Scarica il kit sulla comunicazione realizzato durante il campo

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RELAZIONE OLONTARIATO E MEDIA
CAMPO DI V Q) LUGLIO 2013
PAGANICA (A
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A L’Aquila
il terremoto
quattro anni
dopo
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A
quattro anni dal terremoto
de L’Aquila 20 ragazzi provenienti da tutta Italia hanno
incontrato il presidio locale di
Libera per capire cos’è accaduto durante e dopo la notte del 6 aprile 2009.
Le scosse si sono verificate durante i
sei mesi precedenti senza che l’autorità
competente prendesse i provvedimenti
necessari ad affrontare l’emergenza.
Una commissione di esperti ha sempre
rassicurato la popolazione nonostante
fossero consapevoli delle condizioni di
pericolosità di alcuni edifici cittadini,
tra cui la casa dello studente e la prefettura. Quest’ultima era paradossalmente la struttura adibita al coordinamento
dei soccorsi in caso di sisma.
Finché una notte la terra tremò davvero. Di quell’esperienza ogni aquilano ha una storia da raccontare. Paolo
Battaglia, volontario del Presidio, commenta: “Non ci siamo subito resi conto
della gravità della situazione. Per noi
il vero terremoto è cominciato il giorno seguente e non è ancora finito”. La
mattina del 7 aprile sono cominciati ad
arrivare i soccorsi: i primi sono stati i
volontari della protezione civile delle
Marche, che si sono trovati davanti a
una situazione tragica senza avere le
risorse e gli spazi necessari per affrontarla. Inoltre la persona che avrebbe
dovuto occuparsi dell’emergenza è deceduta nel crollo del palazzo della Prefettura.
Il giornalista e referente regionale di
Libera in Abruzzo, Angelo Venti, spiega: “Da subito si è notata una gestione
anomala dell’emergenza”. L’organizzazione è stata data in mano a una struttura autonoma della Protezione Civile,
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la Dicomac (Direzione di Comando e
Controllo), che di fatto ha esautorato i
poteri degli enti locali.
L’intervento ha previsto, al contrario
di quanto indicato dal manuale della
Protezione Civile, lo spostamento immediato di una parte dei cittadini sulla
costa (ca. 30.000 ab.); gli altri sono stati
sistemati nelle tendopoli. La decisione
di abbandonare la città non ha seguito
un criterio di necessità ma è stata lasciata agli stessi aquilani, che si trovavano
in una situazione psicologica fragile.
Solo alcuni nuclei familiari hanno preferito allestire dei piccoli campi spontanei autogestiti. Marco D’Antonio,
fotoreporter e volontario di Libera, ci
racconta che sono state fatte pressioni prima per allontanarsi dalla città e,
una volta esaurito il numero di posti
disponibili nei residence al mare, per
confluire tutti nei campi controllati
dall’autorità.
Al loro interno, le persone sono state
suddivise in tende da dieci, assegnate
senza nessun criterio. Sono stati forni-
ti i beni di prima necessità, dal cibo ai
vestiti, agli aiuti psicologici. Nonostante la buona fede dei volontari, si è assistito ad una militarizzazione dei soccorsi: orario di coprifuoco, necessità di
mostrare i documenti in entrata e in
uscita, privazione di sostanze eccitanti,
come cioccolata e caffè, impossibilità
di ricevere tutti i giornali, se non quelli
autorizzati. Sono stati contattati operatori sociali per tenere alto il morale degli sfollati. Paolo Battaglia, laureato in
psicologia, spiega come gli stessi psicologi destinati al sostegno degli sfollati,
in realtà abbiano semplicemente raccolto informazioni senza poter svolgere
un lavoro terapeutico, perché di fatto
venivano sostituti ogni quindici giorni.
Questo sistema ha prodotto diffidenza
tra gli stessi concittadini, contrapposta a un sentimento di gratitudine nei
confronti della Protezione Civile. Ciò
ha contribuito a disgregare il tessuto
sociale, privando gli aquilani della loro
identità e della capacità di reagire.
Diversamente dalla gestione di altri ter-
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remoti, il periodo di permanenza nelle tendopoli si è protratto per circa sei
mesi, aumentando la difficoltà di ripartire con le attività economiche e commerciali. Cristina Iovenitti, aquilana e
testimone di quei momenti, pone fra
le cause di questa stagnazione la precisa volontà delle autorità di impedire
che sorgessero delle necessità e che si
formasse del malcontento tra la gente:
“Come si fa a ricostruire se parte della
popolazione è lontana e al resto viene
fornito tutto ciò che serve, sapendo in
anticipo quali sarebbero state le esigenze grazie al lavoro degli psicologi?”
