Scarica il kit sulla comunicazione realizzato durante il campo
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5ic6ordare 4 #r DEL ORMAZIONE O F A L L U S A TECNIC TTIVISM RELAZIONE OLONTARIATO E MEDIA CAMPO DI V Q) LUGLIO 2013 PAGANICA (A 1 2 A L’Aquila il terremoto quattro anni dopo 3 A quattro anni dal terremoto de L’Aquila 20 ragazzi provenienti da tutta Italia hanno incontrato il presidio locale di Libera per capire cos’è accaduto durante e dopo la notte del 6 aprile 2009. Le scosse si sono verificate durante i sei mesi precedenti senza che l’autorità competente prendesse i provvedimenti necessari ad affrontare l’emergenza. Una commissione di esperti ha sempre rassicurato la popolazione nonostante fossero consapevoli delle condizioni di pericolosità di alcuni edifici cittadini, tra cui la casa dello studente e la prefettura. Quest’ultima era paradossalmente la struttura adibita al coordinamento dei soccorsi in caso di sisma. Finché una notte la terra tremò davvero. Di quell’esperienza ogni aquilano ha una storia da raccontare. Paolo Battaglia, volontario del Presidio, commenta: “Non ci siamo subito resi conto della gravità della situazione. Per noi il vero terremoto è cominciato il giorno seguente e non è ancora finito”. La mattina del 7 aprile sono cominciati ad arrivare i soccorsi: i primi sono stati i volontari della protezione civile delle Marche, che si sono trovati davanti a una situazione tragica senza avere le risorse e gli spazi necessari per affrontarla. Inoltre la persona che avrebbe dovuto occuparsi dell’emergenza è deceduta nel crollo del palazzo della Prefettura. Il giornalista e referente regionale di Libera in Abruzzo, Angelo Venti, spiega: “Da subito si è notata una gestione anomala dell’emergenza”. L’organizzazione è stata data in mano a una struttura autonoma della Protezione Civile, 4 la Dicomac (Direzione di Comando e Controllo), che di fatto ha esautorato i poteri degli enti locali. L’intervento ha previsto, al contrario di quanto indicato dal manuale della Protezione Civile, lo spostamento immediato di una parte dei cittadini sulla costa (ca. 30.000 ab.); gli altri sono stati sistemati nelle tendopoli. La decisione di abbandonare la città non ha seguito un criterio di necessità ma è stata lasciata agli stessi aquilani, che si trovavano in una situazione psicologica fragile. Solo alcuni nuclei familiari hanno preferito allestire dei piccoli campi spontanei autogestiti. Marco D’Antonio, fotoreporter e volontario di Libera, ci racconta che sono state fatte pressioni prima per allontanarsi dalla città e, una volta esaurito il numero di posti disponibili nei residence al mare, per confluire tutti nei campi controllati dall’autorità. Al loro interno, le persone sono state suddivise in tende da dieci, assegnate senza nessun criterio. Sono stati forni- ti i beni di prima necessità, dal cibo ai vestiti, agli aiuti psicologici. Nonostante la buona fede dei volontari, si è assistito ad una militarizzazione dei soccorsi: orario di coprifuoco, necessità di mostrare i documenti in entrata e in uscita, privazione di sostanze eccitanti, come cioccolata e caffè, impossibilità di ricevere tutti i giornali, se non quelli autorizzati. Sono stati contattati operatori sociali per tenere alto il morale degli sfollati. Paolo Battaglia, laureato in psicologia, spiega come gli stessi psicologi destinati al sostegno degli sfollati, in realtà abbiano semplicemente raccolto informazioni senza poter svolgere un lavoro terapeutico, perché di fatto venivano sostituti ogni quindici giorni. Questo sistema ha prodotto diffidenza tra gli stessi concittadini, contrapposta a un sentimento di gratitudine nei confronti della Protezione Civile. Ciò ha contribuito a disgregare il tessuto sociale, privando gli aquilani della loro identità e della capacità di reagire. Diversamente dalla gestione di altri ter- 5 remoti, il periodo di permanenza nelle tendopoli si è protratto per circa sei mesi, aumentando la difficoltà di ripartire con le attività economiche e commerciali. Cristina Iovenitti, aquilana e testimone di quei momenti, pone fra le cause di questa stagnazione la precisa volontà delle autorità di impedire che sorgessero delle necessità e che si formasse del malcontento tra la gente: “Come si fa a ricostruire se parte