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n° 356 - luglio 2012
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via W. Tobagi, 8 - 20068 Peschiera Borromeo (MI) - www.fondazione-menarini.it
Il sonno della ragione
genera mostri
Francisco Goya, Pintor del rey, prende le distanze dall’estetica del suo tempo con
straordinarie anticipazioni di movimenti quali l’Impressionismo e l’Espressionismo
Sottraendosi alla ricerca del “bello
ideale” nell’antichità proprio delle
formule neoclassiche settecentesche,
Francisco Goya y Lucientes riesce a
liberare una personale poetica che antepone l’interpretazione di un sentire interiore alla distaccata oggettività. Prende distanza dall’estetica del
suo tempo e opera in modo simile
solo a se stesso, e anticipa in tal modo
grandi movimenti come l’Impressionismo e l’Espressionismo. Tutto questo pur restando uno dei protagonisti dell’arte istituzionale, quella di
corte; nel 1786 infatti, è nominato
“Pintor del rey” da Carlo IV.
La pittura degli esordi è molto lontana dalle raffigurazioni mostruose e
angoscianti della maturità, ma, a bene
guardare, anche la leggerezza che la
caratterizza rivela a tratti il germe
della sua sensibilità inquieta e pungente. I cartoni per gli arazzi, oltre
sessanta, che dal 1775 a più riprese
lo occupano per circa diciassette anni,
raffigurano scene di vita popolare legate alla tradizione settecentesca, ma
svelano un realismo che si distingue dal gusto dell’epoca, e anche nelle
immagini più liete la gioiosità è sempre ottenebrata da un’evidente tensione e un’opprimente attesa dell’opposto. Analogamente, ritrae l’aristocrazia senza alcun tentativo di abbellimento, abbondando invece nella
spietatezza dell’indagine psicologica
dei volti inebetiti dallo sfarzo e dal
potere. E neppure si preoccupa di una
qualsiasi reazione perché sa che la ridondante ricchezza degli abiti è sufficiente ad accecare la capacità di giudizio dei suoi committenti.
Il percorso artistico di Goya è fortemente condizionato dagli eventi sia
storici sia personali: crisi, guerre e
malattie, di volta in volta, lo sconvolgono e dirottano la sua espressi-
Il sonno della ragione genera mostri
Tav 43 dai Caprichos
Il fantoccio - Madrid, Museo Nacional del Prado
vità. Isolato dalla sordità, conseguente
a una malattia tra il 1792 e il ’93,
Goya lascia che l’ombra dell’inquietudine fino ad allora nascosta salga
in superficie. Ciò che prima appena
si percepiva ora emerge prepotentemente creando un universo di orrori.
Sembra quasi che si lasci travolgere
dall’inconscio, ma è solo apparenza,
bisogna guardare questa trasformazione nel contesto culturale illuminista: il risultato combina l’accusa
verso il buio della ragione con il ritorno all’antico. Da una parte asseconda la ragione e attacca violentemente le credenze popolari mostrando
il grottesco generato dal “sonno della
ragione”, dall’altra, rifiuta il ritorno
alle origini come il più alto valore
estetico e lo considera invece come
qualcosa di oscuro simile alla morte
pag. 2
sopra Il 3 maggio 1808 a Madrid (fucilazioni alla montagna del Principe Pio)
Madrid, Museo Nacional del Prado
a lato Il seppellimento della sardina - Madrid, Real Academia de San Fernando
che incombe sulla vita.
Ecco così il ciclo dei Caprichos del
1799, una denuncia del crollo degli ideali dell’età dei lumi e quasi un
oscuro vaticinio di ciò che sta per accadere: ottanta incisioni che condannano altrettante superstizioni opportunamente chiarite con delle didascalie.
L’invasione delle truppe napoleoniche, la rivolta del popolo spagnolo e
la cacciata dei francesi con il ritorno
di Ferdinando VII sul trono sconvolgono la Spagna e producono nel pittore aragonese una rinnovata attività
artistica.
