a proposito degli hobbit1

Transcript

a proposito degli hobbit1
A PROPOSITO DEGLI HOBBIT1
OVVERO: A PROPOSITO DEGLI UOMINI
MATTEO CESERANI
È PERICOLOSO USCIRE DALLA PORTA
J.R.R. Tolkien ha confessato di appartenere alla razza degli Hobbit2, e nel prologo di The Lord of the Rings
presenta al lettore questo popolo, indicandolo come protagonista dell’intera vicenda narrata dal romanzo.
Al di là quindi dell’aneddoto folkloristico sulla genesi degli Hobbit3, non c’è dubbio che nel loro cuore, così
come Tolkien è andato strutturandolo nel corso delle sue opere, si possano reperire i tratti del cuore del
loro stesso creatore.
Il primo Hobbit nato nella mente di J.R.R. Tolkien è Bilbo Baggins. Bilbo viene presentato in The Hobbit4
come un Hobbit sui generis. In lui infatti si intersecano in profondità linee di forza appartenenti a due
diverse attitudini della sua razza: da una parte il lato Baggins, che risulta in lui normalmente dominante
(quantomeno in superficie), caratterizzato dalla tendenza alla vita ordinata e tranquilla; dall’altra il lato
Took, derivatogli dalla madre, che opera sotterraneamente spingendolo verso tutte quelle esperienze che
possano portare ad una rottura degli schemi precostituiti, verso un’esperienza della libertà intesa come
ricerca del nuovo, dell’avventura, del compimento di sé in ciò che è al di fuori dell’ordinario.
Still it is probable that Bilbo, her only son, although he looked and behaved exactly like a second edition of
his solid and comfortable father, got something a bit queer in his make-up from the Took side, something
that only waited for a chance to come out.5
Tuttavia è probabile che Bilbo, il suo unico figlio [di Belladonna Took], sebbene apparisse e si comportasse
esattamente come una seconda edizione del suo solido e agiato padre, avesse ricevuto nella sua
costituzione qualcosa di un tantino strano dal lato Took, qualcosa che aspettava soltanto un’occasione per
uscire allo scoperto.
Da questa particolare struttura Bilbo ricava l’esperienza continua di una vertigine. Le cose abituali, ordinarie
ed ordinate che egli ama sinceramente, gli mostrano a volte profili insospettati che lo riempiono di fascino
e di inquietudine, inquietudine che gli deriva da un desiderio profondo e inconfessato. Troviamo un’eco di
questa esperienza in ciò che egli prova ascoltando la canzone cantata dai nani nel primo capitolo di The
Hobbit.
As they sang the hobbit felt the love of beautiful things made by hands and by cunning and by magic
moving through him, a fierce and a jealous love, the desire of the hearts of dwarves. Then something
Tookish woke up inside him, and he wished to go and see the great mountains, and hear the pine-trees
and the waterfalls, and explore the caves, and wear a sword instead of a walking-stick. He looked out of
the window. The stars were out in a dark sky above the trees. He thought of the jewels of the dwarves
shining in dark caverns. Suddenly in the wood beyond The Water a flame leapt up – probably somebody
lighting a wood-fire – and he thought of plundering dragons settling on his quiet Hill and kindling it all to
flames. He shuddered; and very quickly he was plain Mr. Baggins of Bag-End Under-Hill, again.6
1
Daremo in questo articolo per scontata una lettura, anche se risalente ad ere remote, de Il Signore degli Anelli. Anche
la visione dei film di Peter Jackson, che pure è a mio avviso sconsigliata a chi non ha già letto Tolkien, può risultare in
questo caso sufficiente. Per chi invece si trovasse completamente straniero nella Terra di Mezzo, il consiglio migliore
sarebbe forse quello di lasciar perdere gli articoli e leggere il romanzo.
2
“In realtà io sono uno hobbit (in tutto tranne che nella statura).” J.R.R. Tolkien – La realtà in trasparenza – Lettera 213
3
“Tutto quello che ricordo dell’inizio dello Hobbit è che sedevo a correggere i certificati scolastici in quella situazione
di perenne stanchezza di un impegno annuale a cui ero costretto per pagare le spese scolastiche dei miei figli. Su un
foglio bianco scarabocchiai: In una caverna sottoterra viveva uno hobbit. Non sapevo e ancora non so il perché.” J.R.R.
Tolkien – La realtà in trasparenza – Lettera 163
4
Il romanzo che ha assunto la funzione di prologo di The Lord of the Rings
5
J.R.R. Tolkien – The Hobbit – “An unexpected party”
6
J.R.R. Tolkien – The Hobbit – “An unexpected party”
1
Mentre cantavano, lo hobbit sentì vibrare dentro di sé l’amore per le belle cose fatte con le proprie mani, con
abilità e magia, un amore fiero e geloso, il desiderio dei cuori dei nani. Allora qualcosa di Took si destò in
lui, e desiderò di andare a vedere le grandi montagne, e ascoltare i pini e le cascate, ed esplorare le
caverne, e indossare una spada invece di un bastone da passeggio. Guardò fuori della finestra. Le stelle
erano apparse in un cielo nero sopra gli alberi. Improvvisamente nel bosco di là dall’Acqua si alzò una
fiamma – probabilmente qualcuno che accendeva un fuoco di legna – ed egli pensò a draghi predatori che
venivano a installarsi sulla sua quieta Collina e a dare tutto alle fiamme. Rabbrividì; e in pochi istanti fu di
nuovo il posato signor Baggins di Casa Baggins, Sotto la Collina.