della popolazione è lontana e al resto viene fornito tutto ciò che serve, sapendo in anticipo quali sarebbero state le esigenze grazie al lavoro degli psicologi?” La mancanza della coesione sociale è stata incrementata dalla scarsa circolazione di adeguate informazioni rispetto all’effettiva gestione del sistema emergenziale. Non è stata fornita una visione complessiva della situazione, al contrario è stata aumentata la rivalità fra chi è rimasto e chi invece se n’è andato. Angelo Venti ci racconta che per sopperire alla mancanza di circolazione di informazioni complete, ha organizzato la pubblicazione di un ciclostile da distribuire agli aquilani. Il giornale ha raggiunto i campi di nascosto e solo grazie a persone fidate. Non sempre le reazioni sono state positive, i giornalisti e i collaboratori, infatti, non hanno goduto di una credibilità immediata perché accusati di essere disfattisti. Nemmeno dall’esterno c’è stata una risposta tempestiva. Nonostante nel ciclostile sia stato pubblicato un appello rivolto ai giornalisti di tutta Italia a recarsi a L’Aquila per verificare lo stato effettivo delle cose, la comunicazione ha continuato ad essere lacunosa. L’unico messaggio che è passato per i canali nazionali e internazionali è stato veicolato dalla stessa Protezione Civile, che ha concentrato l’attenzione su determinate zone (es. Onna) dove l’impiego di risorse è stato maggiore. La distorsione dell’informazione è valsa anche per il periodo successivo, durante il quale è stato approvato e realizzato il piano C.A.S.E. . Si tratta di 6 alloggi, concepiti come provvisori, il cui costo si è aggirato sui 2800 euro al mq. Paradossalmente, il rimborso previsto per la restaurazione delle vecchie abitazioni è di 1300 euro al mq. La logica di tale progetto è stata da una parte mediatica (fare campagna elettorale) e dall’altra speculativa. La grande autonomia concessa alla Protezione Civile con a capo, Guido Bertolaso, considerato lo stato di emergenza, ha permesso di accedere al credito ed affidare i lavori di costruzione, senza nessun tipo di controllo e agirando le leggi ordinarie. Gli alloggi sono stati costruiti lontano dal centro, in zone prive dei servizi essenziali, in modo da poter speculare ulteriormente sulla loro realizzazione. Dopo quattro anni le famiglie si trovano nella medesima situazione, continuando ad abitare in case non di loro proprietà, tutte uguali, non avendo la libertà di personalizzare lo spazio in cui vivono. Il contratto di assegnazione prevede una serie di vincoli, tra cui l’impossibilità di abbandonare l’alloggio per più di quindici giorni senza comunicarlo o invitare degli ospiti. “Noi abbiamo criticato gli interventi fin dall’inizio.” dice Cristina Iovenitti “ Quello che si sarebbe dovuto fare, sarebbe stato, dopo aver allestito le tendopoli, convogliare la popolazione in container molto più economici del piano C.A.S.E. . I fondi risparmiati si sarebbero potuti investire nella ricostruzione del vecchio centro cittadino”. Il cuore de L’Aquila si è fermato nel silenzio dell’informazione generalista, distruggendo l’identità di una comunità intera. Per gli abitanti la ripresa rimane ancora una prospettiva lontana. 7 8 Ricostruzione: capire per raccontare 9 L a visita, che a 4 anni dal terremoto del 6 aprile 2009 ci ha portato nei territori abruzzesi della provincia de L’Aquila, in particolare a Onna, Tempera, Paganica, Camarda, Assergi, ci mostra le soluzioni abitative che la Protezione Civile Nazionale ha fornito ai cittadini: MAP Moduli Abitativi Provvisori e C.A.S.E. Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili. Le prime abitazioni ad essere state consegnate sono i MAP, la cui costruzione è iniziata prima di conoscere le reali necessità abitative, fotografate con il censimento dell’agosto 2009. Si tratta di blocchi abitativi ad 1 o 2 piani assegnati in base al numero dei componenti della famiglia. Questi tipi di edifici sono limitrofi al vecchio paese, ancora visibilmente distrutto e sono posizionati in modo da ricreare una piccola città, senza però prevedere servizi e spazi di socialità. Gli unici presenti sul territorio sono i MEP (Moduli Ecclesiastici Provvisori) e i MUSP (Moduli Unità Scolastiche Provvisori). I criteri di distribuzione dei servizi sono risultati ambigui, tant’è