta. La capacità istigativa della condotta non deve dipendere, secondo questi autori, dal
fatto che siano presenti o meno le istruzioni per la coltivazione dei semi, se non si vogliono
ingenerare disparità di trattamento rispetto a situazioni simili.
L’istigazione è data dalla condotta di chi (determinatore) fa sorgere in altri un proposito
criminoso prima inesistente o (istigatore) si limita a rafforzare o eccitare in altri un proposito
criminoso già esistente.
L’art. 82 D.R.R. 9 ottobre 1990, n. 309 deroga alla regola di cui all’art. 115, co. III, c.p., che
stabilisce la non punibilità dell’istigazione rimasta sterile, prevedendo la sanzionabilità
dell’istigazione finalizzata all’uso di stupefacenti.
Il termine “uso” di cui all’art. 82 cit., secondo questi autori, non è elemento normativo, che rinvia
alla nozione di cui all’art. 75, I co., D.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309 (come altra dottrina ha
sostenuto, desumendo la non sanzionabilità della vendita di semi finalizzata alla coltivazione ed
al consumo esclusivamente personale di stupefacenti), e ciò perché anche l’uso “
personale
” delle sostanze stupefacenti è illecito (l’art. 75, co.I, infatti, utilizza l’avverbio
illecitamente
e prevede quale conseguenza di tale comportamento una sanzione amministrativa) e, inoltre,
perché una simile ricostruzione contrasta con una recente sentenza delle Sezioni Unite (sent. n.
28605/ 2008), che, affermando la punibilità della condotta di coltivazione di piante stupefacenti,
a prescindere dall’uso personale o al fine di spaccio delle stesse, ha indirettamente limitato la
non punibilità dell’uso personale alle sole condotte di importazione, acquisto e detenzione, di
cui all’art. 75 D.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309.
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L’uso illecito di sostanze stupefacenti, istigato dall’agente, di cui all’art. 82 cit., è quello
pregiudizievole per la salute individuale e collettiva, bene giuridico tutelato dallo stesso D.P.R.
309/90, come la giurisprudenza di legittimità ha più volte riconosciuto.
L’istigazione sanzionata dovrebbe essere pertanto solo quella volta alla “coltivazione finalizzata
all’assunzione” di sostanze stupefacenti (a tal fine cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 22911/2004 cit.,
secondo cui “la coltivazione ha inevitabilmente il fine dell’uso, di tal che parlare di induzione alla
coltivazione è equipollente a parlare di induzione all’uso
”), non quella avente
diverse finalità.
Per cui non integrerebbe la fattispecie prevista da tale articolo la condotta di chi vendesse semi
per la coltivazione di piantine di canapa indiana finalizzata alla produzione di tessuti, corde,
carta, olio combustibile, prodotti cosmetici, o di chi la vendesse a soggetti autorizzati alla
coltivazione ex artt. 17 ss. D.p.r. cit.
Da ciò tale dottrina desume che non può desumersi implicitamente l’istigazione all’uso di
sostanze stupefacenti dall’allegazione, da parte del venditore di semi, di istruzioni per la
coltivazione degli stessi.
Per cui, la presenza sul sito di informazioni sugli usi alternativi della canapa potrebbero
deporre per la non volontarietà dell’istigazione all’assunzione dello stupefacente. Al contrario, la
presenza, in grado elevato, di principio attivo nella piantina, oltre alle eventuali informazioni
sull’uso illecito della canapa, potrebbero rappresentare un indizio della destinazione dei semi
alla coltivazione di piante ad uso drogante.
Secondo la Cassazione, quindi, è assiomatico che alla pubblicizzazione della vendita dei semi e
della loro coltivazione corrisponda l’istigazione all’uso dello stupefacente contenuto nelle piante,
che ne deriveranno; secondo parte della dottrina, invece, bisogna verificare questo assunto
caso per caso, non potendosi escludere aprioristicamente usi diversi.
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Paola Marino
Segue il testo della sentenza
Cass. pen., Sez. IV, Sent. 20 maggio - 10 giugno 2009, n. 23903
Osserva
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di … ricorre per cassazione avverso
l'ordinanza, in data 11.12.2008, del Tribunale del Riesame dello stesso capoluogo con cui è
stato annullato il decreto di perquisizione e sequestro emesso dal P.M. nell'ambito del
procedimento a carico di M. P. indagato del delitto di cui all'art. 82 D.P.R. 309/90.
