calabria speciale

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calabria speciale
sommario
6
36
Paola
Passione Mediterranea
10
Cosenza
40
Girifalco
14
Verzino
Montalto Uffugo
18
Rende
46
Stilo
26
50
Pizzo Calabro
Mendicino
32
54
Castrolibero
4
42
GLI SPECIALI DI
CALABRIA PRODUTTIVA
supplemento alla rivista
Calabria Produttiva
Anno 4 - N°3
www.calabriaproduttiva.it
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Vibo Valentia
Calabria Produttiva
Calabria Produttiva
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Turismo e Calabria.
Passione Mediterranea
settembre 2004
Binomio perfetto per un
comparto economico
che comprende un insieme di risorse ed una
terra a cui la Natura
generosa ha fornito
gran parte delle stesse.
Ruderi del
Castello di Gerace
Ph. piesse
6
Calabria Produttiva
C
settembre 2004
entinaia di chilometri di
coste ora sabbiose, ora
frastagliate, qua brulle e
selvatiche, là dorate e ingentilite
dalla flora mediterranea; colline
tonde e dolcissime che prendono
la fuga in montagne dalla fisionomia alpestre, come la Sila, o
desertica come l'Aspromonte.
E l'elenco continua con giacimenti archeologici - delle età più
remote, in cui il periodo magnogreco la fa da padrone; storici che si materializzano in chiese e
palazzi nobiliari; culturali - che
ancora resistono nei riti e nei
costumi delle manifestazioni religiose, nelle tradizioni popolari
dove anche il cibo, e dunque la
gastronomia, è espressione particolare e genuina dello spazio e
del tempo. Ricchezze di Calabria,
quindi, in grado di produrre altra
ricchezza a condizione che siano
sapientemente utilizzate, rese
fruibili e fatte conoscere.
Ed è proprio sul fronte della
conoscenza che da molto tempo
si sta concentrando alacremente
l'attività
dell'Assessore
al
Turismo ed alle Attività
Produttive Pino Gentile. Mai
prima si era sentito parlare tanto
di Calabria: Festival di Sanremo,
Borsa
Internazionale
del
Turismo, Vinitaly, Salone del
Gusto, Mostra del Cinema di
Venezia, quest'anno le Olimpiadi
di Atene, per citare gli eventi più
noti, sono sempre più impregnati
di calabresità; gustosa soppressata, saporita sardella, pane fragrante, generosi vini doc sono
comprimari insieme ad incantevoli località montane e marine e
personalità di spicco di una regione in grado di sorprendere chi la
conosce già e di meravigliare ed
affascinare chi le si avvicina per
la prima volta.
Ma la promozione non è tutto.
L'attività dell'Assessorato è concentrata anche a sciogliere quelli
che gli esperti definiscono i punti
critici del turismo calabrese,
primo fra tutti la balnearità - che
fa passare in secondo piano le
altre forme di turismo che la
Calabria Produttiva
Calabria è in grado di proporre e
che potrebbero svilupparsi in
sinergia al turismo balneare: agriturismo, ecoturismo, turismo culturare, religioso, termale, strade
del vino, e via dicendo. A seguire,
la stagionalità del turismo che
fino a poco tempo fa risentiva
pesantemente degli effetti di una
concentrazione del periodo turistico limitata ai soli mesi estivi;
ora, con la famosa "destagionalizzazione" si sta arrivando a
diluire l'offerta turistica da giugno a settembre anche se il clima
calabrese consentirebbe addirittura di tenere in attività il comparto
per il semestre maggio-ottobre.
Altro obiettivo, l'aumento dei
posti-letto (nell'ordine delle decine di migliaia di unità) collegato
direttamente alla promozione di
Passione Mediterranea
numerosi voli charter e l'inserimento dell'offerta Calabria nei
cataloghi di otto grandi tour operator.
Di sicuro, molti eventi favorevoli, colti al volo dalla lungimiranza
dell'Assessore Pino Gentile
hanno aiutato a diffondere l'immagine della Calabria. E' l'eccezionale caso della strepitosa testimonial Penelope Cruz che, nel
2001, per promuovere il film "Per
incanto e per delizia" ha posato
nuda sommersa da un mare di
peperoncini.
L'abilità di Enzo Monaco, presidente
dell'Accademia
del
Peperoncino e l'incoraggiamento
dell'allora neo-eletto Assessore
Pino Gentile hanno portato a
siglare, con la mitica Century
Fox, un accordo in base al quale
L’Assessore Pino Gentile
pacchetti turistici rivolti, per la
maggior parte, ai turisti stranieri.
L'effetto-domino investe però
anche la predisposizione di
tutte le copie in videocassetta e
dvd del film - prodotto dalla Casa
di Hollywood- prima dei titoli di
testa, avrebbero dovuto contenere
uno spot sulla Calabria, con le
immagini più belle e "piccanti"
della regione. E ancora, la realizzazione di vari pacchetti turistici
come "Il sole di Bisanzio" o
"Equinozio di Primavera" in collaborazione con il Centro
Europeo Informazione - attraverso il quale sono stati predisposti
vari itinerari (archeologici, storici, culturali, enogastronomici)
rivolti ad un pubblico colto ed
esigente, in grado di apprezzare
una vacanza diversificata all'insegna del divertimento senz'altro
ma non disgiunto dalla cultura.
Un ruolo fondamentale nel settore lo sta svolgendo anche
l'Osservatorio sul Turismo - al
cui coordinamento lavora una
professionalità del calibro del
professor Emilio Becheri - che,
oltre a monitorare la condizione
del comparto, in sinergia con le
iniziative dell'Assessorato sta
lavorando per sciogliere i nodi
che ancora restano in questo
importante e trainante settore. La
parola d'ordine resta comunque
"la calabresità dell'offerta" ovvero la tipicità di una vacanza in
una terra che, a cominciare dal
panorama per finire alla cucina,
sa offrire sensazioni uniche.
E a proposito di cucina, tra le più
recenti iniziative dell'Assessorato, è
da annoverare anche "la valorizzazione dell'eno-gastronomia
d'eccellenza" azione promossa
nell'ambito del bando Por
Calabria, che intende valorizare
appunto le risorse locali ed innovare la tradizione gastronomica
calabrese, così ricca di sapori,
profumi, colori, di spezie ed erbe
selvatiche che, attraverso il palato, parlano di luoghi, di sole, di
terre e di popoli, di tradizioni millenarie e di influssi stranieri che,
sedimentati nella nostra terra,
rendono così diversa la cucina da
paese in paese. Si va dai sapori
freschi e delicati delle pietanze
contadine e marinare a quelli forti
e robusti della tradizione pastorale, i quali trovano, però, un comune denominatore in un autentico
gusto che sa di mediterraneo.
7
Comunicato
N
ell’ultima tornata delle
manifestazioni previste per
l’anno 2004, il Centro
Europeo Informazioni di Cosenza in
collaborazione con il Consorzio
Catanzaro Turismo ed il Centro
Alberghiero
Congressuale
Caposuvero di Gizzeria Lido (Cz) ha
organizzato la prima edizione della
Competizione Culinaria AlberghiRistoranti.
Gli obiettivi prefissati dal CEI, fra l’altro organizzazione di eventi turistici
socio culturali e di spettacolo - promozione di pacchetti turistici per tour
operator, sono stati ampiamente raggiunti nel corso della manifestazione.
Infatti si è scelto questo settore (arte
culinaria), da collegare indissolubilmente con quello turistico, per cogliere contemporaneamente due aspetti
distinti: valorizzazione delle tradizioni
culturali calabresi e indubbio miglioramento della qualità dell’offerta turistica, avendo come filo conduttore la
cucina calabrese.
Questa azione è stata promossa con
specificità dall’Assessorato al
Turismo ed alle Attività Produttive
della Regione Calabria anche nell’ambito del Bando POR Calabria - valorizzazione dell’enogastronomia d’eccellenza.
Il CEI si è orientato in tal senso perchè
da diversi anni si assiste in Calabria
alla nascita di una miriade di nuovi
ristoratori che stanno facendo rinascere le tradizioni della cucina mediterranea infarcita di nuovi sapori e della
ricerca dell’assoluta genuinità dei prodotti base.
La particolare scelta delle rappresentazioni teatrali e cabarettistiche collegate all’argomento cucina è stata dettata
dalla ricerca di far rivivere espressioni
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tipiche di un tempo.
Si è voluto porre l’attenzione e lanciare alla ribalta di una vasta platea proprio questo rivivere di tradizioni popolari che nella nostra terra hanno rappresentato per un lungo periodo di
tempo una cultura subalterna quale
tradizione orale che si è contrapposta
alla cultura egemone ovvero mondo
della scrittura.
Dare spazio e sfogo a queste iniziative
in futuro porterà una reale ventata di
novità nelle proposte turistiche della
nostra regione. Tutti gli operatori turistici hanno potuto cimentarsi nella
preparazione di piatti tipici tenendo
ben presente due aspetti peculiari:
valorizzazione delle risorse locali ed
innovazione nella tradizione culinaria.
Il programma si è imperniato su due
giornate di lavoro. Nella prima, la
manifestazione si è aperta con un convegno sul tema “Gastronomia
Mediterranea - evoluzione nella tradizione”. E’ intervenuto al convegno
l’Assessore Regionale al Turismo e
Attività Produttive On.le Pino Gentile,
nonchè dirigenti dello stesso
Assessorato Regionale che hanno
riportato la loro competenza e professionalità agli intervenuti.
Alla fine del convegno il presidente
del CEI - avv. Mimmo Leonetti - ha
provveduto a premiare l’Assessore
Regionale al Turismo e Attività
Produttive On.le Pino Gentile per i
brillanti risultati raggiunti nella nostra
regione nel settore turistico, inoltre
sono stati premiati per la loro abnegazione ed impegno nel turismo, il dott.
Rocco Militano ed il dott. Pasquale
Anastasi, dirigenti dell’Assessorato
Regionale alle Attività Produttive e
l’ing. Alessandro De Medici,
Presidente del Consorzio Catanzaro
Turismo.
Nella giornata successiva si è svolta la
gara con presentazione dei concorrenti appositamente scelti tra 10 ristoranti
e 10 alberghi (tutti comunque inseriti
nelle varie guide turistiche, Gambero
Rosso, Michelin ed altre).
Le serate sono state dedicate alla proposizione di spettacoli teatrali e cabaret con un solo obbligo per tutti, quello dell’utilizzazione della cucina quale
portante degli spettacoli.
La numerosa presenza di pubblico e di
operatori del settore turistico e della
ristorazione, nonchè la partecipazione
diretta delle Istituzioni, hanno portato
alla valorizzazione di questa particolare forma di spettacolo, realmente integrata con il settore turismo, per questo
il CEI ha inteso concepire tale iniziativa quale I Edizione di una serie indefinita di manifestazioni che apriranno
o chiuderanno la stagione estiva turistica. La stabilità della manifestazione
dovrà divenire il presupposto del turismo in Calabria assumendo una caratteristica sempre più nazionale. E’ da
augurarsi che tale iniziativa possa
essere da esempio per altre zone turistiche che meriterebbero maggiore
attenzione sia nel campo dello spettacolo che nel campo del turismo.
Nel corso della manifestazione l’on.