La mancanza della coesione sociale è
stata incrementata dalla scarsa circolazione di adeguate informazioni rispetto all’effettiva gestione del sistema
emergenziale. Non è stata fornita una
visione complessiva della situazione, al
contrario è stata aumentata la rivalità
fra chi è rimasto e chi invece se n’è andato.
Angelo Venti ci racconta che per sopperire alla mancanza di circolazione di
informazioni complete, ha organizzato la pubblicazione di un ciclostile da
distribuire agli aquilani. Il giornale ha
raggiunto i campi di nascosto e solo
grazie a persone fidate. Non sempre le
reazioni sono state positive, i giornalisti
e i collaboratori, infatti, non hanno goduto di una credibilità immediata perché accusati di essere disfattisti.
Nemmeno dall’esterno c’è stata una
risposta tempestiva. Nonostante nel ciclostile sia stato pubblicato un appello
rivolto ai giornalisti di tutta Italia a recarsi a L’Aquila per verificare lo stato
effettivo delle cose, la comunicazione
ha continuato ad essere lacunosa. L’unico messaggio che è passato per i canali nazionali e internazionali è stato
veicolato dalla stessa Protezione Civile,
che ha concentrato l’attenzione su determinate zone (es. Onna) dove l’impiego di risorse è stato maggiore.
La distorsione dell’informazione è
valsa anche per il periodo successivo,
durante il quale è stato approvato e realizzato il piano C.A.S.E. . Si tratta di
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alloggi, concepiti come provvisori, il cui
costo si è aggirato sui 2800 euro al mq. Paradossalmente, il rimborso previsto per la
restaurazione delle vecchie abitazioni è di
1300 euro al mq.
La logica di tale progetto è stata da una
parte mediatica (fare campagna elettorale)
e dall’altra speculativa. La grande autonomia concessa alla Protezione Civile con a
capo, Guido Bertolaso, considerato lo stato
di emergenza, ha permesso di accedere al
credito ed affidare i lavori di costruzione,
senza nessun tipo di controllo e agirando
le leggi ordinarie. Gli alloggi sono stati costruiti lontano dal centro, in zone prive dei
servizi essenziali, in modo da poter speculare ulteriormente sulla loro realizzazione.
Dopo quattro anni le famiglie si trovano
nella medesima situazione, continuando
ad abitare in case non di loro proprietà,
tutte uguali, non avendo la libertà di personalizzare lo spazio in cui vivono.
Il contratto di assegnazione prevede una
serie di vincoli, tra cui l’impossibilità di
abbandonare l’alloggio per più di quindici
giorni senza comunicarlo o invitare degli
ospiti.
“Noi abbiamo criticato gli interventi fin
dall’inizio.” dice Cristina Iovenitti “ Quello
che si sarebbe dovuto fare, sarebbe stato,
dopo aver allestito le tendopoli, convogliare la popolazione in container molto
più economici del piano C.A.S.E. . I fondi risparmiati si sarebbero potuti investire
nella ricostruzione del vecchio centro cittadino”.
Il cuore de L’Aquila si è fermato nel silenzio dell’informazione generalista, distruggendo l’identità di una comunità intera.
Per gli abitanti la ripresa rimane ancora
una prospettiva lontana.
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Ricostruzione:
capire per
raccontare
9
L
a visita, che a 4 anni dal terremoto del 6 aprile 2009 ci ha portato
nei territori abruzzesi della provincia de L’Aquila, in particolare
a Onna, Tempera, Paganica, Camarda,
Assergi, ci mostra le soluzioni abitative
che la Protezione Civile Nazionale ha
fornito ai cittadini: MAP Moduli Abitativi Provvisori e C.A.S.E. Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili.
Le prime abitazioni ad essere state consegnate sono i MAP, la cui costruzione
è iniziata prima di conoscere le reali
necessità abitative, fotografate con il
censimento dell’agosto 2009. Si tratta di
blocchi abitativi ad 1 o 2 piani assegnati
in base al numero dei componenti della
famiglia.
Questi tipi di edifici sono limitrofi al vecchio paese, ancora visibilmente distrutto
e sono posizionati in modo da ricreare
una piccola città, senza però prevedere
servizi e spazi di socialità. Gli unici presenti sul territorio sono i MEP (Moduli
Ecclesiastici Provvisori) e i MUSP (Moduli Unità Scolastiche Provvisori).
I criteri di distribuzione dei servizi sono
risultati ambigui, tant’è che alcuni asili
sono stati costruiti dove non ce ne era
bisogno. Non sono presenti nemmeno
esercizi commerciali di alcun tipo che
possano garantire l’autonomia e la ripresa della comunità locale.