Il ricorrente denuncia inosservanza o erronea applicazione della legge penale nella parte
relativa all'affermazione secondo cui la vendita di semi di canapa indiana e degli accessori per
la coltivazione della stessa, unitamente a DVD e libri contenenti spiegazioni sulle modalità di
coltivazione dei semi di canapa indiana per ottenere piante idonee a produrre sostanze
stupefacenti, materiale pubblicizzato pubblicamente anche tramite internet, non integrerebbe il
reato di cui all'art. 82 D.P.R. 309/90, non configurandosi in tal caso l'istigazione all'uso e alla
coltivazione di sostanze stupefacenti o psicotrope, ma trattandosi di attività di mero
orientamento culturale penalmente non rilevante; ed ancora, nella parte relativa all'affermazione
secondo cui la condotta dell'indagata consisterebbe unicamente in una attività preliminare e
preparatoria che non può essere in alcun modo ricondotta alla fattispecie tipica penalmente
sanzionata della coltivazione o dell'istigazione alla coltivazione, trattandosi di semplice vendita
di semi di canapa indiana e di altri accessori per la coltivazione della stessa. Il ricorrente
sostiene ex adverso che, secondo l'orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di
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Cassazione (Cass. Sez. IV, sent. 22911 del 23.3.2004 D'Angelo; Cass. Sez. VI, n. 16041 del
5.3.2001, Gobbi e altri), la condotta posta in essere dall'indagato - diversamente da quanto
sostenuto dal Tribunale del riesame - non integra un mero orientamento culturale penalmente
non rilevante, bensì il reato di cui all'art. 82 d. P.R. 309/90, poiché la condotta dell'agente (in
rapporto al contesto in cui si svolge ed al contenuto delle espressioni - verbali, scritte,
simboliche - utilizzate) è concretamente idonea a conseguire l'effetto di indurre all'uso e alla
coltivazione di sostanze stupefacenti i destinatari dei suggerimenti.
Rileva, inoltre, come - nel caso in esame - sia integrato sia l'elemento soggettivo del reato
contestato all'indagato in linea con la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. Sez. VI, sent.
n. 16041 del 5.3.2001), costituito dall'intento di promuovere l'uso di sostanze stupefacenti, sia
l'elemento materiale, costituito dall'essersi l'indagato avvalso di manifestazioni verbali, di scritti
e di un linguaggio “simbolico”, affinché l'uso di stupefacenti, da parte dei destinatari delle sue
esortazioni, sia effettivamente realizzato.
Il ricorso è fondato.
Come espone il ricorrente, è dato non contestato, in punto di fatto, che l'indagato è legale
rappresentante della omonima ditta con insegna …, con sede a … e titolare di negozio affiliato
al network …, di ditta, quindi, che pubblicizza anche su internet, in maniera chiara e non
allusiva, l'uso, la coltivazione e la produzione di canapa indiana, e pone in vendita semi di
canapa indiana con il corredo di materiale, come il fertilizzante, per la coltivazione dei semi e di
manuali, contenenti spiegazioni sulle modalità di coltivazione per ottenere dai semi piante
idonee a produrre sostanza stupefacente, nonché prodotti utilizzati per l'uso e anche per la
vendita dello stupefacente, come ad esempio bilancini di precisione.
Tanto premesso, va qui riaffermato il principio enunciato da questa stessa Sezione della Corte
di Cassazione con la richiamata sentenza n. 22911 del 23/03/2004, riguardante proprio un caso
analogo a quello per cui si procede, sottoposto al suo sindacato in seguito al ricorso
dell'indagato avverso l'ordinanza del Tribunale del Riesame de … che aveva confermato il
decreto del P.M., con il quale si era disposto il sequestro quale corpo di reato, a carico del
titolare del negozio denominato …, di numerose bustine di semi di canapa indiana con
indicazioni e consigli per la relativa coltivazione.
Secondo quel principio, da questo Collegio pienamente condiviso, si configura il reato di cui
all'art. 82 D.P.R. 309/1990, nell'ipotesi in cui si forniscono agli acquirenti, come nel caso di
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Vendita on-line di semi di canapa indiana, con istruzioni sulla coltivazione, e istigazione all’uso di stupefac
Sabato 15 Agosto 2009 17:37 - Ultimo aggiornamento Sabato 15 Agosto 2009 22:44
specie, dettagliate informazioni circa le modalità di coltivazione dei semi di canapa indiana, al
fine di far sì che si ottengano piante idonee a soddisfare la richiesta di stupefacente, nonché
circa i mezzi strumentali idonei alla coltivazione ottimale dei semi in parola.
