Una conversazione con Alcide Cervi

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Una conversazione con Alcide Cervi
"Ricerche Storiche" nn. 10-11, luglio 1970, pp. 7-15
UNA CONVERSAZIONE CON ALCIDE CERVI
(Registrata da Eber Romani nel 1962)
Appena scomparso papà Cervi pensammo come ricordarlo sulla nostra rivista. Decidemmo poi
di farlo nel modo più semplice ed efficace, cioé attraverso la riproduzione da nastro di una delle
tante conversazioni che soleva tenere con i suoi visitatori.
Ne rintracciammo in breve tempo due. La più adatta, anche per la misura, ci parve quella fatta
dal sig. Eber Romani nel 1962. Il proprietario del nastro mise a nostra completa disposizione
questo piccolo capitale, di cui giustamente è molto geloso, e noi ci demmo da fare per tradurre la
registrazione; cosa non facile perché vi sono brani non troppo chiari dovuti agli alti e bassi della
voce del vecchio e perché questi, in quell'occasione, parlò quasi sempre in dialetto reggiano.
Abbiamo la coscienza di aver fatto quanto era possibile e di essere stati letteralmente fedeli,
conservando al linguaggio del vecchio la sua caratteristica semplicità e la sua arguzia, ma non vi
sono mezzi per rendere i toni e gli accenti che tanto gradevole rendevano la conversazione con lo
scomparso.
Sentiamo il dovere di avvertire i lettori che nella intervista di cui trattasi l'interesse non è tanto
costituito dai fatti considerati dal punto di vista storico, quanto da ciò che dice Cervi, un
personaggio storico di tale rilievo pur nella sua semplicità. da meritare, alla sua morte, un
larghissimo compianto nell'intero nostro Paese.
C'è tutto Alcide Cervi nell'intervista? Certamente no. Del resto Cervi era imprevedibile e con lui
non era possibile preordinare niente. Dobbiamo perciò accontentarci di quel poco o tanto che di
lui appare in questa conversazione e ringraziare vivamente il sig. Romani per averci permesso di
pubblicarla.
Le frasi in corsivo sono dell' intervistatore.
Oggi è il 26 settembre 1962. Ci siamo recati alla Casa di papà Cervi. Eccoci nella sala del
Museo. È qui presente papà Cervi. Gli rivolgiamo alcune domande. Vogliamo fare questa
registrazione per ricordo, per conservare la sua voce anche quando non sarà più su questa terra.
Qui, nel Museo, c'è tutta una raccolta di ricordi, scritti e pitture da ogni parte del mondo.
Dopo questa registrazione verrà fatto un disco con la voce di papà Cervi e sarà posto in mezzo a
queste fotografie, a questi libri, ad arricchire la raccolta dei ricordi.
Papà Cervi ci racconta la terribile notte del 26 novembre 1943 quando le squadracce fasciste
circondarono la casa e prelevarono tutti i suoi figli. A voi papà Cervi il racconto.
Dunque, ci saranno stati in cento, poco più poco meno un centinaio di fascisti, e hanno chiamato
donne e bambini dopo di aver sparato per un quarto d'ora e bruciato la casa.
Siamo venuti giù e ci hanno legato, sulla strada. Poi ci hanno caricato sulla macchina. Mentre ci
portavano via mio figlio ha tentato di voltare con la macchina, di andare dentro in «bonifica»1. Così,
perché morivamo noi, ma morivano anche loro. Non ci è riuscito perché era legato e non ha fatto in
tempo a la manovella2.
E allora ci hanno condotti a Reggio. E dopo qui ci sono venuti a rovistare. Hanno portato giù
persino una macchina da cucire. Ho detto al capitano: «Ma capitano, questo è un mobile che io direi
che non è mica proibito. Questo è un genere che l'ha regalato suo padre a mia nuora quando l’ha
sposata»3.