Pino Gentile, Assessore Regionale al
Turismo e Attività Produttive della
Settembre 2004
Regione Calabria, ha inteso sottolinerae l’importanza e la validità delle
manifestazioni come quelle organizzate dal Centro Europeo Informazioni
ed in particolare dal Presidente Avv.
Mimmo Leonetti che promuovono
l’immagine di una Calabria quale
nuova realtà imprenditoriale-turistica,
valorizzando le indubbie realtà locali,
tutto ciò affinchè la Calabria possa
riscoprire i fasti che le competono
essendo da sempre “Terra che evoca
colori cupi e fastosi come il nero e
l’oro, situazioni intriganti e splendide, una realtà piena di misteri e
grandezze, una terra meravigliosa,
una Passione Mediterranea da
vivere”.
Calabria Produttiva
Una città
in movimento
T
Cosenza
ra memorie di antiche
civiltà e incantevoli paesaggi si delinea il profilo
di una città affascinante ed impegnativa se si vuole recuperarne la
lunga storia. Ricca, popolosa, con
lo spirito forgiato all’indipendenza e alla libertà, Cosenza si estende nella valle del Crati ed è
abbracciata da sette colli.
L’antica Cosentia o Consentia è
quella che Strabone e Diodoro
individuano come “metropoli dei
Brettii” che qui si insediarono
poco prima della metà del IV
secolo a.C. per rendersi indipendenti dai Lucani, acquisendo un
notevole ruolo egemonico. Il
toponimo Cosentia compare per
la prima volta su un monumento
epigrafico latino rinvenuto nei
pressi di Polla, a indicare la stazione di tappa lungo l’antica strada romana di collegamento tra
Reggio e Capua e con il resto
dell’Italia (l’odierna via Popilia)
costruita nella seconda metà del
II secolo a.C. La storia di
Cosenza è legata indissolubilmente alla leggenda: si narra che
il letto del Busento, alla confluenza con il Crati, custodisca le spoglie di Alarico, re dei Visigoti e
del suo tesoro. Per secoli aspramente contesa, nonostante l’alternarsi di periodi gloriosi a traumatici arresti, la città seppe sempre
ritagliarsi ruoli importanti. Una
delle epoche più fiorenti fu
segnata dalla dominazione sveva,
decisiva per sue le sorti. A
Federico II, infatti, si deve una
sapiente ricostruzione della città;
sotto il suo regno, fu ristrutturato
il Castello, costruito in epoca normanna mentre il Duomo fu completato e consacrato con la donazione della preziosa Stauroteca,
commissionata dalla Corte alle
oreficerie sicule. Dal XVI secolo
Cosenza si affermò come uno dei
centri più vivaci della cultura del
Settembre 2004
Meridione grazie alla nascita
dell’Accademia Cosentina di cui
fecero parte Bernardino Telesio,
Sertorio Quattromani e altri personaggi illustri quali Aulo Giano
Parrasio, i fratelli Martirano,
Antonio Serra. Tra il ’500 e il
’700 si sviluppò e si arricchì di
pregevoli architetture anche per
merito di nuovi ordini religiosi e
con il prezioso contributo di maestranze roglianesi, scalpellini e
artigiani che
lasciarono un
inconfondibile segno della loro
arte. Anche per l’economia, questo fu uno dei periodi più opulenti: si sviluppò il mercato manifatturiero, la lavorazione del legname, l’allevamento del baco e il
commercio della seta, della liquirizia, della pece e dei prodotti
dell’altopiano silano. Da fine
’700 diversi eventi traumatici
colpirono la città. Teatro dei moti
Veduta dal Castello
Ph. Vigi
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Calabria Produttiva
Settembre 2004
mazziniani, Cosenza offrì non
pochi spunti per le rivolte antiborboniche tra cui la nobile
impresa dei fratelli Bandiera che
furono fucilati nel Vallone di
Rovito. La loro tragica fine è
diventata un topos della città al
pari della leggenda di Alarico.
Affacciandosi al XX secolo,
Cosenza tornò protagonista impegnata in una profonda opera di
modernizzazione. L’aspetto urbano si trasformò e la città abbandonò pian piano il suo arroccamento sul colle Pancrazio, per
estendersi a valle. Nel 1909 il
Teatro Comunale inaugurò la sua
prima stagione lirica con
l’“Aida” e iniziarono a emergere i
musicisti cosentini: il già affermato Alfonso Rendano (a cui poi
sarà intitolato il teatro), Stanislao
Giacomantonio (a cui sarà dedicato il primo Conservatorio musicale calabrese, uno dei più grandi
d’Italia) e Maurizio Quintieri
(che darà il nome a un’associazione culturale). Si riaffermò la
vocazione commerciale e terziaria. Gli operai della fabbrica chimica in cui si produceva il tannino, grazie agli scioperi sostenuti
dalla Camera del Lavoro, nel
1920 conquistarono, fra i primi in
Italia, le 8 ore lavorative quotidiane. Alla fine degli anni
Cinquanta, emerse la figura di
Giacomo Mancini, la cui opera è
stata determinante per lo sviluppo
della città. Fu edificato lo stadio
San Vito; si prospettò l’istituzione dell’ateneo che sarebbe sorto
nei primi anni ’70 sulle colline di
Arcavacata; si diede vita a un
Consorzio teatrale calabrese, a
esperienze editoriali, giornalistiche e teatrali (degna di nota la
sperimentazione e l’attività del
Teatro dell’Acquario). Negli anni
’90, si è ricominciato a frequentare la “Cosenza Vecchia” e tutta la
città pulsa di nuova vita. Il più
esteso quartiere popolare, via
Popilia, in passato ghettizzato, si
riarmonizza al tessuto urbano con
la costruzione di Viale Parco. La
parte più antica della città è
senz’altro la più suggestiva:
Calabria Produttiva
Cosenza
Interno del Castello
Ph. Vigi
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Cosenza
meravigliosi palazzi nobiliari,
antiche chiese e monumenti,
qualche vecchia bottega artigiana
fanno rivivere un emozionante
ritorno al passato. Il Duomo, in
stile romanico, è uno dei più singolari e affascinanti del
Meridione: ha una cappella dedicata alla Madonna del Pilerio,
patrona della città - raffigurata in
una splendida tavola bizantina
della seconda metà del ’200 - il
mausoleo di Isabella d’Aragona e
il sepolcro di Enrico di
Hohenstaufen, figlio di Federico
II. Degni di visita sono pure piazza XV Marzo con al centro il
monumento in bronzo a
Bernardino Telesio, il palazzo
della Prefettura, la Biblioteca
civica con annesso Museo, il teatro Rendano, il Museo civico,
l’Accademia Cosentina, la vecchia Villa comunale. Ai piedi del
centro storico è il piccolo “gioiel-
12
lo” del XV secolo, la chiesa di
San Domenico, in cui convivono
tardo-gotico e barocco. All’inizio
della città nuova, Palazzo dei
Bruzi, sede del Municipio, fa da
prospetto alla via principale della
città, corso Mazzini. Da qui si
snoda il percorso commerciale di
Cosenza con i suoi eleganti negozi e le moderne strutture.
L’economia della città è una
realtà solida anche perché coinvolge l’attività di molti comuni
del circondario. Il più sviluppato
è il settore terziario, ma fanno la
loro parte anche i comparti creditizio, assicurativo, edile, il commercio (telefonia, informatica,
mobili, abbigliamento); l’attività
agricola (olio, vino, patate, cereali). Il continuo fermento della
città è confermato da un vasto
ciclo di manifestazioni che vi si
svolgono e ne fanno un attraente
convoglio di diversi interessi. Il
12 febbraio Cosenza celebra la
patrona, la Madonna del Pilerio,
che salvò la città durante la pestilenza del 1576. Il 19 marzo si
tiene la fiera di San Giuseppe,
dalla storia centenaria e famosa
in tutto il Meridione. A luglio si
svolgono il “Festival delle
Invasioni”, momento di arte e di
incontro tra i popoli; “Il gioco dei
sette Cantoni” in cui i vari distretti cittadini si cimentano nei giochi popolari; “Città aperta”, che
offre l’occasione di accedere gratuitamente ai monumenti; il cinema all’aperto nel Parco Fluviale;
lo “spaghetto del Carmelo” il 16
luglio in piazza Duomo; la Sagra
dell’uva e del vino a ottobre a
Donnici. In cucina, Cosenza si
nota per le pietanze dai sapori
decisi e che sfruttano a pieno i
prodotti della terra. Dalla sapiente combinazione di ortaggi e
legumi si ottengono sorprendenti
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pietanze. Il pane, poi, è particolarmente gustoso e accompagna
eccezionali antipasti a base di
salumi, sott’olio e formaggi. Tra i
primi spicca la pasta fatta in casa;
le lagane e ceci; la sagna chijna
(pasta al forno); la pasta e patate
ara tieddra. Tra i secondi, i cavuli
chini e le gustose mazzacorde al
sugo fatte con pezzi di trippa,
fegato e polmone di agnello o
capretto, attorno ai quali si avvolgono le budella. Deliziosi i dolci:
la pitta ’nchiusa (ripiena di uva
passa e noci); le crucette (fichi
secchi con noci e miele). L’olio
extravergine di oliva, il peperoncino e gli ottimi vini locali come
il Donnici e il Savuto (entrambi
doc) contribuiscono a dare un
tocco di classe alla tavola cosentina.
Calabria Produttiva
La città di
Leoncavallo
Montalto Uffugo
V
isto da lontano, Montalto
Uffugo sembra un paese-fortezza, arroccato com'è su un
costone. L'impressione che si ricava da
questo colpo d'occhio è di dominio su
tutta la valle. Inerpicandosi per la via
principale, le fughe dei primi vicoletti
rimandano con più forza questa sensazione di altezza e di difesa mentre il
complesso architettonico della chiesa e
del convento del Carmine, appollaiati a
ridosso delle case, fa pensare ad un'aquila che, da un momento all'altro, stia
per spiccare il volo dalle sue vertiginose altezze. Tradizione vuole che, per
scampare alle incursioni saracene che
avevano distrutto la città di epoca romana, gli abitanti superstiti fossero risaliti a
monte, in posizione più difendibile e
sicura. Tito Livio ne parla nelle sue
Storie e dall'antica Aufugum sembra
derivare l'appellativo Uffugo che venne
aggiunto al toponimo Montalto dopo
l'unità d'Italia. Tutto il centro storico è
ricchissimo di testimonianze del passato e delle dominazioni che hanno scritto pagine e pagine di storia di questo
grosso centro della parte mediana della
valle del Crati. I normanni hanno lasciato un'imponente torre che, un tempo,
costituiva una delle porte di accesso alla
città. Nello stesso periodo, una colonia
di ebrei ed una di valdesi si stabilirono
nel paese, conferendo a Montalto uno
status di multietnicità ante litteram. Gli
ebrei avviarono subito una fiorente
industria di stoffe; pregiate divennero le
lavorazioni di seta, lana e velluto che
diedero al paese benessere e ricchezza.
Una testimonianza del loro passaggio
rimane nell'arco a tutto tondo e nella
porta murata di via Mollo che costituiva l'ingresso di un negozio ebraico.