L’avventura in cui Bilbo è trascinato, nell’arco della vicenda narrata in The Hobbit, porta dunque alla luce i
tratti nascosti della sua personalità, senza che però la tensione di fondo in lui si risolva. Giunge anzi a
complicare la sua situazione la scoperta dell’Anello di Sauron.
Non è possibile condensare in poche parole la storia di Sauron e degli anelli, in quanto essa attraversa
l’intera storia della Terra di Mezzo. In questo contesto è sufficiente sapere che l’anello è essenzialmente
uno strumento fabbricato da Sauron per il controllo e l’esercizio del potere. In esso Sauron ha infuso gran
parte delle sue facoltà, e l’anello rimane legato alla sua persona anche se egli non lo porta fisicamente al
dito.
Il rapporto tra Bilbo e l’anello è abbastanza particolare. Da un lato egli non è in grado di cogliere la reale
portata della propria scoperta: non solo perché non conosce la provenienza dell’oggetto, ma anche perché
il suo essere non è sufficientemente forte per fargliene cogliere il potere. Detto in altri termini: se anche
Bilbo venisse a conoscenza della natura dell’Anello, non potrebbe in ogni caso servirsene se non per
scomparire. Per percepire e controllare il potere dell’Anello occorre una forza che lui non possiede. D’altra
parte però l’Anello esercita su di lui la propria azione peculiare: una progressiva assuefazione che porta ad
una vera e propria dipendenza. Si tratta in un certo senso di una degenerazione del lato Baggins della sua
personalità: l’amore per ciò che è abituale e quieto si trasforma lentamente in una vera e propria gelosia,
se non addirittura in avarizia; un sentimento mitigato solo dal non essere riconosciuto esplicitamente. Tale
brama di possesso si rovescia ben presto in una radicale esperienza di noia. Su un altro piano, troviamo
una precisa descrizione di questa condizione nel saggio di Tolkien Sulle fiabe, nel punto in cui l’autore
parla della fiaba come esperienza di evasione dalla triste prigione dell’abitudine.
Il saggio Sulle fiabe rappresenta lo scritto in cui Tolkien esprime in maniera più compiuta la sua concezione
della scrittura. Egli presenta l’attività dello scrittore di fiabe in termini di sub-creazione, o di creazione di
una realtà seconda. Da questo punto di vista viene esclusa categoricamente ogni intepretazione allegorica
della sua opera: l’intento dell’artista è quello di creare un mondo dotato di una sua intima consistenza, in
cui quindi il lettore possa trovare terreno solido su cui poggiare i piedi, senza sforzi di intepretazione. Ciò
non implica però che l’esperienza di questa realtà sub-creata non abbia un significato in relazione alla
realtà prima. La realtà prima infatti, scrive Tolkien nel suo saggio, diventa spesso per l’uomo il luogo
dell’abitudine, del dato per scontato, fino al punto in cui diventa impossibile distinguerne con chiarezza i
tratti più significativi: tutto diventa indifferente, in quanto già saputo ed ormai inquadrato in angusti
schemi mentali. La realtà seconda offre allora uno spazio per il recupero della chiarezza perduta: si tratta
dell’esperienza della riscoperta.
La Riscoperta (che comprende un ritorno alla salute e il suo rinnovamento) è un ri-acquisto, il riacquisto di
una chiara visione. Non dico che si tratti di vedere le cose come sono, e non mi mescolo coi filosofi, anche
se potrei azzardarmi a dire di vedere le cose come noi siamo (o eravamo) destinati a vederle, quali cose
distinte da noi. Abbiamo bisogno, in ogni caso, di pulire le nostre finestre, cosicché le cose viste con
chiarezza possano essere liberate dal grigio offuscamento della banalità e della familiarità – liberate dalla
possessività. Di tutti i volti, quelli dei nostri familiares, sono insieme quelli che è più difficile vedere con
fresca attenzione, percependo la loro somiglianza e la loro differenza: il fatto che sono dei volti, e tuttavia
dei volti unici. Questa banalità è in realtà la pena che si sconta per l’appropriazione: le cose che sono trite,
o (in senso cattivo) familiari, sono le cose di cui ci siamo appropriati, legalmente o metalmente. Diciamo di
conoscerle. Sono divenute come le cose che un tempo ci hanno attratto con il loro splendore, il loro colore
o la loro forma: ci abbiamo messo sopra le mani, e le abbiamo rinchiuse col nostro tesoro, le abbiamo
fatte nostre, e facendole nostre abbiamo smesso di guardarle.7
Tornando alla vicenda di Bilbo Baggins, l’anello rappresenta per lui la tentazione di appropriarsi, fino a
smettere di guardarlo, di tutto ciò che incontra lungo la vita. Inizia così a pagare anch’egli il prezzo del
7
J.R.R. Tolkien – Sulle fiabe – “Riscoperta, Evasione, Consolazione”
2
potere (un potere a misura di hobbit, naturalmente): permane intatta in lui l’esperienza della vertigine,
solo diventa più arduo assecondarla, lasciarsi andare di fronte ad essa. La vita di Bilbo continuerà
quietamente, senza segni apparenti di cambiamento. La sua riflessione lo porterà, alla luce di quanto
vissuto, a comprendere la vera natura della realtà come continuo, unitario richiamo al compimento
dell’essere, ma in lui si infiltrerà la paura di perdere, seguendo quel richiamo, qualcosa di se stesso. I due
poli di questo dramma emergono alternativamente nelle sue parole: da un lato nella breve canzone da lui
composta e che Frodo ricorda nel terzo capitolo di The Lord of the Rings:
The Road goes ever on and on
Down from the door where it began.