I primi MAP inaugurati sono stati quelli
di Onna e quelli presenti sul percorso
che dall’aereoporto di Preturo conducono a questo paese, passando per Bazzano. La Provincia Autonoma di Trento
ha donato le case di Onna, il paese mediaticamente più conosciuto perchè in
occasione del G8 (8-10 luglio 2009) ha
ospitato i leader dei Paesi partecipanti,
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diventando teatro di promesse per una
ricostruzione mai avvenuta.
Per questo motivo molti ritengono che i
MAP presenti su questo territorio siano
di una qualità migliore rispetto a tutti
gli altri, infatti già a prima vista si notano maggiori aree verdi, differenze nella
qualità dei materiali (tetti in legno e non
di lamiera come tutti gli altri) e spazi più
ampi tra le abitazioni.
In altre località, come Tempera, invece,
sono stati riportati casi di evacuazione
dai MAP a causa di cedimenti strutturali.
Sono stati segnalati, inoltre, problemi
nell’assegnazione dei MAP che in alcuni casi ha richiesto anni, soprattuto per i
cittadini singoli.
Molte delle criticità che sono state descritte si trovano anche nei complessi
C.A.S.E in cui sono stati sistemati 12900
abitanti, a fronte dei 7200 nei MAP.
L’Unione Europea ha messo a disposizione dei fondi per la costruzione di abitazioni temporanee.
A L’Aquila con il progetto C.A.S.E. si è
arrivati al paradosso che le abitazioni
provvisorie sono costate tre volte quelle
definitive. Una delle anomalie riscontrate è la presenza di un sistema di isolatori sismici (non collaudati ed in alcuni
casi senza le prestazioni richieste), su cui
sono state relizzate abitazioni prefabbricate già antisismiche.
Per giustificare l’innalzamento dei costi
la Protezione Civile Nazionale ha dichiarato che, a causa dei lunghi tempi di ricostruzione previsti, (almeno 20 anni)
era necessario mettere a disposizione
alloggi più duraturi.
Nonostante questo, risultano casi a Sassa
di abitazioni evacuate per allagamenti e
incendi.
Queste due tipologie di sistemazione risultano avere un costo di 2700 Euro al
MQ (esclusi i costi del terreno) per progetto C.A.S.E. e 800-1000 Euro al MQ
per i MAP. Esistono, tuttavia, delle alternative, ad esempio il progetto EVA (Eco
Villaggio Autocostruito).
Si tratta di un gruppo di 5 abitazioni, situate a Pescomaggiore, che rappresenta
una esperienza unica, nata dall’esigenza
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di alcuni cittadini abruzzesi di trovare
una alternativa agli affitti proibitivi della
zona.
Queste case sono autocostruite, senza aver ricevuto fondi post emergenza.
Sono stati utilizzati materiali naturali a
basso costo ( paglia e legno ), che hanno
permesso la realizzazione di un villaggio
ecosostenibile dalle modalità di costruzione, al riutilizzo dell’acqua piovana,
fino alla scelta di condividere gli strumenti per coltivare.
Molte di queste sono completate e già
abitate, poiché informalmente, nell’immediato post terremoto, era stato concesso di costruire su terreno non edificabile. A distanza di 4 anni, tuttavia,ancora
mancano i permessi per regolarizzare
definitivamente sia le case che l’ impianto di fitodepurazione.
In conclusione, possiamo affermare che
la costruzione di MAP e C.A.S.E. ha ridisegnato la mappa del territorio locale,
modificando le abitudini della popolazione in maniera significativa.
Se prima il centro storico era il punto di
riferimento della vita degli aquilani, ora
sono costretti a vivere in quartieri dormitorio, totalmente isolati.
I nuovi complessi abitativi sono stati organizzati con la volontà di distruggere i
legami esistenti, infatti, la popolazione è
stata distribuita senza tenere in considerazione la provenienza originaria.
Camminando tra questi “quartieri” si
nota che le vie create ex-novo, con nomi
che suggeriscono un’idea di solidarietà
( Via della Ricostruzione ), sono semideserte.
Il traffico sulle strade in direzione dei
nuovi centri commerciali, prima del terremoto non utilizzati, invece è aumentato.
Anche i mezzi pubblici hanno modificato i loro percorsi, tuttavia i collegamenti
tra i nuovi centri sono scarsi, aggravando
l’isolamento.
Le conseguenze di questa frattura a livello sociale sull’identità sono devastanti.