Tristemente nota, nella storia del paese,
la cacciata dei valdesi, iniziata con l'eccidio di un'ottantina di persone, considerate eretiche. Intanto si succedevano i
feudatari. Dopo i Ruffo di Calabria,
Montalto passò ai d'Aragona; diventò,
quindi, per breve periodo, libera
Università poi ritornò sotto i de Alegre
prima e i d'Aragona dopo. La dominazione spagnola non impedì la partecipazione di Montalto ai moti napoletani del
1799; anche qui, come in moltissimi
centri di tutta l'Italia meridionale, fu
eretto l'Albero della Libertà. Non fu
estranea a questi moti liberali l'esistenza
dell'Accademia Montaltina (sorta nel
1601, o nel 1617 secondo altri fonti storiche, ad opera di Francesco Foscarini)
sotto l'insegna della quale illustri personaggi discutevano di politica, filosofia,
storia, teologia e giurisprudenza. Dalle
sue ceneri, un secolo più tardi, prese vita
l'Accademia degli Inculti che si era prefissa lo scopo di continuare e migliorare l'attività dell'istituzione precedente.
Di recente, nel 1995, la rinata
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Accademia degli Inculti ha ripreso la
sua attività di ricerca nei settori scientifici, letterari ed artistici, organizzando
convegni, concorsi e borse di studio a
favore di studenti volenterosi ma con
limitate possibilità economiche.
Numerosi sono, a Montalto, i luoghi di
culto, alcuni dei quali di pregevole fattura. Tra tutti spicca il santuario della
Madonna della Serra, meta incessante
di riti matrimoniali per l'imponente e
scenografica gradinata su cui si erge il
prospetto barocco della chiesa. Un altare in marmo custodisce la statua della
Madonna della Serra con bambino,
oggi protetta da un sistema d'allarme
dopo che, per ben tre volte, è stata rubata e ritrovata. Degna di nota è anche la
chiesa della SS. Annunziata, che perimetra da un lato piazza Bianco, il salotto della città in cui, a diverse ore, si
avvicenda un po' tutta la popolazione
montaltese. Si fanno ammirare anche la
chiesa e l'ex convento del Carmine, la
chiesa ed ex convento di san
Domenico, oggi sede municipale; la
chiesa e l'ex convento di sant'Antonio
dove pare sia stato in visita il beato
Angelo da Acri e che probabilmente ha
svolto funzioni di lazzaretto nel XVII
secolo. Varie e pregevoli le chiese dis-
Settembre 2004
seminate anche nelle frazioni che formano il territorio comunale, così come
alcuni palazzi nobiliari del centro storico tra cui spiccano palazzo ex Aragona,
palazzo Carelli e palazzo della
Cananea. Ma le attrazioni di Montalto
non si fermano ai percorsi artistico-religiosi. Un nome illustre della lirica ha
portato Montalto nel mondo. E' ormai
risaputo che il maestro Ruggero
Leoncavallo, autore de I Pagliacci,
diretta dal grande Arturo Toscanini,
visse a Montalto per un periodo della
sua infanzia. Un fatto delittuoso, accaduto proprio a Montalto, di cui fu testimone, lo indusse a scrivere l'opera, rappresentata a Milano e all'Opera di
Parigi. Per il grande debutto francese, il
decoratore montaltese Rocco Ferrari
preparò i bozzetti per le scenografie. Il
nome di Montalto era ormai conosciuto
dappertutto ed in segno di gratitudine,
nel 1903, l'amministrazione montaltese
concesse la cittadinanza onoraria al
maestro il quale, per continuare a mantenere con affetto questo legame, dopo
il terremoto del 1905, fece dono ai cittadini di notevoli somme di danaro ricavate dalle rappresentazioni dell'Ave
Maria. Nel 1943, nella cittadina fu girato anche il film Pagliacci per la regia di
Giuseppe Fatigati, con una giovane
Alida Valli come protagonista. La figura dell'artista ed illustre concittadino, è
stata ricordata nel 1977, con una grande
manifestazione a cui ha preso parte il
tenore Giuseppe Di Stefano; i cittadini
ne conservano quotidiana memoria con
una lapide, nel palazzo municipale; un
monumento, opera del maestro
Verdiglione ed un festival che, da alcuni anni, si svolge regolarmente a settembre e che prevede un concorso di
musica lirica e la rappresentazione di
un'opera, sempre di lirica, sul sagrato
del Duomo. Oltre alle bellezze storiche,
Montalto Uffugo
artistiche e culturali, il territorio di
Montalto offre anche una natura rigogliosa e particolare. Dal centro abitato,
salendo verso le vette della catena
costiera calabrese, grandi distese di
ginestra, lentisco, ginepro conferiscono
all'aria primaverile un profumo che
lascia storditi. In estate, le grandi felci
dal verde intenso sono punteggiate da
miriadi di farfalle bianche. Nei prati è
un avvicendarsi continuo di violette,
specie selvatiche di orchidee e gigli. In
autunno, nelle faggete e sotto i castagni,
un manto di ciclamini occhieggia sotto
le foglie appena appassite degli alberi e
l'oro delle foglie si fonde al violetto pallido dei fiori. Il sottobosco nasconde
saporitissimi funghi tra cui prevalgono i
pregiati porcini e gli ovuli. E lo specchio lacustre di Laghicello, al confine
tra i comuni di San Benedetto Ullano e
Montalto, custodisce una straordinaria
specie endemica di animale anfibio, il
tritone alpestre, che si trova solo qui e
nel laghetto dei Due Uomini, nel territorio di Fagnano Castello. Secondo i
naturalisti, la presenza di questi animali
è un indice positivo della salute dell'ambiente ma per accorgersene basta veder
planare a pelo d'acqua le grandi libellu-
Panoramica di Montalto Uffugo
Ph. piesse
Portone della Chiesa della
Madonna della Serra
Ph. piesse
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Calabria Produttiva
Calabria Produttiva
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Montalto Uffugo
le blu che fanno compagnia ai tritoni;
basta appena un pizzico di fortuna e di
pazienza per vedersi tagliare la strada,
soprattutto nelle notti d'estate, da ricci,
volpi, donnole, ghiri - spesso anche vittime innocenti di incauti automobilistiper capire che la natura è ancora sana. A
protezione di queste ed altre meraviglie
animali e vegetali, è stato istituito, nel
1988, il parco naturale della Comunità
Montana che ricade nel territorio di altri
8 comuni. Un bel punto di ristoro, il
"Mangia e bevi", meta di gite organizzate, di raduni sportivi o di semplici
turisti, offre i comfort essenziali ai visitatori mentre una statua di san
Francesco, alla sommità del sentiero del
Pellegrino, ricorda ai devoti -che ogni
anno, dai comuni limitrofi raggiungono
votivamente a piedi Paola, posta sul
versante opposto della montagna, per la
festa in onore del Santo - che la montagna sta per finire e da lì a poco inizierà
il sentiero in discesa. Grande è la devozione popolare che distingue la collettività montaltese e non solo nei confronti
di san Francesco. La Madonna della
Serra, patrona della città, ha due feste in
suo onore: a febbraio, quando il sindaco
nella consegna simbolica di un bambino alla statua, affida tutta la comunità
alla sua protezione e in agosto, quando
in paese è più forte la presenza dei
numerosi emigrati che, per la bella sta-
16
gione, fanno ritorno al luogo di origine.
Nelle varie frazioni sono festeggiati altri
santi (san Pietro, sant'Antonio, san
Pasquale) e Madonne (Madonna del
Carmelo, della Neve, dell'Addolorata)
ed un particolare rilievo assumono le
funzioni religiose della Settimana Santa
con la Turba e la Processione dei
Misteri che si svolgono rispettivamente
nella notte tra il giovedì e il venerdì
santo e il sabato santo. Fino a poco
tempo fa, anche in occasione del
Carnevale molta sentita e numerosa era
la partecipazione collettiva al Carnevale
Saraceno, una rievocazione più grottesca che storica delle battaglie dei montaltesi contro gli invasori. A fronte di
tanta tradizione che sostiene il tessuto
culturale montaltese, il comune e, nella
fattispecie, le frazioni sono il fiore
all'occhiello della modernità con distretti commerciali che fanno del territorio
di Montalto Uffugo una realtà molto
interessante dal punto di vista economico. Nonostante la relativa modernità
dello sviluppo di alcune frazioni quali
Taverna (risalente al 1970) e Settimo
(nel 1990), la zona industriale adiacente
ha dimensioni e connotazioni di tutto
rispetto. Aziende collaterali al settore
edilizio quali arredamento, infissi, ceramiche, caminetti; aziende agricole che
alimentano il comparto della trasformazione e della conservazione (salumi,
Settembre 2004
Chiesa del Carmine
con il convento dei Carmelitani
Ph. piesse
formaggi, olio, conserve alimentari,
prodotti lattiero-caseari), molinifici;
aziende agrituristiche, ristoranti, pizzerie, pub, bar, pasticcerie; negozi di abbigliamento e calzature, gioiellerie, ottica,
grandi supermercati ed ipermercati
sono una realtà ormai quotidiana per
Montalto che, nel ricordare costantemente il suo passato, ha gli occhi decisamente puntati sul futuro.
Eloquente ed emblematica più che mai
la segnalazione turistica del comune:
davanti ad un grandissimo ipermercato
campeggia la scritta: benvenuti a
Montalto, la città di Ruggero
Leoncavallo.
Chiesa della
Madonna della Serra
Ph. piesse
Calabria Produttiva
Rende
Una città dotta
tra antico e moderno
Settembre 2004
L’ingresso del museo
Ph. piesse
18
Calabria Produttiva
U
Settembre 2004
n antico borgo raggomitolato in cima a un colle
che mostra le sue grazie
naturali e artistiche intorno al
castello e poi guarda in basso, ai
suoi piedi, la città moderna che si
scioglie nella pianura circostante.
Rende è fra le più grandi cittadine
della provincia di Cosenza - cui è
affiancata territorialmente - di cui
condivide gran parte della storia.
Le sue origini si devono, probabilmente, agli Enotri che nel VI secolo a.C. fondarono sulle rive di
quello che chiamarono Acheronte
l’antica Acheruntia, “case dei forti
presso le acque del fiume”. A
causa delle guerre il popolo fu
costretto ad abbandonare la città e
a rifugiarsi nel borgo Aruntia,
“case dei forti” (l’attuale frazione
di Nogiano). Il nuovo centro,
ribattezzato Arintha, è citato dallo
storico Ecateo di Mileto - vissuto
nel 500 a.C. - come città della
Bretia di origine enotra.
Durante la dominazione romana,
Rende fu “Municipio”. Poi ci
furono i barbari, i bizantini e i
musulmani il cui dominio oppressivo durò fino alla battaglia del
921 in cui i rendesi liberarono l’intera valle del Crati. All’arrivo dei
saraceni molti popoli si rifugiarono in Sila. Così anche i rendesi,
che tornarono nelle loro terre solo
con i normanni, arroccandosi sul
colle. Verso la fine dell’XI secolo,
sui ruderi di un’antica fortificazione romana fu costruito il castello.
Rende passò poi sotto il controllo
degli svevi; nel 1254 arrivò il
Conte di Catanzaro Pietro Ruffo,
in seguito ci furono i domini
angioino e aragonese. Nel 1490,
con i Conti Adorno, il castello fu
ricostruito, ristrutturato e fortificato. Nel XVI secolo l’ormai
Marchesato di Rende fu dato da
Carlo V a Ferdinando di Alarcon,
la cui famiglia potente e ricca si
prodigò alla realizzazione di molte
opere benefiche. Poi i De
Mendoza estesero il loro dominio
sul Marchesato di Rende sino al
1817.