che alcuni asili sono stati costruiti dove non ce ne era bisogno. Non sono presenti nemmeno esercizi commerciali di alcun tipo che possano garantire l’autonomia e la ripresa della comunità locale. I primi MAP inaugurati sono stati quelli di Onna e quelli presenti sul percorso che dall’aereoporto di Preturo conducono a questo paese, passando per Bazzano. La Provincia Autonoma di Trento ha donato le case di Onna, il paese mediaticamente più conosciuto perchè in occasione del G8 (8-10 luglio 2009) ha ospitato i leader dei Paesi partecipanti, 10 diventando teatro di promesse per una ricostruzione mai avvenuta. Per questo motivo molti ritengono che i MAP presenti su questo territorio siano di una qualità migliore rispetto a tutti gli altri, infatti già a prima vista si notano maggiori aree verdi, differenze nella qualità dei materiali (tetti in legno e non di lamiera come tutti gli altri) e spazi più ampi tra le abitazioni. In altre località, come Tempera, invece, sono stati riportati casi di evacuazione dai MAP a causa di cedimenti strutturali. Sono stati segnalati, inoltre, problemi nell’assegnazione dei MAP che in alcuni casi ha richiesto anni, soprattuto per i cittadini singoli. Molte delle criticità che sono state descritte si trovano anche nei complessi C.A.S.E in cui sono stati sistemati 12900 abitanti, a fronte dei 7200 nei MAP. L’Unione Europea ha messo a disposizione dei fondi per la costruzione di abitazioni temporanee. A L’Aquila con il progetto C.A.S.E. si è arrivati al paradosso che le abitazioni provvisorie sono costate tre volte quelle definitive. Una delle anomalie riscontrate è la presenza di un sistema di isolatori sismici (non collaudati ed in alcuni casi senza le prestazioni richieste), su cui sono state relizzate abitazioni prefabbricate già antisismiche. Per giustificare l’innalzamento dei costi la Protezione Civile Nazionale ha dichiarato che, a causa dei lunghi tempi di ricostruzione previsti, (almeno 20 anni) era necessario mettere a disposizione alloggi più duraturi. Nonostante questo, risultano casi a Sassa di abitazioni evacuate per allagamenti e incendi. Queste due tipologie di sistemazione risultano avere un costo di 2700 Euro al MQ (esclusi i costi del terreno) per progetto C.A.S.E. e 800-1000 Euro al MQ per i MAP. Esistono, tuttavia, delle alternative, ad esempio il progetto EVA (Eco Villaggio Autocostruito). Si tratta di un gruppo di 5 abitazioni, situate a Pescomaggiore, che rappresenta una esperienza unica, nata dall’esigenza 11 di alcuni cittadini abruzzesi di trovare una alternativa agli affitti proibitivi della zona. Queste case sono autocostruite, senza aver ricevuto fondi post emergenza. Sono stati utilizzati materiali naturali a basso costo ( paglia e legno ), che hanno permesso la realizzazione di un villaggio ecosostenibile dalle modalità di costruzione, al riutilizzo dell’acqua piovana, fino alla scelta di condividere gli strumenti per coltivare. Molte di queste sono completate e già abitate, poiché informalmente, nell’immediato post terremoto, era stato concesso di costruire su terreno non edificabile. A distanza di 4 anni, tuttavia,ancora mancano i permessi per regolarizzare definitivamente sia le case che l’ impianto di fitodepurazione. In conclusione, possiamo affermare che la costruzione di MAP e C.A.S.E. ha ridisegnato la mappa del territorio locale, modificando le abitudini della popolazione in maniera significativa. Se prima il centro storico era il punto di riferimento della vita degli aquilani, ora sono costretti a vivere in quartieri dormitorio, totalmente isolati. I nuovi complessi abitativi sono stati organizzati con la volontà di distruggere i legami esistenti, infatti, la popolazione è stata distribuita senza tenere in considerazione la provenienza originaria. Camminando tra questi “quartieri” si nota che le vie create ex-novo, con nomi che suggeriscono un’idea di solidarietà ( Via della Ricostruzione ), sono semideserte. Il traffico sulle strade in direzione dei nuovi centri commerciali, prima del terremoto non utilizzati, invece è aumentato. Anche i mezzi pubblici hanno modificato i loro percorsi, tuttavia i collegamenti tra i nuovi centri sono scarsi, aggravando l’isolamento. Le conseguenze di questa frattura a livello sociale sull’identità sono