A tale enunciazione va aggiunta la considerazione che la coltivazione ha inevitabilmente il fine
dell'uso, di tal che parlare di istigazione alla coltivazione equivale a parlare di istigazione all'uso.
Va, a questo punto, posto in rilievo che gli stessi giudici del riesame, partendo dalla premessa
che la disposizione legislativa in esame non vieta in alcun modo la mera messa in vendita tanto
dei semi che di eventuali strumenti necessari alla coltivazione, hanno precisato, però, purché
ciò avvenga “in forme e modi asettici”.
Orbene, pur non fornendo, il provvedimento impugnato, alcuna spiegazione di come la condotta
di messa in vendita debba avvenire “in forme e modi asettici”, è agevole desumere dal
significato intrinseco dei termini utilizzati come i giudici del riesame intendano riferirsi al fatto
che, ai fini della non punibilità di detta condotta, è necessario che non si ponga in essere alcuna
attività aggiuntiva, che concretizzi l'istigazione alla vendita e all'uso dei semi finalizzati alla
coltivazione di essi in modo da ottenere piante idonee a produrre sostanze stupefacenti.
È proprio in questo passaggio dell'ordinanza che si evidenzia l'errata interpretazione della
norma di cui trattasi, essendo stata reputata non sussumibile in essa la condotta contestata
all'indagato come messa in vendita dei semi di canapa indiana e degli strumenti necessari alla
coltivazione di essi attuata proprio in forme e modi che asettici non possono definirsi, nemmeno
secondo l'ipotesi interpretativa formulata dai giudici del riesame.
L'attività contestata all'indagato, infatti, comprende anche quella divulgativa e persuasiva,
attuata in diverse modalità, avente l'unico fine di istigare alla coltivazione della canapa indiana
ed all'uso della stessa.
Non va tralasciato di considerare che tale aspetto della condotta configura una vera e propria
pubblicità della merce posta in vendita, diretta ad ampliare la quantità venduta e a rendere
elastica la curva della domanda, richiamando l'attenzione del pubblico, modificando i suoi gusti
e migliorando negli aspiranti compratori la conoscenza dei prodotti offerti.
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Nel caso di specie, attraverso uno strumento di comunicazione di massa ancor più potente e
diffusivo della televisione, quale è “Internet”, è stata pubblicizzata la vendita non solo dei semi
di canapa indiana e degli altri accessori idonei alla coltivazione di piante, ma anche dei DVD e
dei libri contenenti le spiegazioni sulle modalità di coltivazione dei semi medesimi per ottenere
piante idonee a produrre sostanze stupefacenti.
Devono, quindi, ritenersi pienamente realizzati, sul piano soggettivo, l'intento di promuovere
l'uso dello specifico stupefacente trattato e, dal punto di vista materiale, la concreta condotta
tesa affinché l'uso dello stupefacente medesimo si realizzi effettivamente da parte dei
destinatari delle esortazioni pubblicitarie.
Il Tribunale, nel rilevare che il legislatore, se da un lato vieta la coltivazione, dall'altro non vieta
la produzione o la messa in vendita delle cose necessarie per la coltivazione, sostiene che in tal
modo si sarebbe creata una lacuna nel sistema sanzionatorio che non può essere coperta in via
interpretativa per il principio della tassatività delle fattispecie penali, escludente qualsiasi
interpretazione estensiva per via analogica.
L'assunto non è condivisibile, perché la condotta, integrante la fattispecie delittuosa
concretamente contestata all'indagato, non è riferita alla sola vendita delle cose necessarie per
la coltivazione della canapa indiana, ma comprende anche l'istigazione pubblica all'uso illecito
di detta sostanza stupefacente, attuata a mezzo della messa in vendita delle cose necessarie
alla coltivazione con modalità di divulgazione e di pubblicità idonee a conseguire l'effetto nei
confronti dei destinatari delle esortazioni di indurli a coltivare i semi per produrre la sostanza
stupefacente e destinarla al consumo.
Per concludere sul punto, non è corretto ventilare l'ipotesi della creazione di una fattispecie
penale per effetto di un'asserita esegesi analogica in malam partem, trattandosi più
propriamente di una questione di interpretazione semantica che si conforma pienamente alla
ratio legis.
Consegue dall'anzidetto l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del
Riesame di …, al quale è demandato il compito di valutare, alla luce di principi giuridici sopra
enunciati, la sussistenza dei presupposti legittimanti il mantenimento o l'eventuale ripristino del
provvedimento cautelare già adottato nei confronti del M..
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P.Q.M.
Annulla l'impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di ….
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