Integrazione e migrazione irregolare IT

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Integrazione e migrazione irregolare IT
INTEGRAZIONE Acculturazione Si definisce come acculturazione il processo di interazione tra due gruppi sociali appartenenti a culture diverse mediante il quale un gruppo seleziona alcuni aspetti della cultura dell’altro gruppo per accettarli nella propria (es. abitudini alimentari, stili di abbigliamento, norme, espressioni religiose, ecc.). Questo processo non implica di per sé il cambiamento di tradizioni e usanze originali. Gli aspetti della cultura altrui vengono semplicemente aggiunti ai propri. Adattamento/Accomodamento Si definisce come adattamento o accomodamento le modalità con le quali un gruppo sociale si inserisce in un ambiente diverso da quello originario, rispondendo agli stimoli che questo produce. Quando tale risposta viene prodotta in un ambiente aperto e non discriminante, in cui il gruppo sociale in questione decide spontaneamente di cambiare le proprie tradizioni e usanze e assumerne delle nuove per propria convenienza il processo si definisce adattamento. Quando tale risposta viene prodotta in un ambiente conflittuale o ostile che, in pratica, obbliga il gruppo sociale in questione a cambiare le proprie tradizioni ed usanze e a adottarne delle nuove, pena l’esclusione, il processo si definisce accomodamento. Assimilazione Con il termine assimilazione si indica il processo con cui una determinata cultura influenza i contenuti di un’altra provocando in quest’ultima una modificazione tendente ad annullare i contenuti originari per assumere quelli della nuova cultura. Ci sono due tipi di assimilazione: primaria e secondaria. L’assimilazione primaria si produce quando si verifica l’assunzione totale della nuova cultura. Quella secondaria (o parziale) si produce quando l’assunzione interessa solo di alcuni tratti della nuova cultura. Integrazione Si può parlare di integrazione in senso lato e in senso stretto. In senso lato si definisce come integrazione l’insieme dei processi che costituiscono l’inserimento socio-­‐culturale di un gruppo o di un individuo in un contesto diverso da quello originario. In senso stretto, l’integrazione è il processo di inserimento opposto all’assimilazione, dove i contenuti culturali originali vengono mantenuti, integrandoli con alcuni contenuti propri della nuova cultura. In tal senso, l’integrazione si caratterizza come un processo “bidirezionale”, in cui il gruppo originario è chiamato ad accettare delle trasformazioni culturali apportate dai migranti così come devono accettarle i gruppi stranieri nell’incontro con la società d’accoglienza. Multiculturalismo Si definisce come multiculturalismo il modello di integrazione fondato sul concetto di coesistenza plurale e pacifica di culture diverse in una medesima società. Secondo questo modello, diverse culture possono coesistere pacificamente senza scontri con il solo garantire loro spazi sufficienti di espressione e di sviluppo. E’ il modello di integrazione tipicamente anglosassone adottato da alcuni stati ad alto tasso di immigrazione (es. Gran Bretagna, Canada e Australia). Interculturalismo Si definisce come interculturalismo il modello di integrazione fondato sulla convivenza “attiva” e interazione tra diverse culture coesistenti in una medesima società. Secondo questo modello gli apporti delle culture dei diversi gruppi conviventi in un medesimo spazio societario, messi in dialogo attraverso l’assicurazione di spazi ad hoc, contribuiscono allo sviluppo di una cultura nuova, diversa da tutte quelle originarie. Questo modello si fonda sul concetto dinamico (e non statico) di cultura che trova ampia corrispondenza nella storia dell’umanità. IMMIGRAZIONE IRREGOLARE A livello concettuale, l'immigrazione irregolare può essere considerata da due prospettive diverse: la prospettiva dei paesi d’origine e quella dei paesi d’arrivo. E non c'è coincidenza necessaria tra le due prospettive. Mentre, infatti, dal punto di vista dei paesi di destinazione sono considerati immigrati