E’ difficile riuscire a riconoscersi in una
comunità che è stata completamente
smembrata e privata delle proprie tradizioni e del proprio territorio.
Basti pensare che le utenze telefoniche
non sono state disattivate ma in molti
casi riassegnate senza logica.
Non a caso l’alcolismo tra i giovani è aumentato, così come l’uso di antidepressivi. Anche il numero dei suicidi risulta
maggiore rispetto a prima.
Questa visita è stata utile per comprendere che la ricostruzione non è avvenuta
come i media nazionali hanno voluto
farci credere.
Ciò dimostra la necessità di una informazione indipendente proveniente dal
basso, che racconti la realtà dei fatti,
obiettivo del campo di mediattivismo.
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I nodi
della rete
I
l quinto giorno di campo ha avuto
inizio con un laboratorio di informatica dal titolo “I nodi della rete” tenuto
da Marco Pantò, presidente della
Linuxshell.
L’argomento “network” era già stato introdotto la sera prima con la visione del
documentario “We are Legion” incentrato su Anonymous e la “carica esplosiva”
dei suoi attacchi.
Durante l’incontro, Marco, ha cercato di
“svelarci” i segreti della rete, mostrandoci
le sue potenzialità ma anche le sue insidie.
Il web che di per sé è uno strumento
anarchico è popolato da diversi soggetti
che cercano di utilizzarlo per ogni sorta di finalità, ed è quindi indispensabile
avere gli strumenti adeguati per proteggersi e agire di conseguenza. Pantò inizialmente ci ha chiarito le differenze tra
il sistema operativo Linux e i più comuni
sistemi proprietari come Windows della
Microsoft e iOS della Apple.
Il primo è un software aperto, in cui
chiunque può creare delle applicazioni,
fruirne e migliorarle poiché vengono
rilasciate tramite codice open source e
messe in circolazione gratuitamente. Ad
esempio il sistema Android si basa su Linux e il suo successo è dovuto al fatto che
viene sviluppato da un’intera comunità.
I software per gli altri sistemi operativi
al contrario sono a pagamento, a codice
‘chiuso’, vulnerabili e potenzialmente
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pericolosi per l’utente e la sua privacy.
Attualmente, i dati personali immessi in
rete e nei vari social network possono essere utilizzati e venduti a qualsiasi soggetto (politico, economico) per le finalità
più disparate.
Uno dei punti focali della discussione è
stato l’“Hacktivismo”, termine che indica
una pratica di azione informatica diretta
come ad esempio il corteo telematico e il
netstrike (lo sciopero virtuale). Gli hacktivisti agiscono mettendo a disposizione
tutte le risorse, il know-how e gli strumenti di comunicazione. Il loro lavoro
si concretizza nei server indipendenti e
autogestiti come quello Tor (the onion
router), un sistema di comunicazione
anonima per internet in cui l’utente è
reso protagonista perchè può contribuire alla crescita della rete stessa. Molti non
sono a conoscenza di questi programmi
di criptazione e dei mercati contenuti
all’interno di esso. Nel cosiddetto “deep
web”, infatti, esiste un sito, “Silk road”, in
cui è possibile acquistare la merce più disparata, dalle armi agli organi alle sostanze stupefacenti con la moneta virtuale:
il “bitcoin”. Questo tipo di pagamento è
difficilmente tracciabile vista la complessità dell’algoritmo.
Marco ha concluso consigliandoci la massima attenzione durante l’utilizzo del web
cercando di fruirne in maniera attenta e
disincantata.
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Anche l’occhio
vuole la sua
parte
A
l campo di mediattivismo organizzato da Libera, l’archivista
di La 7, Giulio Toffoli spiega ai
partecipanti al campo di volontariato e studio l’importanza e l’uso delle immagini nell’informazione televisiva. La costruzione di un video parte con
l’assegnazione della notizia al giornalista che scriverà l’articolo chiedendo immagini all’archivista. Le immagini che
lui fornirà per la notizia possono provenire o dall’archivio digitale(attivo a La7
da circa cinque anni) proprio dall’emittente o da agenzie video come la Aptm
e la Routers che le fornirà tramite abbonamento. Sempre più spesso però, i
giornalisti prendono il materiale video
da cronisti free lance e da UMG (“giornalisti non professionisti”) attraverso il
canale Youtube. Il materiale reperito da
quest’ultimo però, spesso viene usato
impropriamente poichè l’autore che ha
caricato il video non ne è a conoscenza
dell’uso che il giornalista potrà farne.
Ogni giornalista, dunque, dovrebbe correttamente specificare la fonte, ma questo accade ancora raramente.