Quello che in origine era un paesino meridionale si è trasformato
Calabria Produttiva
Rende
Chiesa di S.Antonio
Ph. piesse
19
Settembre 2004
oggi in una città di servizi. In particolare negli ultimi trent’anni,
Rende è mutata profondamente
nella vita sociale e in quella economica. La nota di prestigio viene
dalla presenza dell’Università
della Calabria, sorta ad Arcavacata
nei primi anni ’70 su un progetto
di campus con zona servizi, zona
attività didattica e ricerca locale,
zona residenziale. Le frazioni di
Roges,
Commenda
e
Quattromiglia sono quartieri cittadini moderni e ad alta ricettività.
Rilevante è il ruolo residenziale
connesso allo sviluppo urbano
verso nord di Cosenza. Mentre le
contrade Lecco e Cutura sono
delle sviluppate aree industriali.
Numerosi esercizi commerciali e
uffici amministrativi pubblici e
privati sono invece nella Rende
nuova. Una risorsa importante per
l’economia locale è costituita dal-
l’imponente settore terziario pubblico e privato. Fiorenti le imprese
edili; il settore dei laterizi, per la
presenza di numerose cave di
argilla; la lavorazione del legno,
grazie alla generosità dei castagneti della catena costiera.
L’artigianato della terra cotta, un
tempo florido, è oggi un ricordo,
come l’agricoltura che ebbe il suo
boom degli anni ’60 e si riduce
ormai ai soli margini delle zone
Rende
urbane e alla fascia collinare.
L’unica coltura che sopravvive è
quella dell’ulivo.
Chi vuole visitare la cittadina ha a
disposizione un’ampia scelta di
percorsi resi più golosi dalla possibilità di gustare la cucina locale nei
tanti ristoranti presenti specie nel
centro storico. Qui si potrà vedere
il Castello - oggi sede del
Municipio - edificato dai normanni nel 1095 e più volte rimanegUno scorcio di Rende
Ph.vigi
Calabria Produttiva
21
Settembre 2004
Scorcio del centro storico
Ph. piesse
Calabria Produttiva
Rende
giato, anche se conserva del
nucleo originario solo il portale e
la struttura intorno al cortile con
quattro torri angolari. Dalla piazza
davanti al castello si scende una
piccola scalinata che dà su un’altra piazza. Qui sorge preziosa la
barocca chiesa del Rosario.
Edificata nel 1677, custodisce cinque tele di Cristoforo Santanna,
vari dipinti del ’700 e un pulpito
del XIX secolo. Custode di preziose bellezze artistiche, il complesso monastico dei Francescani
- costituito da chiesa e convento domina dall’alto del colle Vaglio
l’intera vallata.
Da visitare ancora: il santuario di
S. Maria di Costantinopoli, del
’600; la chiesa di San Michele
Arcangelo, detta anche “del
Ritiro”, di età normanna con l’imponente portale in tufo e la cupola;
la chiesa matrice - dedicata a S.
Maria Maggiore - del XII secolo
ma più volte riedificata in conseguenza dei danni provocati dal terremoto. Formata da 12 cappelle,
ha una torre campanaria di quattro
piani e conserva bellissimi affreschi del Santanna; il museo civico
ospitato nel palazzo Zagarese:
nella sezione folklorica di 9 sale intitolata allo studioso Raffaele
Lombardi Satriani - sono esposti
oggetti, vestiti e foto relativi alla
cultura delle classi subalterne calabresi; nella pinacoteca “Achille
Capizzano” diverse e pregevoli
opere (Preti, Balla, De Chirico,
Levi, Guttuso, Greco, Sironi,
Viani, Capizzano, Santanna,
Pascaletti). Nella zona residenziale di Rende sono molte le chiese di
nuova costruzione.
A Quattromiglia c’è la chiesa di
Santa Maria di Monserrato, a
Commenda e a Roges le moderne
Sant’Antonio da Padova e quella
intitolata alla Beata Vergine di
Lourdes; a Saporito la chiesa della
Santissima Trinità, San Paolo
Apostolo in località San Gennaro,
quella del Sacro Cuore di Gesù in
località Santo Stefano; infine, nel
Villaggio Europa l’ambizioso progetto della chiesa di San Carlo
Borromeo, ancora non portato a
23
Settembre 2004
termine.
Tra le delizie della tavola rendese:
cappieddri ’i prieviti (orecchiette),
maccheroni fatti col ferro, gnocchi
al sugo, lagana e ceci; agnello
arrostito alle erbe con patate fritte,
polpettone di vitello farcito (uova,
parmigiano, caciocavallo, pomodoro), fave con cotiche, focaccia
di granturco con olive, semi di
finocchio, pepe e acciughe. Tra i
dolci i natalizi chinuliddri con
mostarda, o i cuddrurieddri
cosparsi di zucchero.
Rende
Il centro storico
Ph. piesse
appuntamenti
20 febbraio
Festa patronale celebrata in
onore dellʼImmacolata
Concezione che protesse la
città dal terremoto.
Maggio-giugno
Festa della Madonna di
Costantinopoli. Si svolge nellʼarco di tre giorni (domenicalunedì-martedì seguenti alla
Pentecoste) ed è la più sentita
dai fedeli. Nel programma concerti, intrattenimento e fuochi
dʼartificio.
15 agosto
Festa dellʼAssunta annunciata
al mattino col rullo dei tamburi.
Musica e giochi popolari.
Fine agosto
Fiera di S. Maria della
Consolazione.
Settembre rendese
Ricco calendario di appuntamenti, rassegne cinematografiche, rappresentazioni teatrali e
concerti.
Natale
Presepe artistico nella chiesa
della Madonna del Rosario con
statuine in terracotta del ʼ700
napoletano.
Tutti i giovedì
Mercato a Villaggio Europa.
Calabria Produttiva
25
Mendicino
Dove la pietra è rosa
V
uole la leggenda che l’odierna Mendicino, nell’entroterra di Cosenza, altro non sia
che la mitica ed antichissima
Pandosia. Diversi sono i pareri, deri-
vati da incerte notizie storiche ed
archeologiche, sulle origini della cittadina ai piedi del Monte Cocuzzo.
Quello che è più certo è che Pandosia
era, in realtà, un territorio mentre, per
Ph. archivio Calabria produttiva
quanto riguarda più propriamente la
storia di Mendicino, alcuni documenti attestano la sua esistenza in epoca
medievale. Al tempo della morte di
Gioacchino da Fiore era accertata l’e-
Settembre 2004
dificazione della Chiesa di Santa
Maria dei Martiri, oggi santuario di
Santa Maria dell’Accoglienza. Le
vicende delle epoche successive sono
pure poco note ma è documentata e
fatta risalire al 1400 la sua appartenenza ai casali cosentini. Feudo della
nobile famiglia dei Sersale fino alla
fine del 1500, poi feudo della Curia, in
epoca angioina Mendicino fu un territorio ricco e conteso. Con gli
Aragonesi passò sotto il governo del
casato degli Adorno di Genova e successivamente, in epoca vicereale,
Settembre 2004
degli Alarcon Mendoza di Spagna.
Durante la dominazione francese,
Mendicino divenne Comune del circondario di Cerisano. Se incerta è la
storia delle origini di Mendicino, certa
è la notorietà che alcuni personaggi le
hanno conferito. Possono valere per
tutti Alessandro il Molosso, re
dell’Epiro, il quale, secondo la leggenda, avrebbe trovato la morte proprio
sulle rive dell’Acheronte e Cusina da
Pastino, donna dipignanese che a
Mendicino aveva fondato un ospedale, alla quale re Ladislao conferì la lau-
rea in medicina nel 1442.
Numerosissimi gli edifici di culto, tra
cui alcuni molto antichi, che si trovano dislocati nel centro storico e nelle
frazioni. Una zona di discreto interesse archeologico è quella detta di
Mendicino Vecchio, poco lontano dall’attuale centro abitato, dove è ancora
possibile vedere i resti di una cinta
muraria, di abitazioni ricavate dalla
roccia ed alcune cellette, probabili
dimore eremitiche in epoca medievale. Per quanto riguarda l’economia,
nel passato Mendicino è stata molto
nota per la lavorazione della seta,
introdotta anche qui dagli ebrei.
L’allevamento del baco e la tessitura
favorirono il sorgere di numerose
filande che, fino alla fine
dell’Ottocento, rappresentavano uno
dei settori più importanti dell’economia locale. L’ultimo opificio ha serrato per sempre le porte nel 1950 ma
questa struttura oggi è ancora viva poichè ospita un museo. Un’altra attività
che ha caratterizzato l’economia del
paese è stata quella degli scalpellini,
grazie alla presenza di ricchissime
Mendicino
cave di calcare, più conosciuto come
“pietra rosa di Mendicino” con cui,
nei secoli, gli esperti ed abili artigiani
hanno abbellito chiese e palazzi nobiliari di tutto il circondario e il cui utilizzo, attualmente, sta ritornando
molto in voga. Il periodo di maggiore
sfruttamento può essere datato tra il
1400 e il 1500, epoca in cui i documenti attestano l’attività di una ventina di cave. Un’altra attività dei mendicinesi, che sconfina nelle credenze
mediche, magiche e religiose di tutto il
Meridione, è stata quella dei sampaLa Torre
Palazzo Campagna
Il Municipio
26
Calabria Produttiva
Calabria Produttiva
27
Mendicino
vulari, o cursunari, che la tradizione
popolare voleva molto amici dei serpenti per via dell’alta protezione concessa loro da san Paolo, vincitore su
un rettile maligno a Malta. Tali signori, dunque - narra sempre la tradizione
- potevano catturare i serpenti, renderli innocui, togliere loro il veleno e
curare con erbe speciali i loro morsi,
neutralizzandone i malefici effetti o
addirittura scongiurando la morte. Per
restare in tema di tradizioni, è opportuno sottolineare come, ancora oggi,
molte di esse siano osservate e costituiscano le occasioni in cui la collettività si ritrova aggregata e partecipante.
Tipica è la processione delle Palme,
durante la quale viene allestito un
alberello stilizzato, costruito con
canne e ornato di carta velina colorata,
dove sono appesi caramelle, cioccolatini, e ginetti, dolci tipici del luogo, a
forma di tarallini ricoperti di glassa
allo zucchero. Coinvolgente la sacra
rappresentazione della Passione di
Cristo, al Venerdì Santo e famoso in
tutto il territorio circostante è il
Presepe, allestito nella Chiesa di San
Pietro e San Bartolomeo. Pure famosa
è la banda musicale della città di
Mendicino, già costituita alla fine
dell’Ottocento ed oggi apprezzata in
tutto il territorio regionale. Dal versante gastronomico un prodotto di eccellenza è il pane, conosciuto ed apprezzato ovunque. Uno dei piatti più tradizionali è la melanzana ripiena, a cui è
dedicata la sagra locale, o la pitta con
soppressata e formaggio fresco, cibo
rituale di Pasqua che orna le tavole
insieme alle cuddure o cullure cioè
ciambelle e cuculi (panetti di pasta
intrecciata) che possono essere confezionati con pasta di pane o pasta dolce
e che sono guarniti con uova sode
intere e col guscio. Una commistione
felice di tradizione latina e greca - rintracciabile non solo a Mendicino ma
in molti altri paesi della Calabria dove l’uovo è il segno più emblematico della rinascita e quindi della
Resurrrezione.