devastanti. E’ difficile riuscire a riconoscersi in una comunità che è stata completamente smembrata e privata delle proprie tradizioni e del proprio territorio. Basti pensare che le utenze telefoniche non sono state disattivate ma in molti casi riassegnate senza logica. Non a caso l’alcolismo tra i giovani è aumentato, così come l’uso di antidepressivi. Anche il numero dei suicidi risulta maggiore rispetto a prima. Questa visita è stata utile per comprendere che la ricostruzione non è avvenuta come i media nazionali hanno voluto farci credere. Ciò dimostra la necessità di una informazione indipendente proveniente dal basso, che racconti la realtà dei fatti, obiettivo del campo di mediattivismo. 12 I nodi della rete I l quinto giorno di campo ha avuto inizio con un laboratorio di informatica dal titolo “I nodi della rete” tenuto da Marco Pantò, presidente della Linuxshell. L’argomento “network” era già stato introdotto la sera prima con la visione del documentario “We are Legion” incentrato su Anonymous e la “carica esplosiva” dei suoi attacchi. Durante l’incontro, Marco, ha cercato di “svelarci” i segreti della rete, mostrandoci le sue potenzialità ma anche le sue insidie. Il web che di per sé è uno strumento anarchico è popolato da diversi soggetti che cercano di utilizzarlo per ogni sorta di finalità, ed è quindi indispensabile avere gli strumenti adeguati per proteggersi e agire di conseguenza. Pantò inizialmente ci ha chiarito le differenze tra il sistema operativo Linux e i più comuni sistemi proprietari come Windows della Microsoft e iOS della Apple. Il primo è un software aperto, in cui chiunque può creare delle applicazioni, fruirne e migliorarle poiché vengono rilasciate tramite codice open source e messe in circolazione gratuitamente. Ad esempio il sistema Android si basa su Linux e il suo successo è dovuto al fatto che viene sviluppato da un’intera comunità. I software per gli altri sistemi operativi al contrario sono a pagamento, a codice ‘chiuso’, vulnerabili e potenzialmente 13 pericolosi per l’utente e la sua privacy. Attualmente, i dati personali immessi in rete e nei vari social network possono essere utilizzati e venduti a qualsiasi soggetto (politico, economico) per le finalità più disparate. Uno dei punti focali della discussione è stato l’“Hacktivismo”, termine che indica una pratica di azione informatica diretta come ad esempio il corteo telematico e il netstrike (lo sciopero virtuale). Gli hacktivisti agiscono mettendo a disposizione tutte le risorse, il know-how e gli strumenti di comunicazione. Il loro lavoro si concretizza nei server indipendenti e autogestiti come quello Tor (the onion router), un sistema di comunicazione anonima per internet in cui l’utente è reso protagonista perchè può contribuire alla crescita della rete stessa. Molti non sono a conoscenza di questi programmi di criptazione e dei mercati contenuti all’interno di esso. Nel cosiddetto “deep web”, infatti, esiste un sito, “Silk road”, in cui è possibile acquistare la merce più disparata, dalle armi agli organi alle sostanze stupefacenti con la moneta virtuale: il “bitcoin”. Questo tipo di pagamento è difficilmente tracciabile vista la complessità dell’algoritmo. Marco ha concluso consigliandoci la massima attenzione durante l’utilizzo del web cercando di fruirne in maniera attenta e disincantata. 14 Anche l’occhio vuole la sua parte A l campo di mediattivismo organizzato da Libera, l’archivista di La 7, Giulio Toffoli spiega ai partecipanti al campo di volontariato e studio l’importanza e l’uso delle immagini nell’informazione televisiva. La costruzione di un video parte con l’assegnazione della notizia al giornalista che scriverà l’articolo chiedendo immagini all’archivista. Le immagini che lui fornirà per la notizia possono provenire o dall’archivio digitale(attivo a La7 da circa cinque anni) proprio dall’emittente o da agenzie video come la Aptm e la Routers che le fornirà tramite abbonamento. Sempre più spesso però, i giornalisti prendono il materiale video da cronisti free lance e da UMG (“giornalisti non professionisti”) attraverso il canale Youtube. Il materiale reperito da quest’ultimo però, spesso viene usato impropriamente poichè l’autore che ha caricato il video non ne è a conoscenza dell’uso che il giornalista