Now far ahead the Road has gone,
And I must follow, if I can,
Pursuing it with eager feet,
Until it joins some larger way
Where many paths and errands meet.
And whither then? I cannot say.8
La Strada prosegue, prosegue senza fine
Lontano dalla porta dove ebbe inizio.
Ora la Strada è fuggita avanti,
E io devo inseguirla, se ci riesco,
Rincorrendola con piedi alati,
Finché essa non incontra una via più larga
Dove molti percorsi e sentieri si incontrano.
E poi dove andrò? Io non so dirlo.
Dall’altro lato Frodo ricorda anche altre parole di Bilbo, in cui, di fronte alla acuta consapevolezza espressa
nel canto, emerge quasi la paura, o comunque la percezione del rischio.
“It is a dangerous businnes, Frodo, going out of your door,” he used to say. “You step into the road, and if
you don’t keep your feet, there is no knowing where you might be swept off to. Do you realize that this is
the very path that goes through Mirkwood, and that if you let it, it might take you to the Lonely Mountain
or even further and to worse places?” He used to say that on the path outside the front door at Bag End,
especially after he had been out for a long walk.9
“È un impegno pericoloso, Frodo, uscire dalla porta di casa”, diceva di solito. “Fai un passo nella strada, e se
non tieni a bada i piedi, non c’è modo di sapere dove tu possa essere trascinato. Ti rendi conto che questa
è la stessa via che attraversa il Bosco Atro, e che se tu la lasci fare, può portarti alla Montagna Solitaria, o
anche oltre, in posti anche peggiori?” Diceva così stando nel vialetto davanti alla porta di Casa Baggins,
specialmente di ritorno da una lunga passeggiata.
È pericoloso uscire dalla porta, Frodo. È un rischio, perché tutti i sentieri prima o poi confluiscono uno
nell’altro e la ghiaia del vialetto nel giardino di casa non è che l’inizio di una via che può aprirsi verso ogni
avventura; o meglio: che si apre verso l’unica Avventura. È pericoloso uscire dalla porta perché l’Avventura
può prendere l’iniziativa, e non sempre si è abbastanza liberi da lasciarsi trascinare via. Il potere, Frodo,
porta con sé grandi vantaggi, ma chi lo possiede deve poi difenderlo con tutto se stesso. È per questo che
è spesso necessaria una vita intera per decidere di abbandonarsi, per assecondare la vertigine con cui per
anni l’Avventura ci ha lanciato i suoi richiami. Ed è sempre necessario superare la paura di perdere se
stessi.
La sera del suo centoundicesimo compleanno, ma qui è già iniziata la vicenda di The Lord of the Rings, Bilbo
riesce finalmente a vincere la paura: abbandona l’anello e si rimette in cammino. Le parole con cui saluta
Gandalf sono quelle di una persona di nuovo libera.
It was a fine night, and the black sky was dotted with stars. He looked up, sniffing the air. “What fun! What
fun to be off again, off on the Road with dwarves! That is what I have really been longing for, for years!
Good-bye!” he said, looking at is old home and bowing to the door. “Good-bye, Gandalf!”
8
9
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “Three is company”
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “Three is company”
3
“Good-bye, for the present, Bilbo. Take care of yourself! You are old enough, and perhaps wise enough.”
“Take care! I don’t care. Don’t you warry about me! I am as happy now as I ever been, and that is saying a
great deal. But the time has come. I am being swept off my feet at last.”10
Era una notte magnifica, e il cielo nero era punteggiato di stelle. Alzò lo sguardo, annusando l’aria. “Come è
bello! Come è bello partire di nuovo, in viaggio sulla Strada con i nani! È ciò che rimpiangevo veramente,
da anni! Addio!” disse, guardando la sua vecchia casa e inchinandosi davanti alla porta. “Addio, Gandalf!”
“Addio, Bilbo, per ora. Abbi cura di te stesso e si prudente! Sei abbastanza vecchio e forse abbastanza
saggio per farlo.”
“Essere prudente! Non mi interessa. Non preoccuparti per me! Non sono mai stato così felice, ed è tutto
dire. Ma è ora. Sono finalmente trascinato via.”
Alla fine dei suoi lunghi anni Bilbo si trova dunque a vivere un nuovo inizio, ma il lettore di The Lord of the
Rings non è chiamato a seguire questo suo lento ritorno; l’attenzione si concentra sui quattro Hobbit cui è
chiesto di assumere la responsabilità, in diversi gradi, della sorte dell’Anello, nel tentativo di distruggerlo.
Ma di questo parleremo più avanti.
Qui conviene invece notare il doppio livello sui cui si gioca la partita della riscoperta, del recupero di una
chiara visione delle cose. È pericoloso per gli Hobbit uscire dalla porta di casa come è pericoloso per noi
leggere The Lord of the Rings, perché può originare in noi gli stessi fenomeni che hanno coinvolto Bilbo
Baggins. The Lord of the Rings rappresenta per il lettore ciò che per Bilbo rappresenta la strada che
scende sul dorso della collina: una possibilità per iniziare a dare il loro vero nome alle cose. Il Signore degli
Anelli ci permette di operare un cambiamento dei riferimenti attraverso i quali leggiamo gli eventi che
riempiono i nostri giorni, per poter giungere, attraverso quella che Tolkien chiama evasione del lettore
(evasione nella realtà seconda), a un esperienza di gioia, di consolazione.
È sempre lo stesso Tolkien a individuare questa traiettoria, nel saggio già citato Sulle fiabe.
