calabria speciale
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calabria speciale
sommario 6 36 Paola Passione Mediterranea 10 Cosenza 40 Girifalco 14 Verzino Montalto Uffugo 18 Rende 46 Stilo 26 50 Pizzo Calabro Mendicino 32 54 Castrolibero 4 42 GLI SPECIALI DI CALABRIA PRODUTTIVA supplemento alla rivista Calabria Produttiva Anno 4 - N°3 www.calabriaproduttiva.it [email protected] EDITORE Big Agency di P. Sciammarella Via Trieste, 126 Montalto Uffugo (Cs) Tel. e Fax 0984 937073 [email protected] AMMINISTRATORE Piero Sciammarella [email protected] DIRETTORE MARKETING Vittorio Garrafa [email protected] AMM. E REDAZIONE Via Trieste, 126 Montalto Uffugo (Cs) Tel. e Fax 0984 937073 [email protected] DIRETTORERESPONSABILE Adele Filice [email protected] TESTI Adele Filice Monica La Mastra Sonia Cosentino PROGETTO GRAFICO ED IMPAGINAZIONE Big agency FOTO Piesse Vigi © 2004 Big Agency Tutti i diritti riservati. è consentita la riproduzione, anche parziale, con specifica richiesta scritta e il consenso scritto da parte della Big Agency. Vibo Valentia Calabria Produttiva Calabria Produttiva 5 Turismo e Calabria. Passione Mediterranea settembre 2004 Binomio perfetto per un comparto economico che comprende un insieme di risorse ed una terra a cui la Natura generosa ha fornito gran parte delle stesse. Ruderi del Castello di Gerace Ph. piesse 6 Calabria Produttiva C settembre 2004 entinaia di chilometri di coste ora sabbiose, ora frastagliate, qua brulle e selvatiche, là dorate e ingentilite dalla flora mediterranea; colline tonde e dolcissime che prendono la fuga in montagne dalla fisionomia alpestre, come la Sila, o desertica come l'Aspromonte. E l'elenco continua con giacimenti archeologici - delle età più remote, in cui il periodo magnogreco la fa da padrone; storici che si materializzano in chiese e palazzi nobiliari; culturali - che ancora resistono nei riti e nei costumi delle manifestazioni religiose, nelle tradizioni popolari dove anche il cibo, e dunque la gastronomia, è espressione particolare e genuina dello spazio e del tempo. Ricchezze di Calabria, quindi, in grado di produrre altra ricchezza a condizione che siano sapientemente utilizzate, rese fruibili e fatte conoscere. Ed è proprio sul fronte della conoscenza che da molto tempo si sta concentrando alacremente l'attività dell'Assessore al Turismo ed alle Attività Produttive Pino Gentile. Mai prima si era sentito parlare tanto di Calabria: Festival di Sanremo, Borsa Internazionale del Turismo, Vinitaly, Salone del Gusto, Mostra del Cinema di Venezia, quest'anno le Olimpiadi di Atene, per citare gli eventi più noti, sono sempre più impregnati di calabresità; gustosa soppressata, saporita sardella, pane fragrante, generosi vini doc sono comprimari insieme ad incantevoli località montane e marine e personalità di spicco di una regione in grado di sorprendere chi la conosce già e di meravigliare ed affascinare chi le si avvicina per la prima volta. Ma la promozione non è tutto. L'attività dell'Assessorato è concentrata anche a sciogliere quelli che gli esperti definiscono i punti critici del turismo calabrese, primo fra tutti la balnearità - che fa passare in secondo piano le altre forme di turismo che la Calabria Produttiva Calabria è in grado di proporre e che potrebbero svilupparsi in sinergia al turismo balneare: agriturismo, ecoturismo, turismo culturare, religioso, termale, strade del vino, e via dicendo. A seguire, la stagionalità del turismo che fino a poco tempo fa risentiva pesantemente degli effetti di una concentrazione del periodo turistico limitata ai soli mesi estivi; ora, con la famosa "destagionalizzazione" si sta arrivando a diluire l'offerta turistica da giugno a settembre anche se il clima calabrese consentirebbe addirittura di tenere in attività il comparto per il semestre maggio-ottobre. Altro obiettivo, l'aumento dei posti-letto (nell'ordine delle decine di migliaia di unità) collegato direttamente alla promozione di Passione Mediterranea numerosi voli charter e l'inserimento dell'offerta Calabria nei cataloghi di otto grandi tour operator. Di sicuro, molti eventi favorevoli, colti al volo dalla lungimiranza dell'Assessore Pino Gentile hanno aiutato a diffondere l'immagine della Calabria. E' l'eccezionale caso della strepitosa testimonial Penelope Cruz che, nel 2001, per promuovere il film "Per incanto e per delizia" ha posato nuda sommersa da un mare di peperoncini. L'abilità di Enzo Monaco, presidente dell'Accademia del Peperoncino e l'incoraggiamento dell'allora neo-eletto Assessore Pino Gentile hanno portato a siglare, con la mitica Century Fox, un accordo in base al quale L’Assessore Pino Gentile pacchetti turistici rivolti, per la maggior parte, ai turisti stranieri. L'effetto-domino investe però anche la predisposizione di tutte le copie in videocassetta e dvd del film - prodotto dalla Casa di Hollywood- prima dei titoli di testa, avrebbero dovuto contenere uno spot sulla Calabria, con le immagini più belle e "piccanti" della regione. E ancora, la realizzazione di vari pacchetti turistici come "Il sole di Bisanzio" o "Equinozio di Primavera" in collaborazione con il Centro Europeo Informazione - attraverso il quale sono stati predisposti vari itinerari (archeologici, storici, culturali, enogastronomici) rivolti ad un pubblico colto ed esigente, in grado di apprezzare una vacanza diversificata all'insegna del divertimento senz'altro ma non disgiunto dalla cultura. Un ruolo fondamentale nel settore lo sta svolgendo anche l'Osservatorio sul Turismo - al cui coordinamento lavora una professionalità del calibro del professor Emilio Becheri - che, oltre a monitorare la condizione del comparto, in sinergia con le iniziative dell'Assessorato sta lavorando per sciogliere i nodi che ancora restano in questo importante e trainante settore. La parola d'ordine resta comunque "la calabresità dell'offerta" ovvero la tipicità di una vacanza in una terra che, a cominciare dal panorama per finire alla cucina, sa offrire sensazioni uniche. E a proposito di cucina, tra le più recenti iniziative dell'Assessorato, è da annoverare anche "la valorizzazione dell'eno-gastronomia d'eccellenza" azione promossa nell'ambito del bando Por Calabria, che intende valorizare appunto le risorse locali ed innovare la tradizione gastronomica calabrese, così ricca di sapori, profumi, colori, di spezie ed erbe selvatiche che, attraverso il palato, parlano di luoghi, di sole, di terre e di popoli, di tradizioni millenarie e di influssi stranieri che, sedimentati nella nostra terra, rendono così diversa la cucina da paese in paese. Si va dai sapori freschi e delicati delle pietanze contadine e marinare a quelli forti e robusti della tradizione pastorale, i quali trovano, però, un comune denominatore in un autentico gusto che sa di mediterraneo. 7 Comunicato N ell’ultima tornata delle manifestazioni previste per l’anno 2004, il Centro Europeo Informazioni di Cosenza in collaborazione con il Consorzio Catanzaro Turismo ed il Centro Alberghiero Congressuale Caposuvero di Gizzeria Lido (Cz) ha organizzato la prima edizione della Competizione Culinaria AlberghiRistoranti. Gli obiettivi prefissati dal CEI, fra l’altro organizzazione di eventi turistici socio culturali e di spettacolo - promozione di pacchetti turistici per tour operator, sono stati ampiamente raggiunti nel corso della manifestazione. Infatti si è scelto questo settore (arte culinaria), da collegare indissolubilmente con quello turistico, per cogliere contemporaneamente due aspetti distinti: valorizzazione delle tradizioni culturali calabresi e indubbio miglioramento della qualità dell’offerta turistica, avendo come filo conduttore la cucina calabrese. Questa azione è stata promossa con specificità dall’Assessorato al Turismo ed alle Attività Produttive della Regione Calabria anche nell’ambito del Bando POR Calabria - valorizzazione dell’enogastronomia d’eccellenza. Il CEI si è orientato in tal senso perchè da diversi anni si assiste in Calabria alla nascita di una miriade di nuovi ristoratori che stanno facendo rinascere le tradizioni della cucina mediterranea infarcita di nuovi sapori e della ricerca dell’assoluta genuinità dei prodotti base. La particolare scelta delle rappresentazioni teatrali e cabarettistiche collegate all’argomento cucina è stata dettata dalla ricerca di far rivivere espressioni 8 tipiche di un tempo. Si è voluto porre l’attenzione e lanciare alla ribalta di una vasta platea proprio questo rivivere di tradizioni popolari che nella nostra terra hanno rappresentato per un lungo periodo di tempo una cultura subalterna quale tradizione orale che si è contrapposta alla cultura egemone ovvero mondo della scrittura. Dare spazio e sfogo a queste iniziative in futuro porterà una reale ventata di novità nelle proposte turistiche della nostra regione. Tutti gli operatori turistici hanno potuto cimentarsi nella preparazione di piatti tipici tenendo ben presente due aspetti peculiari: valorizzazione delle risorse locali ed innovazione nella tradizione culinaria. Il programma si è imperniato su due giornate di lavoro. Nella prima, la manifestazione si è aperta con un convegno sul tema “Gastronomia Mediterranea - evoluzione nella tradizione”. E’ intervenuto al convegno l’Assessore Regionale al Turismo e Attività Produttive On.le Pino Gentile, nonchè dirigenti dello stesso Assessorato Regionale che hanno riportato la loro competenza e professionalità agli intervenuti. Alla fine del convegno il presidente del CEI - avv. Mimmo Leonetti - ha provveduto a premiare l’Assessore Regionale al Turismo e Attività Produttive On.le Pino Gentile per i brillanti risultati raggiunti nella nostra regione nel settore turistico, inoltre sono stati premiati per la loro abnegazione ed impegno nel turismo, il dott. Rocco Militano ed il dott. Pasquale Anastasi, dirigenti dell’Assessorato Regionale alle Attività Produttive e l’ing. Alessandro De Medici, Presidente del Consorzio Catanzaro Turismo. Nella giornata successiva si è svolta la gara con presentazione dei concorrenti appositamente scelti tra 10 ristoranti e 10 alberghi (tutti comunque inseriti nelle varie guide turistiche, Gambero Rosso, Michelin ed altre). Le serate sono state dedicate alla proposizione di spettacoli teatrali e cabaret con un solo obbligo per tutti, quello dell’utilizzazione della cucina quale portante degli spettacoli. La numerosa presenza di pubblico