A questo punto bisogna mettere insieme i vari pezzi del servizio, associando
il testo ad immagini, che spesso sono di
repertorio, cioè non sono state prodotte
ad hoc ma sono già state girate precedentemente. La scelta delle immagini
all’interno di un servizio giornalistico è
un momento di grande responsabilità in
quanto l’immagine non è mai neutrale
ma è portatrice di molteplici significati.
Ad esempio, per rappresentare degli
extracomunitari spesso si usano immagini di barconi di migranti o di lavoratori
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stagionali.
Questo uso dell’immagine spesso può
portare alla creazione di pregiudizi,
semplificazioni e stereotipi che influenzano l’opinione pubblica, talvolta intenzionalmente, altre senza volerlo.
Avere un archivio completo e ben organizzato d’immagini, consente la messa
in onda quotidiana di numerosi servizi
televisivi nei telegiornali ma anche in
trasmissioni di approfondimento.
Il lavoro dell’archivista all’interno di
una redazione giornalistica, dunque, è
fondamentale.
Non è possibile, infine, realizzare un
buon servizio giornalistico per la televisione se l’operatore non conosce il
linguaggio delle immagini: una ripresa,
infatti, può avere l’obiettivo di documentare un fatto e/o di assumere un
significato metaforico. Esistono vari tipi
di inquadrature e ciascuna può servire
a esprimere i diversi aspetti di una situazione. Quando riprendiamo un soggetto possiamo, ad esempio, scegliere
un’ inquadratura fissa o in movimento.
Rispettare gli spazi, i piani, i punti di vista e la profondità (attraverso la cosiddetta “ripresa a schiaffo”) sono passaggi fondamentali per realizzare buone
immagini televisive. Con la telecamera
possiamo anche produrre immagini in
movimento (camera car) e carrellate.
Per riempire un servizio giornalistico
sono indispensabili i cosiddetti “fegatelli” ovvero i dettagli di immagini che
servono a intervallare le diverse inquadrature.
Quando l’operatore termina la ripresa
delle immagini necessarie a raccontare
un evento, un fatto, una situazione, invia
il materiale raccolto al montatore che è
un professionista in grado di creare un
significato completo fra immagini e parole. Il montaggio è un’alternanza tra
totale e dettagli. Complessivamente il
servizio giornalistico televisivo è formato per 3/4 da immagini fisse e il resto da
quelle in movimento.
Ogni inquadratura fissa non può durare
per più di 5 secondi e sarà l’alternanza
fra le diverse riprese a dare un ritmo al
servizio.
Si può creare significato, dunque, cambiare il senso di una notizia, condizionare il telespettatore soprattutto attraverso un uso distorto o parziale delle
immagini. Il buon giornalismo televisivo
deve quindi fare un uso responsabile e
attento delle riprese video con la stessa
attenzione che dovrebbe dedicare alle
parole.
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L’odore
dell’
inchiostro
N
ei mesi successivi al terremoto
de L’Aquila del 2009, l’informazione non ha fornito una visione
completa della situazione, ma ha
privilegiato solo alcuni luoghi e storie e tralasciato invece il quadro complessivo reale.
Il giornalista Angelo Venti ha provato a rimediare alla mancanza di circolazione delle notizie, organizzando la pubblicazione di
un ciclostile da distribuire agli aquilani. In
precedenza aveva già adoperato questo tipo
di strumento per realizzare una serie di ciclostilati da allegare all’edizione cartacea di
site.it, un giornale online da lui fondato. e
diretto. Il ciclostile è un vecchio sistema di
stampa di tipo meccanico, che utilizza una
matrice (stencil) per trasferire l’inchiostro
sulla carta.
Questo metodo ormai non viene più usato,
ma si è dimostrato utile dopo il terremoto
quando, localmente, non vi erano più i luoghi fisici e gli strumenti per poter pubblicare un giornale. Nonostante si tratti di un
mezzo obsoleto, in Abruzzo nei primi anni
2000 è stato più volte sfruttato per delle piccole pubblicazioni autoprodotte, come ben
racconta il documentario di Haydir Majeed, regista e sceneggiatore iracheno ora
residente ad Avezzano (AQ).
Il film “L’odore dell’inchiostro” descrive,
utilizzando l’espediente narrativo di Don
Chisciotte che segue una cinquecento gialla per le strade di tutta la Marsica, l’incontro con varie persone che, nelle loro realtà
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locali, hanno deciso di fare informazione.
Sono ritratti di persone normali con la voglia di fare qualcosa per la comunità in cui
vivono: falegnami, lavoratori precari, studenti, fabbri, casalinghe e impiegati, pensionati e pastori.