Allora ha detto: «Chi vi ha detto di portarla giù questa macchina?». E l’hanno lasciata a metà
scala. Dopo sono venuto giù che bevevano del vino, perché loro si sentivano padroni. «Chi vi ha
detto di bere?» Loro hanno fatto finta io non ci fossi.
Poi,dopo che siamo andati via noi, sono andati per le stanze a rovistare in tutti i comò. Si sono
lusingati, di prendere persino i fazzoletti da naso delle donne.
Erano dei galantuomini! Mi hanno portato via il tendone del «Landini»4, il cinghione, un
paranco. Allora, quando sono stato a Reggio, ho denunciato.
Il tenente ha detto: «Chi li ha presi?» Quello che ho saputo dire, cioé il tendone, cioé... me lo ha
preso Magnani, Bigliardi quello del pizzo, me li hanno dati indietro. Mi hanno preso trentamila lire
sul ponte; c’è l'ho saputo dire che li aveva presi coso... quel poco pulito... non mi ricordo bene...
Sidoli, il maresciallo Sidoli; mi ha preso trentamila lire sul ponte.
E allora quando ho denunciato a Reggio, sono stato interrogato dal Presidente della Repubblica5.
Dice «Voi», – dopo che ha chiamato Sidoli e il tenente Cagliari – «Voi avete rubato trentamila lire a
Cervi».
Dico: «Signor no, non li hanno rubati, ce li ho dovuti dare con le mie mani perché dicevano
«fuori i fuori i denari».
Dice: «Non è mica vero, quell’uomo è pazzo».
Allora ho detto: «Tenente, si ricorda quando si è inginocchiato là sul ponte, era piovuto e si è
bagnato le ginocchia? ». Lui no ha risposto.
Allora il Presidente della Repubblica6 disse: «Cervi, sapete dirmi i denari che avete dato?»
«Sissignore».
«Che denari avete dato ».
«Ho dato ventimila lire in biglietti da cento, diecimila lire in biglietti da cinquecento e della
moneta che arrivava a trentunmila e ottocentonovantuna lira».
***
Dunque, papà Cervi, sappiamo che siete stato in Russia. Ci volete fare un racconto del vostro
viaggio? Dirci ciò che avete visto e che vi è piaciuto di più?
E' stato un bel viaggio; sono stato molto soddisfatto, perché io ho visto Mosca, il Kremlino, sono
andato a Leningrado e ho girato anche la campagna.
Il popolo aveva detto che io mi ero smarrito perché son stato perso per circa 12 ore. Ho
attraversato un bosco, poi ho visto una prateria, c'era una donna. Dico «Adesso vado mò a vedere...
Una mia idea! Sono andato là. C'erano delle vacche, dei cavalli, delle pecore... Mi guardo intorno,
ma non c'è nessuno. Dico, ma è possibile che in mezzo a questa prateria, con tante bestie, non ci sia
nessuno?
Dopo è saltato su un ometto che si era addormentato in un fosso.
Mi dico: adesso vado a questionare con quell'uomo là.
«Ehi! Galantuomo. È di guardia a questo capitale qua?»
Non mi sa rispondere.
Allora faccio segno così... faccio... Si, erano suoi. E intanto ho capito qualche cosa. Ho detto:
«Quanti chili di latte fanno? ... litri! Come ti puoi spiegare che comprendiamo?» Allora ho fatto il
segno di mungere. Lui ha fatto ... Quindici chili ogni vacca. E due! Non sono padrone di capire,
perché quello non sa rispondere.
Dopo: «La stalla, la casa, dove abiti tu! »
Cade dal cielo. Allora facciamo il giro attorno a quattro case fino a quando ho trovato la sua. lo
non sò parlare, quello là non mi sà rispondere, cosa debbo imparare.
Più di così!
Dopo sono venuto fuori. Sono venuto a girare per il paese.
Quando sono stato fuori dal paese ho trovato quattro ragazzi, di circa 16-17 anni.
«Di dove venite voi».