irregolari gli stranieri che nel loro soggiorno non soddisfano i requisiti della normativa nazionale sull'immigrazione, dal punto di vista dei paesi d'origine sono (e)migranti irregolari coloro che lasciano il paese senza ottemperare ai requisiti della legislazione nazionale sull'emigrazione, a prescindere dalla condizione migratoria che questi ultimi ottengano una volta stabiliti nel paese di arrivo. Per esempio, il governo filippino conta come (e)migranti irregolari i nazionali che risiedono e/o lavorano all'estero senza avere completato il processo migratorio previsto dalla legge ed essersi registrati presso le competenti autorità filippine. Ma gli stessi filippini possono essere contati come migranti regolari nei paesi di destinazione una volta che ottengano i visti e permessi necessari dalle autorità dei medesimi paesi. Sempre a livello concettuale, dobbiamo distinguere diverse categorie di migranti irregolari: i clandestini, gli “overstayers” (coloro che soggiornano più a lungo del consentito), i “runaways” (quelli che fuggono dal posto di lavoro stabilito per contratto) e i migranti con documentazione impropria o falsificata . Appartengono alla prima categoria i migranti che hanno attraversato illegalmente i confini nazionali di uno stato diverso dal proprio, senza passare attraverso controlli sull'immigrazione. Bisogna però notare che nel caso dell’Asia e dell’Africa, a causa di peculiari situazioni storico-­‐
geografiche e dell'ignoranza della gente frequenti riguardo alle frontiere e alle leggi sull'immigrazione esistenti, molti immigrati clandestini non sono pienamente consapevoli della loro trasgressione. In questo senso, può essere citato il caso di un agricoltore birmano che va a vivere e/o lavorare nei campi del villaggio vicino senza neppure rendersi conto che sta di fatto attraversando la frontiera con la Tailandia. Nella categoria degli overstayers sono inclusi gli stranieri che sono entrati legalmente in un paese, grazie a visti e permessi regolari, ma hanno poi esteso il loro soggiorno irregolarmente oltre la data di scadenza dei permessi/visti stessi. Le ragioni del prolungamento irregolare del soggiorno possono essere molteplici e non sono necessariamente imputabili esclusivamente a immigrati. E’ il caso di un lavoratore indonesiano che, avendo lavorato regolarmente nella Repubblica di Corea per 5 anni, non potendo prorogare o rinnovare il suo visto legato al contratto a causa della legge coreana, viene invitato caldamente dal datore di lavoro coreano a restare e a continuare a lavorare per lui in “nero” oltre la scadenza del visto. La categoria dei runaways è costituita dai lavoratori migranti che sono entrati in un paese con un visto legato a un particolare posto di lavoro e decidono poi di “scappare” dal loro lavoro originale per iniziare un altro lavoro senza la necessaria autorizzazione. E’ il caso di un lavoratore vietnamita che emigra a Taiwan con un visto legato al lavoro in una particolare fabbrica di Taipei, ma, rendendosi conto che le condizioni di lavoro sono abusive, decide di cambiare lavoro senza passare attraverso il lungo processo burocratico che legge sull'immigrazione taiwanese impone in questi casi. L’ultima categoria di irregolarità ospita situazioni molto diverse: gli stranieri che lavorano con un visto turistico o di studio (dove questi visti non permettono di svolgere alcuna attività remunerata), i lavoratori migranti con un regolare permesso di soggiorno ottenuto con documenti falsi (passaporto, contratto, titolo di studio o di professione, ecc.) e lavoratori migranti impegnati in attività lavorative non contemplate dal regolare permesso di lavoro che è stato loro concesso. Senza entrare nei dettagli di ogni situazione, è chiaro che le categorie di cui sopra presentano delle variabili fondamentali al momento di considerare la natura problematica della irregolarità dei diversi soggetti. Queste variabili devono essere conosciute e ponderate da parte dei legislatori e dei governanti prima di formulare politiche migratorie e di attuare misure di controllo.