potrà farne. Ogni giornalista, dunque, dovrebbe correttamente specificare la fonte, ma questo accade ancora raramente. A questo punto bisogna mettere insieme i vari pezzi del servizio, associando il testo ad immagini, che spesso sono di repertorio, cioè non sono state prodotte ad hoc ma sono già state girate precedentemente. La scelta delle immagini all’interno di un servizio giornalistico è un momento di grande responsabilità in quanto l’immagine non è mai neutrale ma è portatrice di molteplici significati. Ad esempio, per rappresentare degli extracomunitari spesso si usano immagini di barconi di migranti o di lavoratori 15 stagionali. Questo uso dell’immagine spesso può portare alla creazione di pregiudizi, semplificazioni e stereotipi che influenzano l’opinione pubblica, talvolta intenzionalmente, altre senza volerlo. Avere un archivio completo e ben organizzato d’immagini, consente la messa in onda quotidiana di numerosi servizi televisivi nei telegiornali ma anche in trasmissioni di approfondimento. Il lavoro dell’archivista all’interno di una redazione giornalistica, dunque, è fondamentale. Non è possibile, infine, realizzare un buon servizio giornalistico per la televisione se l’operatore non conosce il linguaggio delle immagini: una ripresa, infatti, può avere l’obiettivo di documentare un fatto e/o di assumere un significato metaforico. Esistono vari tipi di inquadrature e ciascuna può servire a esprimere i diversi aspetti di una situazione. Quando riprendiamo un soggetto possiamo, ad esempio, scegliere un’ inquadratura fissa o in movimento. Rispettare gli spazi, i piani, i punti di vista e la profondità (attraverso la cosiddetta “ripresa a schiaffo”) sono passaggi fondamentali per realizzare buone immagini televisive. Con la telecamera possiamo anche produrre immagini in movimento (camera car) e carrellate. Per riempire un servizio giornalistico sono indispensabili i cosiddetti “fegatelli” ovvero i dettagli di immagini che servono a intervallare le diverse inquadrature. Quando l’operatore termina la ripresa delle immagini necessarie a raccontare un evento, un fatto, una situazione, invia il materiale raccolto al montatore che è un professionista in grado di creare un significato completo fra immagini e parole. Il montaggio è un’alternanza tra totale e dettagli. Complessivamente il servizio giornalistico televisivo è formato per 3/4 da immagini fisse e il resto da quelle in movimento. Ogni inquadratura fissa non può durare per più di 5 secondi e sarà l’alternanza fra le diverse riprese a dare un ritmo al servizio. Si può creare significato, dunque, cambiare il senso di una notizia, condizionare il telespettatore soprattutto attraverso un uso distorto o parziale delle immagini. Il buon giornalismo televisivo deve quindi fare un uso responsabile e attento delle riprese video con la stessa attenzione che dovrebbe dedicare alle parole. 16 L’odore dell’ inchiostro N ei mesi successivi al terremoto de L’Aquila del 2009, l’informazione non ha fornito una visione completa della situazione, ma ha privilegiato solo alcuni luoghi e storie e tralasciato invece il quadro complessivo reale. Il giornalista Angelo Venti ha provato a rimediare alla mancanza di circolazione delle notizie, organizzando la pubblicazione di un ciclostile da distribuire agli aquilani. In precedenza aveva già adoperato questo tipo di strumento per realizzare una serie di ciclostilati da allegare all’edizione cartacea di site.it, un giornale online da lui fondato. e diretto. Il ciclostile è un vecchio sistema di stampa di tipo meccanico, che utilizza una matrice (stencil) per trasferire l’inchiostro sulla carta. Questo metodo ormai non viene più usato, ma si è dimostrato utile dopo il terremoto quando, localmente, non vi erano più i luoghi fisici e gli strumenti per poter pubblicare un giornale. Nonostante si tratti di un mezzo obsoleto, in Abruzzo nei primi anni 2000 è stato più volte sfruttato per delle piccole pubblicazioni autoprodotte, come ben racconta il documentario di Haydir Majeed, regista e sceneggiatore iracheno ora residente ad Avezzano (AQ). Il film “L’odore dell’inchiostro” descrive, utilizzando l’espediente narrativo di Don Chisciotte che segue una cinquecento gialla per le strade di tutta la Marsica, l’incontro con varie persone