Voglio concludere, ora, considerando l’Evasione e la Consolazione, che sono – è naturale – strettamente
connesse. (…) Ho affermato che l’Evasione è una delle principali funzioni delle fiabe, e dal momento che
non le disapprovo per questo, è evidente che non accetto il tono di disprezzo o di pietà con cui Evasione
viene oggi così spesso utilizzato: un tono per il quale gli usi della parola al di fuori della critica letteraria
non forniscono giustificazione alcuna. In quella che chi usa male il termine Evasione ama chiamare Vita
Reale, questa chiaramente, di regola, è molto positiva e può persino essere eroica. Nella vita reale è
difficile biasimarla, a meno che non fallisca; nella critica, sembra che sia tanto peggiore quanto più è
riuscita. (…) Perché mai un uomo dovrebbe essere disprezzato se, trovandosi in carcere, cerca di uscirne e
di tornarsene a casa? O se, non potendolo fare, pensa e parla di argomenti diversi dai carcerieri e dai muri
della prigione? Il mondo esterno non è divenuto meno reale per il fatto che il prigioniero non possa
vederlo. Utilizzando Evasione in questo modo, i critici hanno scelto la parola sbagliata, e, quel che è
peggio, stanno confondendo, e non sempre in buona fede, l’Evasione del Prigioniero con la Fuga del
Disertore. (…)
Ma la consolazione procurata dalle fiabe ha anche un altro aspetto oltre alla soddisfazione fantastica di
antichi desideri. Di gran lunga più importante è la Consolazione del Lieto Fine. Mi arrischierei quasi ad
affermare che ogni fiaba compiuta dovrebbe averlo. Quantomeno direi che la Tragedia è la vera forma del
Teatro, la sua più alta funzione; ma il contrario vale per la Fiaba. Dal momento che non sembra che vi sia
una parola per esprimere questo opposto – lo chiamerò Eucatastrofe. Il racconto eucatastrofico è la vera
forma della fiaba, e rappresenta la sua più alta funzione.
La consolazione delle fiabe, la gioia del lieto fine: o, più correttamente, della buona catastrofe,
dell’improvviso capovolgimento felice (…): questa gioia, che è una delle cose che la fiaba può produrre
supremamente bene, non è in essenza né evasiva né fuggitiva. Nella sua ambientazione fiabesca – od
oltremondana – è una grazia improvvisa e miracolosa: e non bisogna mai contare sul suo ripetersi. Non
nega l’esistenza della discatastrofe, del dolore e del fallimento: la possibilità che ciò si verifichi è necessaria
alla gioia e alla liberazione; essa nega (a dispetto di un gran numero di prove, se si vuole) la sconfitta
finale ed universale, ed è in quanto tale un evangelium, che fornisce una visione fuggevole della Gioia,
quella Gioia oltre le muraglie del mondo, intensa come un dolore.11
10
11
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “A long-expected party”
J.R.R. Tolkien – Sulle fiabe – “Riscoperta, Evasione, Consolazione”
4
The Lord of the Rings può riservare a un lettore disponibile l’esperienza di questa visione fuggevole della
Gioia. Non deve sorprendere o lasciare perplessi il richiamo all’evangelo: lo stesso Tolkien chiarisce questo
suo pensiero nella conclusione del saggio già citato.
Nel regno di Dio la presenza di ciò che è più grande non schiaccia ciò che è più piccolo. (…) L’Evangelium
non ha abrogato le leggende; le ha santificate, specialmente nel lieto fine. (…) Così grande è stata la
liberalità con cui [il cristiano] è stato trattato che ora egli può, forse, a ragion veduta supporre che nella
Fantasia può effettivamente assistere al germogliare e al molteplice arricchimento della creazione.
Per grazia, è possibile che la sub-creazione diventi un vero e proprio arricchimento della realtà prima, e molti
lettori di The Lord of the Rings possono testimoniare la verità di questa affermazione. Un riflesso inedito
della storia della Salvezza può dunque giungerci, per assoluta gratuità di Dio, anche dalle piccole cose che
l’uomo produce imitando il Padre creatore12. Basta disporre rettamente il cuore, e domandare.
IN TRE SI È IN COMPAGNIA
(Elrond) “The road must be trod, but it will be very hard. And neither strength nor wisdom will carry us far
upon it. This quest may be attempted by the weak with as much hope as the strong. Yet such is often the
course of deeds that move the wheels of the world: small hands do them because they must, while the
eyes of the great are elsewhere.”13
(Elrond) “È necessario che la strada sia percorsa, ma sarà molto difficile. E né la forza né la saggezza ci
condurrebbero lontano. Questa ricerca può essere tentata dal debole con la medesima speranza del forte.
Perché tale è spesso il corso delle gesta che fanno girare le ruote del mondo: piccole mani le compiono
perché devono, mentre gli occhi dei grandi sono rivolti altrove.”
“I thank you indeed, Gildor Inglorion,” said Frodo bowing. “Elen sìla lùmenn’ omentielvo, a star shines on the
hour of our meeting,” he added in the high-elven speech.
“Be careful friends!” cried Gildor laughing. “Speak no secrets! Here is a scholar in the Ancient Tongue. Bilbo
was a good master. Hail, Elf-friend!” he said, bowing to Frodo. “Come now with your friends and join our
company! You had best walk in the middle so that you may not stray. You may be weary before we
halt.”14
“Ti ringrazio di cuore, Gildor Inglorion,” disse Frodo inchinandosi. “Elen sìla lùmenn’ omentielvo, una stella
brilla sull’ora del nostro incontro,” aggiunse, parlando in alto elfico.
