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www.ildirittoamministrativo.it La dubbia e discussa utilità del Trust, a cura di ALESSANDRA PULITANO Come è noto nella tradizione giuridica continentale la proprietà si caratterizza per la sua assolutezza e la tipicità dei diritti reali rispetto agli ordinamenti di common law che certamente ammettono la frammentazione della res a favore di una pluralità di soggetti.1 Un esempio di tale separazione si rinviene nel trust che significa “fiducia”, affidamento e consiste appunto nell’affidamento che un soggetto denominato “settlor “(c.d. disponente ) fa ad un terzo (c.detto trustee) di certi beni perché questi li amministri e li gestisca in favore di soggetti terzi (beneficiari). Il trust si sostanzia in uno strumento giuridico che permette di strutturare posizioni giuridiche basate su legami fiduciari e di realizzare uno sdoppiamento della proprietà, l’ una finalizzata all’ amministrazione , in capo al trustee, l’ altra ai fini di godimento, in capo al beneficiario.2 L’ effetto caratteristico del trust, al di là delle ampie e variegate funzioni per le quali viene utilizzato , è “la segregazione patrimoniale”: i beni conferiti in trust vanno a costituire un patrimonio separato in via definitiva ( salvo revoca ) dagli altri beni che compongono il patrimonio del trustee, come anche del patrimonio del disponente (che se ne spoglia) e del beneficiario (che ne ha la disponibilità solo alla fine del rapporto fiduciario e può esercitare le azioni a tutela della proprietà nonché vantare un diritto di seguito con ampi connotati di realità).3 E’ proprio il meccanismo della segregazione che garantisce che le vicende personali e obbligatorie del trustee non interferiscano con lo scopo per il quale il trust è stato istituito . E’ evidente come, in base ai canoni tradizionali del nostro ordinamento, non sia agevole comprenderne un simile sdoppiamento di proprietà, 4 né la compressione del diritto di godimento dei beni affidati al trustee che pure ne è il proprietario. In sostanza, mentre la titolarità del diritto di proprietà è piena, l’ esercizio di tale diritto è invece limitato al perseguimento degli scopi indicati nell’ atto istitutivo. Diffusa e radicata , perlomeno fino ad un ventennio fa, era l’ opinione circa l’ incompatibilità fra il diritto dei trusts e gli ordinamenti di civil law, caratterizzati da un lato, da un concetto unitario di proprietà e, dall’ altro, dal principio di universalità della responsabilità patrimoniale , salve le 1 Meucci, La destinazione di beni tra atto e rimedi, Milano, Giuffrè 2009. C. Cicero,op.cit.900 ss; L. Panzani, op.cit., 2942 ss. 3 F. Caringella , manuale di diritto civile,2009, i diritti assoluti. 4 C. Cicero, op.cit. 2 1 www.ildirittoamministrativo.it eccezioni legislativamente previste (art. 2740 c.c), principio quest’ ultimo che non consentirebbe la creazione , per atto di autonomia privata, di patrimoni segregati.5 Nell’ intento di verificare se ed in che misura vi sia spazio per una categoria della segregazione nel nostro ordinamento, in quanto in contrasto con i suddetti principi sopramenzionati, può essere utile richiamare quello che dovrebbe essere il suo archetipo normativo, ovvero la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, recepita in Italia con la legge 16 ottobre 1989,n 364. La più recente giurisprudenza, afferma che a seguito della ratifica in Italia della Convenzione, l’ istituto del trust, è entrato a far parte del nostro ordinamento, quale strumento di segregazione del patrimonio o di parte dei beni di un soggetto (disponente o settor) posto sotto il controllo di un trustee.6 L’ art. 2 della Convenzione dispone che l’effetto segregativo si rinviene nella stessa disposizione in quanto: “i beni in trust costituiscono una“massa separata”dal patrimonio del trustee”. Quest’ultimo investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni secondo i termini del trust e le norme particolari impostegli dalla legge. 7 Ciò comporta l’ammissibilità di una proprietà-funzionale con un vincolo di destinazione diverso da quelli espressamente previsti e disciplinati dalla legge in conformità al diritto di proprietà ex art. 832 c.c. Il settor infatti non trasferisce il proprio bene a un terzo per assecondare quelle che sono le funzioni socio-economiche che normalmente si conoscono come sottese a un contratto di vendita o di donazione , ma per il raggiungimento di uno scopo. Con riferimento alla figura del trustee, invece, si determina soltanto un “potere-dovere” di disporre dei beni e non un “diritto”. Il codice civile, dunque, prevede che i limiti alla facoltà di disporre sono stabiliti dall’ ordinamento giuridico, con il trust invece essi sono imposti da un semplice atto di autonomia privata capace di individuare una causa tipica allo scopo di sorreggere un trasferimento della proprietà , in virtù della destinazione per un fine determinato. 