che, nelle loro realtà 17 locali, hanno deciso di fare informazione. Sono ritratti di persone normali con la voglia di fare qualcosa per la comunità in cui vivono: falegnami, lavoratori precari, studenti, fabbri, casalinghe e impiegati, pensionati e pastori. Come loro anche noi abbiamo provato ad utilizzare questo mezzo per creare una pubblicazione che descrivesse il campo di mediattivismo. Sei volontarie si sono proposte per contribuire alla sua realizzazione, scrivendo ciascuna un articolo che parlasse di un aspetto significativo dell’esperienza che stiamo vivendo: da cos’è il campo, ai motivi della sua ubicazione a L’Aquila, dalla descrizione dei partecipanti e dei relatori, ai numeri di questa seconda edizione. Dopo la parte di produzione si è passati alla fase di impaginazione a computer e di stampa. Il risultato è un foglio stampato fronte-retro in 500 copie e realizzato con il metodo del ciclostile. Non è stato un esperimento o un esercizio didattico di tipo giornalistico fine a sé stesso: il frutto dell’impegno dei giovani mediattivisti del campo è stato distribuito nel centro della città agli aquilani, che ci hanno accolto con molta gentilezza e curiosità. L’intento è quello di farsi conoscere e far capire le ragioni per cui siamo venuti qui: perchè il mediattivismo è utile solo se usato per divulgare e per raggiungere più persone possibili. 18 Le parole sono importanti I ncontriamo Eleonora Camilli, giornalista di Redattore Sociale – agenzia di stampa che si occupa di temi sociali – e Raffaella Cosentino, giornalista freelance di Repubblica. Parliamo di agenzie di stampa e dell’importanza dell’uso corretto delle parole da parte dei mezzi di informazione. Il linguaggio nella comunicazione mediatica è fondamentale, può determinare il significato del messaggio che viene trasmesso; abbiamo preso a esempio la parola clandestino, il cui significato è in origine “ciò che si nasconde alla luce del sole”. Inizialmente questa parola era usata solamente come aggettivo, chiaramente dispregiativo (es. bisca clandestina), ma in tempi recenti è stata sostantivata divenendo sinonimo di immigrato. Viene quindi utilizzata impropriamente per indicare persone immigrate regolari e irregolari senza distinzione, fomentando un sentimento negativo verso chiunque sia straniero in Italia. Anche la parola nomade spesso viene usata in modo improprio: le popolazioni cosiddette nomadi sono stanziali da tempo; inoltre il termine è improprio anche per indicare i Rom. Per approfondire il tema, possiamo leggere il libro Parlare civile, curato fra gli altri da Raffaella Cosentino, dove si affrontano 25 termini che sono a rischio discriminazione. Eleonora Camilli ci ha illustrato il percorso della notizia prima che venga pubblicata dai giornali. La notizia viene trasmessa ai giornali attraverso le agenzie di stampa (come Ansa, Adnkronos...). La notizia emessa da un’agenzia di stampa deve essere: corretta, scritta in un linguag- 19 gio chiaro, imparziale. Il giornalista dovrebbe sempre controllare la notizia nonostante la veridicità di essa venga data per scontata data l’autorevolezza dell’agenzia di stampa. Il titolo ha un ruolo fondamentale nell’agenzia, solitamente massimo 70 battute: in esso deve essere contenuto la notizia. Le notizie delle agenzie di stampa vengono raccolte e selezionate dai giornalisti tramite un programma, Telpress, un portale gestionale dove scorrono i lanci delle varie agenzie. L’esercitazione pratica, invece, si è svolta in due momenti separati. In una prima battuta ci è stata offerta la possibilità di dilettarci nella scrittura creativa attraverso l’analisi di un articolo del settimanale “Internazionale” pubblicato lo scorso inverno al quale avremmo dovuto “ispirarci” per la creazione di tre tweet con perti- nenti hashtag, un “lancio” di agenzia o un articolo di giornale o in alternativa creare una notizia per radio o tv. La pratica con i laboratori è proseguita con la simulazione dell’organizzazione di un ufficio stampa per quattro tipologie di eventi. L’ultima ora passata insieme a Eleonora e Raffaella è stata dedicata alla stesura di due articoli per agenzia e si è conclusa con un confronto sull’efficacia della titolazione ai fini del “lancio” giornalistico. Per vendere al meglio una notizia, sia ai lettori che ai giornalisti, il titolo deve essere accattivante, sintetico ma riassuntivo e oggettivo. La creazione di un buon titolo determina la pubblicazione di una notizia, molti articoli che non rispettano questi criteri, rischiano di non essere letti o addirittura di essere dimenticati. 