“State attenti amici!” gridò Gildor ridendo. “Non parlate dei vostri segreti! Abbiamo qui uno studioso
dell’Antica Lingua. Bilbo è stato un buon maestro. Salve, amico degli elfi!” disse, inchinandosi a Frodo.
“Vieni con i tuoi amici e unisciti alla nostra compagnia! Fareste bene a camminare in mezzo a noi, così da
non smarrirvi. Potreste essere già stanchi prima che ci si possa fermare.”
12
In The Silmarillion, opera postuma di Tolkien che raccoglie il materiale relativo al racconto della creazione e della
prima era del mondo, Tolkien narra la creazione dei nani da parte di un Valar (uno dei custodi della Terra di Mezzo,
generati da Ilùvatar, l’unico Dio), chiamato Aulë. Aulë, che desidera avere degli allievi cui trasmettere la sua
conoscenza e le sue arti, realizza i primi nani in segreto, nascondendo i suoi disegni ad Ilùvatar stesso, che però ne è,
come è ovvio, al corrente. Quando Aulë ha terminato la sua opera e si appresta ad insegnare ai nani il linguaggio che ha
elaborato per loro, Ilùvatar gli appare, dicendo: “Perché hai fatto questo? Perché hai tentato ciò che sai trascendere il
tuo potere e la tua autorità? Ché tu hai avuto da me quale dono il tuo proprio essere soltanto, e null’altro; sicché le
creature della tua mano e della tua mente possono vivere soltanto grazie a tale essere, muovendosi quando tu pensi di
muoverle e, quando il tuo pensiero sia altrove, giacendo in ozio. È dunque questo il tuo desiderio?” Allora Aulë
rispose: “Non desideravo un siffatto dominio. Desideravo cose diverse da me, da amare e ammaestrare, sì che
anch’esse potessero percepire la bellezza di Eä [il mondo], da te prodotta. Mi è parso infatti che in Arda [la Terra di
Mezzo] vi sia spazio sufficiente per molte creature che in essa possano gioire, eppure Arda è per lo più ancora vuota e
sorda. E nella mia impazienza, sono caduto preda della follia. Ma la creazione di cose è, nel mio cuore, frutto della
creazione di me per opera tua; e il figlio di torpida mente che riduce a balocco le imprese di suo padre può farlo senza
intenti derisori, ma solo perché è il figlio di suo padre. […] Come un figlio a suo padre, io ti offro queste cose, l’opera
delle mani che tu hai creato. Fanne ciò che vuoi” (J.R.R. Tolkien, Il Silmarillion, “Aulë e Yavanna”). Ilùvatar
esaudisce la preghiera sincera di Aulë e inserisce i nani nell’ordine della creazione.
13
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “The council of Elrond”
14
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “Three is company”
5
(Merry) “It is best to love first what you are fitted to love, I suppose: you must start somewhere and have
some roots, and the soil of the Shire is deep. Still there are things deeper and higher; and not a gaffer
could tend his garden in what he calls peace but for them, whether he knows about them or not. I am
glad that I know about them, a little.”15
(Merry) “Credo che sia meglio cominciare con l’amare ciò che siamo fatti per amare: devi iniziare da un
luogo e mettervi radici, e la terra della Contea è profonda. Eppure vi sono cose più profonde e più alte; e
senza di esse nessun vecchio potrebbe coltivare il suo giardino in quella che chiama pace, che le conosca
oppure o no. Io sono contento di conoscerle, almeno un poco.”
The Lord of the Rings è una storia di hobbit. Questo significa, come spiega Tolkien stesso, che è una storia
di uomini, o meglio: di uomini piccoli e, apparentemente, di poco conto.
Ma così come i primi racconti erano visti attraverso gli occhi degli elfi, quest’ultima grande storia, che dal
mito e dalla leggenda scende alla terra, è vista soprattutto attraverso gli occhi degli hobbit: in questo
modo, in effetti, diventa antropocentrica. Ma attraverso gli hobbit , e non gli uomini, perché l’ultima storia
deve chiarire del tutto un tema ricorrente: il posto che nelle “politiche mondiali” occupano gli atti di
volontà imprevisti e imprevedibili, e le buone azioni di chi apparentemente è piccolo, poco eroico e
dimenticato invece dai saggi e dai grandi (sia buoni che malvagi). (…) senza l’alto e il nobile il semplice e
volgare è destinato a rimanere tale; e senza il semplice e volgare il nobile e l’eroico non hanno senso.16
The Lord of the Rings è inoltre una storia di amicizia. I quattro hobbit che intraprendono, insieme agli altri
membri della Compagnia dell’Anello, il viaggio prima verso Rivendell e poi verso la terra di Mordor vivono
un’intensa esperienza di amicizia e incontrano amici sul loro cammino. Questi incontri imprevisti e
imprevedibili generano a loro volta gesti imprevisti e imprevedibili, fino a poter dire che nel romanzo è
esclusivamente l’amicizia che permette agli uomini di crescere e al mondo di essere cambiato, o anche che
è solo l’amicizia a generare la storia della Terra di Mezzo. Le parole di Erlond che abbiamo riportato
all’inizio del paragrafo non sono l’enunciato di una teoria, ma la constatazione di una dinamica
effettivamente presente nella realtà: l’anello del potere, l’oggetto le cui sorti possono determinare quelle
del mondo intero, non è stato ritrovato dal signore oscuro o dai grandi che gli si contrappongono: è finito
nelle mani di tre piccole creature (Gollum, Bilbo e quindi Frodo) che ne ignoravano la natura e che sono
state costrette ad occuparsene, in maniera imprevedibile. Da questo punto di vista la Terra di Mezzo è
luogo di continui avvenimenti, di fronte ai quali è necessario che la libertà prenda posizione, e il dilemma è
per tutti lo stesso che ha caratterizzato l’esistenza di Bilbo: accoglienza e abbandono da un lato, desiderio
di potere e noia dall’altro. In tal modo i personaggi, a seconda dell’opzione che scelgono, fanno un’
esperienza di libertà sempre più intensa o assistono al rovesciamento della loro libertà in schiavitù.
