MarIJa PaVLoVICclarinetto MaJa BogdanoVICvioloncello MartIna

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MarIJa PaVLoVICclarinetto MaJa BogdanoVICvioloncello MartIna
SALA FILARMONICA
LUNEDì 9 FEBBRAIO 2015 - ORE 20.45
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MarIJa PaVLoVIC clarinetto
MaJa BogdanoVIC violoncello
MartIna FILJaK pianoforte
Ludwig Van BEETHOVEN
(1770-1827)
Trio in si bemolle maggiore op. 11 «Gassenhauer Trio»
Allegro con brio
Adagio
Tema con variazioni
Allegretto
(1900-1984)
Johannes BRAHMS
(1833-1897)
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Trio in la minore op. 114
Allegro, alla breve
Adagio
Andantino grazioso
Finale: Allegro
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Considerata come uno dei talenti emergenti della nuova generazione croata, Marjia Pavlovic
ha iniziato gli studi musicali nella sua città natale Dubrovnik, completandoli all’Accademia di
Musica di Zagabria e al Mozarteum di Salisburgo. L’interprete si è successivamente perfezionata
in master class tenute da R.Vlatkovic, P. Czaba, H. Schellenberger, Z. Bron ed E. Brunner. Marjia
ha ricevuto numerosi premi fra i quali si ricordano l’annuale riconoscimento della Filarmonica di
Zagabria e l’American Express come miglior giovane interprete dell’anno; il Würdigenpreis del
Ministero della Cultura e della Scienza austriaco; il primo premio all’AudiMozart competition
di Rovereto; il Poulenc Award all’International IBLA Gran Premio al Concorso di Ragusa. Nel
2011, Marjia ha avuto l’onore di ricevere l’Orlando Prize nel corso del Festival di Dubrovnic
per il suo concerto con gli Archi del Teatro alla Scala di Milano. L’artista si esibisce spesso in
Europa, Israele e Stati Uniti d’America sia come solista che come interprete di musica da camera.
Maja Bogdanovic è violoncellista franco-serba, nata a Belgrado. A 21 anni entra nella classe di M.
Strauss al Conservatorio Superiore di Parigi, seguendo gli insegnamenti di P. L. Aimard, J.Peter
Maintz, del Trio Wanderer e del cellista A. Gherdardt. Nel 2008 Maja ottiene il primo premio della
Fondazione Safran e il secondo premio al Concorso Cassadò in Giappone. È stata invitata come
solista dai Berliner Symphoniker, dall’Orchestra dei Paesi della Loira, dalla Filarmonica di Belgrado
e di Tokyo, dall’Orchestra da camera di Monaco. È ospite di prestigiosi Festival: Folle Journées
de Mantes, Festival del violoncello di Beauvais, Festival d’Annecy. Si esibisce con i quartetti
Ebène, Talich, con i violinisti G. Sharon, N. Radulovic, con i clarinettisti P. Berrod e M. Bekavc.
Molto interessata alla musica contemporanea, Maja ha collaborato con i compositori Penderecki
( invitata per il suo 80° compleanno assieme a Yuri Bashmet e Julian Rachlin), Gubaidulina,
P.Hersant. Nel 2013 ha pubblicato per l’etichetta Nimbus Records un cd dedicato a musiche del
compositore inglese P. Sawyers, il cui concerto per violoncello è a lei dedicato e per Lyrinx un
cd dedicato ai trii di Tchaikovsky e Arensky. Dopo aver ottenuto il primo premo al Concorso
Internazionale Aldo Parisot, la violoncellista Maja Bogdanovic ha debuttato alla Carnegie Hall
e la rivista The Strad , per l’occasione, ne ha elogiato la bellezza del suono, la grande maturità
interpretativa e la sicurezza che sa trasmettere all’ascoltatore. Suona un violoncello di Frank Ravatin.
Nata a Zagabria in una famiglia di musicisti, Martina Filjak ha studiato nella sua città e alla
Hochschule di Hannover. E’ uno dei talenti più luminosi e affascinanti emersi dalla Croazia
in questi anni e sta raccogliendo unanimi consensi a livello internazionale per la passione
poetica e la galvanizzante energia che sa sprigionare alla tastiera e per il profondo carisma
interpretativo che sa comunicare all’ascoltatore. Fin dal suo debutto a 12 anni con i Solisti di
Zagabria, Martina Filjak si è esibita con la Cleveland Orchestra, la Filarmonica di Strasburgo,
la Bilbao Symphony, l’Orchestra di Granada, la Deutsche Radio Philarmonie, la Staatskapelle di
Weimar, la Israel Chamber Orchestra, l’Orchestra Sinfonica di Nancy. È apparsa recentemente
anche al Concertgebouw di Amsterdam, alla Konzerthaus di Berlino, all’Auditorium del Palazzo
della Musica Catalana di Barcellona, alla Zankel e alla Carnegie Hall di New York, al Teatro
di San Carlo di Napoli, alla Sala Verdi di Milano, alla Salle Gaveau di Parigi, all’Auditorium
Nacional di Madrid, al Musikverein e alla Konzerthaus di Vienna, al Shangai Oriental Art Center.
I prossimi impegni prevedono concerti con la San Diego e Huston Symphony, e la Osaka Symphony
Orchestra. Martina ha vinto il primo premio ai Concorsi di Cleveland, Maria Canals e Viotti..