Goya inizialmente produce un nuovo
ciclo di incisioni, i Disastri della guerra:
in questi, come un cronista, senza alcuna concessione alla poesia, testimonia le brutalità della guerra, scrivendo addirittura “yo lo vi” a chiarire e gridare il suo orrore. Stesso intento hanno le tele realizzate per l’Accademia di San Fernando dove la condanna nei confronti della crudeltà
umana viene espressa attraverso il
grottesco: l’oscuro simbolo senza volto
della Vergine che si eleva sull’ondeggiare di una folla delirante di incappucciati, penitenti e croci ne La
processione dei flagellanti, oppure la sinistra mascherata del Seppellimento
della sardina che, anticipando le future visioni di Ensor, mostra l’ultima
sgangherata e catartica follia collet-
tiva prima del rigore quaresimale. In
tutto si legge una tetra e negativa visione dell’uomo, quella prodotta dalla
guerra civile: una sorta di ossessiva
analisi di ogni forma di violenza.
L’Illuminismo, che in nome dell’intelligenza vorrebbe vincere i confini
di stati e culture, dimostra di essere
appannaggio di pochi progressisti
mentre l’Europa continua a far guerre
opponendo la brutalità della forza alla
luce della ragione. Da questa delusione deduce la sfiducia nell’uomo
del quale gli diventa chiaro il lato
oscuro, tanto bestiale, quanto inestinguibile.
Col ritorno di Ferdinando VII, Goya,
forse temendo di essersi compromesso
con i regnanti francesi per i quali aveva
lavorato e anche deluso dalla caduta
degli ideali in cui credeva, realizza
due tele dal soggetto storico e patriottico: Il 2 maggio 1808 a Madrid: la
lotta contro i mamelucchi e Il 3 maggio
1808 a Madrid: fucilazioni alla montagna del Principe Pio. Se nella prima
anticipa il sapore del prossimo Romanticismo, nella seconda riesce a
superare ogni sentimentalismo a favore di una brutale forza espressiva:
non racconta, ma provoca e impressiona e, con magistrali colpi di spatola, oltre al fatto sembra registrare
anche i terribili rumori, quelli dei fucili, dei lamenti, delle grida.
Il periodo della restaurazione di Fer-
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in alto a sinistra la Maja desnuda - Madrid, Museo
Nacional del Prado
a lato Duello rusticano (Pitture nere) - Madrid,
Museo Nacional del Prado
sopra La lattaia di Bordeaux - Madrid, Museo
Nacional del Prado
dinando è difficile per l’artista, infatti si dovrà anche difendere davanti
al ripristinato Tribunale dell’Inquisizione per il contenuto di alcuni dipinti e dall’accusa di oscenità per le
Majas dipinte intorno al 1800, dove
mostra due donne che posano senza
pudore e, in un caso, anche senza veli.
È una vera provocazione perché primo
esempio in cui non ci si avvale di
alcun pretesto allegorico per riprodurre il nudo femminile.
Goya così, si allontana definitivamente dalla corte per ritirarsi in campagna, nella casa che il popolo chiama
la Quinta del Sordo e che, anche in seguito a una nuova e difficile malattia, diventa forgia delle sue più cupe
ossessioni; incubi che fissa direttamente sulle pareti in quelle che sono
le cosiddette Pitture Nere. Il risultato
creato in quelle composizioni dai colori gravi, sporchi e fangosi è potente:
sono opere che provocano reazioni
violente e istintive, il male raffigurato adesso è universale e non appartiene più solo all’uomo. Violenza e
follia sono insite nelle cose: un cane
che lotta per tenere la testa fuori dal-
l’ineluttabile destino, uomini che
duellano accecati da una furia che non
ha bisogno di pretesti, mentre le Parche incombono sulla terra.
Perseguitato dalla repressione politica, Goya deve lasciare quella casa
per riparare in esilio a Bordeaux dove
a conclusione del percorso di vita sembra ritrovare una sorta di pace e comunque dirottare nuovamente la propria arte, come dimostra in quello
che potrebbe essere definito il primo
quadro impressionista dipinto in Francia, La lattaia.
Impossibile trovare un filo conduttore nell’opera di Goya se non quello
legato alla vita, il solo che consenta
di comprendere l’evoluzione, le brusche svolte creative lontane dal suo
tempo e proprio per questo non comprese fino in fondo, che sicuramente
insieme al tocco rapido e vibrante e
all’uomo sempre al centro della sua
opera, isolato in ristretti contesti e
analizzato nei suoi aspetti più cupi e
nascosti, fanno di Goya uno dei pittori più rivoluzionari mai esistiti.
francesca bardi