L’itinerario di crescita nella libertà è ovviamente diverso per ciascuno dei personaggi della Compagnia: noi
qui vogliamo delineare separatamente quello dei quattro hobbit per individuarne i diversi tratti, senza
avere ovviamente la pretesa di essere esaurienti.
Frodo
Frodo è stato scelto. L’anello è giunto in suo possesso e nessuno mette in discussione il suo diritto di
portatore, anche se d’altra parte nessuno ha l’autorità per costringerlo a intraprendere il viaggio verso
monte Fato. Egli rimane in ogni caso libero di decidere, e compie la sua scelta nella consapevolezza (se
pur drammatica) che il caso che l’ha portato a possedere l’anello deve essere chiamato piuttosto mistero, e
che di fronte al mistero la scelta migliore è quella della risposta affermativa, della responsabilità. Chiede
però aiuto, perché intravede altresì l’impossibilità fisica e morale di portare a termine il compito da solo17.
La Compagnia dell’Anello, incaricata di aiutare Frodo, così come era stata pensata da Gandalf ed Elrond
fallisce però il suo compito. Lo stesso Frodo, nel momento decisivo, viene a mancare, perché il gesto di
gettare l’anello nel fuoco di Monte Fato richiede una forza morale di cui egli oggettivamente non è capace.
Il suo fallimento non gli può essere tuttavia imputato, in quanto la sua responsabilità non può riguardare
anche ciò che il suo essere non possiede. Frodo ha risposto con tutto se stesso, forza e debolezza, e
questo è tutto ciò che gli può essere richiesto. Da questo punto di vista egli è rimasto fedele: sarà il
15
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “The house of healing”
J.R.R. Tolkien – La realtà in trasparenza – Lettera 131
17
“I will take the Ring,” he said, “though I do not know the way.” “Prenderò io l’Anello”, disse, “solo non conosco la
strada.” J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “The council of Elrond”
16
6
mistero stesso che lo ha chiamato in causa a portare a termine l’opera, in maniera ancora una volta
imprevedibile.
E tuttavia, nonostante l’imprevedibile successo, Frodo è stato ferito, e la sua ferita non potrà essere sanata
nella Terra di Mezzo. Si giunge così all’estremo sacrificio, che potrà essere ricompensato solo dallo svelarsi
definitivo del mistero stesso, ad Occidente oltre il Grande Mare. La fedeltà e la libertà di Frodo trovano così
il loro vertice nella rinuncia totale a tutto ciò per cui hanno combattuto.
“But,” said Sam, and tears started in his eyes, “I thought you were going to enjoy the Shire, too, for years
and years, after all you have done.”
“So I thought too, once. But I have been too deeply hurt, Sam. I tried to save the Shire, and it has been
saved, but not for me. It must often be so, Sam, when things are in danger. Some one has to give them
up, lose them, so that others may keep them.”18
“Ma,” disse Sam, e le lacrime affiorarono ai suoi occhi, “io pensavo che anche voi [Frodo] voleste godervi la
contea per anni e anni, dopo tutto quello che avete fatto”.
“Lo pensavo anch’io, una volta. Ma sono stato ferito troppo profondamente, Sam. Ho tentato di salvare la
Contea, ed è stata salvata, ma non per me. Spesso è così che deve essere, Sam, quando le cose sono in
pericolo. Qualcuno deve rinunciare, perderle, perché gli altri possano conservarle.”
Saranno gli altri hobbit a godere della Contea per anni e anni, e lo faranno non più da bambini cui è stato
fatto un dono senza che se ne rendessero conto, ma finalmente da protagonisti, da uomini.
Sam
Sam deve essere amabile e buffo. Alcuni lettori sono irritati, persino infuriati dalla sua figura. Posso capirli.
Tutti gli hobbit a volte mi fanno quell’effetto, benché io rimanga molto affezionato a loro. Ma Sam può
rivelarsi molto pesante. (…) ha una dose molto maggiore di quella caratteristica che persino qualche
hobbit trova a volte difficile da sopportare: una volgarità (…), una miopia mentale che è orgogliosa di se
stessa, un compiacimento (in vari gradi) e una baldanza, e la tendenza a misurare e giudicare tutto in
base ad un esperienza limitata, ridotta per lo più a una saggezza che si esprime sotto forma di sentenze
proverbiali. (…) Sam era baldanzoso, e sotto sotto un po’ presuntuoso; ma la sua presunzione è
trasformata dalla devozione che ha per Frodo.19
Sam Gamgee è senz’altro il miglior prototipo di hobbit che ci venga presentato nel romanzo. La descrizione
che Tolkien ci fornisce nella sua lettera è certamente impietosa, ma allo stesso tempo individua con
precisione l’elemento che permette la sua crescita, che lo rende alla fine capace di essere protagonista
sulla scena del mondo: la devozione verso Frodo. A questo si aggiunge un secondo fattore, che non può
essere trascurato. Sam è stato educato da Bilbo, e ne ha assorbito il desiderio, la nostalgia per ciò che è
grande, alto e nobile: il suo più grande desiderio era vedere gli Elfi.20
Nostalgia per ciò che non si comprende ma si intuisce essere più grande di se stessi e fedeltà verso Frodo:
aggrappandosi a queste due esperienze Sam riesce a percorrere la stessa strada che percorre il suo
padrone. Lo fa con minore consapevolezza rispetto a Frodo, ma in ogni caso lo fa, arrivando così anch’egli
a superare, quando si trova per poche ore a possedere l’anello, la grande la tentazione del potere.