8 Un ‘altra ipotesi di segregazione è prevista nei singoli commi dell’ art.11, ove la segregazione è individuata quale minima indispensabile conseguenza dell’ applicazione della legge straniera regolatrice del trust. 5 Gambero, Il diritto di proprietà, in Tratt.Cicu-Messineo,VIII,t.2, Milano 1995. Trib. Di Milano, ord. 10 giugno 2009. 7 Trib. Di Milano ,ord.10 giugno 2009. 8 Pugliatti, La proprietà e le proprietà, Milano, 1964. 6 2 www.ildirittoamministrativo.it Pertanto, l’effetto segregativo prodotto da un trust interno sarebbe legittimato dal disposto dell’ art.11 della Convenzione .9 Questa soluzione consente di superare l’ ostacolo che riguarda il divieto di costituire patrimoni autonomi o separati in virtù di un atto di mera autonomia privata e in assenza di una specifica previsione normativa.10 Si è affermato che l’art. 2740 c.c. è norma che nulla ha a che vedere con l’ effetto di separazione del trust fund dal patrimonio del trustee , essendo questa una norma disciplinante il regime della responsabilità patrimoniale del debitore.11 Conseguentemente, i creditori del trustee, non possono aggredire i beni in trust in quanto, tali beni, sono pervenuti nel suo patrimonio con un vincolo di destinazione; i creditori dei beneficiari, invece, potranno soddisfare le proprie pretese sui diritti loro attribuiti in quanto tali diritti si caratterizzino come crediti vantati verso il trustee, o diano altrimenti luogo ad attribuzioni in loro favore. Inoltre, il fallimento del trustee non determina l’ apprensione del fondo in trust alla massa fallimentare; i beni in trust sono estranei sia alla successione mortis causa sia al regime patrimoniale.12 Tale eccezione è possibile in forza della legge interna di recepimento della Convenzione che permette al nostro ordinamento di accogliere una fattispecie diversa di responsabilità. Detto ciò, il problema che si pone è quello di ammettere nel nostro ordinamento ipotesi di separazioni patrimoniali. La nostra dottrina ha fornito una nozione di patrimonio fondata sul principio dell’ unità dello stesso e tesa a designarla fattispecie della disciplina comune della responsabilità.13 Tuttavia la stessa disposizione dell’ art. 2740 c.c., che cristallizza il precetto della garanzia generica, prevede anche le possibilità di deroghe, statuendo che “le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non ne casi stabiliti dalla legge” e, dunque, la tipizzazione normativa risulta presupposto indefettibile per l’ efficacia della separazione ultra partes.14 Ciò vale sia per i patrimoni autonomi, cui corrisponde l’ insorgere di una nuova situazione di titolarità, fisiologicamente suscettibile di pubblicità, ma anche per i patrimoni separati, rispetto ai 9 Lupoi, Lettera a un notaio conoscitore di trust, in Rivista del notariato, 2001. P.Ferro – Luzzi, la disciplina dei patrimoni separati, in R.soc., 2002. 11 Lupoi, lettera a un notaio conoscitore di trust, in Rivista del Notariato, 2001. 12 Trust, applicazione nel diritto commerciale, Giappichelli vol.II, Torino. 13 Trimarchi, voce Patrimonio generale, in Enc. dir. XXXII, Milano, Giuffrè,1982. 14 La tipizzazione dell’ atto o quanto meno dell’ effetto; v. La Porta,1070 che, con riferimento all’ art.2645 ter c.c., ritiene che la norma non tipizzi alcun contratto, ma sancisca la compatibilità con il nostro ordinamento di “un effetto giuridico” già noto in ipotesi tipiche, riconoscendolo quale legittima espressione dell’ autonomia privata. 