Come loro anche noi abbiamo provato
ad utilizzare questo mezzo per creare una
pubblicazione che descrivesse il campo di
mediattivismo.
Sei volontarie si sono proposte per contribuire alla sua realizzazione, scrivendo ciascuna un articolo che parlasse di un aspetto significativo dell’esperienza che stiamo
vivendo: da cos’è il campo, ai motivi della
sua ubicazione a L’Aquila, dalla descrizione
dei partecipanti e dei relatori, ai numeri di
questa seconda edizione. Dopo la parte di
produzione si è passati alla fase di impaginazione a computer e di stampa. Il risultato
è un foglio stampato fronte-retro in 500 copie e realizzato con il metodo del ciclostile.
Non è stato un esperimento o un esercizio
didattico di tipo giornalistico fine a sé stesso: il frutto dell’impegno dei giovani mediattivisti del campo è stato distribuito nel
centro della città agli aquilani, che ci hanno accolto con molta gentilezza e curiosità.
L’intento è quello di farsi conoscere e far
capire le ragioni per cui siamo venuti qui:
perchè il mediattivismo è utile solo se usato
per divulgare e per raggiungere più persone possibili.
18
Le parole
sono
importanti
I
ncontriamo Eleonora Camilli, giornalista di Redattore Sociale – agenzia di
stampa che si occupa di temi sociali –
e Raffaella Cosentino, giornalista freelance di Repubblica. Parliamo di agenzie
di stampa e dell’importanza dell’uso corretto delle parole da parte dei mezzi di
informazione.
Il linguaggio nella comunicazione mediatica è fondamentale, può determinare il
significato del messaggio che viene trasmesso; abbiamo preso a esempio la parola clandestino, il cui significato è in origine
“ciò che si nasconde alla luce del sole”.
Inizialmente questa parola era usata solamente come aggettivo, chiaramente dispregiativo (es. bisca clandestina), ma in
tempi recenti è stata sostantivata divenendo sinonimo di immigrato.
Viene quindi utilizzata impropriamente
per indicare persone immigrate regolari e
irregolari senza distinzione, fomentando
un sentimento negativo verso chiunque
sia straniero in Italia.
Anche la parola nomade spesso viene usata in modo improprio: le popolazioni cosiddette nomadi sono stanziali da tempo;
inoltre il termine è improprio anche per
indicare i Rom.
Per approfondire il tema, possiamo leggere il libro Parlare civile, curato fra gli altri
da Raffaella Cosentino, dove si affrontano
25 termini che sono a rischio discriminazione.
Eleonora Camilli ci ha illustrato il percorso della notizia prima che venga pubblicata dai giornali.
La notizia viene trasmessa ai giornali attraverso le agenzie di stampa (come Ansa,
Adnkronos...).
La notizia emessa da un’agenzia di stampa
deve essere: corretta, scritta in un linguag-
19
gio chiaro, imparziale.
Il giornalista dovrebbe sempre controllare
la notizia nonostante la veridicità di essa
venga data per scontata data l’autorevolezza dell’agenzia di stampa.
Il titolo ha un ruolo fondamentale nell’agenzia, solitamente massimo 70 battute:
in esso deve essere contenuto la notizia.
Le notizie delle agenzie di stampa vengono raccolte e selezionate dai giornalisti
tramite un programma,
Telpress, un portale gestionale dove scorrono i lanci delle varie agenzie.
L’esercitazione pratica, invece, si è svolta
in due momenti separati. In una prima
battuta ci è stata offerta la possibilità di
dilettarci nella scrittura creativa attraverso l’analisi di un articolo del settimanale
“Internazionale” pubblicato lo scorso inverno al quale avremmo dovuto “ispirarci” per la creazione di tre tweet con perti-
nenti hashtag, un “lancio” di agenzia o un
articolo di giornale o in alternativa creare
una notizia per radio o tv.
La pratica con i laboratori è proseguita
con la simulazione dell’organizzazione di
un ufficio stampa per quattro tipologie di
eventi.
L’ultima ora passata insieme a Eleonora
e Raffaella è stata dedicata alla stesura di
due articoli per agenzia e si è conclusa
con un confronto sull’efficacia della titolazione ai fini del “lancio” giornalistico.
Per vendere al meglio una notizia, sia ai
lettori che ai giornalisti, il titolo deve essere accattivante, sintetico ma riassuntivo
e oggettivo.
La creazione di un buon titolo determina la pubblicazione di una notizia, molti
articoli che non rispettano questi criteri,
rischiano di non essere letti o addirittura
di essere dimenticati.