20 Vittorio Arrigoni fra attivismo e mediattivismo 21 A partire da quest’anno il campo di mediattivismo organizzato da Libera per E!state Liberi porterà il nome di Vittorio Arrigoni, attivista per i diritti umani morto a Gaza nel 2011. Perché Vittorio? Perché la sua storia ha un forte valore simbolico: dimostra come persone comuni che fanno il loro dovere secondo coscienza e al meglio delle loro possibilità (capacità) possono contribuire in prima persona al cambiamento. La scelta di vivere esperienze forti (d’impegno civile e politico) in scenari di crisi come Bosnia, Congo, Cisgiordania e infine Gaza, ha inciso profondamente sul suo modo di vedere e far vedere il mondo, e di concepire l’attivismo. Convinto assertore della necessità di raccontare l’impegno (in favore del) rispetto dei diritti umani per renderle tale impegno più incisivo, ha dimostrato di avere sia il talento sia le competenze per farlo. Arrivato nel 2008 a Gaza via mare, nel corso di un’iniziativa organizzata da pacifisti palestinesi e israeliani per dare rilevanza all’embargo cui la Striscia è da anni sottoposta, Vittorio decide di stabilirsi qui come volontario dell’ISM (International Solidarity Movement), svolgendo di fatto la funzione di scudo umano in favore della popolazione, ripetutamente oggetto di violenze. Il suo attivismo si trasforma in mediattivismo quando inizia a rendere pubblica giornalmente la propria testimonianza sotto forma di articoli e video. durante l’operazione militare israeliana “Piombo Fuso” il suo diventa il blog italiano più seguito. Vittorio è uno dei sei operatori internazionali decisi a rimanere nonostante la situazione e racconta una Gaza bombardata con armi non convenzionali dalle forze armate israeliane per 3 settimane e il dramma di una popolazione di un milione e mezzo di persone su una striscia di terra di 6km per 3, impossibilitata a scappare presa tra il Muro e il mare. Di giorno fa lo scudo umano sulle ambulanze e di sera trova sempre il modo, nonostante i black-out, di riportare le informazioni sullo stato delle cose. Si offre di raccontare per le testate italiane la cronaca di quei giorni, ma solo il Manifesto pubblica la sua testimonianza diretta sul luogo. Sopravvissuto a quei giorni, pur essendosi esposto al fianco della popolazione civile ad ogni tipo di rischio, Vittorio diventa una figura autorevole, di riferimento per molti palestinesi come anche per attivisti e mediattivisti di tutto il mondo, simbolo di uno spirito che non si piega, forte delle proprie idee, incapace di indifferenza. Questo, e la sua determinazione a documentare i fatti, lo trasforma in un bersaglio, sempre più scomodo. Quando nel 2011 anche a Gaza la popolazione vive la propria primavera araba, scendendo in strada per chiedere la riconciliazione tra i partiti Hamas e Fatah – che ha, se possibile, aggravato la condizione dei territori occupati – Vittorio esprime il proprio appoggio ai cittadini, e diventa una presenza scomoda non più soltanto per Israele. Il 14 aprile viene rapito e di lì a poche ore ucciso. Vittorio sosteneva che per essere credibili bisogna avere cuore e rispetto e che per raccontare i fatti è necessario dirli con chiarezza, dirli veri e dirli subito. La sua morte, ma soprattutto la sua vita ha risvegliato tante coscienze e prodotto nuovi attivisti, dato voce a chi una voce non ce l’ha e – per il tempo che gli è stato concesso – riempito con talento e competenza un vuoto informativo ingiustificabile. 