e di operatori del settore turistico e della ristorazione, nonchè la partecipazione diretta delle Istituzioni, hanno portato alla valorizzazione di questa particolare forma di spettacolo, realmente integrata con il settore turismo, per questo il CEI ha inteso concepire tale iniziativa quale I Edizione di una serie indefinita di manifestazioni che apriranno o chiuderanno la stagione estiva turistica. La stabilità della manifestazione dovrà divenire il presupposto del turismo in Calabria assumendo una caratteristica sempre più nazionale. E’ da augurarsi che tale iniziativa possa essere da esempio per altre zone turistiche che meriterebbero maggiore attenzione sia nel campo dello spettacolo che nel campo del turismo. Nel corso della manifestazione l’on. Pino Gentile, Assessore Regionale al Turismo e Attività Produttive della Settembre 2004 Regione Calabria, ha inteso sottolinerae l’importanza e la validità delle manifestazioni come quelle organizzate dal Centro Europeo Informazioni ed in particolare dal Presidente Avv. Mimmo Leonetti che promuovono l’immagine di una Calabria quale nuova realtà imprenditoriale-turistica, valorizzando le indubbie realtà locali, tutto ciò affinchè la Calabria possa riscoprire i fasti che le competono essendo da sempre “Terra che evoca colori cupi e fastosi come il nero e l’oro, situazioni intriganti e splendide, una realtà piena di misteri e grandezze, una terra meravigliosa, una Passione Mediterranea da vivere”. Calabria Produttiva Una città in movimento T Cosenza ra memorie di antiche civiltà e incantevoli paesaggi si delinea il profilo di una città affascinante ed impegnativa se si vuole recuperarne la lunga storia. Ricca, popolosa, con lo spirito forgiato all’indipendenza e alla libertà, Cosenza si estende nella valle del Crati ed è abbracciata da sette colli. L’antica Cosentia o Consentia è quella che Strabone e Diodoro individuano come “metropoli dei Brettii” che qui si insediarono poco prima della metà del IV secolo a.C. per rendersi indipendenti dai Lucani, acquisendo un notevole ruolo egemonico. Il toponimo Cosentia compare per la prima volta su un monumento epigrafico latino rinvenuto nei pressi di Polla, a indicare la stazione di tappa lungo l’antica strada romana di collegamento tra Reggio e Capua e con il resto dell’Italia (l’odierna via Popilia) costruita nella seconda metà del II secolo a.C. La storia di Cosenza è legata indissolubilmente alla leggenda: si narra che il letto del Busento, alla confluenza con il Crati, custodisca le spoglie di Alarico, re dei Visigoti e del suo tesoro. Per secoli aspramente contesa, nonostante l’alternarsi di periodi gloriosi a traumatici arresti, la città seppe sempre ritagliarsi ruoli importanti. Una delle epoche più fiorenti fu segnata dalla dominazione sveva, decisiva per sue le sorti. A Federico II, infatti, si deve una sapiente ricostruzione della città; sotto il suo regno, fu ristrutturato il Castello, costruito in epoca normanna mentre il Duomo fu completato e consacrato con la donazione della preziosa Stauroteca, commissionata dalla Corte alle oreficerie sicule. Dal XVI secolo Cosenza si affermò come uno dei centri più vivaci della cultura del Settembre 2004 Meridione grazie alla nascita dell’Accademia Cosentina di cui fecero parte Bernardino Telesio, Sertorio Quattromani e altri personaggi illustri quali Aulo Giano Parrasio, i fratelli Martirano, Antonio Serra. Tra il ’500 e il ’700 si sviluppò e si arricchì di pregevoli architetture anche per merito di nuovi ordini religiosi e con il prezioso contributo di maestranze roglianesi, scalpellini e artigiani che lasciarono un inconfondibile segno della loro arte. Anche per l’economia, questo fu uno dei periodi più opulenti: si sviluppò il mercato manifatturiero, la lavorazione del legname, l’allevamento del baco e il commercio della seta, della liquirizia, della pece e dei prodotti dell’altopiano silano. Da fine ’700 diversi eventi traumatici colpirono la città. Teatro dei moti Veduta dal Castello Ph. Vigi 10 Calabria Produttiva Settembre 2004 mazziniani, Cosenza offrì non pochi spunti per le rivolte antiborboniche tra cui la nobile impresa dei fratelli Bandiera che furono fucilati nel Vallone di Rovito. La loro tragica fine è diventata un topos della città al pari della leggenda di Alarico. Affacciandosi al XX secolo, Cosenza tornò protagonista impegnata in una profonda opera di modernizzazione. L’aspetto urbano si trasformò e la città abbandonò pian piano il suo arroccamento sul colle Pancrazio, per estendersi a valle. Nel 1909 il Teatro Comunale inaugurò la sua prima stagione lirica con l’“Aida” e iniziarono a emergere i musicisti cosentini: il già affermato Alfonso Rendano (a cui poi sarà intitolato il teatro), Stanislao Giacomantonio (a cui sarà dedicato il primo Conservatorio musicale calabrese, uno dei più grandi d’Italia) e Maurizio Quintieri (che darà il nome a un’associazione culturale). Si riaffermò la vocazione commerciale e terziaria. Gli operai della fabbrica chimica in cui si produceva il tannino, grazie agli scioperi sostenuti dalla Camera del Lavoro, nel 1920 conquistarono, fra i primi in Italia, le 8 ore lavorative quotidiane. Alla fine degli anni Cinquanta, emerse la figura di Giacomo Mancini, la cui opera è stata determinante per lo sviluppo della città. Fu edificato lo stadio San Vito; si prospettò l’istituzione dell’ateneo che sarebbe sorto nei primi anni ’70 sulle colline di Arcavacata; si diede vita a un Consorzio teatrale calabrese, a esperienze editoriali, giornalistiche e teatrali (degna di nota la sperimentazione e l’attività del Teatro dell’Acquario). Negli anni ’90, si è ricominciato a frequentare la “Cosenza Vecchia” e tutta la città pulsa di nuova vita. Il più esteso quartiere popolare, via Popilia, in passato ghettizzato, si riarmonizza al tessuto urbano con la costruzione di Viale Parco. La parte più antica della città è senz’altro la più suggestiva: Calabria Produttiva Cosenza Interno del Castello Ph. Vigi 11 Cosenza meravigliosi palazzi nobiliari, antiche chiese e monumenti, qualche vecchia bottega artigiana fanno rivivere un emozionante ritorno al passato. Il Duomo, in stile romanico, è uno dei più singolari e affascinanti del Meridione: ha una cappella dedicata alla Madonna del Pilerio, patrona della città - raffigurata in una splendida tavola bizantina della seconda metà del ’200 - il mausoleo di Isabella d’Aragona e il sepolcro di Enrico di Hohenstaufen, figlio di Federico II. Degni di visita sono pure piazza XV Marzo con al centro il monumento in bronzo a Bernardino Telesio, il palazzo della Prefettura, la Biblioteca civica con annesso Museo, il teatro Rendano, il Museo civico, l’Accademia Cosentina, la vecchia Villa comunale. Ai piedi del centro storico è il piccolo “gioiel- 12 lo” del XV secolo, la chiesa di San Domenico, in cui convivono tardo-gotico e barocco. All’inizio della città nuova, Palazzo dei Bruzi, sede del Municipio, fa da prospetto alla via principale della città, corso Mazzini. Da qui si snoda il percorso commerciale di Cosenza con i suoi eleganti negozi e le moderne strutture. L’economia della città è una realtà solida anche perché coinvolge l’attività di molti comuni del circondario. Il più sviluppato è il settore terziario, ma fanno la loro parte anche i comparti creditizio, assicurativo, edile, il commercio (telefonia, informatica, mobili, abbigliamento); l’attività agricola (olio, vino, patate, cereali). Il continuo fermento della città è confermato da un vasto ciclo di manifestazioni che vi si svolgono e ne fanno un attraente convoglio di diversi interessi. Il 12 febbraio Cosenza celebra la patrona, la Madonna del Pilerio, che salvò la città durante la pestilenza del 1576. Il 19 marzo si tiene la fiera di San Giuseppe, dalla storia centenaria e famosa in tutto il Meridione. A luglio si svolgono il “Festival delle Invasioni”, momento di arte e di incontro tra i popoli; “Il gioco dei sette Cantoni” in cui i vari distretti cittadini si cimentano nei giochi popolari; “Città aperta”, che offre l’occasione di accedere gratuitamente ai monumenti; il cinema all’aperto nel Parco Fluviale; lo “spaghetto del Carmelo” il 16 luglio in piazza Duomo; la Sagra dell’uva e del vino a ottobre a Donnici. In cucina, Cosenza si nota per le pietanze dai sapori decisi e che sfruttano a pieno i prodotti della terra. Dalla sapiente combinazione di ortaggi e legumi si ottengono sorprendenti Settembre 2004 pietanze. Il pane, poi, è particolarmente gustoso e accompagna eccezionali antipasti a base di salumi, sott’olio e formaggi. Tra i primi spicca la pasta fatta in casa; le lagane e ceci; la sagna chijna (pasta al forno); la pasta e patate ara tieddra. Tra i secondi, i cavuli chini e le gustose mazzacorde al sugo fatte con pezzi di trippa, fegato e polmone di agnello o capretto, attorno ai quali si avvolgono le budella. Deliziosi i dolci: la pitta ’nchiusa (ripiena di uva passa e noci); le crucette (fichi secchi con noci e miele). L’olio extravergine di oliva, il peperoncino e gli ottimi vini locali come il Donnici e il Savuto (entrambi doc) contribuiscono a dare un tocco di classe alla tavola cosentina. Calabria Produttiva La città di Leoncavallo Montalto Uffugo V isto da lontano, Montalto Uffugo sembra un paese-fortezza, arroccato com'è su un costone. L'impressione che si ricava da questo colpo d'occhio è di dominio su tutta la valle. Inerpicandosi per la via principale, le fughe dei primi vicoletti rimandano con più forza questa sensazione di altezza e di difesa mentre il complesso architettonico della chiesa e del convento del Carmine, appollaiati a ridosso delle case, fa pensare ad un'aquila che, da un momento all'altro, stia per spiccare il volo dalle sue vertiginose altezze. Tradizione vuole che, per scampare alle incursioni saracene che avevano distrutto la città di epoca romana, gli abitanti superstiti fossero risaliti a monte, in posizione più difendibile e sicura. Tito Livio ne parla nelle sue Storie e dall'antica Aufugum sembra derivare l'appellativo Uffugo che venne aggiunto al toponimo Montalto dopo l'unità d'Italia. Tutto il centro storico è ricchissimo di testimonianze del passato e delle dominazioni che hanno scritto pagine e pagine di storia di questo grosso centro della parte mediana della valle del Crati. I normanni hanno lasciato un'imponente torre che, un tempo, costituiva una delle porte di accesso alla città. Nello stesso