20
Vittorio
Arrigoni
fra attivismo
e mediattivismo
21
A
partire da quest’anno il campo di
mediattivismo organizzato da Libera per E!state Liberi porterà il
nome di Vittorio Arrigoni, attivista
per i diritti umani morto a Gaza nel 2011.
Perché Vittorio? Perché la sua storia ha
un forte valore simbolico: dimostra come
persone comuni che fanno il loro dovere
secondo coscienza e al meglio delle loro
possibilità (capacità) possono contribuire
in prima persona al cambiamento.
La scelta di vivere esperienze forti (d’impegno civile e politico) in scenari di crisi come
Bosnia, Congo, Cisgiordania e infine Gaza,
ha inciso profondamente sul suo modo di
vedere e far vedere il mondo, e di concepire l’attivismo. Convinto assertore della necessità di raccontare l’impegno (in favore
del) rispetto dei diritti umani per renderle
tale impegno più incisivo, ha dimostrato di
avere sia il talento sia le competenze per
farlo.
Arrivato nel 2008 a Gaza via mare, nel corso
di un’iniziativa organizzata da pacifisti palestinesi e israeliani per dare rilevanza all’embargo cui la Striscia è da anni sottoposta,
Vittorio decide di stabilirsi qui come volontario dell’ISM (International Solidarity Movement), svolgendo di fatto la funzione di
scudo umano in favore della popolazione,
ripetutamente oggetto di violenze.
Il suo attivismo si trasforma in mediattivismo quando inizia a rendere pubblica giornalmente la propria testimonianza sotto
forma di articoli e video. durante l’operazione militare israeliana “Piombo Fuso” il
suo diventa il blog italiano più seguito. Vittorio è uno dei sei operatori internazionali
decisi a rimanere nonostante la situazione
e racconta una Gaza bombardata con armi
non convenzionali dalle forze armate israeliane per 3 settimane e il dramma di una
popolazione di un milione e mezzo di persone su una striscia di terra di 6km per 3,
impossibilitata a scappare presa tra il Muro
e il mare.
Di giorno fa lo scudo umano sulle ambulanze e di sera trova sempre il modo, nonostante i black-out, di riportare le informazioni
sullo stato delle cose. Si offre di raccontare per le testate italiane la cronaca di quei
giorni, ma solo il Manifesto pubblica la sua
testimonianza diretta sul luogo.
Sopravvissuto a quei giorni, pur essendosi
esposto al fianco della popolazione civile
ad ogni tipo di rischio, Vittorio diventa una
figura autorevole, di riferimento per molti
palestinesi come anche per attivisti e mediattivisti di tutto il mondo, simbolo di uno
spirito che non si piega, forte delle proprie
idee, incapace di indifferenza.
Questo, e la sua determinazione a documentare i fatti, lo trasforma in un bersaglio,
sempre più scomodo.
Quando nel 2011 anche a Gaza la popolazione vive la propria primavera araba, scendendo in strada per chiedere la riconciliazione tra i partiti Hamas e Fatah – che ha,
se possibile, aggravato la condizione dei territori occupati – Vittorio esprime il proprio
appoggio ai cittadini, e diventa una presenza scomoda non più soltanto per Israele.
Il 14 aprile viene rapito e di lì a poche ore
ucciso.
Vittorio sosteneva che per essere credibili bisogna avere cuore e rispetto e che per
raccontare i fatti è necessario dirli con chiarezza, dirli veri e dirli subito. La sua morte,
ma soprattutto la sua vita ha risvegliato tante coscienze e prodotto nuovi attivisti, dato
voce a chi una voce non ce l’ha e – per il
tempo che gli è stato concesso – riempito
con talento e competenza un vuoto informativo ingiustificabile.
22
S
treet Art. Neologismo coniato dal
giornalismo per descrivere tutte quelle
forme d’arte urbana, manifestazione della nostra
scomposita e disorganica
generazione.
Oggi al campo di media attivismo di Paganica é venuto
Bros, artista writer milanese, che ci ha brevemente illustrato le ragioni che spingono molti ad esprimersi
attraverso questa tecnica e
subito ne é seguita la messa
in pratica.
Abbiamo infatti realizzato
due lavori: nel primo si legge “La cultura sveglia le coscienze”, frase di Don Ciotti
che d’ora in avanti rimarrà
impressa sul muro della biblioteca della Polisportiva
Paganica Rugby, sperando
che possa rappresentare la
traccia di noi e del nostro
Mediattivismo per tutti
quelli passeranno da qui.
Il secondo, invece, rappresenta noi, le nostre sagome
tutte slanciate verso l’alto,
verso la scritta “LIBERA”
che ci sovrasta.
