Assenza durante visita fiscale

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Assenza durante visita fiscale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PERUGIA
SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, in persona del Giudice del Lavoro dott. Marco Medoro, nella causa
civile n. 1163/2011 Ruolo G. Lav. Prev. Ass., promossa da B.A. (avv. E.F.)
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- ricorrente contro
INPS (avv. P.T.)
- resistente -
ha emesso e pubblicato, ai sensi dell'art. 429 c.p.c., all'udienza dell'8.11.2012,
leggendo la motivazione ed il dispositivo, facenti parte integrante del verbale di
udienza, la seguente
SENTENZA
FATTO E DIRITTO
B.A. si è rivolto a questo Tribunale per chiedere la condanna dell'I.N.P.S. al
pagamento della somma di Euro 447,00, corrispondente all'indennità di malattia
trattenuta dal datore di lavoro, nella misura corrispondente a 10 giorni lavorativi, in
relazione al provvedimento del 22.1.2010, con cui l'Istituto aveva ritenuto
ingiustificata la mancata reperibilità del ricorrente alla visita di controllo
domiciliare del 24.10.2009.
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Il ricorso è fondato e merita accoglimento per le considerazioni dappresso
brevemente esposte.
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Assume il ricorrente di essersi assentato dal lavoro dal 15.10.2009 per una
"lombosciatalgia" e che il giorno 24.10.2009, il medico incaricato dall'INPS di
effettuare i controlli, aveva redatto un referto di mancato reperimento del B. alla
visita domiciliare durante le fasce di reperibilità. Lo stato di malattia era stato poi
confermato sino al 31.10.2009 alla visita ambulatoriale presso l'ASL cui il
ricorrente regolarmente aveva presenziato. Con provvedimento del 22.1.2010,
successivamente confermalo con silenzio - rigetto all'esito del ricorso
amministrativo inoltrato al Comitato provinciale, l'I.N.P.S. considerava il B.
decaduto dal trattamento di malattia per i primi dieci giorni a causa della mancata
reperibilità alla visita di controllo e il datore di lavoro gli tratteneva dalla busta
paga del mese di Gennaio 2010 l'importo, precedentemente anticipato all'INPS, di
Euro 447,00.
Espone il B. che, in realtà, nella giornata indicata egli si trovava in casa, ma che
non aveva risposto al citofono in quanto si era addormentato a causa della febbre
alta e di una condizione di sofferenza dovuta al forte mal di schiena che in quelle
giornate lo affliggeva. Deduce, e offre di provare per testi (avendo comunque
allegato agli atti una dichiarazione scritta dell'interessata) che alle ore 10,40 del
24.10.2004 il medico suonò il campanello dell'abitazione della vicina di casa, tale
M.L., la quale riferì di essere certa della presenza del B. in casa, che questi
probabilmente si era addormentato e che la vicina aprì il portone dell'edificio
suggerendo al medico di salire sino all'appartamento del ricorrente sito al terzo
piano per suonare il campanello dell'abitazione. Non è chiaro (ma neppure
rilevante come si vedrà) se, come si legge in ricorso, il sanitario disse alla vicina di
"farsi gli affari propri" o se, come si legge nella dichiarazione in atti, la vicina si
limitò a formulare l'invito e ad allontanarsi.
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Tale ricostruzione dei fatti non è contestata né genericamente né specificamente
dall'INPS che, pure, di tale compendio circostanziale pienamente dispone ai sensi
dell'art. 115 c.p.c. e 416 c.p.c. poiché oggetto di discussione è l'operato di un
medico incaricato dall'Istituto. Ne consegue che la versione della vicenda offerta
dal ricorrente è da ritenersi accertata, essendo quindi inutile l'espletamento della
prova testimoniale mentre non è ammissibile (o meglio non ha senso logico) la
richiesta dell'INPS di essere ammesso a prova contraria "con gli stessi testi"
trattandosi, in assenza di testimoni individuati in memoria (neppure il medico
coinvolto nella vicenda è stato indicato), di rivolgere (in forma opposta) alle
persone individuate dal ricorrente le stesse domande che questi ha capitolato.
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Tale la ricostruzione dei fatti, l'esito della controversia discende dalla corretta
applicazione dell'art. 5, comma 14, del d.l. 463/1983, convertito con modificazioni
nella legge 638/1983 la quale stabilisce che "... Qualora il lavoratore, pubblico o
privato, risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo, decade dal
diritto a qualsiasi trattamento economico per l'intero periodo sino a dieci giorni e
nella misura della metà per l'ulteriore periodo, esclusi quelli di ricovero
ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo".