«Dalla Casa di cura».
Avranno detto: «Questo vuole andare in questura perché è un uomo straniero, in età; lo portiamo
in questura. Loro lo conducono a casa subito.
« lo non ho bisogno di questura» (gli ho fatto segno) «perché da dove sono partito io, dalla Casa
di cura, il mio orologio segnava qua, adesso è qua, per andare al mio posto, l'orologio deve venire
qua. 8:00 ore che cammino, 8.00 ore devo camminare».
Allora ... «Vieni con noi».
Vado con loro. Abbiamo trovato nel coso ... nel fiume; ci dovevano essere
trenta centimetri di acqua, per una larghezza circa di sette o otto metri.
Allora mi sono levato le scarpe. Poi mi hanno preso sotto braccio e mi hanno portata di là.
Mi dico: adesso vogliono che vada a casa.
Dopo, nel girare con questi ragazzi russi, ho trovato la figlia di Germanetto, la Giovanna. Dice:
«Ma Cervi è tanto che ti cerchiamo! Ti sei perduto?»
«Perduto io? Caso mai ti sei perduta. te. Guarda. lo sono con quattro
giovanotti quà, mi portano dove voglio».
Allora abbiamo parlato un po'. Lei rispondeva in russo. Poi li ha ringraziati per quello che hanno
fatto per me.
Poi dice: «Come faeciamo ad andare a casa».
Ho detto: «Vieni con me ».
«Ma io non so».
«Vieni con me, che non ti picchio!»
E allora siamo venuti a casa. Quando siamo stati a casa Germanetto si era preparato per farmi
una sgridata, un rimprovero. Quando sono stato dentro dice: «Siediti va là, che mangi, capirai, sarai
stanco».
«Ma non sono mica un terrone come te. Sono stato a girare ». Dico: « Guarda Germanetto, io ho
fatto quel giro qua ». Gli ho fatto vedere ...
« Eh! porca la miseria!»
«Ma vuoi che sia così coglione da andare a girare senza sapere dove vado? »
Quella è stata la mia giornata più bella. lo volevo vedere la campagna, perché Mosca, la capitale,
per vederla, ci vogliono cinque o sei mesi, e poi non si riesce a vederla tutta.
***
Allora dopo il racconto del giro di campagna, papà Cervi, ci vuole raccontare un po' come ha
visto la città, o se non proprio la città, visto che preferisce la campagna...
Le racconterò quando sono stato al campo dei pionieri. Là c'erano mille e duecento ragazzi, dai
sei ai dodici anni.
Quando sono stato là, il dirigente li ha messi in rango a vedere papà Cervi. Ma vede che vengano
davanti i grandi. Dice. «AIt». Voi lo vedete anche dopo. Adesso vengano avanti i ragazzi più
piccoli».
Ho fatto un discorso, ma mi è venuto un cuore così, perché mi hanno spiegato che tutti quelli che
avevano il fazzoletto rosso erano senza genitori. C’è ne dovevano essere una decina che non
avevano il fazzoletto rosso. Del resto c’è lo avevano tutti. E a me mi son venuti in mente i miei
nipoti. Mi sono gonfiato e sono scoppiato a piangere. Quei ragazzi sono rimasti mal contenti.
Dopo che mi è passato il colmo, che ha parlato Montanari, ha parlato
Incerti, dico: Adesso che mi è passato voglio dirgli qualcosa ai ragazzi. Voglio dirgli che gli
domando scusa perché mi è venuto il pianto.
«Perché voi mi avete rappresentato i miei nipoti. Tutti i mie figli...»
Mi capite, ne avevo undici anch'io, tutti senza padre. Quelli là erano senza padre, erano molti di
più, ma era lo stesso. Insomma io...
I ragazzi, quando siamo venuti fuori dal campo, i dirigenti non son stati capaci di tenerli indietro.
Sotto un'acqua che non la tenevano nemmeno gli ombrelli, ci hanno accompagnati sin fuori. Con la
macchina piena di fiori e con i fiori sulla strada.