periodo, una colonia di ebrei ed una di valdesi si stabilirono nel paese, conferendo a Montalto uno status di multietnicità ante litteram. Gli ebrei avviarono subito una fiorente industria di stoffe; pregiate divennero le lavorazioni di seta, lana e velluto che diedero al paese benessere e ricchezza. Una testimonianza del loro passaggio rimane nell'arco a tutto tondo e nella porta murata di via Mollo che costituiva l'ingresso di un negozio ebraico. Tristemente nota, nella storia del paese, la cacciata dei valdesi, iniziata con l'eccidio di un'ottantina di persone, considerate eretiche. Intanto si succedevano i feudatari. Dopo i Ruffo di Calabria, Montalto passò ai d'Aragona; diventò, quindi, per breve periodo, libera Università poi ritornò sotto i de Alegre prima e i d'Aragona dopo. La dominazione spagnola non impedì la partecipazione di Montalto ai moti napoletani del 1799; anche qui, come in moltissimi centri di tutta l'Italia meridionale, fu eretto l'Albero della Libertà. Non fu estranea a questi moti liberali l'esistenza dell'Accademia Montaltina (sorta nel 1601, o nel 1617 secondo altri fonti storiche, ad opera di Francesco Foscarini) sotto l'insegna della quale illustri personaggi discutevano di politica, filosofia, storia, teologia e giurisprudenza. Dalle sue ceneri, un secolo più tardi, prese vita l'Accademia degli Inculti che si era prefissa lo scopo di continuare e migliorare l'attività dell'istituzione precedente. Di recente, nel 1995, la rinata Settembre 2004 Accademia degli Inculti ha ripreso la sua attività di ricerca nei settori scientifici, letterari ed artistici, organizzando convegni, concorsi e borse di studio a favore di studenti volenterosi ma con limitate possibilità economiche. Numerosi sono, a Montalto, i luoghi di culto, alcuni dei quali di pregevole fattura. Tra tutti spicca il santuario della Madonna della Serra, meta incessante di riti matrimoniali per l'imponente e scenografica gradinata su cui si erge il prospetto barocco della chiesa. Un altare in marmo custodisce la statua della Madonna della Serra con bambino, oggi protetta da un sistema d'allarme dopo che, per ben tre volte, è stata rubata e ritrovata. Degna di nota è anche la chiesa della SS. Annunziata, che perimetra da un lato piazza Bianco, il salotto della città in cui, a diverse ore, si avvicenda un po' tutta la popolazione montaltese. Si fanno ammirare anche la chiesa e l'ex convento del Carmine, la chiesa ed ex convento di san Domenico, oggi sede municipale; la chiesa e l'ex convento di sant'Antonio dove pare sia stato in visita il beato Angelo da Acri e che probabilmente ha svolto funzioni di lazzaretto nel XVII secolo. Varie e pregevoli le chiese dis- Settembre 2004 seminate anche nelle frazioni che formano il territorio comunale, così come alcuni palazzi nobiliari del centro storico tra cui spiccano palazzo ex Aragona, palazzo Carelli e palazzo della Cananea. Ma le attrazioni di Montalto non si fermano ai percorsi artistico-religiosi. Un nome illustre della lirica ha portato Montalto nel mondo. E' ormai risaputo che il maestro Ruggero Leoncavallo, autore de I Pagliacci, diretta dal grande Arturo Toscanini, visse a Montalto per un periodo della sua infanzia. Un fatto delittuoso, accaduto proprio a Montalto, di cui fu testimone, lo indusse a scrivere l'opera, rappresentata a Milano e all'Opera di Parigi. Per il grande debutto francese, il decoratore montaltese Rocco Ferrari preparò i bozzetti per le scenografie. Il nome di Montalto era ormai conosciuto dappertutto ed in segno di gratitudine, nel 1903, l'amministrazione montaltese concesse la cittadinanza onoraria al maestro il quale, per continuare a mantenere con affetto questo legame, dopo il terremoto del 1905, fece dono ai cittadini di notevoli somme di danaro ricavate dalle rappresentazioni dell'Ave Maria. Nel 1943, nella cittadina fu girato anche il film Pagliacci per la regia di Giuseppe Fatigati, con una giovane Alida Valli come protagonista. La figura dell'artista ed illustre concittadino, è stata ricordata nel 1977, con una grande manifestazione a cui ha preso parte il tenore Giuseppe Di Stefano; i cittadini ne conservano quotidiana memoria con una lapide, nel palazzo municipale; un monumento, opera del maestro Verdiglione ed un festival che, da alcuni anni, si svolge regolarmente a settembre e che prevede un concorso di musica lirica e la rappresentazione di un'opera, sempre di lirica, sul sagrato del Duomo. Oltre alle bellezze storiche, Montalto Uffugo artistiche e culturali, il territorio di Montalto offre anche una natura rigogliosa e particolare. Dal centro abitato, salendo verso le vette della catena costiera calabrese, grandi distese di ginestra, lentisco, ginepro conferiscono all'aria primaverile un profumo che lascia storditi. In estate, le grandi felci dal verde intenso sono punteggiate da miriadi di farfalle bianche. Nei prati è un avvicendarsi continuo di violette, specie selvatiche di orchidee e gigli. In autunno, nelle faggete e sotto i castagni, un manto di ciclamini occhieggia sotto le foglie appena appassite degli alberi e l'oro delle foglie si fonde al violetto pallido dei fiori. Il sottobosco nasconde saporitissimi funghi tra cui prevalgono i pregiati porcini e gli ovuli. E lo specchio lacustre di Laghicello, al confine tra i comuni di San Benedetto Ullano e Montalto, custodisce una straordinaria specie endemica di animale anfibio, il tritone alpestre, che si trova solo qui e nel laghetto dei Due Uomini, nel territorio di Fagnano Castello. Secondo i naturalisti, la presenza di questi animali è un indice positivo della salute dell'ambiente ma per accorgersene basta veder planare a pelo d'acqua le grandi libellu- Panoramica di Montalto Uffugo Ph. piesse Portone della Chiesa della Madonna della Serra Ph. piesse 14 Calabria Produttiva Calabria Produttiva 15 Montalto Uffugo le blu che fanno compagnia ai tritoni; basta appena un pizzico di fortuna e di pazienza per vedersi tagliare la strada, soprattutto nelle notti d'estate, da ricci, volpi, donnole, ghiri - spesso anche vittime innocenti di incauti automobilistiper capire che la natura è ancora sana. A protezione di queste ed altre meraviglie animali e vegetali, è stato istituito, nel 1988, il parco naturale della Comunità Montana che ricade nel territorio di altri 8 comuni. Un bel punto di ristoro, il "Mangia e bevi", meta di gite organizzate, di raduni sportivi o di semplici turisti, offre i comfort essenziali ai visitatori mentre una statua di san Francesco, alla sommità del sentiero del Pellegrino, ricorda ai devoti -che ogni anno, dai comuni limitrofi raggiungono votivamente a piedi Paola, posta sul versante opposto della montagna, per la festa in onore del Santo - che la montagna sta per finire e da lì a poco inizierà il sentiero in discesa. Grande è la devozione popolare che distingue la collettività montaltese e non solo nei confronti di san Francesco. La Madonna della Serra, patrona della città, ha due feste in suo onore: a febbraio, quando il sindaco nella consegna simbolica di un bambino alla statua, affida tutta la comunità alla sua protezione e in agosto, quando in paese è più forte la presenza dei numerosi emigrati che, per la bella sta- 16 gione, fanno ritorno al luogo di origine. Nelle varie frazioni sono festeggiati altri santi (san Pietro, sant'Antonio, san Pasquale) e Madonne (Madonna del Carmelo, della Neve, dell'Addolorata) ed un particolare rilievo assumono le funzioni religiose della Settimana Santa con la Turba e la Processione dei Misteri che si svolgono rispettivamente nella notte tra il giovedì e il venerdì santo e il sabato santo. Fino a poco tempo fa, anche in occasione del Carnevale molta sentita e numerosa era la partecipazione collettiva al Carnevale Saraceno, una rievocazione più grottesca che storica delle battaglie dei montaltesi contro gli invasori. A fronte di tanta tradizione che sostiene il tessuto culturale montaltese, il comune e, nella fattispecie, le frazioni sono il fiore all'occhiello della modernità con distretti commerciali che fanno del territorio di Montalto Uffugo una realtà molto interessante dal punto di vista economico. Nonostante la relativa modernità dello sviluppo di alcune frazioni quali Taverna (risalente al 1970) e Settimo (nel 1990), la zona industriale adiacente ha dimensioni e connotazioni di tutto rispetto. Aziende collaterali al settore edilizio quali arredamento, infissi, ceramiche, caminetti; aziende agricole che alimentano il comparto della trasformazione e della conservazione (salumi, Settembre 2004 Chiesa del Carmine con il convento dei Carmelitani Ph. piesse formaggi, olio, conserve alimentari, prodotti lattiero-caseari), molinifici; aziende agrituristiche, ristoranti, pizzerie, pub, bar, pasticcerie; negozi di abbigliamento e calzature, gioiellerie, ottica, grandi supermercati ed ipermercati sono una realtà ormai quotidiana per Montalto che, nel ricordare costantemente il suo passato, ha gli occhi decisamente puntati sul futuro. Eloquente ed emblematica più che mai la segnalazione turistica del comune: davanti ad un grandissimo ipermercato campeggia la scritta: benvenuti a Montalto, la città di Ruggero Leoncavallo. Chiesa della Madonna della Serra Ph. piesse Calabria Produttiva Rende Una città dotta tra antico e moderno Settembre 2004 L’ingresso del museo Ph. piesse 18 Calabria Produttiva U Settembre 2004 n antico borgo raggomitolato in cima a un colle che mostra le sue grazie naturali e artistiche intorno al castello e poi guarda in basso, ai suoi piedi, la città moderna che si scioglie nella pianura circostante. Rende è fra le più grandi cittadine della provincia di Cosenza - cui è affiancata territorialmente - di cui condivide gran parte della storia. Le sue origini si devono, probabilmente, agli Enotri che nel VI secolo a.C. fondarono sulle rive di quello che chiamarono Acheronte l’antica Acheruntia, “case dei forti presso le acque del fiume”. A causa delle guerre il popolo fu costretto ad abbandonare la città e a rifugiarsi nel borgo Aruntia, “case dei forti” (l’attuale frazione di Nogiano). Il nuovo centro, ribattezzato Arintha, è citato dallo storico Ecateo di Mileto - vissuto nel 500 a.C. - come città della Bretia di origine enotra. Durante la dominazione romana, Rende fu “Municipio”. Poi ci furono i barbari, i bizantini e i musulmani il cui dominio oppressivo durò fino alla battaglia del 921 in cui i rendesi liberarono l’intera