28
Settembre 2004
La filanda
Il duomo
Calabria Produttiva
Castrolibero
Un comune da...
prima pagina
A
lle porte di Cosenza, su una
collina che domina la valle
del Crati è situato
Castrolibero, paese fondato dagli
Enotri probabilmente nel luogo in cui
sorgeva l’antica fortezza di Pandosia,
“città di ogni dono” (per la grande fertilità del suolo). Alcuni pensano che
l’origine del paese risalga al periodo
delle invasioni saracene, quando molti
cosentini ripararono nelle zone circostanti della città e il conte di Bergamo
Ottone, a capo di un esercito di
Franchi, vi costruì il luogo fortificato
di Castrofranco o Castelfranco,
accampamento dei Franchi.
Soggetto per lungo tempo a infeudazioni minori, Castrofranco finì sotto la
Il municipio
32
signoria dei Sanseverino di Bisignano.
Nel 1487, dopo la “Congiura dei
Baroni”, Re Ferdinando fece abbattere le mura di cinta e le case perché
Castrofranco rappresentava un ostacolo per gli Aragonesi. Nel 1550 Pietro
Antonio Sanseverino concesse in dote
alla figlia le cittadine di Castrofranco e
Cerisano. Poi il feudo venne acquistato da Valerio Telesio, fratello del filosofo Bernardino, ma la popolazione
non gradì la sua politica di oppressione e diede luogo a una rivolta che si
concluse con l’uccisione del feudatario nella chiesa di San Giovanni.
Castrofranco passò ai Sersale sino alla
fine del XIX secolo.
Sede, durante il Risorgimento, di una
“vendita” carbonara, Castrofranco
partecipò ai moti rivoluzionari e nel
1844 un suo cittadino, Santo Cesario,
fu fucilato nel vallone di Rovito, dove
più tardi avrebbero trovato la morte
anche i fratelli Bandiera. Dopo l’Unità
d’Italia Castrofranco assunse il nome
di Castrolibero.
Famoso già nel 1400 per le numerose
fornaci di mattoni, agli inizi del XX
secolo vi si svilupparono tre stabilimenti per l’estrazione della creta. Vi fu
un’ottima produzione serica e, a
cavallo delle due guerre, si diffuse
notevolmente l’artigianato calzaturiero (il prodotto tipico era la purcina,
una specie di pantofola legata alla
gamba con lacci in cuoio), che gli
valse l’appellativo di paese degli scarpari, mestiere oggi scomparso.
L’attività agricola oggi si limita alla
produzione di olio e vino. Il settore terziario contribuisce allo sviluppo del
paese. Sono presenti varie realtà quali
un grande salumificio, un’azienda di
produzione e trasformazione di ossigeno, di materiali per l’edilizia, mobilifici.
Castrolibero accresce la sua importanza nel 1995, anno in cui nasce una
delle testate giornalistiche più importanti della regione, il “Quotidiano
della Calabria” la cui sede centrale
rappresenta il prestigioso ingresso alla
cittadina. Proprio da qui, ai piedi della
parte antica, si estende la storica contrada Andreotta che, insieme a
Garofalo e Rusoli, è ormai il più
importante centro del comune.
La sua storia ebbe inizio nel 1500,
quando il facoltoso Giovanni Carolo
de Andriotta, originario di Regina (nei
pressi di Lattarico), si imparentò con
la nobile famiglia locale dei
Marigliano. A lui pare si debba il
nome della frazione.
Contrada Garofalo, invece, prende il
nome dal barone Pirro, della nobile
famiglia catalana dei Garofalo, che
qui arrivò nel 1624.
Per quanto riguarda Rusoli, pare si
chiami così per la grande quantità di
querce nane presenti in zona che in
dialetto erano dette ruosule. Lungo il
fiume Campagnano ci sono le contrade Volpicchi e Cibbia, in aperta campagna; subito dopo Fontanesi in cui
alcuni storici individuano l’esatta ubi-
Settembre 2004
Settembre 2004
La chiesa di
Santa Maria della Stella
cazione di Pandosia.
Al confine con Rende c’è Orto
Matera, una contrada ricca di insediamenti industriali e, nelle immediate
vicinanze, contrada Santa Lucia, in cui
sorge una chiesa del 1868, dedicata a
San Francesco di Paola nei pressi di
una fontana, in località “Le Creti”, che
la leggenda popolare vuole miracolosa perché fatta sgorgare proprio da san
Francesco. Dell’evento vi è traccia in
un manoscritto dei principi Sersale del
1750.
Il centro storico, su una collina in posizione dominante, sembra quasi un
anfiteatro naturale. Evidente è il contrasto tra le contrade e il centro storico
con i suoi vicoli silenziosi e i palazzi
antichi. Nella centrale piazza Pandosia
sorge la moderna chiesa del Salvatore
(1974) dalla forma molto originale,
con la copertura che ricorda le vele di
un’imbarcazione. All’interno un
dipinto del ’700 del pittore cosentino
Domenico Oranges. Dalla piazza si
diramano i vicoli lungo i quali si ergono l’antico palazzo Aiello, sede del
Municipio; la chiesa di Santa Maria
della Stella di cui restano la facciata
romanico-cistercense con un elegante
rosone a traforo e la scalinata in tufo;
la piazza della “chiesa vecchia” con la
Torre dell’orologio, costruita tra il
1908 e il 1912; in località Palazzotto i
resti di mura del XVI secolo e di una
torre.
La cucina locale risente molto dell’influenza della vicina città di Cosenza e
molte delle tradizioni castroliberesi si
sono perse nel tempo.
Castrolibero
Fino al secolo scorso in occasione del
matrimonio si usava, alla maniera
greca, gettare sugli sposi riso, grano,
legumi, confetti e fiori.
Accogliendo la nuora in casa la suocera le gettava dei ceci nel seno per
auspicarne la fecondità. Gli amici
degli sposi, invece, inviavano il cuddrurieddru che, durante il banchetto, la
sposa spezzava in quattro per distribuirlo ai parenti.
Diverse e recenti le manifestazioni
organizzate nell’arco dell’anno.
La sede del Quotidiano
Calabria Produttiva
Calabria Produttiva
33
Paola
Il vecchio santuario
Ph. piesse
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C
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hiunque decida di percorrere
la strada SS 107 per trascorrere una giornata sulla costa tirrenica, non può sottrarsi al panorama
paolano, disegnato sulle pendici della
catena costiera da un antico borgo
estesosi col tempo fino alla marina.
Gli scorci che si intravedono nel percorrere i tornanti palesano una realtà
urbana di facile lettura; qui tradizioni
marinare e culture montane si intrecciano, trasformando i contrasti in
peculiarità. In realtà, è come se esistessero tre volti di una Paola che,
all’occorrenza, si mescolano in una:
c’è una Paola religiosa, legata al santuario di San Francesco sul quale, tra
devozione e laicità, essa ha fondato la
sua economia. Intorno al santuario di
San Francesco di Paola, fondato nel
XV secolo in prossimità del torrente
Isca e luogo di culto tra i più rinomati
della Calabria, sorgono una miriade di
micro-attività commerciali che trovano spazio lungo il percorso di arrivo
nei periodi estivi e si rafforzano durante le numerose manifestazioni in
onore del santo. Tra aprile e maggio si
svolge una delle manifestazioni più
La cittadella
del Patrono del mare
36
Paola
consolidate della tradizione paolana: i
festeggiamenti in onore di san
Francesco. Durante la festa, un
momento di eccezionale fascino è
costituito dalla processione, via mare,
di un gruppo di barche e pescherecci
che accompagnano il sacro mantello
del santo. C’è anche una Paola antica,
arroccata sul pendio, quella che un
tempo era cinta dalle mura i cui resti
sono visibili nella monumentale porta
di San Francesco. In questa parte di
Paola, che conobbe il suo vero sviluppo tra il XV e XVI secolo, si possono
percorrere viuzze e scalinate, stradine
all’interno delle quali fioriscono le
antiche attività artigianali e dove si
può cogliere la vera essenza del paese.
E infine, c’è una terza Paola, quella
moderna, legata al mare e al suo turismo. Un’infinità di case (se ne contano circa 2000) abitate nei periodi estivi e che si svuotano in quelli invernali. Una popolazione che si raddoppia
ogni estate e che rappresenta la
domanda turistica alla quale il paese
risponde offrendo storia, tradizione e
l’immancabile gastronomia locale.
Dai numerosi ristoranti e locali disse-
L’ingresso del nuovo santuario
Ph. vigi
Calabria Produttiva
Calabria Produttiva
minati tra il lungomare e il corso principale si diffondono gli odori dei piatti tipici proposti nei mesi estivi nelle
ormai consolidate sagre di quartiere.
Si passa, dunque, dalla sagra della
mulinciana alla sagra d’a fresa e d’u
pimmidori, dalla sagra d’a purpetta i
mulinciana alla grispedda, dalla sagra
dell’uva a quella d’a pitta e d’u furmaggiu pecurinu. Camminando tra le
vie del corso è possibile trovare piccole botteghe o banchetti improvvisati in
cui si possono degustare i prodotti tipici e bere del frugoletto, un buon vino
locale preparato con uva fragola. La
particolare posizione, al crocevia delle
due strade SS 18 e 107, lo scalo ferroviario obbligatorio per tutti coloro i
quali, provenendo da nord a sud o
viceversa, intendono proseguire verso
l’interno della regione, hanno fatto di
Paola uno dei più frequentati e conosciuti luoghi turistici del litorale tirrenico.
37
Paola
I miracoli di San Francesco
La pietra del miracolo
Ph. vigi
38
Settembre 2004
Il fascino religioso, esercitato dal fraticello Francesco, è
costituito dai numerosi miracoli attribuitigli e dalla possibilità di percorrere i luoghi in cui essi avvennero:
• il macigno che rotolava dalla montagna verso un gruppo di operai, fermato dalle sue preghiere;
• le monete dalle quali fuoriuscì sangue umano, mostrato al re di Napoli in occasione dell’ordine d’arresto comminato al frate stesso;
• la fornace utilizzata per la preparazione della calce,
nella quale si erano aperte delle falle, richiuse dalle mani
del santo mentre era avvolta dalle fiamme;
• la trota Antonella, ridotta in pezzi dalla golosità umana,
e ricompostasi nel fiume grazie alle preghiere di
Francesco;
• l’agnellino Martinello, resuscitato dopo che era stato
divorato da alcuni operai e gettato in una fornace;
• la fonte d’acqua, la cucchiarella, fatta sgorgare dalla
roccia per soddisfare la sete degli operai del convento;
• la rinascita di alcuni pesci portatigli in dono, e immersi nel fonte dal santo.
Alla santità di Francesco di Paola è attribuito un altro
episodio miracoloso, accaduto nonostante egli non fosse
più in vita: durante un bombardamento, per effetto della
preghiera dei fedeli, una bomba sganciata in direzione
del santuario non esplose.
Calabria Produttiva
Veduta delle isole eolie
Ph. piesse
’A vulata
Tra le tradizioni popolari più conosciute e simpatiche, c’è quella secondo la quale, nella notte tra il 20 ed il 21 luglio,
alcune persone vengano prese di mira e schernite dagli stessi compaesani attraverso l’affissione di manifesti per tutto il
centro storico. Il giorno dopo, coloro i quali sono stati oggetto dello scherzo, si prestano, più o meno volentieri, al pubblico confronto.