Questo è un bel ricordo un po' triste, ma è una soddisfazione.
C'è una differenza tra l'Italia e la Russia! Noi ne avremmo abbastanza di un quinto della Russia;
non una metà, un quinto. Allora staremmo bene. Là, una donna incinta la mettono fuori lavoro e
riprende il lavoro dopo quattro mesi dal parto. Dunque qui una va a letto alle dieci, e alle 11.00
bisogna che si alzi per far da mangiare [sic] è una bella differenza. Là i ragazzi, sino a quindici
anni, stanno in un'Istituto. Da quando sono nati sino ai sei anni hanno l'asilo, dopo hanno le
complementari e poi dopo hanno le superiori. Da dodici anni fino a quindici vanno a studiare, dove
imparano la professione. Dopo i quindici chi ha testa tira diritto. Per chi non ha la testa c'è il lavoro.
E nessuno è disoccupato. E tutti i mestieri ci sono. Ecco, là c'è soddisfazione. Ma qui no.
Uno è ammalato, va all'ospedale. Se ci vogliono anche 30 o 40 mila lire, non ce lo mandano. La
Mutua non paga, il Comune non può pagare. Là tutto è pagato. Questa è una soddisfazione.
Anche questo è un' altro bel racconto.
***
Dunque, papà Cervi ci sta dicendo che è raro quel giorno che non ci sono visite. Anzi, domenica
scorsa son venute visite persino dall'Argentina. È vero? Diteci pure che persone son venute in
questi giorni.
Non parliamo di questo! C'erano in dodici. Hanno osservato, hanno firmato tutti. Tutti quelli che
vengono firmano il registro.
Ne son venuti ieri l'altro. Erano in quattro, marito e moglie e due figli. Facevano poco rumore.
Guardavano, e quando c'era qualcosa, non dicevano «vieni a vedere qui», si toccavano, «posso
vedere»? Suo figlio e sua figlia guardavano, spiegavano, la tal cosa, la tal altra... Si vede che c'erano
degli scritti di persone che loro conoscevano.
Eh! ma qui ne vengono da ogni parte. Ne son venuti dall'Argentina, ne sono venuti dalla cosa ..
dalla Cina. È venuta una delegazione, dalla Cina. È venuta che saranno due anni. Si è fermata anche
lei. Vengono dappertutto. Non saprei dire di che Stato siano rimasti indietro. Da ogni parte.
Dall'Italia poi... passano sempre. Milano, Genova, Torino, sono venuti tre o quattro volte, delle
sarse7 intere.
Quando ero a letto ammalato, una festa c'erano sei sarse8 e 10 macchine. E tutti ansionsi. C'era il
dottore. Dice: «Non si può, proibito aprire il vetro».
Dico: «Ma signore... tanta gente che spendono per vedere un coglione ammalato ».
«Beh – dice – fatti ai vetri e salutali con una mano». Aveva paura di un colpo d'aria.
Dopo ho fatto quella vita lì per due mesi interi. Oh! ma dico, sarà un mese oche giro un po' per il
cortile qui attorno.
Di tanto in tanto viene a provarmi il sangue e ordinarmi delle punture.
Dico: «Sono stufo».
«Adesso è un brutto momento» – dice – «ci vogliono le punture. Con 1'atmosfera9 andiamo
bene».
E io: «La puntura... – dico -se ha un accidente da prendere per bocca, cattivo, io lo prendo lo
stesso, ma le punture... »
«Ci vogliono le punture».
E le punture son tutte veleno. Tutto veleno... per me...
Sin che si può far senza si, ma quando necessitano...
Eh! Insomma, se vi fa male un dito ci vuole la puntura, se c'è da levare un dente ci vuole la
puntura. Persino le donne a partorire ci vuole la puntura perché non sentano niente. E allora come si
fa. Un ragazzo nasce, dopo due giorni che è nato ci vuol la puntura se no muore. Siamo troppo
avvelenati.