valle del Crati. All’arrivo dei saraceni molti popoli si rifugiarono in Sila. Così anche i rendesi, che tornarono nelle loro terre solo con i normanni, arroccandosi sul colle. Verso la fine dell’XI secolo, sui ruderi di un’antica fortificazione romana fu costruito il castello. Rende passò poi sotto il controllo degli svevi; nel 1254 arrivò il Conte di Catanzaro Pietro Ruffo, in seguito ci furono i domini angioino e aragonese. Nel 1490, con i Conti Adorno, il castello fu ricostruito, ristrutturato e fortificato. Nel XVI secolo l’ormai Marchesato di Rende fu dato da Carlo V a Ferdinando di Alarcon, la cui famiglia potente e ricca si prodigò alla realizzazione di molte opere benefiche. Poi i De Mendoza estesero il loro dominio sul Marchesato di Rende sino al 1817. Quello che in origine era un paesino meridionale si è trasformato Calabria Produttiva Rende Chiesa di S.Antonio Ph. piesse 19 Settembre 2004 oggi in una città di servizi. In particolare negli ultimi trent’anni, Rende è mutata profondamente nella vita sociale e in quella economica. La nota di prestigio viene dalla presenza dell’Università della Calabria, sorta ad Arcavacata nei primi anni ’70 su un progetto di campus con zona servizi, zona attività didattica e ricerca locale, zona residenziale. Le frazioni di Roges, Commenda e Quattromiglia sono quartieri cittadini moderni e ad alta ricettività. Rilevante è il ruolo residenziale connesso allo sviluppo urbano verso nord di Cosenza. Mentre le contrade Lecco e Cutura sono delle sviluppate aree industriali. Numerosi esercizi commerciali e uffici amministrativi pubblici e privati sono invece nella Rende nuova. Una risorsa importante per l’economia locale è costituita dal- l’imponente settore terziario pubblico e privato. Fiorenti le imprese edili; il settore dei laterizi, per la presenza di numerose cave di argilla; la lavorazione del legno, grazie alla generosità dei castagneti della catena costiera. L’artigianato della terra cotta, un tempo florido, è oggi un ricordo, come l’agricoltura che ebbe il suo boom degli anni ’60 e si riduce ormai ai soli margini delle zone Rende urbane e alla fascia collinare. L’unica coltura che sopravvive è quella dell’ulivo. Chi vuole visitare la cittadina ha a disposizione un’ampia scelta di percorsi resi più golosi dalla possibilità di gustare la cucina locale nei tanti ristoranti presenti specie nel centro storico. Qui si potrà vedere il Castello - oggi sede del Municipio - edificato dai normanni nel 1095 e più volte rimanegUno scorcio di Rende Ph.vigi Calabria Produttiva 21 Settembre 2004 Scorcio del centro storico Ph. piesse Calabria Produttiva Rende giato, anche se conserva del nucleo originario solo il portale e la struttura intorno al cortile con quattro torri angolari. Dalla piazza davanti al castello si scende una piccola scalinata che dà su un’altra piazza. Qui sorge preziosa la barocca chiesa del Rosario. Edificata nel 1677, custodisce cinque tele di Cristoforo Santanna, vari dipinti del ’700 e un pulpito del XIX secolo. Custode di preziose bellezze artistiche, il complesso monastico dei Francescani - costituito da chiesa e convento domina dall’alto del colle Vaglio l’intera vallata. Da visitare ancora: il santuario di S. Maria di Costantinopoli, del ’600; la chiesa di San Michele Arcangelo, detta anche “del Ritiro”, di età normanna con l’imponente portale in tufo e la cupola; la chiesa matrice - dedicata a S. Maria Maggiore - del XII secolo ma più volte riedificata in conseguenza dei danni provocati dal terremoto. Formata da 12 cappelle, ha una torre campanaria di quattro piani e conserva bellissimi affreschi del Santanna; il museo civico ospitato nel palazzo Zagarese: nella sezione folklorica di 9 sale intitolata allo studioso Raffaele Lombardi Satriani - sono esposti oggetti, vestiti e foto relativi alla cultura delle classi subalterne calabresi; nella pinacoteca “Achille Capizzano” diverse e pregevoli opere (Preti, Balla, De Chirico, Levi, Guttuso, Greco, Sironi, Viani, Capizzano, Santanna, Pascaletti). Nella zona residenziale di Rende sono molte le chiese di nuova costruzione. A Quattromiglia c’è la chiesa di Santa Maria di Monserrato, a Commenda e a Roges le moderne Sant’Antonio da Padova e quella intitolata alla Beata Vergine di Lourdes; a Saporito la chiesa della Santissima Trinità, San Paolo Apostolo in località San Gennaro, quella del Sacro Cuore di Gesù in località Santo Stefano; infine, nel Villaggio Europa l’ambizioso progetto della chiesa di San Carlo Borromeo, ancora non portato a 23 Settembre 2004 termine. Tra le delizie della tavola rendese: cappieddri ’i prieviti (orecchiette), maccheroni fatti col ferro, gnocchi al sugo, lagana e ceci; agnello arrostito alle erbe con patate fritte, polpettone di vitello farcito (uova, parmigiano, caciocavallo, pomodoro), fave con cotiche, focaccia di granturco con olive, semi di finocchio, pepe e acciughe. Tra i dolci i natalizi chinuliddri con mostarda, o i cuddrurieddri cosparsi di zucchero. Rende Il centro storico Ph. piesse appuntamenti 20 febbraio Festa patronale celebrata in onore dellʼImmacolata Concezione che protesse la città dal terremoto. Maggio-giugno Festa della Madonna di Costantinopoli. Si svolge nellʼarco di tre giorni (domenicalunedì-martedì seguenti alla Pentecoste) ed è la più sentita dai fedeli. Nel programma concerti, intrattenimento e fuochi dʼartificio. 15 agosto Festa dellʼAssunta annunciata al mattino col rullo dei tamburi. Musica e giochi popolari. Fine agosto Fiera di S. Maria della Consolazione. Settembre rendese Ricco calendario di appuntamenti, rassegne cinematografiche, rappresentazioni teatrali e concerti. Natale Presepe artistico nella chiesa della Madonna del Rosario con statuine in terracotta del ʼ700 napoletano. Tutti i giovedì Mercato a Villaggio Europa. Calabria Produttiva 25 Mendicino Dove la pietra è rosa V uole la leggenda che l’odierna Mendicino, nell’entroterra di Cosenza, altro non sia che la mitica ed antichissima Pandosia. Diversi sono i pareri, deri- vati da incerte notizie storiche ed archeologiche, sulle origini della cittadina ai piedi del Monte Cocuzzo. Quello che è più certo è che Pandosia era, in realtà, un territorio mentre, per Ph. archivio Calabria produttiva quanto riguarda più propriamente la storia di Mendicino, alcuni documenti attestano la sua esistenza in epoca medievale. Al tempo della morte di Gioacchino da Fiore era accertata l’e- Settembre 2004 dificazione della Chiesa di Santa Maria dei Martiri, oggi santuario di Santa Maria dell’Accoglienza. Le vicende delle epoche successive sono pure poco note ma è documentata e fatta risalire al 1400 la sua appartenenza ai casali cosentini. Feudo della nobile famiglia dei Sersale fino alla fine del 1500, poi feudo della Curia, in epoca angioina Mendicino fu un territorio ricco e conteso. Con gli Aragonesi passò sotto il governo del casato degli Adorno di Genova e successivamente, in epoca vicereale, Settembre 2004 degli Alarcon Mendoza di Spagna. Durante la dominazione francese, Mendicino divenne Comune del circondario di Cerisano. Se incerta è la storia delle origini di Mendicino, certa è la notorietà che alcuni personaggi le hanno conferito. Possono valere per tutti Alessandro il Molosso, re dell’Epiro, il quale, secondo la leggenda, avrebbe trovato la morte proprio sulle rive dell’Acheronte e Cusina da Pastino, donna dipignanese che a Mendicino aveva fondato un ospedale, alla quale re Ladislao conferì la lau- rea in medicina nel 1442. Numerosissimi gli edifici di culto, tra cui alcuni molto antichi, che si trovano dislocati nel centro storico e nelle frazioni. Una zona di discreto interesse archeologico è quella detta di Mendicino Vecchio, poco lontano dall’attuale centro abitato, dove è ancora possibile vedere i resti di una cinta muraria, di abitazioni ricavate dalla roccia ed alcune cellette, probabili dimore eremitiche in epoca medievale. Per quanto riguarda l’economia, nel passato Mendicino è stata molto nota per la lavorazione della seta, introdotta anche qui dagli ebrei. L’allevamento del baco e la tessitura favorirono il sorgere di numerose filande che, fino alla fine dell’Ottocento, rappresentavano uno dei settori più importanti dell’economia locale. L’ultimo opificio ha serrato per sempre le porte nel 1950 ma questa struttura oggi è ancora viva poichè ospita un museo. Un’altra attività che ha caratterizzato l’economia del paese è stata quella degli scalpellini, grazie alla presenza di ricchissime Mendicino cave di calcare, più conosciuto come “pietra rosa di Mendicino” con cui, nei secoli, gli esperti ed abili artigiani hanno abbellito chiese e palazzi nobiliari di tutto il circondario e il cui utilizzo, attualmente, sta ritornando molto in voga. Il periodo di maggiore sfruttamento può essere datato tra il 1400 e il 1500, epoca in cui i documenti attestano l’attività di una ventina di cave. Un’altra attività dei mendicinesi, che sconfina nelle credenze mediche, magiche e religiose di tutto il Meridione, è stata quella dei sampaLa Torre Palazzo Campagna Il Municipio 26 Calabria Produttiva Calabria Produttiva 27 Mendicino vulari, o cursunari, che la tradizione popolare voleva molto amici dei serpenti per via dell’alta protezione concessa loro da san Paolo, vincitore su un rettile maligno a Malta. Tali signori, dunque - narra sempre la tradizione - potevano catturare i serpenti, renderli innocui, togliere loro il veleno e curare con erbe speciali i loro morsi, neutralizzandone i malefici effetti o addirittura scongiurando la morte. Per restare in tema di tradizioni, è opportuno sottolineare come, ancora oggi, molte di esse siano osservate e costituiscano le occasioni in cui la collettività si ritrova aggregata e partecipante. Tipica è la processione delle Palme, durante la quale viene allestito un alberello stilizzato, costruito con canne e ornato di carta velina colorata, dove sono appesi caramelle, cioccolatini, e ginetti, dolci tipici del luogo, a forma di tarallini ricoperti di glassa allo zucchero. Coinvolgente la sacra rappresentazione della Passione di Cristo, al Venerdì Santo e famoso in tutto il territorio circostante è il Presepe, allestito nella Chiesa di San Pietro e San Bartolomeo. Pure famosa è la banda musicale della città di Mendicino, già costituita alla fine dell’Ottocento ed oggi apprezzata in tutto il territorio regionale. Dal versante gastronomico un prodotto di eccellenza è il pane, conosciuto ed apprezzato ovunque. Uno dei piatti più tradizionali è la melanzana ripiena, a cui è dedicata la sagra locale, o la pitta con soppressata e formaggio fresco, cibo rituale di Pasqua che orna le tavole insieme alle cuddure o cullure cioè ciambelle e cuculi (panetti di pasta intrecciata) che possono essere confezionati con pasta di pane o pasta dolce e che sono guarniti con uova sode intere e col guscio. Una commistione felice di tradizione latina e greca - rintracciabile non solo a Mendicino ma in molti altri paesi della Calabria dove l’uovo è il segno più emblematico della rinascita e quindi della Resurrrezione. 