Already the Ring tempted him, gnawing at his will and reason. Wild fantasies arose in his mind; and he saw
Samwise the Strong, Hero of the Age, striding with a flaming sword across the darkened land, and armies
flocking to his call as he marched to the overthrow of Barad-dûr. And then all the clouds rolled away, and
the white sun shone, and at his command the vale of Gorgoroth became a garden of flowers and trees
and brought forth fruit. He had only to put on the Ring and claim it for his own, and all this could be.
In that hour of trial it was the love of his master that helped most to hold him firm; but also deep down in
him lived still unconquered his plain hobbit-sense: he knew in the core of his heart that he was not large
enough to bear such a burden, even if such visions were not a mere cheat to betray him. The one small
18
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “The Grey Havens”
J.R.R. Tolkien – La realtà in trasparenza – Lettera 246
20
“Lor bless me, sir, but I do love tales of that sort. And I believe them too, whatever Ted may say. Elves, sir! I would
dearly love to see them. Couldn’t you take me to see Elves, sir, when you go?” “Il cielo mi perdoni, signore, ma io amo
questo genere di racconti. E ci credo anche, checché ne dica Ted. Gli Elfi, signore! Come mi piacerebbe vederli. Non
può portarmi a vedere gli Elfi, signore, quando andrà da loro?” J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “The shadow
of the past”
19
7
garden of a free gardener was all his need and due, not a garden swollen to a realm; his own hands to
use, not the hands of others to command.21
Già l’anello lo tentava, rodendo la sua volontà e la sua ragione. Fantasie selvagge sorsero nella sua mente,
ed egli vide Samvise il Forte, Eroe dell’Era, che avanzava con una spada fiammeggiante attraverso la terra
oscura, ed eserciti che accorrevano al suo richiamo mentre marciava per distruggere Barad-dûr. Allora le
nubi si dissiparono e il sole chiaro tornò a brillare, e ai suoi ordini la valle di Gorgoroth divenne un giardino
fiorito, con alberi che davano frutti. Doveva soltanto infilare l’Anello e proclamarne il possesso, e tutto ciò
sarebbe potuto accadere.
In quell’ora di prova fu soprattutto l’amore verso il suo padrone ad aiutarlo a restare saldo; e poi, nel
profondo di sé, viveva ancora intatto il suo buonsenso hobbit: sapeva nel suo cuore di non essere
abbastanza grande per portare un simile fardello, anche se quelle visioni fossero state qualcosa di più di
un semplice inganno.
Grazie a questa vittoria, Sam è in grado di superare anche l’altra tentazione: quella di uccidere Gollum
quando ne ha la possibilità. Il suo percorso raggiunge così il suo vertice, quello della pietà; l’assimilazione
a Frodo è completa e tutto ciò che nell’hobbit era grettezza riesce a trasformarsi in grandezza e saldezza
d’animo.
Merry e Pipino
Le storie di Merry e Pipino, in seno alla Compagnia dapprima, presso Theoden Re di Rohan (Merry) e
Denethor Sovrintendente di Gondor (Pipino) poi, seguono forse una traiettoria più semplice, non essendo i
due hobbit coinvolti direttamente nel compito di portare l’Anello. Restano valide le parole di Merry riportate
all’inizio del paragrafo: l’uomo per vivere in pace nel suo piccolo giardino, dove pure la terra è
sufficientemente profonda perché le radici consolidino, ha bisogno di ciò che è più profondo e più alto
ancora. La vicenda di Merry e Pipino è fatta innanzitutto di questa presa di coscienza: la vita umana si
svolge comunque in un orizzonte più vasto rispetto al quotidiano, che è limitato; ed è proprio dell’uomo
entrare in rapporto con questa vastità, affinché egli possa vivere con pienezza e gusto le cose quotidiane
che egli ama, ed essere pronto a difenderle nel momento del bisogno. Per questo, come afferma Gandalf,
gli hobbit hanno intrapreso il loro viaggio.
“I am with you at present,” said Gandalf, “but soon I shall not be. I am not coming to the Shire. You must
settle its affairs yourselves; that is what you have been trained for. Dou you not yet understand? My time
is over: it is no longer my task to set things to rights, nor to help folk to do so. And as for you, my dear
friends, you will need no help. You are grown up now. Grown indeed very high; among the great you are,
and I have no longer any fear at all for any of you.”22
“Sono con voi, per il momento,” disse Gandalf, “ma presto non lo sarò più. Io non vengo nella Contea.
Dovete sistemare i suoi affari da soli; è per questo che siete stati allenati. Non avete ancora capito? Il mio
tempo è finito: non è più mio compito mettere le cose a posto, né aiutare gli altri a farlo. E quanto a voi,
miei cari amici, non avete bisogno di aiuto. Siete cresciuti, ormai. E cresciuti molto, anche; siete tra i
grandi, a non più nulla da temere per nessuno di voi.”
UN VOLTO CONCRETO DEL MISTERO
L’ultimo brano riportato è l’occasione per una riflessione sul personaggio probabilmente più amato tra quelli
creati da Tolkien: Gandalf.