22 S treet Art. Neologismo coniato dal giornalismo per descrivere tutte quelle forme d’arte urbana, manifestazione della nostra scomposita e disorganica generazione. Oggi al campo di media attivismo di Paganica é venuto Bros, artista writer milanese, che ci ha brevemente illustrato le ragioni che spingono molti ad esprimersi attraverso questa tecnica e subito ne é seguita la messa in pratica. Abbiamo infatti realizzato due lavori: nel primo si legge “La cultura sveglia le coscienze”, frase di Don Ciotti che d’ora in avanti rimarrà impressa sul muro della biblioteca della Polisportiva Paganica Rugby, sperando che possa rappresentare la traccia di noi e del nostro Mediattivismo per tutti quelli passeranno da qui. Il secondo, invece, rappresenta noi, le nostre sagome tutte slanciate verso l’alto, verso la scritta “LIBERA” che ci sovrasta. Le sagome piene di lettere, piene di parole, in una confusione che cerca di risolversi nella nostra partecipazione e nel nostro impegno; ma anche - perché no - in vernici colorate nelle nostre mani. Street art 23 24 Il corpo e la mente: occupare lo spazio sociale Q ualcuno ha detto che il mestiere che richiede maggiore precisione in assoluto, dopo quello del chirurgo, è quello dell’attore: tutto ricerca e dedizione. Quando ci si dà alla recitazione, la prima cosa che si apprende è la necessità di abbandonare i pregiudizi nei confronti degli altri e di se stessi: in prova e in scena, nessuno giudica nessuno. Si scopre, allora, che ogni movimento ed ogni parola hanno un inizio e una fine solo quando sono guidati dalla nostra specifica volontà, e che la postura e il linguaggio non verbale contribuiscono a esprimere il nostro pensiero, non di rado entrando in contraddizione con le parole e mettendoci a nudo agli occhi di un esperto. Anche il volume e il tono della voce sono spesso fuori controllo nella vita quotidiana, e vanno addomesticati per servirsene al meglio. Lo spazio diventa un’entità con cui relazionarsi, anche in rapporto “all’Altro”, e si impara a tenere in considerazione la possibilità di osservare le cose e compiere azioni sfruttando punti di vista differenti. Ascoltare il proprio corpo diventa imprescindibile per comprendere le sue particolarità e servirsene per comunicare in modo più efficace. Il palcoscenico in tal senso, dispensa 25 – per chi li sa cogliere – consigli di grande utilità da seguire in qualsiasi altra forma di interazione e comunicazione. In particolare, per chi fa informazione e comunicazione di qualità: nel dovuto contesto, si possono esprimere giudizi, purché siano frutto di un approfondito lavoro di ricerca e dedizione, e non di meri pregiudizi; va tenuto presente che il destinatario di qualsiasi tipo di informazione/comunicazione è sempre l’Altro, e che le eventuali ripercussioni derivanti dai contenuti espressi vanno sempre ed in ogni caso ponderate; qualsiasi concetto deve avere una struttura lineare che abbia un inizio e una fine, e non ingeneri contraddizioni; esistono, poi, diversi registri di linguaggio da conoscere, per scegliere il più adatto alla natura dell’informazione/comunicazione; i punti di vista sono infine innumerevoli e vanno tenuti di conto quando si interpreta la realtà, perché spesso la verità emerge dai dettagli non visibili ad un primo sguardo. Il Campo di Mediattivismo “Vittorio Arrigoni” quest’anno ha regalato anche questo, attraverso il corpo e la mente: occupare lo spazio sociale, un laboratorio teatrale tenuto da Tiziana Irti, coach teatrale e membro dell’Associazione “Arti e Spettacolo”. 26 INTERVENTI DI: PAOLO BATTAGLIA Presidio Libera L’Aquila Bros Writer Eleonora Camilli Giornalista presso Redattore Sociale Luca Cococcetta Regista e videomaker Raffaella Maria Cosentino Giornalista e tra gli autori di “Parlare civile” Marco Donatiello Fotografo professionista presso DP Studio MARCO D’ANTONIO Fotoreporter MARCO DE GENNARO Esperto di Informatica Tiziana Irti Coach teatrale CRISTINA IOVENITTI Presidio Libera L’Aquila Haydir Majeed Regista Elisabetta Ognibene Direttore creativo dello studio di comunicazione e immagine Avenida Marco Pantò Presidente della Linux Shell Italia Alberto Puliafito Regista e documentarista SERGIO ROTELLINI Polisportiva Paganica Rugby Giulio Toffoli Archivista video La7 Angelo Venti Direttore di Site.it “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie” Via Quattro Novembre, 98, 00187 Roma Tel. 06/69770301 /2 /3 Fax 06/6783559 Mail: [email protected] 27 Zennaro Giulia - Stancanelli Stefania - Tagliapietra Irene - Battiston Valentina - Nigrelli Martina Bava Elena Sofia - Ottino Viola - Ferrari Ilaria - Caprotti Anna - Raffetti Tita - Farano Françoise - Taci Marco - De Angelis Lorenzo - De Vita Giulia - Samaritani Alessandro - Giovanelli de’ Noris Carlo Maria Bresciani - Fortezza Vito - Cucchi Francesca -Marazzini Virginia 28