Sulle ali del falco
e della libertà
Girifalco
L
a cittadella di Girifalco
sorge alle pendici del
Monte Covello a 450
metri sul livello del mare. La
sua storia comunale ha inizio
il 4 maggio del 1811.
Varie e controverse, invece, le
sue origini e quelle del nome,
su cui abbondano solo le ipotesi. Il falco volteggiante su
una torre, che campeggia sullo
stemma comunale, dà adito
alla leggenda che vuole il
nome derivante dal volatile in
perpetuo volo sull’abitato. Ma
Settembre 2004
maggiori dettagli sui motivi e
la veridicità storica si confondono necessariamente con le
vicende più remote in cui si
mescola la leggenda. Alcuni
studiosi sostengono che
Girifalco sia sorto sulle ceneri
di due paesi, Caria e Torchio,
distrutti dai Saraceni. I superstiti scampati al saccheggio ed
all’incendio avrebbero trovato
rifugio su una rupe e da lì
avrebbero addirittura respinto
l’assalto degli invasori, difendendosi con un lancio violen-
to di pietre scavate dalla montagna. Questo evento avrebbe
fatto meritare ai valorosi cittadini l’appellativo di “Sacra
Falange” che, in greco, suona
più o meno come Girifalco.
Altri propendono per un toponimo che è anche nome di un
luogo in cui sorge un presbitero. Il famoso viaggiatore
inglese Lear, invece, visitando
il paese durante il suo viaggio
in Italia nel XVIII secolo, fa
risalire il nome di Girifalco
alla tradizione falconiera nor-
manna e al più valente tra i
falconieri del tempo, l’imperatore Federico II. Altre considerazioni di carattere geografico fanno propendere per
questa spiegazione poichè
dall’alto del Monte Covello
sono visibili le due coste calabresi e dunque la posizione
può considerarsi altamente
strategica ed ottimale per allocare
una
guarnigione.
Ulteriore possibile motivo,
sempre legato alla presenza
dell’augusto
imperatore,
Chiesa madre
Ph. archivio Calabria produttiva
40
Calabria Produttiva
Settembre 2004
potrebbe essere la presenza di
un falconiere, ufficiale addetto all’addestramento ed all’allevamento dei falconi. L’unica
notizia certa è che, per la posizione geografica, ancora oggi,
in alcuni periodi dell’anno, il
paese è meta obbligata del
passaggio dei rapaci. Fin qui
le ipotesi. La storia, invece,
come scrive Rocco Ritorto,
documenta nel 1845, la costituzione a Girifalco della
prima loggia massonica italiana, avvenuta nel 1723, esattamente sei anni dopo la costituzione della prima, dell’epoca
moderna s’intende, avvenuta
in Gran Bretagna nel 1717. La
costituzione della loggia fu
opera del nobile Gennaro
Caracciolo, duca di Girifalco
ma sorprendono enormemente
il luogo ed il tempo in cui
tutto ciò avvenne. Girifalco,
infatti, a quell’epoca era il
caratteristico paese dell’entroterra calabrese più abituato a
veder transitare commercianti
ed eserciti che non idee esoteriche e rivoluzionarie. Le condizioni economiche e sociali,
poi, erano quelle comuni a
tutto il Meridione, contraddistinte dal degrado non solo
economico ma anche culturale
e strutturale in cui versavano
il territorio e la società. I ceti
subalterni e la classe contadina, in particolare, vivevano in
condizioni di costante miseria; la nobiltà teneva ben saldi
i privilegi feudali anche se le
Calabria Produttiva
prime crepe cominciavano a
delinearsi nel sistema della
baronia. Pensare ad un ideale,
concepito e diffuso da alcuni
aristocratici, di libertà ed
uguaglianza sociale risulta
dunque strepitosamente rivoluzionario ma, in sostanza,
questi furono anche i tratti
caratteristici della dominazione dei Caracciolo, i quali si
distinsero notevolmente per il
loro governo in aperta rottura
con i sistemi e le idee del
tempo. La presenza massonica a Girifalco, dunque, ebbe il
merito di dare letteralmente
vita alla classe sociale della
Fontana del 600
Ph. archivio Calabria produttiva
borghesia libertaria. Molti dei
suoi rappresentanti più illustri, però, pagarono caramente
l’appartenenza ad un pensiero
ed un modus vivendi tanto
rivoluzionario quando la dinastia borbonica impose di
soffocare nel sangue gli ideali
di uguaglianza e di libertà.
Raffaele Tolone, fisico; Pier
Antonio
Maccaroni
e
Vincenzo Luigi Zaccone,
notai; don Vitaliano Staglianò,
sacerdote;
Vincenzo
Migliaccio, chimico, furono
impiccati in piazza a Napoli
nel 1801, per aver partecipato
alla cacciata dei Borbone nel
1799. In particolare, i Tolone
pagarono non solo col sangue
ma anche con le ricchezze di
famiglia. In seguito alla condanna a morte, raccontò
Rocco Tolone in un documento lasciato a memoria dei suoi
discendenti, vi fu la confisca
dei beni ed egli stesso fu
costretto ad esercitare l’arte
dello “scarparo” per poter
continuare a sopravvivere. La
morte e la povertà, però, non
impedirono all’illustre casato
e ai discendenti di continuare
a coltivare i propri ideali. Un
altro evento che ha caratterizzato la storia di Girifalco è
stata l’istituzione dell’ospedale psichiatrico e le origini
hanno radici lontane. Dopo la
proclamazione
dell’unità
d’Italia e la soppressione di
molti Ordini religiosi, i municipi incamerarono i loro beni.
Il Comune di Girifalco, dunque, in quel periodo prese
possesso del Convento dei
Frati Minori e come annota
don Francesco Palaia, memoria storica locale, “le nostre
Autorità Provinciali ebbero
l’idea di creare un ospedale
psichiatrico (...) nel comprensorio della Provincia di
Catanzaro. Dire “manicomio”, per quei tempi, era
come dire un ospizio di pericolosi forsennati o, peggio,
spaventevoli invasati dal
demonio. Perciò, il comune di
Serra San Bruno (...) fu il più
deciso ad opporsi che il progettato Manicomio sorgesse
nel suo territorio”. I problemi
derivanti dalla presenza di un
luogo di cura per malattie
mentali non furono pochi nè
lievi. La comunità “sana”,
pensava con terrore agli
ammalati, il reperimento di
personale
infermieristico
risultava davvero difficoltoso
e tali inconvenienti si ripercuotevano
negativamente
sulla stessa gestione dell’ospedale. Il succedersi di illuminati Direttori, però, che alla
luce delle nuove conoscenze
scientifiche
introdussero
come terapia il dialogo ed il
lavoro, migliorarono le condizioni della struttura ospedaliera, dei suoi ospiti e, di conseguenza, quelle del territorio
Girifalco
circostante. Nei primi decenni
del Novecento, la creazione di
una colonia agricola - dove
trovarono posto allevamenti
di animali, laboratori tessili ed
alimentari - di una fornace e
di una tipografia, trasformarono via via l’ospedale in un
autentico opificio. La struttura
sanitaria, nel corso del tempo,
ha rappresentato una fonte
economica per tutto il circondario poichè moltissime persone hanno potuto trovarvi
lavoro. Oggi, l’ospedale, dopo
la legge Basaglia che ha determinato la chiusura delle strutture manicomiali, sta subendo
l’opera di riconversione.
Molti ospiti hanno trovato
accoglienza in una struttura
diversa, a pochi chilometri
dalla precedente, mentre l’antico convento dei Frati minori
continua ad assolvere alla sua
funzione. Per inciso, è proprio
in questo ospedale che la dottoressa Amalia Bruni - a cui si
deve la scoperta della famosa
“nicastrina” (una delle proteine responsabili del processo
degenerativo dell’Alzheimer,
ndr) - ha iniziato una serie di
ricerche sul morbo. Per quanto riguarda gli altri settori economici, la comunità girifalcese trae buona parte dei suoi
introiti dalla lavorazione del
marmo e dall’imbottigliamento di un’acqua oligominerale
che sgorga dalla sorgente
Moschetta, alle pendici del
monte Covello. Si pratica
ancora l’agricoltura e fiorente
è la coltivazione degli ulivi e
dei castagni. Girifalco, inoltre, fa parte della Comunità
montana “Fossa del Lupo” e,
di recente, la realizzazione di
aree naturalistiche attrezzate
sta determinando scelte strutturali ed economiche che
vanno decisamente nella direzione turistica.
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UN MONDO SOTTERRANEO
DA SCOPRIRE
Verzino
Settembre 2004
V
Settembre 2004
erzino si offre agli
occhi del turista con
gli incantevoli paesaggi nei candidi inverni,
nelle colorate primavere e nei
profumati autunni quando le
prime piogge alimentano i
frutti del sottobosco.
Il paese dell’entroterra crotonese pare riprenda il nome di
una pianta spontanea che gli
Arabi utilizzavano nell’arte
della tintoria. È la stessa pianta di cui parla Plinio: il cavolo
bruzio, virdia, in dialetto calabrese verza (i verzinesi la
chiamano virza) da cui
Virzina.
Il territorio di Verzino è fortemente caratterizzato dalla pre-
Verzino
Panorama di Ve
Ph. p
Panorama di Verzino
Ph. piesse
Chiesa mad
Ph. pie
Campane della prima
Ph
42
Calabria Produttiva
Calabria Produttiva
Verzino
Settembre 2004
Altare chiesa Madre
Ph. piesse
44
Calabria Produttiva
Settembre 2004
senza di ampie grotte portate
alla luce a partire dal 1988.
Quelle di maggiore dimensione e interesse sono cinque:
Grave Grubbo (che è la più
lunga cavità calabrese e una
delle più importanti in Italia
fra quelle originatesi nei
gessi), Antro del Torchio,
Risorgenza di Vallone Cufalo,
Grotta del Palummaro e
Grave dei due Manfred.
Le grotte carsiche sono la
maggiore attrattiva del centro,
che per questo è divenuto uno
dei luoghi più visitati della
provincia
di
Crotone.
Appassionati e speleologi
vengono da ogni parte del
mondo ed è anche nata un’associazione, “Le Grave”, per
iniziativa di giovani del posto.
Da poco si è concluso un
corso regionale professionale
riconosciuto
dall’Unione
Europea di guide speleologiche, cosicché l’associazione si
è impegnata per organizzare
delle visite guidate fornendo
tutta l’attrezzatura necessaria
(tuta, elmetto con lampada,
cinturone e moschettoni,
corde, stivali). L’impegno per
incentivare il turismo e valorizzare il territorio, insomma,
c’è tutto.
Quelli che non amano inoltrarsi in questo mondo sotterraneo popolato da muffe,
licheni, pipistrelli, camminando tra stalattiti e stalagmiti e
oltrepassando a volte un
fiume sotterraneo, hanno a
disposizione tanti altri itinerari di interesse naturalistico
sempre nell’area delle grotte,
come le miniere di sale a cielo
aperto o i fiumi di sale.