28 Settembre 2004 La filanda Il duomo Calabria Produttiva Castrolibero Un comune da... prima pagina A lle porte di Cosenza, su una collina che domina la valle del Crati è situato Castrolibero, paese fondato dagli Enotri probabilmente nel luogo in cui sorgeva l’antica fortezza di Pandosia, “città di ogni dono” (per la grande fertilità del suolo). Alcuni pensano che l’origine del paese risalga al periodo delle invasioni saracene, quando molti cosentini ripararono nelle zone circostanti della città e il conte di Bergamo Ottone, a capo di un esercito di Franchi, vi costruì il luogo fortificato di Castrofranco o Castelfranco, accampamento dei Franchi. Soggetto per lungo tempo a infeudazioni minori, Castrofranco finì sotto la Il municipio 32 signoria dei Sanseverino di Bisignano. Nel 1487, dopo la “Congiura dei Baroni”, Re Ferdinando fece abbattere le mura di cinta e le case perché Castrofranco rappresentava un ostacolo per gli Aragonesi. Nel 1550 Pietro Antonio Sanseverino concesse in dote alla figlia le cittadine di Castrofranco e Cerisano. Poi il feudo venne acquistato da Valerio Telesio, fratello del filosofo Bernardino, ma la popolazione non gradì la sua politica di oppressione e diede luogo a una rivolta che si concluse con l’uccisione del feudatario nella chiesa di San Giovanni. Castrofranco passò ai Sersale sino alla fine del XIX secolo. Sede, durante il Risorgimento, di una “vendita” carbonara, Castrofranco partecipò ai moti rivoluzionari e nel 1844 un suo cittadino, Santo Cesario, fu fucilato nel vallone di Rovito, dove più tardi avrebbero trovato la morte anche i fratelli Bandiera. Dopo l’Unità d’Italia Castrofranco assunse il nome di Castrolibero. Famoso già nel 1400 per le numerose fornaci di mattoni, agli inizi del XX secolo vi si svilupparono tre stabilimenti per l’estrazione della creta. Vi fu un’ottima produzione serica e, a cavallo delle due guerre, si diffuse notevolmente l’artigianato calzaturiero (il prodotto tipico era la purcina, una specie di pantofola legata alla gamba con lacci in cuoio), che gli valse l’appellativo di paese degli scarpari, mestiere oggi scomparso. L’attività agricola oggi si limita alla produzione di olio e vino. Il settore terziario contribuisce allo sviluppo del paese. Sono presenti varie realtà quali un grande salumificio, un’azienda di produzione e trasformazione di ossigeno, di materiali per l’edilizia, mobilifici. Castrolibero accresce la sua importanza nel 1995, anno in cui nasce una delle testate giornalistiche più importanti della regione, il “Quotidiano della Calabria” la cui sede centrale rappresenta il prestigioso ingresso alla cittadina. Proprio da qui, ai piedi della parte antica, si estende la storica contrada Andreotta che, insieme a Garofalo e Rusoli, è ormai il più importante centro del comune. La sua storia ebbe inizio nel 1500, quando il facoltoso Giovanni Carolo de Andriotta, originario di Regina (nei pressi di Lattarico), si imparentò con la nobile famiglia locale dei Marigliano. A lui pare si debba il nome della frazione. Contrada Garofalo, invece, prende il nome dal barone Pirro, della nobile famiglia catalana dei Garofalo, che qui arrivò nel 1624. Per quanto riguarda Rusoli, pare si chiami così per la grande quantità di querce nane presenti in zona che in dialetto erano dette ruosule. Lungo il fiume Campagnano ci sono le contrade Volpicchi e Cibbia, in aperta campagna; subito dopo Fontanesi in cui alcuni storici individuano l’esatta ubi- Settembre 2004 Settembre 2004 La chiesa di Santa Maria della Stella cazione di Pandosia. Al confine con Rende c’è Orto Matera, una contrada ricca di insediamenti industriali e, nelle immediate vicinanze, contrada Santa Lucia, in cui sorge una chiesa del 1868, dedicata a San Francesco di Paola nei pressi di una fontana, in località “Le Creti”, che la leggenda popolare vuole miracolosa perché fatta sgorgare proprio da san Francesco. Dell’evento vi è traccia in un manoscritto dei principi Sersale del 1750. Il centro storico, su una collina in posizione dominante, sembra quasi un anfiteatro naturale. Evidente è il contrasto tra le contrade e il centro storico con i suoi vicoli silenziosi e i palazzi antichi. Nella centrale piazza Pandosia sorge la moderna chiesa del Salvatore (1974) dalla forma molto originale, con la copertura che ricorda le vele di un’imbarcazione. All’interno un dipinto del ’700 del pittore cosentino Domenico Oranges. Dalla piazza si diramano i vicoli lungo i quali si ergono l’antico palazzo Aiello, sede del Municipio; la chiesa di Santa Maria della Stella di cui restano la facciata romanico-cistercense con un elegante rosone a traforo e la scalinata in tufo; la piazza della “chiesa vecchia” con la Torre dell’orologio, costruita tra il 1908 e il 1912; in località Palazzotto i resti di mura del XVI secolo e di una torre. La cucina locale risente molto dell’influenza della vicina città di Cosenza e molte delle tradizioni castroliberesi si sono perse nel tempo. Castrolibero Fino al secolo scorso in occasione del matrimonio si usava, alla maniera greca, gettare sugli sposi riso, grano, legumi, confetti e fiori. Accogliendo la nuora in casa la suocera le gettava dei ceci nel seno per auspicarne la fecondità. Gli amici degli sposi, invece, inviavano il cuddrurieddru che, durante il banchetto, la sposa spezzava in quattro per distribuirlo ai parenti. Diverse e recenti le manifestazioni organizzate nell’arco dell’anno. La sede del Quotidiano Calabria Produttiva Calabria Produttiva 33 Paola Il vecchio santuario Ph. piesse Settembre 2004 C Settembre 2004 hiunque decida di percorrere la strada SS 107 per trascorrere una giornata sulla costa tirrenica, non può sottrarsi al panorama paolano, disegnato sulle pendici della catena costiera da un antico borgo estesosi col tempo fino alla marina. Gli scorci che si intravedono nel percorrere i tornanti palesano una realtà urbana di facile lettura; qui tradizioni marinare e culture montane si intrecciano, trasformando i contrasti in peculiarità. In realtà, è come se esistessero tre volti di una Paola che, all’occorrenza, si mescolano in una: c’è una Paola religiosa, legata al santuario di San Francesco sul quale, tra devozione e laicità, essa ha fondato la sua economia. Intorno al santuario di San Francesco di Paola, fondato nel XV secolo in prossimità del torrente Isca e luogo di culto tra i più rinomati della Calabria, sorgono una miriade di micro-attività commerciali che trovano spazio lungo il percorso di arrivo nei periodi estivi e si rafforzano durante le numerose manifestazioni in onore del santo. Tra aprile e maggio si svolge una delle manifestazioni più La cittadella del Patrono del mare 36 Paola consolidate della tradizione paolana: i festeggiamenti in onore di san Francesco. Durante la festa, un momento di eccezionale fascino è costituito dalla processione, via mare, di un gruppo di barche e pescherecci che accompagnano il sacro mantello del santo. C’è anche una Paola antica, arroccata sul pendio, quella che un tempo era cinta dalle mura i cui resti sono visibili nella monumentale porta di San Francesco. In questa parte di Paola, che conobbe il suo vero sviluppo tra il XV e XVI secolo, si possono percorrere viuzze e scalinate, stradine all’interno delle quali fioriscono le antiche attività artigianali e dove si può cogliere la vera essenza del paese. E infine, c’è una terza Paola, quella moderna, legata al mare e al suo turismo. Un’infinità di case (se ne contano circa 2000) abitate nei periodi estivi e che si svuotano in quelli invernali. Una popolazione che si raddoppia ogni estate e che rappresenta la domanda turistica alla quale il paese risponde offrendo storia, tradizione e l’immancabile gastronomia locale. Dai numerosi ristoranti e locali disse- L’ingresso del nuovo santuario Ph. vigi Calabria Produttiva Calabria Produttiva minati tra il lungomare e il corso principale si diffondono gli odori dei piatti tipici proposti nei mesi estivi nelle ormai consolidate sagre di quartiere. Si passa, dunque, dalla sagra della mulinciana alla sagra d’a fresa e d’u pimmidori, dalla sagra d’a purpetta i mulinciana alla grispedda, dalla sagra dell’uva a quella d’a pitta e d’u furmaggiu pecurinu. Camminando tra le vie del corso è possibile trovare piccole botteghe o banchetti improvvisati in cui si possono degustare i prodotti tipici e bere del frugoletto, un buon vino locale preparato con uva fragola. La particolare posizione, al crocevia delle due strade SS 18 e 107, lo scalo ferroviario obbligatorio per tutti coloro i quali, provenendo da nord a sud o viceversa, intendono proseguire verso l’interno della regione, hanno fatto di Paola uno dei più frequentati e conosciuti luoghi turistici del litorale tirrenico. 