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note aL PrograMMa
BEETHOVEN – Sul trio op. 11 (1798) persiste l’incertezza riguardo all’organico da impiegare, stante la destinazione per clarinetto
(o violino) che si legge nel frontespizio dell’edizione a stampa, secondo una prassi di scambio invero comune a quei tempi cui non sono
esclusi gli interessi editoriali. Se fosse corretta
l’ipotesi che vuole Beethoven in rapporto con
il noto clarinettista boemo J. Joseph Beer l’opzione sarebbe più semplice, ma in realtà non vi
è alcuna certezza in tal senso. Così nella prassi
esecutiva ci si regola a seconda dei casi, ten-
del secolo XVIII il clarinetto e un po’ tutti gli
sciuto interesse da parte dei compositori.
Comunque stiano le cose, il brano si è attirato
corrivo, proprio come avviene con tanta musiciò è dovuto in gran parte al confronto ingeneroso con gli altri grandi Trii beethoveniani per
pianoforte e archi dell’epoca successiva, che
effettivamente risultano più realizzati sotto il
A prevalere qui è l’aspetto della gradevolezza e
della brillantezza, giocando sull’originalità di
certi passaggi e sulle sorprese che vogliono interessare e divertire senza affaticare la mente.
Il Trio è in tre movimenti, il primo dei quali è
un Allegro con brio in forma-sonata con i due
temi ben differenziati e una breve parte di sviluppo dove il pianoforte si prende il suo spazio
protagonistico, prima di dare inizio ad una ripresa del tutto simmetrica.
Una bella cantabilità esibisce l’Adagio che segue, avviato dal violoncello e ancora con un
certo predominio dello strumento a tastiera.
una serie di variazioni su un tema allora poL’amor marinaro
ossia Il corsaro di Joseph Weigl, trattato molti anni dopo anche da Paganini. L’artigianato compositivo, in fatto di variazioni su tema,
era ormai fortissimo e Beethoven non delude
le aspettative inanellando nove situazioni le
più diverse in cui il motivo viene esposto da
una voce sola o intrecciato tra gli strumenti,
alternando soffusa cantabilità a virtuosismo,
irruenza a dolcezza, in un continuo gioco
dell’invenzione.
Le Sette danze dei Balcani, cui
ha arriso nel tempo una certa notorietà anche
perché eseguite da grandi pianisti, sono uno
dei pochi titoli offerti dallo scarnissimo catalogo di questo compositore serbo la cui attività
è stata più che altro rivolta agli studi, all’insegnamento e alla divulgazione, rendendosi per
questo benemerito nel suo Paese. È normale in
questi casi operare dei raffronti con i maggiori
maestri che in quel tempo avevano innalzato la
musica popolare ad opera d’arte come Bartók,
ha sicuramente condiviso gli intenti ma non
la cospicuità della produzione e il tratto progressista, privilegiando le eleganze formali e
la comunicazione diretta, orientandosi anche
per questo verso la scrittura vocale e specialmente corale.
BRAHMS – È noto come la tarda stagione
creativa di Brahms sia costellata di capolavocameristica si confermi quale la più consona
all’indole di questo musicista sensibile alle
ragioni dell’intimismo e dell’introspezione.
Al clarinetto forse non avrebbe pensato se
un’occasione fortunata non gli avesse messo
sulla strada Richard Mühlfeld, riconosciuto
virtuoso dell’epoca, che gli risvegliò la fantasia e lo stimolò a comporre in poco tempo ben
quattro lavori con il clarinetto. Tale impegno
multiplo porta a pensare che proprio attraver-
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so le caratteristiche sonore ed espressive dello
strumento che cento anni prima aveva affascinato anche Mozart si era presentata a Brahms
l’opportunità di ricercare un modo nuovo per
scendere nel fondo della propria anima.
Perché è evidente che il clarinetto di Brahms
non ha nulla a che vedere con quello di Weber;
non è all’esteriorità brillante che egli mira, ma
appunto alle ragioni di stile attraverso le quali
permettere al nuovo strumento di utilizzare le
sue sonorità soffuse, tenere e calde per diventare voce espressiva di una condizione umana.
Il trio op. 114 fu il primo conseguimento in
questo percorso clarinettistico in quattro tappe
e precede di poco il Quintetto op. 115, che rimane concordemente tra le cose più sublimi del
catalogo brahmsiano, per concludersi poi con
le due Sonate op. 120, che pure si sono garantite l’affetto di interpreti ed ascoltatori.
Si dice che il Trio sia, nell’insieme di queste
quattro opere, il più irrisolto, forse perché sussiste al fondo un oggettivo problema di equilibrio nell’assemblaggio di strumenti dai timbri
così diversi come il clarinetto, il violoncello e
il pianoforte: una formazione effettivamente
poco praticata dagli autori. Ma è probabile
che l’impressione sia falsata dal confronto con
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il Quintetto, la cui fama è tale da oscurare tutto
ciò che gli sta intorno.
Inutile descrivere nel dettaglio le peripezie del
Trio op. 114 attraverso i suoi quattro movimenti, smontarne il meccanismo formale, anal’impeccabilità della forma e il tratto conciso
che tanto lo distacca dalle prolissità e dall’irruenza delle opere giovanili. Tutto è contenuto
e calibrato con estrema cura senza lasciare
nulla di desiderato, e così non mancano momenti di forte e pur contenuta emotività nei dialoghi reciproci tra clarinetto e violoncello, che
sono stati recepiti come autenticamente amorosi. Il tutto è immerso in atmosfere ora malinconiche ora meditative, non di rado sognanti
e misteriose, ma sempre con quella nobiltà di
segno che distingue la scrittura dell’autore
amburghese. Non sfuggiranno all’ascoltatore
attento le sottigliezze del colore sonoro,che si
lasciano apprezzare come dettagli di un’opera
La prima esecuzione del Trio ebbe luogo il 24
novembre 1891, con Mühlfeld al clarinetto,
Robert Hausmann al violoncello e lo stesso
Brahms al pianoforte.
Diego Cescotti
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