La visita del centro abitato di
Verzino si apre su piazza del
Campo - l’ingresso del paese con il palazzo municipale del
‘600; per ammirare poi il
Duomo di Santa Maria
dell’Assunta - costruito da
maestranze provinciali nel
1600 con facciata romanica,
ristrutturata a fine ’800 - e,
Calabria Produttiva
infine, i ruderi della chiesa di
S. Domenico.
Ad allietare la vita verzinese oltre alla cucina tipica che
eccelle nella pasta fatta in
casa (maccarruni, pasta rattata), in quadatelli, cullurelli,
sarde salate con pepe rosso,
peperoni salati, formaggi,
salumi e insaccati rigorosamente preparati in proprio sono i vari eventi che si snodano nell’arco dell’anno.
Durante il mese di agosto si
svolge l’ormai noto Festival
di musica mediterranea
“Amore e rabbia”. Sempre ad
agosto, la prima domenica, si
tiene la fiera degli animali.
L’economia di Verzino è legata all’agricoltura e all’allevamento. Il territorio si presta
bene a colture diverse: cereali,
oliveti, vigneti, frutteti, ortalizi. Ottima la produzione di
olio e vino (specie nella frazione Vigne). L’artigianato
locale è concentrato sulla
lavorazione di alluminio,
ferro e legno; si realizzano
ancora calzature a mano e si
eseguono particolari ricami e
lavori all’uncinetto.
Le cave di gesso e alabastro
presenti nella frazione Vigne,
da cui un tempo si estraeva
l’argento, data la modestissima quantità presente sono
ormai dismesse.
Municipio
Ph. piesse
Verzino
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La città del Sole
e del Ferro
Stilo
Settembre 2004
A
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ggrappata alle pendici del
monte Consolino, Stilo
guarda al mare conservando
memorie d’Oriente di un tempo in cui
accolse i solitari monaci basiliani che
costruirono la Cattolica, il più puro
gioiello architettonico bizantino.
Il toponimo - attestato nel 1049 come
kastron Stulou e nel 1310 In castro
Stili - sembra derivi dal greco Stylos,
Municipio
Ph. vigi
colonna: forse così era chiamato il
monte ai cui piedi si è sviluppato il
borgo o potrebbe riferirsi a una colonna posta lungo un antico percorso.
Fondato dagli abitanti dell’antica
Kaulon, Stilo vive la sua età d’oro con
i bizantini, guadagnando importanza
politica e amministrativa. Memorabili
la resistenza ai normanni e la fedeltà
agli angioini. Proprietà del demanio
regio con gli aragonesi, divenne presto
sede della nobiltà e centro ambito dai
signori locali.
Dall’antico borgo, attraversando un
intrico di stradine a labirinto (làmie) si
alternano mucchi di case ed eleganti
palazzi e gli occhi si tuffano nel bagno
di colori di fiorite balconate. Un arcobaleno di suggestioni con cui Stilo
attrae i suoi ospiti in luoghi di indiscusso valore paesaggistico, storico e
artistico. A cominciare dalla massima
testimonianza del monachesimo
orientale: la Cattolica. Il piccolo tempio del X secolo, quasi sospeso su un
risalto del pietroso Consolino, tende
l’abbraccio alla vallata dello Stilaro e
all’orizzonte jonico. Ricalca il modello classico a pianta quadrata e croce
greca, con cinque cupole e tre absidi
rivolte a Oriente. Il fascino è esaltato
dagli affreschi - seppur sbiaditi - scoperti dall’archeologo Paolo Orsi nel
Stilo
1927, esempi unici di pittura normanna in Calabria intorno al Mille.
Entrando in paese dall’antica Porta
Stefanina e risalendo si arriva al castello - costruito nell’XI secolo da
Ruggero II - di cui non restano che i
ruderi. Da vedere le sculture arabomoresche della Fontana dei delfini e la
Ferdinandea, sede nell’800 della direzione delle Regie Ferriere e della
Fonderia, ha un affascinante giardino
con laghetto artificiale e una cappella.
Sui fianchi del Consolino le grotte
naturali che offrirono riparo ai monaci, le laure: la Pastorella e la Grotta
dell’Angelo (la seconda affrescata).
A parte la Cattolica, il bizantinismo ha
lasciato a Stilo tante altre tracce, come
la piccola chiesa di S. Nicola da
Tolentino, con cupola a trullo per la
copertura di tegole piatte (embrici); la
chiesa di S. Domenico, del ‘600, con
il convento che ospitò Campanella; la
rinascimentale chiesa di San
Francesco con la facciata rifatta in
barocco e gli affreschi interni, quasi
tutti opera dello stilese Francesco
Cozza al quale è dedicata la
Pinacoteca di Arte moderna e contemporanea. Il convento ha un chiostro in
stile toscano scolpito dallo scalpellino
Canigli di Serra San Bruno. Nella piccola piazza antistante la chiesa di San
Monumento ai caduti
Ph. piesse
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Calabria Produttiva
Calabria Produttiva
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Stilo
Settembre 2004
La Cattolica
Ph. piesse
Francesco, il monumento a
Campanella di Ermete Gazzeri del
1926. L’illustre filosofo - autore de La
Città del Sole - è ricordato per la celebre ribellione contro gli spagnoli che
gli causò 27 anni di prigione; a lui è
intitolato il Museo civico. Del 1625 la
chiesa di S. Giovanni Theresti, decorata internamente a stucchi dai padri
Redentoristi che raccolsero anche
48
molti libri e manoscritti tuttora conservati nella biblioteca comunale di Stilo.
La visita alle chiese termina al Duomo
trecentesco. Antica sede vescovile
della Calabria, presenta un maestoso
portale romano-gotico e, all’interno, la
preziosa tela secentesca Il Paradiso del
Battistello, allievo napoletano del
Caravaggio.
Oltre al turismo culturale e religioso,
l’economia di Stilo si regge sull’agricoltura: predominano uliveti, vigneti ottima la qualità di olio e vino - cereali e agrumeti. Notevoli gli allevamenti
ovini, bovini e caprini, attivo il commercio del legname. Sul territorio
sono presenti diverse fonti di acqua
potabile e una sorgente di acqua minerale.
Tra i più importanti centri siderurgici e
metallurgici d’Italia tra il XVII e il
XIX secolo, oggi solo saltuariamente
si lavora il ferro. Lo stesso vale per
l’artigianato del legno o della pietra
che fu lavorata l’ultima volta da Drago
che scolpì il piedistallo granitico della
statua di Campanella.
Ogni martedì a Stilo si tiene il mercato con oggetti di artigianato locale. Ma
la manifestazione più significativa e
Calabria Produttiva
Settembre 2004
prestigiosa è il Palio di Ribusa che si
svolge ad agosto per tre giorni. Il
nome deriva dall’antica Fiera di
Ribusa che si teneva a Stilo sin dal
1600. La minuziosa ricostruzione storica (secoli XVI-XVII) è un misto tra
realtà e fantasia: i cinque antichi Casali
della Contea stilese (Camini,
Guardavalle, Pazzano, Riace e
Stignano) sfidano la Città di Stilo in
prove di forza e destrezza; nell’ultima
giornata la Giostra all’anello che assegna il Pallium, drappo lavorato e
dipinto a mano da un artista locale.
Durante i giorni del Palio tutto il borgo
antico è costellato da fiaccole e ci si
imbatte in “stazioni” di spettacolo che
rievocano momenti storici particolari.
C’è anche un animato mercato e presso la Zecca della Bagliva si può acquistare il Ribuso, moneta coniata proprio per il Palio.
Stilo offre anche un’ottima cucina,
robusta per i sapori e la qualità. Tra i
prodotti tipici le olive cumbité, i
pomodori secchi con aromi vegetali,
carciofini spinosi sott’olio, pecorino
piccante. In tavola domina la carne,
specie di maiale da cui si ricavano pre-
libati insaccati. Tra le paste, quella
fatta in casa, filata ancora con il
“ferro”, giunco sottilissimo, e condita
con sughi dai sapori forti. I secondi
piatti sono costituiti da selvaggina,
carne di capretto e agnello, salsicce
cotte al carbone o in intingoli al pomodoro fresco. Il giorno di san Giuseppe
si mangia pasta e ceci, la vigilia di
Natale e Capodanno zzippole e laci.
Nei dolci natalizi - pitte di san
Martino, mastazzola, nzulli - abbondano miele, mandorle, noci e passuli
(uva zibibbo essiccata al sole). Con i
fichi secchi, riempiti di mandorle o
noci, si intrecciano speciali schiocche,
profumate con semi di anice o chiodi
di garofano e cannella.
m.l.m.
Stilo
A lato:
Portone nel centro storico
Sotto:
Particolare nel centro storico
Ph. piesse
l’arte del telaio
Un tempo, sullʼuscio di
casa, le donne ricamavano o tessevano piccoli
capolavori: pezzare fatte
con avanzi di stoffe,
annodati e tessuti; pezzi
di corredo ricamati e intagliati. Si usava la ginestra
da cui si ricavava un filato speciale per lʼuso al
telaio, dopo una laboriosa
preparazione nelle acque
della fiumara. Si colorava
il filato con sostanze
naturali: orina di vacca,
buccia di castagna o corteccia di melograno.
Si tessono ancora lana,
cotone, lino e seta.
49
L’antica nobiltà
di un borgo di mare
I
Pizzo Calabro
l centro storico sembra scendere a
cascata verso lo Spunduni, un
suggestivo promontorio a picco
sul Tirreno, al centro del golfo di
Sant’Eufemia. Su quest’altura tufacea
si apre il “salotto” cittadino di Pizzo
Calabro, la palpitante piazza della
Repubblica con il castello aragonese
che rievoca la storia di Gioacchino
Murat. Dalla piazza si diramano strade incavate nella roccia, rapide gradi-
nate collegano la parte alta con il
mare: un saliscendi di vicoli che tanto
ricorda i rioni napoletani e che mantiene nel tempo l’originario aspetto di
città marinara.
Inizialmente fondata da Napeto - capo
di una colonia di focesi - la cittadina
accolse anche Cicerone e san Pietro,
che qui fece tappa durante il suo viaggio per Roma. Distrutta nel corso del
IV secolo d.C. dai saraceni, sarebbe
stata ricostruita dai superstiti nel primo
Novecento. Nel 1363 alcuni monaci
basiliani costruirono nella zona un
monastero. Fortificato da torri e munito di mura, il borgo si sviluppò rapidamente, divenendo un florido centro
peschereccio e commerciale.
L’originario toponimo, Napitia (napitium), oltre che al nome del suo fondatore, potrebbe essere collegato al
vicino fiume Napeo (l’attuale
Settembre 2004
Angitola) oppure alla posizione sul
ciglio (in dialetto pizzu) di una rupe.
Verso l’VIII secolo diventa Pitzine e
quindi Pizzo.
Simbolo del paese è il castello dichiarato monumento nazionale costruito nel 1486 da Ferdinando I
d’Aragona. È noto anche come castello Murat poiché in esso fu imprigionato e fucilato Gioacchino dopo essere sbarcato sulle coste calabre nel vano
tentativo di riconquista del regno di
Napoli. Il portale reca una lapide a
ricordo. Il maniero si conserva ancora oggi con il suo massiccio corpo
quadrangolare sulla rupe che domina
il piccolo porto sottostante, affiancato
da due torrioni cilindrici che danno
verso l’abitato (la torre grande, detta
Mastra, è di origine angioina). Meta di
vari viaggiatori, anche Alexandre
Settembre 2004
Pizzo Calabro
Il Castello
Ph. piesse
Particolare di Pizzo
Ph. piesse
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Calabria Produttiva
Calabria Produttiva
51
Pizzo Calabro
Dumas volle visitare la prigione e il
luogo ove Murat visse i suoi ultimi
giorni.