Le sagome piene di lettere,
piene di parole, in una confusione che cerca di risolversi nella nostra partecipazione e nel nostro impegno;
ma anche - perché no - in
vernici colorate nelle nostre
mani.
Street art
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Il corpo
e la mente:
occupare lo
spazio sociale
Q
ualcuno ha detto che il mestiere che richiede maggiore
precisione in assoluto, dopo
quello del chirurgo, è quello
dell’attore: tutto ricerca e dedizione.
Quando ci si dà alla recitazione, la prima cosa che si apprende è la necessità
di abbandonare i pregiudizi nei confronti degli altri e di se stessi: in prova
e in scena, nessuno giudica nessuno.
Si scopre, allora, che ogni movimento ed ogni parola hanno un inizio e
una fine solo quando sono guidati
dalla nostra specifica volontà, e che
la postura e il linguaggio non verbale
contribuiscono a esprimere il nostro
pensiero, non di rado entrando in
contraddizione con le parole e mettendoci a nudo agli occhi di un esperto.
Anche il volume e il tono della voce
sono spesso fuori controllo nella vita
quotidiana, e vanno addomesticati
per servirsene al meglio. Lo spazio
diventa un’entità con cui relazionarsi, anche in rapporto “all’Altro”, e si
impara a tenere in considerazione la
possibilità di osservare le cose e compiere azioni sfruttando punti di vista
differenti. Ascoltare il proprio corpo
diventa imprescindibile per comprendere le sue particolarità e servirsene
per comunicare in modo più efficace.
Il palcoscenico in tal senso, dispensa
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– per chi li sa cogliere – consigli di
grande utilità da seguire in qualsiasi
altra forma di interazione e comunicazione.
In particolare, per chi fa informazione e comunicazione di qualità: nel
dovuto contesto, si possono esprimere giudizi, purché siano frutto di un
approfondito lavoro di ricerca e dedizione, e non di meri pregiudizi; va
tenuto presente che il destinatario di
qualsiasi tipo di informazione/comunicazione è sempre l’Altro, e che le
eventuali ripercussioni derivanti dai
contenuti espressi vanno sempre ed
in ogni caso ponderate; qualsiasi concetto deve avere una struttura lineare
che abbia un inizio e una fine, e non
ingeneri contraddizioni; esistono,
poi, diversi registri di linguaggio da
conoscere, per scegliere il più adatto
alla natura dell’informazione/comunicazione; i punti di vista sono infine
innumerevoli e vanno tenuti di conto
quando si interpreta la realtà, perché
spesso la verità emerge dai dettagli
non visibili ad un primo sguardo.
Il Campo di Mediattivismo “Vittorio
Arrigoni” quest’anno ha regalato anche questo, attraverso il corpo e la
mente: occupare lo spazio sociale, un
laboratorio teatrale tenuto da Tiziana
Irti, coach teatrale e membro dell’Associazione “Arti e Spettacolo”.
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INTERVENTI DI:
PAOLO BATTAGLIA Presidio Libera L’Aquila
Bros Writer
Eleonora Camilli Giornalista presso Redattore Sociale
Luca Cococcetta Regista e videomaker
Raffaella Maria Cosentino Giornalista e tra gli autori di “Parlare civile”
Marco Donatiello Fotografo professionista presso DP Studio
MARCO D’ANTONIO Fotoreporter
MARCO DE GENNARO Esperto di Informatica
Tiziana Irti Coach teatrale
CRISTINA IOVENITTI Presidio Libera L’Aquila
Haydir Majeed Regista
Elisabetta Ognibene Direttore creativo dello studio di comunicazione e immagine Avenida
Marco Pantò Presidente della Linux Shell Italia
Alberto Puliafito Regista e documentarista
SERGIO ROTELLINI Polisportiva Paganica Rugby
Giulio Toffoli Archivista video La7
Angelo Venti Direttore di Site.it
“Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”
Via Quattro Novembre, 98, 00187 Roma
Tel. 06/69770301 /2 /3 Fax 06/6783559
Mail: [email protected]
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Zennaro Giulia - Stancanelli Stefania - Tagliapietra Irene - Battiston Valentina - Nigrelli Martina Bava Elena Sofia - Ottino Viola - Ferrari Ilaria - Caprotti Anna - Raffetti Tita - Farano Françoise - Taci
Marco - De Angelis Lorenzo - De Vita Giulia - Samaritani Alessandro - Giovanelli de’ Noris Carlo Maria Bresciani - Fortezza Vito - Cucchi Francesca -Marazzini Virginia
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