37 Paola I miracoli di San Francesco La pietra del miracolo Ph. vigi 38 Settembre 2004 Il fascino religioso, esercitato dal fraticello Francesco, è costituito dai numerosi miracoli attribuitigli e dalla possibilità di percorrere i luoghi in cui essi avvennero: • il macigno che rotolava dalla montagna verso un gruppo di operai, fermato dalle sue preghiere; • le monete dalle quali fuoriuscì sangue umano, mostrato al re di Napoli in occasione dell’ordine d’arresto comminato al frate stesso; • la fornace utilizzata per la preparazione della calce, nella quale si erano aperte delle falle, richiuse dalle mani del santo mentre era avvolta dalle fiamme; • la trota Antonella, ridotta in pezzi dalla golosità umana, e ricompostasi nel fiume grazie alle preghiere di Francesco; • l’agnellino Martinello, resuscitato dopo che era stato divorato da alcuni operai e gettato in una fornace; • la fonte d’acqua, la cucchiarella, fatta sgorgare dalla roccia per soddisfare la sete degli operai del convento; • la rinascita di alcuni pesci portatigli in dono, e immersi nel fonte dal santo. Alla santità di Francesco di Paola è attribuito un altro episodio miracoloso, accaduto nonostante egli non fosse più in vita: durante un bombardamento, per effetto della preghiera dei fedeli, una bomba sganciata in direzione del santuario non esplose. Calabria Produttiva Veduta delle isole eolie Ph. piesse ’A vulata Tra le tradizioni popolari più conosciute e simpatiche, c’è quella secondo la quale, nella notte tra il 20 ed il 21 luglio, alcune persone vengano prese di mira e schernite dagli stessi compaesani attraverso l’affissione di manifesti per tutto il centro storico. Il giorno dopo, coloro i quali sono stati oggetto dello scherzo, si prestano, più o meno volentieri, al pubblico confronto. Sulle ali del falco e della libertà Girifalco L a cittadella di Girifalco sorge alle pendici del Monte Covello a 450 metri sul livello del mare. La sua storia comunale ha inizio il 4 maggio del 1811. Varie e controverse, invece, le sue origini e quelle del nome, su cui abbondano solo le ipotesi. Il falco volteggiante su una torre, che campeggia sullo stemma comunale, dà adito alla leggenda che vuole il nome derivante dal volatile in perpetuo volo sull’abitato. Ma Settembre 2004 maggiori dettagli sui motivi e la veridicità storica si confondono necessariamente con le vicende più remote in cui si mescola la leggenda. Alcuni studiosi sostengono che Girifalco sia sorto sulle ceneri di due paesi, Caria e Torchio, distrutti dai Saraceni. I superstiti scampati al saccheggio ed all’incendio avrebbero trovato rifugio su una rupe e da lì avrebbero addirittura respinto l’assalto degli invasori, difendendosi con un lancio violen- to di pietre scavate dalla montagna. Questo evento avrebbe fatto meritare ai valorosi cittadini l’appellativo di “Sacra Falange” che, in greco, suona più o meno come Girifalco. Altri propendono per un toponimo che è anche nome di un luogo in cui sorge un presbitero. Il famoso viaggiatore inglese Lear, invece, visitando il paese durante il suo viaggio in Italia nel XVIII secolo, fa risalire il nome di Girifalco alla tradizione falconiera nor- manna e al più valente tra i falconieri del tempo, l’imperatore Federico II. Altre considerazioni di carattere geografico fanno propendere per questa spiegazione poichè dall’alto del Monte Covello sono visibili le due coste calabresi e dunque la posizione può considerarsi altamente strategica ed ottimale per allocare una guarnigione. Ulteriore possibile motivo, sempre legato alla presenza dell’augusto imperatore, Chiesa madre Ph. archivio Calabria produttiva 40 Calabria Produttiva Settembre 2004 potrebbe essere la presenza di un falconiere, ufficiale addetto all’addestramento ed all’allevamento dei falconi. L’unica notizia certa è che, per la posizione geografica, ancora oggi, in alcuni periodi dell’anno, il paese è meta obbligata del passaggio dei rapaci. Fin qui le ipotesi. La storia, invece, come scrive Rocco Ritorto, documenta nel 1845, la costituzione a Girifalco della prima loggia massonica italiana, avvenuta nel 1723, esattamente sei anni dopo la costituzione della prima, dell’epoca moderna s’intende, avvenuta in Gran Bretagna nel 1717. La costituzione della loggia fu opera del nobile Gennaro Caracciolo, duca di Girifalco ma sorprendono enormemente il luogo ed il tempo in cui tutto ciò avvenne. Girifalco, infatti, a quell’epoca era il caratteristico paese dell’entroterra calabrese più abituato a veder transitare commercianti ed eserciti che non idee esoteriche e rivoluzionarie. Le condizioni economiche e sociali, poi, erano quelle comuni a tutto il Meridione, contraddistinte dal degrado non solo economico ma anche culturale e strutturale in cui versavano il territorio e la società. I ceti subalterni e la classe contadina, in particolare, vivevano in condizioni di costante miseria; la nobiltà teneva ben saldi i privilegi feudali anche se le Calabria Produttiva prime crepe cominciavano a delinearsi nel sistema della baronia. Pensare ad un ideale, concepito e diffuso da alcuni aristocratici, di libertà ed uguaglianza sociale risulta dunque strepitosamente rivoluzionario ma, in sostanza, questi furono anche i tratti caratteristici della dominazione dei Caracciolo, i quali si distinsero notevolmente per il loro governo in aperta rottura con i sistemi e le idee del tempo. La presenza massonica a Girifalco, dunque, ebbe il merito di dare letteralmente vita alla classe sociale della Fontana del 600 Ph. archivio Calabria produttiva borghesia libertaria. Molti dei suoi rappresentanti più illustri, però, pagarono caramente l’appartenenza ad un pensiero ed un modus vivendi tanto rivoluzionario quando la dinastia borbonica impose di soffocare nel sangue gli ideali di uguaglianza e di libertà. Raffaele Tolone, fisico; Pier Antonio Maccaroni e Vincenzo Luigi Zaccone, notai; don Vitaliano Staglianò, sacerdote; Vincenzo Migliaccio, chimico, furono impiccati in piazza a Napoli nel 1801, per aver partecipato alla cacciata dei Borbone nel 1799. In particolare, i Tolone pagarono non solo col sangue ma anche con le ricchezze di famiglia. In seguito alla condanna a morte, raccontò Rocco Tolone in un documento lasciato a memoria dei suoi discendenti, vi fu la confisca dei beni ed egli stesso fu costretto ad esercitare l’arte dello “scarparo” per poter continuare a sopravvivere. La morte e la povertà, però, non impedirono all’illustre casato e ai discendenti di continuare a coltivare i propri ideali. Un altro evento che ha caratterizzato la storia di Girifalco è stata l’istituzione dell’ospedale psichiatrico e le origini hanno radici lontane. Dopo la proclamazione dell’unità d’Italia e la soppressione di molti Ordini religiosi, i municipi incamerarono i loro beni. Il Comune di Girifalco, dunque, in quel periodo prese possesso del Convento dei Frati Minori e come annota don Francesco Palaia, memoria storica locale, “le nostre Autorità Provinciali ebbero l’idea di creare un ospedale psichiatrico (...) nel comprensorio della Provincia di Catanzaro. Dire “manicomio”, per quei tempi, era come dire un ospizio di pericolosi forsennati o, peggio, spaventevoli invasati dal demonio. Perciò, il comune di Serra San Bruno (...) fu il più deciso ad opporsi che il progettato Manicomio sorgesse nel suo territorio”. I problemi derivanti dalla presenza di un luogo di cura per malattie mentali non furono pochi nè lievi. La comunità “sana”, pensava con terrore agli ammalati, il reperimento di personale infermieristico risultava davvero difficoltoso e tali inconvenienti si ripercuotevano negativamente sulla stessa gestione dell’ospedale. Il succedersi di illuminati Direttori, però, che alla luce delle nuove conoscenze scientifiche introdussero come terapia il dialogo ed il lavoro, migliorarono le condizioni della struttura ospedaliera, dei suoi ospiti e, di conseguenza, quelle del territorio Girifalco circostante. Nei primi decenni del Novecento, la creazione di una colonia agricola - dove trovarono posto allevamenti di animali, laboratori tessili ed alimentari - di una fornace e di una tipografia, trasformarono via via l’ospedale in un autentico opificio. La struttura sanitaria, nel corso del tempo, ha rappresentato una fonte economica per tutto il circondario poichè moltissime persone hanno potuto trovarvi lavoro. Oggi, l’ospedale, dopo la legge Basaglia che ha determinato la chiusura delle strutture manicomiali, sta subendo l’opera di riconversione. Molti ospiti hanno trovato accoglienza in una struttura diversa, a pochi chilometri dalla precedente, mentre l’antico convento dei Frati minori continua ad assolvere alla sua funzione. Per inciso, è proprio in questo ospedale che la dottoressa Amalia Bruni - a cui si deve la scoperta della famosa “nicastrina” (una delle proteine responsabili del processo degenerativo dell’Alzheimer, ndr) - ha iniziato una serie di ricerche sul morbo. Per quanto riguarda gli altri settori economici, la comunità girifalcese trae buona parte dei suoi introiti dalla lavorazione del marmo e dall’imbottigliamento di un’acqua oligominerale che sgorga dalla sorgente Moschetta, alle pendici del monte Covello. Si pratica ancora l’agricoltura e fiorente è la coltivazione degli ulivi e dei castagni. Girifalco, inoltre, fa parte della Comunità montana “Fossa del Lupo” e, di recente, la realizzazione di aree naturalistiche attrezzate sta determinando scelte strutturali ed economiche che vanno decisamente nella direzione turistica. 41 UN MONDO SOTTERRANEO DA SCOPRIRE Verzino Settembre 2004 V Settembre 2004 erzino si offre agli occhi del turista con gli incantevoli paesaggi nei candidi inverni, nelle colorate primavere e nei profumati autunni quando le prime piogge alimentano i frutti del sottobosco. Il paese dell’entroterra crotonese pare riprenda il nome di una pianta spontanea che gli Arabi utilizzavano nell’arte della tintoria. È la stessa pianta di cui parla Plinio: il cavolo bruzio, virdia, in dialetto calabrese verza (i verzinesi la chiamano virza) da cui Virzina. Il territorio di Verzino è fortemente caratterizzato dalla pre- Verzino Panorama di Ve Ph. p Panorama di Verzino Ph. piesse Chiesa mad Ph. pie Campane della prima Ph 42 Calabria Produttiva Calabria Produttiva Verzino Settembre 2004 Altare chiesa Madre Ph. piesse 44 Calabria Produttiva Settembre 2004 senza di ampie grotte portate alla luce a partire dal 1988. Quelle di maggiore dimensione e interesse sono cinque: Grave Grubbo (che è la più lunga cavità calabrese e una delle più importanti in Italia fra quelle originatesi nei gessi), Antro del Torchio, Risorgenza di Vallone Cufalo, Grotta del Palummaro e Grave dei due Manfred. Le grotte carsiche sono la maggiore attrattiva del centro, che per questo è divenuto uno dei luoghi più visitati della provincia di Crotone. Appassionati e speleologi vengono da ogni parte del mondo ed è anche nata un’associazione, “Le Grave”, per iniziativa di giovani del posto. Da poco si è concluso un corso regionale professionale riconosciuto dall’Unione Europea di guide speleologiche, cosicché l’associazione si è impegnata per organizzare delle visite guidate fornendo tutta l’attrezzatura necessaria (tuta, elmetto con lampada, cinturone e moschettoni, corde, stivali). L’impegno per incentivare il turismo e valorizzare il territorio, insomma, c’è tutto. Quelli che non amano inoltrarsi in questo mondo sotterraneo popolato da muffe, licheni, pipistrelli, camminando tra stalattiti e