Pizzo, tra bellissimi scorci medievali,
vanta molte chiese antiche come la
cattedrale di San Giorgio - in una fossa
comune della Collegiata vi fu sepolto
Murat - del 1632. Ha la facciata barocca e conserva una statua in marmo del
’500 della Madonna del Popolo, di
scuola Gagini; una tela della Madonna
della salvezza, donata da Ferdinando
di Borbone alla città per l’avvenuta
cattura di Murat; “Il Padre della
Rocca”, un Crocifisso ligneo proveniente da Rocca Angitola (distrutta dal
terremoto).
Dalla cattedrale parte il corso
Garibaldi col suo stretto lastricato. Da
una ripida scaletta alla fine dell’abitato si arriva alla chiesetta di Piedigrotta,
scavata nel tufo di una grotta naturale
sulla spiaggia in cui fu creato un oratorio al quadro della Madonna scampato a un naufragio. L’artista locale
Angelo Barone successivamente
scolpì nel tufo un presepe. La chiesetta, che risuona del fruscio del mare,
suscita forti suggestioni e rimanda a
lontane leggende.
Meritano una visita anche la chiesa di
San Francesco di Paola e il convento
dei Minimi, risalenti alla seconda
metà del XVI secolo, che conservano
statue lignee di scuola napoletana e
tracce pittoriche dell’artista locale
Carmelo Zimatore; la chiesa delle
Grazie, costruita nel 1651 da raccoglitori di corallo provenienti da Amalfi: è
sotto un unico tetto e unica facciata
con quella del Purgatorio e rappresenta il solo esempio del genere in
Calabria. È nota anche come chiesa
dei Morti poiché nel sottosuolo furono
rinvenute delle nicchie con scheletri.
Piazza della Repubblica, cuore del
paese, dalla balconata in ferro battuto
apre lo sguardo su panorami mozzafiato. Si vede la marina, il porto di
Vibo e il tratto di costa fino a punta
Safò. Si scorge anche il rione
Marinella dove, per iniziativa di privati, è sorto il Museo del mare che raccoglie utensili per la costruzione delle
barche e per la pesca; una sezione
ospita anche scheletri di cetacei, squali imbalsamati e i clypeaster di un
milione di anni fa.
Luogo d’incontro per la sua bellezza
artistica e di vacanza per le sue spiagge contornate da splendide scogliere,
Pizzo riesce a soddisfare le richieste di
un turismo in continua crescita grazie
alle strutture di cui dispone. Ma è
tappa obbligata anche per le gioie del
palato: oltre ai numerosi ristoranti tipici marinari, vi si può gustare, infatti, lo
squisito “tartufo”, rinomato gelato
artigianale.
Fiorente è l’industria per la conservazione del tonno, la cui pesca e lavorazione è da sempre la maggiore attività
del paese. Tra le tante varietà di pesce
fresco, il tonno primeggia quindi sulla
tavola dei napitini, specie in primavera e preparato in svariati modi. Nota la
produzione della pregiata uva “zibibbo” - detta anche Moscato
d’Alessandria - con cui si prepara il
locale e a volte introvabile vino. La
succosa e dolcissima varietà di uva
ben si presta anche all’uso passito disidratato - nella preparazione di
dolci, pani e focacce tradizionali, oltre
che in alcuni piatti di mare con pesce
azzurro. La cucina pizzitàna caratterizza le sue pietanze per l’uso costante
di spezie e aromi (cannella, chiodi di
garofano, noce moscata, origano,
finocchietto selvatico, menta e peperoncino)
Tra le attività artigiane, da segnalare
un cantiere navale per la costruzione
di barche con tecniche antiche e la
lavorazione della ceramica. Intenso il
traffico commerciale, di pesca e l’agricoltura.
Tra le festività religiose, la Pasqua è la
più sentita dai napitini. Tra i vari riti, il
più suggestivo è la processione
dell’Addolorata che la sera del venerdì
Santo muove dalla chiesa di San
Giorgio a quella di San Sebastiano
dove si trova la bara del Cristo morto;
il sabato Santo, poi, i fratelli
dell’Arciconfraternita
di
San
Sebastiano, in abito nero, guanti bianchi e la testa cinta di una corona di
spine, portano la bara e le statue processionali per le vie del paese; a sera
l’Addolorata viene riportata nella
chiesa di San Giorgio. La Pasqua si
conclude il martedì, giorno in cui a
Pizzo è festeggiata la Pasquetta con la
frosa, frittata ripiena di salame, zziringuli e ricotta..
Il tartufo fi Pizzo
Ph. piesse
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Settembre 2004
Sopra: la Chiesetta di Piedigrotta
Ph. archivio Calabria produttiva
piedigrotta
Si narra che verso la fine
del XVII secolo, un veliero in balia del mare tempestoso fu scaraventato
contro le rocce dove
oggi sorge la chiesetta.
Lʼequipaggio riuscì a salvarsi e gridò al miracolo,
attribuendolo allʼintervento di un quadro della
Madonna che si trovava
sulla nave. I marinai collocarono il quadro in una
buca scavata nella roccia e promisero che
sarebbero tornati a erigere una chiesetta per la
grazia che avevano ricevuto. Ci furono altre burrasche e il quadro, portato via dalla furia delle
onde, fu sempre rinvenuto nel punto in cui il
veliero si era schiantato
contro gli scogli. I marinai pizzitani decisero
allora di scavare una
grotta, poi divenuta una
chiesetta e abbellita da
statue tutte scavate nel
tufo. Unʼopera iniziata
verso il 1880 da Angelo
Barone, che per trentʼanni prestò il suo impegno
(vi scolpì un presepe),
poi proseguito dal figlio
Alfonso.
Calabria Produttiva
Un terrazzo
sulle Eolie
Vibo Valentia
D
a un altopiano che domina il Tirreno, con la vista
delle isole Eolie, si
affaccia la giovane città di Vibo
Valentia, protetta dai rilievi più
panoramici della regione alle sue
spalle. E’ proprio questa unione
perfetta tra mare e monti che
segna il destino di una città votata al turismo: il clima è quello
ideale, le spiagge e le coste tolgono il fiato, la montagna si schiude
incontaminata.
La provincia, tra le più attive
della Calabria, è stata istituita nel
1992 e ha preso forma “privando” Catanzaro della parte orientale sul versante tirrenico. La sua
storia, però, ha inizio già con le
emigrazioni greche. Le origini
del nome dell’antica Hipponion
(dal greco, “stalla di cavalli”)
sono ancora incerte: forse perché
vi si allevavano cavalli o perché
costruita a forma di cavallo
(ippos); potrebbe anche derivare
dal vocabolo orientale ubo, insenatura.
La nascita di Hipponion risale
alla seconda metà del VII secolo
a.C., legata al disegno egemonico
della città madre, Locri, che fondando anche Medma si assicurò il
controllo della Calabria centrale e
del Golfo di Lamezia. Dopo alterne vicende la città cadde sotto il
controllo dei Brettii per avere poi
il suo momento di gloria con i
Romani, che cambiarono il nome
in Vibo Valentia; al tramonto dell’impero, peggiorarono le condizioni sociali ed economiche della
città che, nel frattempo, venne
chiamata Vibona. Rasa al suolo e
incendiata dagli Arabi, rivide la
54
turale è il Museo archeologico
statale “Vito Capialbi” ospitato
nel Castello dove sono conservati
preziosi reperti provenienti da
tutta l’area urbana, in particolar
modo dalle necropoli del VII-IV
a.C. e dalle stipi votive del
Cofino e di Scrimbia del VI-V
a.C.
Durante l’anno Vibo è vivacizzata da feste, eventi e sagre. Il
Settembre 2004
primo marzo si festeggia il patrono, san Leoluca; durante la settimana santa ci sono le processioni
della Desolata e dell’Affrontata:
la prima, la notte del Venerdì
Santo, con la statua della
Madonna alla ricerca della tomba
del Figlio; la seconda, la domenica di Pasqua a mezzogiorno, che
rappresenta l’incontro tra Gesù
Risorto e la Madonna.
Settembre 2004
Nel mese di luglio si organizzano
l’Estate vibonese con teatro,
musica, danza e cinema; la “Festa
del turista”, in piazza Municipio,
con il raduno dei “giganti”, concerti e la finale regionale per l’elezione di miss Stella del Sud e
miss Vibo Valentia. Ad agosto il
tradizionale Palio di Diana fa
rivivere la storia di un’eroina
vibonese, Diana Recco che, per
luce con Ruggero il Normanno
che vi innalzò una fortificazione
intorno alla quale sorsero spontaneamente le case. Nacque
Monteleone, il cui nome viene
dai tre monti e dal leone simboli
araldici dei Normanni di Sicilia.
Il governo fascista ripristinò il
nome di Vibo Valentia.
Turismo a parte, la città di Vibo
deve la sua importanza alla posizione strategica che ne ha fatto
per lungo tempo un rilevante
mercato agricolo, le ha permesso
di dotarsi dello scalo portuale,
uno degli approdi principali sul
Tirreno (da qui in epoca romana
partiva il legname per la costruzione della flotta navale). In più,
oggi, è uno dei primi poli industriali della regione con numerose
aziende che operano nei settori
alimentare, tessile, meccanico,
chimico, petrolifero, del cemento
e delle ceramiche. Di sabato si
svolge il mercato con i prodotti
tipici dell’artigianato e della
gastronomia.
Scorci caratteristici tra antichi
palazzi e scalinate si alternano a
improvvise pennellate di verde e
azzurro della pianura e del mare,
mentre nell’aria, d’estate, si insinua prepotente la fragranza dei
gelsomini. Gli ingressi delle case
sono ornati da conchiglie e ciottoli colorati a testimoniare l’amore per il mare al quale, dal centro
città, si arriva in pochi minuti e lo
spettacolo ha inizio.
L’antico centro storico, ai piedi
del Castello normanno-svevo, ha
suggestive stradine che conservano tracce del selciato in pietra. Di
particolare rilievo turistico e cul-
vendicare la morte del padre, del
fratello e di altri cinque rivoltosi
pugnalò l’uomo che li aveva
uccisi. Il Palio prevede la sfilata
in costume d’epoca, la sfida tra i
rioni e giochi di gruppo. L’ultimo
giorno del palio è quello della
gara tra cavalieri che percorrendo
per sette volte lo stesso tracciato
devono infilare la loro lancia
negli anelli, ad esprimere il tenta-
Vibo valentia
tivo di liberare dall’oppressore la
città. Il cavaliere che vince la
sfida libera sette colombe e riceve il Palio da una ragazza che
rappresenta la giovane Diana.
Alla fine dell’estate in città
abbondano le sagre per gustare
quanto di rustico e saporito, pur
nella sua semplicità, offra la cucina di Vibo Valentia. I più golosi
non potranno resistere ai tanti
dolci: i mostaccioli; i ciciriati,
biscotti ripieni di caffè, ceci,
cacao e noci; le pittapie, biscotti
farciti con uva passa, noci, pinoli
e cioccolato e il sanguinaccio,
sangue di maiale fatto bollire con
zucchero, noci, cioccolato fondente e pinoli.
Il Castello
Ph. piesse
Calabria Produttiva
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