10 3 www.ildirittoamministrativo.it quali il tema dell’opponibilità emerge con riferimento alla disciplina che si vuole imporre più che non con riguardo al profilo dell’ appartenenza. Fintanto che tutto si svolge secondo i canoni che la legge codifica , anche la qualificazione eziologica dei beni separati avrà modo di emergere ed essere adeguatamente tutelata tramite gli strumenti di pubblicità che l’ ordinamento appresta così per i diritti come per i vincoli reali.15 Proprio nell’ ambito delle “eccezioni” alla regola assume rilievo il meccanismo della “destinazione allo scopo” e, con esso, la nutrita gamma di fattispecie nelle quali si manifesta il correlato fenomeno della “separazione” patrimoniale.16 Nel primo caso , i beni destinati ai sensi dell’ art. 2645ter c.c., sono oggettivamente vincolati allo scopo e possono essere impiegati solo per il perseguimento del fine della destinazione. La novità risiede non solo nella previsione di un vincolo di destinazione opponibile ai terzi quanto nell’ effetto segregativo patrimoniale unilaterale nascente proprio dall’ atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c., e cioè al fatto che nella destinazione non si ha segregazione senza trascrizione; inoltre si assiste anche ad un fenomeno di ampliamento delle ipotesi di limitazioni della responsabilità patrimoniale di cui all’ art. 2740 , comma 2; ipotesi individuate dalla norma in commento con riferimento ad interessi selezionati solo in base all’ ampio criterio di meritevolezza.17 Nelle ipotesi di separazione patrimoniale (es .fondo patrimoniale art. 167.c.c., fondi speciali per la previdenza e assistenza art.2117 c. c., gestione patrimoniale da parte di intermediari finanziari art 22 TU Consob n. 58/98) invece, oltre al riferimento ad uno scopo, occorre che emerga anche una disciplina particolare , che conferisca stabilità alla scissione , creando il vicolo strumentale.18 La diversità di tali istituti rispetto al trust è rinvenibile nel fatto che la destinazione patrimoniale, non è implicita come nel trust, nel negozio fiduciario o nel contratto di mandato, ma viene esplicitata nelle regole applicative. Al processo di erosione del principio di indivisibilità del patrimonio ha contribuito il nostro legislatore anche in materia di cartolarizzazione dei crediti , di fondi comuni di investimento , nonché di patrimoni destinati ad uno specifico affare.19 Esempi al riguardo sono rinvenibili nell’ art.2447 bis c.c. che introduce nel nostro ordinamento uno strumento segregativo specifico , nella fattispecie a disposizione delle sole imprese organizzate secondo il modello azionario e attuabile solo per lo svolgimento di uno specifico affare.20 15 M. Bianca, Diritto civile, La responsabilità, Milano, Giuffrè,1994. R. Quadri, La destinazione patrimoniale. Profili normativi e autonomia privata, Napoli,2004. 17 Gazzoni, in Giust.civ. 2006. 18 Bigliazzi Geri, anche Messineo : Riforma del diritto societario, in Riv.not, 2003, 55. 19 Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova 1996. 20 Lupoi, trust commerciali, II ed., 2001 Giuffrè. 16 4 www.ildirittoamministrativo.it Il legislatore ha voluto sottolineare la destinazione quale fattore che dà causa al regime di separazione patrimoniale, separazione che nell’ art.2447 – bis , lett. a ) è riferita a parte del patrimonio della società, mentre nell’ art. 2447 – bis, lett. b) riguarda i proventi che derivano dall’ affare. Relativamente alla definizione di “affare”, questa sembra non debba essere interpretata in senso restrittivo , e dunque come riferibile esclusivamente ad una singola operazione , bensì che possa comprendere anche fenomeni come la joint venture, la separazione di rami d’ azienda, il project financing. In ogni caso, gli affari cui possono essere destinati i patrimoni devono rientrare nell’ ambito di operatività dell’ oggetto sociale.21 Attraverso l’atto di destinazione22, si imprime una direzione funzionale alla realizzazione di un affare ad una determinata quantità di beni, separat a dal pat rimonio generale e tutt avia afferent e al medesimo soggetto, in deroga al tradizionale principio dell’universalità ed unicit à del patrimonio 23 , creando dunque uno strumento finalizzato a modificare, nell’attività finanziaria, il sistem a di imput a zione della responsabilità pat rimoniale, in modo da poter imputare un’obbligazione ad un patrimonio e non ad un soggetto. Tipizzando in questo modo una separazione dotata proprio di quella connotazione segregante, giuridicamente riconosciuta, e che distingue all’ interno di un medesimo patrimonio, nuclei differenti , ai quali corrispondono posizione creditorie distinte. 