stalagmiti e oltrepassando a volte un fiume sotterraneo, hanno a disposizione tanti altri itinerari di interesse naturalistico sempre nell’area delle grotte, come le miniere di sale a cielo aperto o i fiumi di sale. La visita del centro abitato di Verzino si apre su piazza del Campo - l’ingresso del paese con il palazzo municipale del ‘600; per ammirare poi il Duomo di Santa Maria dell’Assunta - costruito da maestranze provinciali nel 1600 con facciata romanica, ristrutturata a fine ’800 - e, Calabria Produttiva infine, i ruderi della chiesa di S. Domenico. Ad allietare la vita verzinese oltre alla cucina tipica che eccelle nella pasta fatta in casa (maccarruni, pasta rattata), in quadatelli, cullurelli, sarde salate con pepe rosso, peperoni salati, formaggi, salumi e insaccati rigorosamente preparati in proprio sono i vari eventi che si snodano nell’arco dell’anno. Durante il mese di agosto si svolge l’ormai noto Festival di musica mediterranea “Amore e rabbia”. Sempre ad agosto, la prima domenica, si tiene la fiera degli animali. L’economia di Verzino è legata all’agricoltura e all’allevamento. Il territorio si presta bene a colture diverse: cereali, oliveti, vigneti, frutteti, ortalizi. Ottima la produzione di olio e vino (specie nella frazione Vigne). L’artigianato locale è concentrato sulla lavorazione di alluminio, ferro e legno; si realizzano ancora calzature a mano e si eseguono particolari ricami e lavori all’uncinetto. Le cave di gesso e alabastro presenti nella frazione Vigne, da cui un tempo si estraeva l’argento, data la modestissima quantità presente sono ormai dismesse. Municipio Ph. piesse Verzino 45 La città del Sole e del Ferro Stilo Settembre 2004 A Settembre 2004 ggrappata alle pendici del monte Consolino, Stilo guarda al mare conservando memorie d’Oriente di un tempo in cui accolse i solitari monaci basiliani che costruirono la Cattolica, il più puro gioiello architettonico bizantino. Il toponimo - attestato nel 1049 come kastron Stulou e nel 1310 In castro Stili - sembra derivi dal greco Stylos, Municipio Ph. vigi colonna: forse così era chiamato il monte ai cui piedi si è sviluppato il borgo o potrebbe riferirsi a una colonna posta lungo un antico percorso. Fondato dagli abitanti dell’antica Kaulon, Stilo vive la sua età d’oro con i bizantini, guadagnando importanza politica e amministrativa. Memorabili la resistenza ai normanni e la fedeltà agli angioini. Proprietà del demanio regio con gli aragonesi, divenne presto sede della nobiltà e centro ambito dai signori locali. Dall’antico borgo, attraversando un intrico di stradine a labirinto (làmie) si alternano mucchi di case ed eleganti palazzi e gli occhi si tuffano nel bagno di colori di fiorite balconate. Un arcobaleno di suggestioni con cui Stilo attrae i suoi ospiti in luoghi di indiscusso valore paesaggistico, storico e artistico. A cominciare dalla massima testimonianza del monachesimo orientale: la Cattolica. Il piccolo tempio del X secolo, quasi sospeso su un risalto del pietroso Consolino, tende l’abbraccio alla vallata dello Stilaro e all’orizzonte jonico. Ricalca il modello classico a pianta quadrata e croce greca, con cinque cupole e tre absidi rivolte a Oriente. Il fascino è esaltato dagli affreschi - seppur sbiaditi - scoperti dall’archeologo Paolo Orsi nel Stilo 1927, esempi unici di pittura normanna in Calabria intorno al Mille. Entrando in paese dall’antica Porta Stefanina e risalendo si arriva al castello - costruito nell’XI secolo da Ruggero II - di cui non restano che i ruderi. Da vedere le sculture arabomoresche della Fontana dei delfini e la Ferdinandea, sede nell’800 della direzione delle Regie Ferriere e della Fonderia, ha un affascinante giardino con laghetto artificiale e una cappella. Sui fianchi del Consolino le grotte naturali che offrirono riparo ai monaci, le laure: la Pastorella e la Grotta dell’Angelo (la seconda affrescata). A parte la Cattolica, il bizantinismo ha lasciato a Stilo tante altre tracce, come la piccola chiesa di S. Nicola da Tolentino, con cupola a trullo per la copertura di tegole piatte (embrici); la chiesa di S. Domenico, del ‘600, con il convento che ospitò Campanella; la rinascimentale chiesa di San Francesco con la facciata rifatta in barocco e gli affreschi interni, quasi tutti opera dello stilese Francesco Cozza al quale è dedicata la Pinacoteca di Arte moderna e contemporanea. Il convento ha un chiostro in stile toscano scolpito dallo scalpellino Canigli di Serra San Bruno. Nella piccola piazza antistante la chiesa di San Monumento ai caduti Ph. piesse 46 Calabria Produttiva Calabria Produttiva 47 Stilo Settembre 2004 La Cattolica Ph. piesse Francesco, il monumento a Campanella di Ermete Gazzeri del 1926. L’illustre filosofo - autore de La Città del Sole - è ricordato per la celebre ribellione contro gli spagnoli che gli causò 27 anni di prigione; a lui è intitolato il Museo civico. Del 1625 la chiesa di S. Giovanni Theresti, decorata internamente a stucchi dai padri Redentoristi che raccolsero anche 48 molti libri e manoscritti tuttora conservati nella biblioteca comunale di Stilo. La visita alle chiese termina al Duomo trecentesco. Antica sede vescovile della Calabria, presenta un maestoso portale romano-gotico e, all’interno, la preziosa tela secentesca Il Paradiso del Battistello, allievo napoletano del Caravaggio. Oltre al turismo culturale e religioso, l’economia di Stilo si regge sull’agricoltura: predominano uliveti, vigneti ottima la qualità di olio e vino - cereali e agrumeti. Notevoli gli allevamenti ovini, bovini e caprini, attivo il commercio del legname. Sul territorio sono presenti diverse fonti di acqua potabile e una sorgente di acqua minerale. Tra i più importanti centri siderurgici e metallurgici d’Italia tra il XVII e il XIX secolo, oggi solo saltuariamente si lavora il ferro. Lo stesso vale per l’artigianato del legno o della pietra che fu lavorata l’ultima volta da Drago che scolpì il piedistallo granitico della statua di Campanella. Ogni martedì a Stilo si tiene il mercato con oggetti di artigianato locale. Ma la manifestazione più significativa e Calabria Produttiva Settembre 2004 prestigiosa è il Palio di Ribusa che si svolge ad agosto per tre giorni. Il nome deriva dall’antica Fiera di Ribusa che si teneva a Stilo sin dal 1600. La minuziosa ricostruzione storica (secoli XVI-XVII) è un misto tra realtà e fantasia: i cinque antichi Casali della Contea stilese (Camini, Guardavalle, Pazzano, Riace e Stignano) sfidano la Città di Stilo in prove di forza e destrezza; nell’ultima giornata la Giostra all’anello che assegna il Pallium, drappo lavorato e dipinto a mano da un artista locale. Durante i giorni del Palio tutto il borgo antico è costellato da fiaccole e ci si imbatte in “stazioni” di spettacolo che rievocano momenti storici particolari. C’è anche un animato mercato e presso la Zecca della Bagliva si può acquistare il Ribuso, moneta coniata proprio per il Palio. Stilo offre anche un’ottima cucina, robusta per i sapori e la qualità. Tra i prodotti tipici le olive cumbité, i pomodori secchi con aromi vegetali, carciofini spinosi sott’olio, pecorino piccante. In tavola domina la carne, specie di maiale da cui si ricavano pre- libati insaccati. Tra le paste, quella fatta in casa, filata ancora con il “ferro”, giunco sottilissimo, e condita con sughi dai sapori forti. I secondi piatti sono costituiti da selvaggina, carne di capretto e agnello, salsicce cotte al carbone o in intingoli al pomodoro fresco. Il giorno di san Giuseppe si mangia pasta e ceci, la vigilia di Natale e Capodanno zzippole e laci. Nei dolci natalizi - pitte di san Martino, mastazzola, nzulli - abbondano miele, mandorle, noci e passuli (uva zibibbo essiccata al sole). Con i fichi secchi, riempiti di mandorle o noci, si intrecciano speciali schiocche, profumate con semi di anice o chiodi di garofano e cannella. m.l.m. Stilo A lato: Portone nel centro storico Sotto: Particolare nel centro storico Ph. piesse l’arte del telaio Un tempo, sullʼuscio di casa, le donne ricamavano o tessevano piccoli capolavori: pezzare fatte con avanzi di stoffe, annodati e tessuti; pezzi di corredo ricamati e intagliati. Si usava la ginestra da cui si ricavava un filato speciale per lʼuso al telaio, dopo una laboriosa preparazione nelle acque della fiumara. Si colorava il filato con sostanze naturali: orina di vacca, buccia di castagna o corteccia di melograno. Si tessono ancora lana, cotone, lino e seta. 49 L’antica nobiltà di un borgo di mare I Pizzo Calabro l centro storico sembra scendere a cascata verso lo Spunduni, un suggestivo promontorio a picco sul Tirreno, al centro del golfo di Sant’Eufemia. Su quest’altura tufacea si apre il “salotto” cittadino di Pizzo Calabro, la palpitante piazza della Repubblica con il castello aragonese che rievoca la storia di Gioacchino Murat. Dalla piazza si diramano strade incavate nella roccia, rapide gradi- nate collegano la parte alta con il mare: un saliscendi di vicoli che tanto ricorda i rioni napoletani e che mantiene nel tempo l’originario aspetto di città marinara. Inizialmente fondata da Napeto - capo di una colonia di focesi - la cittadina accolse anche Cicerone e san Pietro, che qui fece tappa durante il suo viaggio per Roma. Distrutta nel corso del IV secolo d.C. dai saraceni, sarebbe stata ricostruita dai superstiti nel primo Novecento. Nel 1363 alcuni monaci basiliani costruirono nella zona un monastero. Fortificato da torri e munito di mura, il borgo si sviluppò rapidamente, divenendo un florido centro peschereccio e commerciale. L’originario toponimo, Napitia (napitium), oltre che al nome del suo fondatore, potrebbe essere collegato al vicino fiume Napeo (l’attuale Settembre 2004 Angitola) oppure alla posizione sul ciglio (in dialetto pizzu) di una rupe. Verso l’VIII secolo diventa Pitzine e quindi Pizzo. Simbolo del paese è il castello dichiarato monumento nazionale costruito nel 1486 da Ferdinando I d’Aragona. È noto anche come castello Murat poiché in esso fu imprigionato e fucilato Gioacchino dopo essere sbarcato sulle coste calabre nel vano tentativo di riconquista del regno di Napoli. Il portale reca una lapide a ricordo. Il maniero si conserva ancora oggi con il suo massiccio corpo quadrangolare sulla rupe che domina il piccolo porto sottostante, affiancato da due torrioni cilindrici che danno verso l’abitato (la torre grande, detta Mastra, è di origine angioina). Meta