Vale tanto la salute.
Lo so che vale molto. Ma lo sà che ci sono delle punture che fanno venire degli ascessi che si va
anche in pericolo? Eh? È quello che mi preme. Non è la forata. L'altra sera mi hanno fatto una
puntura. A regola non l'ho nemmeno sentita. Quando hanno levato l'ago mi pareva che mi avessero
dato una coltellata.
Certo che alla vostra età, a ottantasette anni c'è da rallegrarsi che siate qua, a mente chiara...
Bisognerebbe potersi curare senza punture. L'altro anno mi è venuta la bronchite. E venuto il
dottore, Piva; e mi ordina la puntura. «Senta, dottore... le bronchiti son sempre venute. La gente ne
moriva ma anche ne campava. Erano più quelli che scampavano perché io ci sono in mezzo. Non c'è
maniera di curarsi senza punture?».
Dice: «La maniera c'è; adesso te la spiego. La ,puntura vale 500 lire, e in due giorni o al massimo
tre sei libero. Della medicina ci vogliono 3.000 lire e poi ci vogliono sette o otto giorni».
«Beh – dico – non è la mia rovina spendere 3.000 lire e non è la mia rovina risparmiare la
puntura ».
Allora mi ha dato la medicina, e in due giorni mi è andata via la bronchite e non è più venuta.
«Ha visto – dico – che è andata via?»
«Caro te – dice –bisogna indovinarci».
Sentite ma non siete stato operato di ulcera?
Di ulcera, nel 1948. Dunque, Braga mi aveva detto che era un male maligno... c'è da tagliare.
Dopo sono andato da Campanacci; mi ha fatto buttar via tutto.
«Ci vuole pane, vino e pasta asciutta».
«Professore, non si può perché sono 8 anni che bevo soltanto del latte».
«Ci vuole pane, vino e pasta asciutta».
Vengo a casa con la sua lettera. Neanche una mezza cucchiaiata di roba ho potuto prendere.
Dopo quattro giorni son tornato indietro con mio cognato.
Gli ho detto: «Professore sono ritornato».
«Come va?»
«Signore non va mica».
«Come, bisogna che vada. Non c'è che questa medicina».
«C'è mio cognato lì fuori; glielo vada a chiedere e vedrà che glielo dice lui». (Il dottore rivolto al
cognato).
«Come va?»
«Mah – dice – non va mica male. Con la sua medicina dice che dovrebbe star bene in quindici
giorni, ma quando saremo a domani o posdomani sera alla più lunga è già spacciato».
«Caro te, ci vuol della pazienza».
«Dico: «Sa cosa vuol dire ingrassare le oche? Le inchiodano su una panca, ci mettono un imbuto
in bocca e poi le rimpinzano di mangiare»...
Mi deve scusare, professore.
Mio cognato mi dice: « È stata un'offesa grossa».
«No –dico –gli ho detto quel che si meritava».
E questa volta mi ha salvato. Stavolta è stato bravo.
Mentre terminiamo questo racconto fatto da papà Cervi in merito alla sua salute, siamo
soddisfatti di aver fatto questa visita e questa registrazione. Noi auguriamo ancora salute e anni di
vita non per quello che può godere data la sua età, ma perché il popolo da tutto il mondo viene a
fargli visita e dimostra l'affetto e il bene che gli vuole, come egli l'ha voluto ai suoi figli.
Vorrei dire la mia idea a tutti... lo spirito. Io di forza non ne ho, ma di spirito sì. Non mi
sgomento mai.
1
Canale della bonifica.
Volante.
3
Quando il'ha data in sposa.
4
Marca di trattore agricolo.
5
Procuratore della Repubblica.
6
Idem
7
La SARSA, in dialetto reggiano, è sinonimo di torpedone, dal nome di una nota d1tta di autotrasporti.
8
Idem.
9
Pressione.
2