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In via preliminare, va disattesa l'argomentazione con cui la difesa del ricorrente,
richiamando un orientamento giurisprudenziale non condivisibile e superato da
tempo dalla consolidata giurisprudenza del S.C. sostiene che la conferma della
malattia in sede di visita ambulatoriale di controllo eliderebbe l'effetto della
mancata reperibilità alla visita domiciliare; di contro, "... In tema di assenza dal
lavoro per malattia e di conseguente decadenza del lavoratore dal diritto al relativo
trattamento economico per l'intero periodo dei primi dieci giorni di assenza per
ingiustificata sottrazione alla visita di controllo domiciliare, ai sensi dell'art. 5,
comma quattordicesimo, del d.l. 12 settembre 1983 n. 463 convertito in legge 11
novembre 1983 n. 638 (norma dichiarata parzialmente illegittima dalla Corte
costituzionale con sentenza n. 78 del 1988), l'effettuazione da parte del lavoratore
di una successiva visita ambulatoriale confermativa dello stato di malattia,
ancorché avvenuta prima della scadenza di tale periodo, non vale ad escludere la
perdita del diritto al trattamento economico ma ha la sola funzione di impedire la
protrazione degli effetti della sanzione della decadenza per il periodo successivo ai
suddetti primi dieci giorni, atteso che l'osservanza dell'onere posto a carico del
lavoratore di rendersi reperibile presso la propria abitazione non ammette forme
equivalenti di controllo; ne consegue che l'impossibilità per il lavoratore di
effettuare tale visita (nella specie il giorno successivo a quello della sottrazione alla
visita di controllo), a causa delle chiusura dell'ambulatorio della ASL, non
impedisce la perdita del trattamento economico derivante dal mancato
assolvimento di quell'onere" (Cass. sez. lav., 1809/2008; cfr anche sul punto, id:
6405/1992, 2531/1996).
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Ciò posto è pacifico che nel caso in esame il B. non era assente alla visita di
controllo, ma non rispose al campanello condominiale per essere stato colto dal
sonno, circostanza comprensibile in uno stato di malessere generale determinato
dallo stato febbrile e dal mal di schiena. A tutto questo va aggiunto, con rilevanza
decisiva, che la scusabilità della condotta inerte del B. emerge in relazione alla
superficialità della condotta tenuta dal medico incaricato della visita dall'INPS, ad
iniziare dal fatto che nel referto non è neppure indicata l'ora della visita di
controllo: se è vero che il compito di questi non va oltre il tentativo di farsi aprire
suonando il campanello essendo onere dell'assicurato porsi e mantenersi in
condizione di essere reperito e visitato con tutti gli accorgimenti del caso (le
argomentazioni spese dal difensore del B. sulla reperibilità telefonica sono del tutto
infondate in questo quadro), è pur vero che il sanitario, pur avvertito dalla vicina di
casa della presenza del B. ed effettuato l'ingresso nel portone condominiale, non
provvedere a tentare di suonare il campanello dell'appartamento al terzo piano
dell'edificio (o perlomeno I.N.P.S. non ha né dedotto né provato la circostanza)
tenendo una condotta che alla luce delle circostanze del caso appare inferiore al
livello di diligenza esigibile prima della constatazione dell'assenza con le
conseguenze di legge.
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Alla luce di quanto sopra deve ritenersi che la mancata reperibilità al tentativo di
visita (non di assenza è appurato si trattò) deve ritenersi pienamente giustificata in
relazione alle condizioni in cui il ricorrente si trovava e alle rilevate omissioni di
verifica.
Le ragioni che precedono determinano l'accoglimento del ricorso e la condanna di
I.N.P.S. a corrispondere al ricorrente l'importo di Euro 447,00 a titolo di
trattamento di malattia per dieci giorni. Su detta somma I.N.P.S. dovrà
corrispondere al ricorrente interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data di
esigibilità del credito e sino al saldo (tenendo conto che l'importo dovuto a titolo di
interessi va portato in detrazione dalle somme spettanti a ristoro del maggior danno
derivante dalla svalutazione: art. 16, 6 comma, legge 30.12.1991 n. 412, come
modificato dall'art. 1, 783 comma, della legge 27.12.2006 n. 296).
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo
tenendo conto degli incombenti espletati e dell'impegno professionale richiesto
dalla controversia ai sensi del D.M. Giustizia 140/2012 e nel rispetto del limite
previsto dal testo dell'art. 152 disp. att. c.p.c. nella versione novellata dalla legge
69/2009.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando:
- condanna I.N.P.S. a corrispondere a B.A. la somma di Euro 447,00, oltre interessi
legali e rivalutazione monetaria nei limiti di cui in parte motiva;
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- condanna I.N.P.S. a rifondere al B. le spese di lite, che qui si liquidano in Euro
400,00 per compenso professionale,.oltre IVA e CAP come per legge.
Così deciso in Perugia l'8 novembre 2012.
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2012.
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