24 Dunque, la conseguenza è che vengono a costituirsi diverse categorie di creditori : “quelli generali“, in grado di esercitare le proprie pretese nei riguardi del patrimonio del debitore, e quelli “ particolari”, le cui istanze satisfattive sono prioritariamente orientate sugli assetti separati.25 Essendo previsto, una volta eseguita la pubblicità di rito ed a condizioni che la delibera istitutiva non disponga diversamente: a) che i creditori della società non possano far valere alcun diritto sul patrimonio destinato ad uno specifico affare né , salvo che per la parte spettante alla società , sui frutti o proventi da esso derivanti; b) che per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponda nei limiti del patrimonio ad esso destinato. Il trust ,al contrario, offre un meccanismo segregativo generale che quindi presenta una duttilità ed una poliedricità assolutamente sconosciuta ai patrimoni destinati.26 21 F. Fimmanò, patrimoni destinati e tutela dei creditori nelle società, Giuffrè 2004. Quaderni romani di diritto commerciale- Libonati e Luzzi, Milano 2003. Bianca, atti negoziali di destinazione, cit; 23 A. Bartalena, i patrimoni destinati, in Riv.diritto commerciale 2003. 24 Rubino, La costituzione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, Utet, 2007. 25 Baccetti, patrimoni destinati e gruppi di società, Milano , Giuffrè 2009. 22 5 www.ildirittoamministrativo.it Tuttavia, elemento comune ai patrimoni destinati ed al trust è la separatezza patrimoniale, laddove per tale si intenda un patrimonio riferito o riferibile, imputato o da imputarsi, agganciato almeno in prospettiva ad un soggetto, ma da questo allontanato.27 Infatti, nel patrimonio destinato i beni non fuoriescono dal soggetto che costituisce il patrimonio – la società- continuando ad essere gestiti dallo stesso organo amministrativo che gestisce la società stessa , divengono comunque non aggredibili dai creditori sociali, formando appunto un patrimonio separato all’ interno del più ampio patrimonio sociale. Nel trust, invece, il distacco può anche attenere alla sfera soggettiva, oltre a quella degli effetti. I beni fuoriescono dal patrimonio del disponente entrando nel patrimonio di un altro soggetto , il trustee. 28 Quanto al rapporto con i creditori , la perfetta autonomia del patrimonio separato è inficiata dal fatto che per i beni immobili e per i beni mobili registrati l’ effetto segregativo si realizza solamente a condizione che si perfezioni la trascrizione nei registri del vincolo di destinazione. Un ‘ulteriore distinzione da segnalare è quella per cui nelle ipotesi di fondi destinati ad uno specifico affare il legislatore abbatte il regime della segregazione nel caso dei creditori involontari: ai sensi dell’ art 2447 quinquies c.c ., la responsabilità da fatto illecito determina l’ estensione all’universalità del patrimonio societario, per un evidente difetto di conoscenza/conoscibilità dell’esistenza del regime di separazione. Le più recenti vicende giudiziarie evidenziano un progressivo utilizzo del trust a guisa di strumento alternativo sia di destinazione del patrimonio sociale a tutela dei creditori, sia di soluzioni negoziate della crisi d’impresa29(fermo restando che –in ogni caso -il trust anche se legittimamente volo ad armonizzarsi con una procedura negoziale della crisi non può sopravvivere al fallimento derogando alle norme pubblicistiche che lo disciplinano).30 La dottrina e la giurisprudenza prevalente hanno quasi sempre sostenuto che è possibile far uso del trust nel nostro ordinamento quando le finalità (meritevoli) perseguite non possono essere raggiunte mediante l’ impiego dei tradizionali strumenti civilistici previsti dall’ ordinamento interno: perciò , per evitare un abusivo ricorso al trust in presenza di istituti concorrenti della lex fori, questo deve 26 Ferro-Luzzi, disciplina dei patrimoni destinati, in Riv. Soc. , 2002. P.Ferro- Luzzi, La disciplina dei patrimoni separati, in Riv.soc.,2002. 28 M. Monegat,-Trust , applicazioni nel diritto commerciale, vol.II sec. ed. 29 Trib.Firenze, 25 marzo 2011, Trib. Milano ,29 ottobre2010, Trib. Roma , 11marzo2009. 30 Trib. Reggio Emilia, 2 maggio 2012 : “si osservato che, quantomeno astrattamente, l’ insolvenza dell’ imprenditore potrebbe essere gestita al di fuori delle procedure disciplinate dalla Legge fallimentare, senza alcun intervento giudiziale, mediante l’ impiego del contratto privatistico (tipico) della cessio bonorum, regolata dagli art.1997 ss.cc.: seppure con “un caso di scuola”, viene contraddetto l’ assioma su cui si fondano le pronunce milanesi e, cioè, l’ inderogabilità, per via negoziale, delle disposizioni interne sulle procedure concorsuali. 27 6 www.ildirittoamministrativo.it presentare un quid pluris, o comunque potenzialità differenti, rispetto ai suoi competitor previsti dall’ ordinamento italiano.31 31 L. Rovelli, Libertà di scelta della legge regolatrice, in Rivista, 2001. 7