di vari viaggiatori, anche Alexandre Settembre 2004 Pizzo Calabro Il Castello Ph. piesse Particolare di Pizzo Ph. piesse 50 Calabria Produttiva Calabria Produttiva 51 Pizzo Calabro Dumas volle visitare la prigione e il luogo ove Murat visse i suoi ultimi giorni. Pizzo, tra bellissimi scorci medievali, vanta molte chiese antiche come la cattedrale di San Giorgio - in una fossa comune della Collegiata vi fu sepolto Murat - del 1632. Ha la facciata barocca e conserva una statua in marmo del ’500 della Madonna del Popolo, di scuola Gagini; una tela della Madonna della salvezza, donata da Ferdinando di Borbone alla città per l’avvenuta cattura di Murat; “Il Padre della Rocca”, un Crocifisso ligneo proveniente da Rocca Angitola (distrutta dal terremoto). Dalla cattedrale parte il corso Garibaldi col suo stretto lastricato. Da una ripida scaletta alla fine dell’abitato si arriva alla chiesetta di Piedigrotta, scavata nel tufo di una grotta naturale sulla spiaggia in cui fu creato un oratorio al quadro della Madonna scampato a un naufragio. L’artista locale Angelo Barone successivamente scolpì nel tufo un presepe. La chiesetta, che risuona del fruscio del mare, suscita forti suggestioni e rimanda a lontane leggende. Meritano una visita anche la chiesa di San Francesco di Paola e il convento dei Minimi, risalenti alla seconda metà del XVI secolo, che conservano statue lignee di scuola napoletana e tracce pittoriche dell’artista locale Carmelo Zimatore; la chiesa delle Grazie, costruita nel 1651 da raccoglitori di corallo provenienti da Amalfi: è sotto un unico tetto e unica facciata con quella del Purgatorio e rappresenta il solo esempio del genere in Calabria. È nota anche come chiesa dei Morti poiché nel sottosuolo furono rinvenute delle nicchie con scheletri. Piazza della Repubblica, cuore del paese, dalla balconata in ferro battuto apre lo sguardo su panorami mozzafiato. Si vede la marina, il porto di Vibo e il tratto di costa fino a punta Safò. Si scorge anche il rione Marinella dove, per iniziativa di privati, è sorto il Museo del mare che raccoglie utensili per la costruzione delle barche e per la pesca; una sezione ospita anche scheletri di cetacei, squali imbalsamati e i clypeaster di un milione di anni fa. Luogo d’incontro per la sua bellezza artistica e di vacanza per le sue spiagge contornate da splendide scogliere, Pizzo riesce a soddisfare le richieste di un turismo in continua crescita grazie alle strutture di cui dispone. Ma è tappa obbligata anche per le gioie del palato: oltre ai numerosi ristoranti tipici marinari, vi si può gustare, infatti, lo squisito “tartufo”, rinomato gelato artigianale. Fiorente è l’industria per la conservazione del tonno, la cui pesca e lavorazione è da sempre la maggiore attività del paese. Tra le tante varietà di pesce fresco, il tonno primeggia quindi sulla tavola dei napitini, specie in primavera e preparato in svariati modi. Nota la produzione della pregiata uva “zibibbo” - detta anche Moscato d’Alessandria - con cui si prepara il locale e a volte introvabile vino. La succosa e dolcissima varietà di uva ben si presta anche all’uso passito disidratato - nella preparazione di dolci, pani e focacce tradizionali, oltre che in alcuni piatti di mare con pesce azzurro. La cucina pizzitàna caratterizza le sue pietanze per l’uso costante di spezie e aromi (cannella, chiodi di garofano, noce moscata, origano, finocchietto selvatico, menta e peperoncino) Tra le attività artigiane, da segnalare un cantiere navale per la costruzione di barche con tecniche antiche e la lavorazione della ceramica. Intenso il traffico commerciale, di pesca e l’agricoltura. Tra le festività religiose, la Pasqua è la più sentita dai napitini. Tra i vari riti, il più suggestivo è la processione dell’Addolorata che la sera del venerdì Santo muove dalla chiesa di San Giorgio a quella di San Sebastiano dove si trova la bara del Cristo morto; il sabato Santo, poi, i fratelli dell’Arciconfraternita di San Sebastiano, in abito nero, guanti bianchi e la testa cinta di una corona di spine, portano la bara e le statue processionali per le vie del paese; a sera l’Addolorata viene riportata nella chiesa di San Giorgio. La Pasqua si conclude il martedì, giorno in cui a Pizzo è festeggiata la Pasquetta con la frosa, frittata ripiena di salame, zziringuli e ricotta.. Il tartufo fi Pizzo Ph. piesse 52 Settembre 2004 Sopra: la Chiesetta di Piedigrotta Ph. archivio Calabria produttiva piedigrotta Si narra che verso la fine del XVII secolo, un veliero in balia del mare tempestoso fu scaraventato contro le rocce dove oggi sorge la chiesetta. Lʼequipaggio riuscì a salvarsi e gridò al miracolo, attribuendolo allʼintervento di un quadro della Madonna che si trovava sulla nave. I marinai collocarono il quadro in una buca scavata nella roccia e promisero che sarebbero tornati a erigere una chiesetta per la grazia che avevano ricevuto. Ci furono altre burrasche e il quadro, portato via dalla furia delle onde, fu sempre rinvenuto nel punto in cui il veliero si era schiantato contro gli scogli. I marinai pizzitani decisero allora di scavare una grotta, poi divenuta una chiesetta e abbellita da statue tutte scavate nel tufo. Unʼopera iniziata verso il 1880 da Angelo Barone, che per trentʼanni prestò il suo impegno (vi scolpì un presepe), poi proseguito dal figlio Alfonso. Calabria Produttiva Un terrazzo sulle Eolie Vibo Valentia D a un altopiano che domina il Tirreno, con la vista delle isole Eolie, si affaccia la giovane città di Vibo Valentia, protetta dai rilievi più panoramici della regione alle sue spalle. E’ proprio questa unione perfetta tra mare e monti che segna il destino di una città votata al turismo: il clima è quello ideale, le spiagge e le coste tolgono il fiato, la montagna si schiude incontaminata. La provincia, tra le più attive della Calabria, è stata istituita nel 1992 e ha preso forma “privando” Catanzaro della parte orientale sul versante tirrenico. La sua storia, però, ha inizio già con le emigrazioni greche. Le origini del nome dell’antica Hipponion (dal greco, “stalla di cavalli”) sono ancora incerte: forse perché vi si allevavano cavalli o perché costruita a forma di cavallo (ippos); potrebbe anche derivare dal vocabolo orientale ubo, insenatura. La nascita di Hipponion risale alla seconda metà del VII secolo a.C., legata al disegno egemonico della città madre, Locri, che fondando anche Medma si assicurò il controllo della Calabria centrale e del Golfo di Lamezia. Dopo alterne vicende la città cadde sotto il controllo dei Brettii per avere poi il suo momento di gloria con i Romani, che cambiarono il nome in Vibo Valentia; al tramonto dell’impero, peggiorarono le condizioni sociali ed economiche della città che, nel frattempo, venne chiamata Vibona. Rasa al suolo e incendiata dagli Arabi, rivide la 54 turale è il Museo archeologico statale “Vito Capialbi” ospitato nel Castello dove sono conservati preziosi reperti provenienti da tutta l’area urbana, in particolar modo dalle necropoli del VII-IV a.C. e dalle stipi votive del Cofino e di Scrimbia del VI-V a.C. Durante l’anno Vibo è vivacizzata da feste, eventi e sagre. Il Settembre 2004 primo marzo si festeggia il patrono, san Leoluca; durante la settimana santa ci sono le processioni della Desolata e dell’Affrontata: la prima, la notte del Venerdì Santo, con la statua della Madonna alla ricerca della tomba del Figlio; la seconda, la domenica di Pasqua a mezzogiorno, che rappresenta l’incontro tra Gesù Risorto e la Madonna. Settembre 2004 Nel mese di luglio si organizzano l’Estate vibonese con teatro, musica, danza e cinema; la “Festa del turista”, in piazza Municipio, con il raduno dei “giganti”, concerti e la finale regionale per l’elezione di miss Stella del Sud e miss Vibo Valentia. Ad agosto il tradizionale Palio di Diana fa rivivere la storia di un’eroina vibonese, Diana Recco che, per luce con Ruggero il Normanno che vi innalzò una fortificazione intorno alla quale sorsero spontaneamente le case. Nacque Monteleone, il cui nome viene dai tre monti e dal leone simboli araldici dei Normanni di Sicilia. Il governo fascista ripristinò il nome di Vibo Valentia. Turismo a parte, la città di Vibo deve la sua importanza alla posizione strategica che ne ha fatto per lungo tempo un rilevante mercato agricolo, le ha permesso di dotarsi dello scalo portuale, uno degli approdi principali sul Tirreno (da qui in epoca romana partiva il legname per la costruzione della flotta navale). In più, oggi, è uno dei primi poli industriali della regione con numerose aziende che operano nei settori alimentare, tessile, meccanico, chimico, petrolifero, del cemento e delle ceramiche. Di sabato si svolge il mercato con i prodotti tipici dell’artigianato e della gastronomia. Scorci caratteristici tra antichi palazzi e scalinate si alternano a improvvise pennellate di verde e azzurro della pianura e del mare, mentre nell’aria, d’estate, si insinua prepotente la fragranza dei gelsomini. Gli ingressi delle case sono ornati da conchiglie e ciottoli colorati a testimoniare l’amore per il mare al quale, dal centro città, si arriva in pochi minuti e lo spettacolo ha inizio. L’antico centro storico, ai piedi del Castello normanno-svevo, ha suggestive stradine che conservano tracce del selciato in pietra. Di particolare rilievo turistico e cul- vendicare la morte del padre, del fratello e di altri cinque rivoltosi pugnalò l’uomo che li aveva uccisi. Il Palio prevede la sfilata in costume d’epoca, la sfida tra i rioni e giochi di gruppo. L’ultimo giorno del palio è quello della gara tra cavalieri che percorrendo per sette volte lo stesso tracciato devono infilare la loro lancia negli anelli, ad esprimere il tenta- Vibo valentia tivo di liberare dall’oppressore la città. Il cavaliere che vince la sfida libera sette colombe e riceve il Palio da una ragazza che rappresenta la giovane Diana. Alla fine dell’estate in città abbondano le sagre per gustare quanto di rustico e saporito, pur nella sua semplicità, offra la cucina di Vibo Valentia. I più golosi non potranno resistere ai tanti dolci: i mostaccioli; i ciciriati, biscotti ripieni di caffè, ceci, cacao e noci; le pittapie, biscotti farciti con uva passa, noci, pinoli e cioccolato e il sanguinaccio, sangue di maiale fatto bollire con zucchero, noci, cioccolato fondente e pinoli. Il Castello Ph. piesse Calabria Produttiva Calabria Produttiva 55