La Terra di Mezzo è permeata da un profondo senso del mistero. Non esiste alcun personaggio tolkieniano
che si sottragga a questa esperienza, o che la neghi: la parola caso viene sempre pronunciata come tra
virgolette, come un termine il cui uso si renda necessario per l’evidente ignoranza di tutti i nessi che
intercorrono tra gli eventi, nessi misteriosi la cui esistenza nessuno mette però in dubbio. Di fronte a
questa percezione, come abbiamo già detto, gli abitanti della Terra di Mezzo sono chiamati a prendere
posizione, e la loro risposta positiva, la loro adesione, si traduce in un duplice atteggiamento: la
convinzione che esista un destino e quindi un compito della vita e la disponibilità verso tutto ciò che
appare come iniziativa del mistero nell’ambito della vita stessa.
21
22
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “The tower of Cirith Ungol”
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “Homeward bound”
8
Entrambi questi aspetti di ciò che potremmo definire esperienza religiosa nella Terra di Mezzo trovano
corrispondenza nel personaggio di Gandalf.
Egli al tempo stesso rappresenta il mistero che prende l’iniziativa e colui che indica il compito, mette in
cammino i personaggi verso il compimento del loro destino. Questi tratti sono profondamente connaturati
al suo personaggio: come tutti gli stregoni è giunto da oltre il mare occidentale, inviato dai Valar per
aiutare i popoli della Terra di Mezzo a fronteggiare il male, ma ha una missione di indirizzo, non di
dominio. Affinché tale missione venga svolta senza forzature, gli stregoni hanno un corpo in grado di
soffrire, di provare la stanchezza e, nonostante siano dotati di grande potere e di profonda saggezza,
possono sbagliare, fino al punto di tradire la missione stessa (si veda il caso di Saruman). Solo Gandalf, dei
cinque stregoni, rimane incondizionatamente fedele al proprio compito e anzi, avendolo accettato fino al
sacrificio di se stesso per proteggere i membri della Compagnia, viene inviato nuovamente nella Terra di
Mezzo, dopo essere stato ucciso dal Balrog di Moria, con poteri accresciuti, per portarlo a termine.
Nonostante sia improprio qualsiasi accostamento tra la figura di Gandalf e quella di Cristo23, bisogna
riconoscere che Gandalf rappresenta nell’ambito della Terra di Mezzo quantomeno uno dei volti che il
mistero assume in essa, e certamente, per i protagonisti del romanzo, il più concreto. Un volto che non ha
la definitività di un salvatore (I have been a stone doomed to rolling. But my rolling days are ending24, Io
sono stato una pietra destinata a rotolare, ma il mio rotolare sta per finire, afferma, e ancora: it is not our
part to master all the tides of the world, but to do what is in us for the succour of those years wherein we
are set, uprooting the evil in the fields that we know, so that those who live after may have clean earth to
till. What weather they shall have is not ours to rule.25 Non è nostro compito dominare tutte le maree del
mondo, quanto piuttosto fare tutto ciò che possiamo per la salvezza degli anni in cui viviamo, sradicando il
male dai campi che conosciamo, cosicché chi verrà dopo possa avere terra pulita da coltivare. Ma il tempo
che avranno non dipende da noi.) ma che certamente rappresenta il punto in cui maggiormente il mistero
mostra agli abitanti della Terra di Mezzo di avere intenzione di occuparsi di loro, indirizzandoli verso il
compimento della loro vita.
J.R.R. Tolkien rimase fedele per tutta la vita ai volti concreti attraverso cui il mistero gli si faceva incontro, e
la Chiesa Cattolica ha costituito per lui l’insieme di questi volti: un insieme che delineava a sua volta i tratti
dell’unico vero Volto, quello di Cristo. Dalle sue lettere indirizzate ai figli emerge spesso un amore
appassionato per la presenza reale di Cristo nella Chiesa nel sacramento dell’Eucarestia:
Io ti propongo l’unica grande cosa da amare sulla terra: i Santi Sacramenti. (…) Qui tu troverai avventura,
gloria, onore, fedeltà e la vera strada per tutto il tuo amore su questa terra, e più di questo: la morte. Per
il divino paradosso che solo il presagio della morte, che fa terminare la vita e pretende da tutti la resa, può
conservare e donare realtà ed eterna durata alle relazioni su questa terra che tu cerchi (amore, fedeltà,
gioia), e che ogni uomo nel suo cuore desidera.26
Cercando il volto di Cristo nella Chiesa si entra nell’unico rapporto che colma la misura del cuore umano,
senza però togliere valore ai piccoli rapporti di cui è tessuto il quotidiano, anzi donandogli valore eterno.
Torniamo qui al valore dell’amicizia umana come luogo in cui per grazia il mistero diventa fraterno:
un’esperienza che i piccoli hobbit conoscono alla fine del romanzo e che l’autore ci indica come via verso la
pienezza della vita.
And they spoke no word to one another until they came back to the Shire, but each had great comfort in his
friends on the long grey road.27
Non dissero una parola finché non furono di nuovo nella Contea, ma ciascuno traeva grande conforto dalla
presenza degli amici sulla lunga strada grigia.
23
Sulla figura di Gandalf si legga: J.R.R. Tolkien – La realtà in trasparenza – Lettera 156. Su parallelismi in genere tra
l’opera di Tolkien e la storia della Salvezza: Lettere 142, 181.
24
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “Homeward bound”
25
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “The last debate”
26
J.R.R. Tolkien – La realtà in trasparenza – Lettera 43
27
J.R.R. Tolkien – The Lord of the Rings – “The Grey Havens”
9
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
•
•
•
•
•
The Lord of The Rings – Harper Collins – 1995
The Hobbit – Harper Collins – 1999
Il Silmarillion – Bompiani – 2000
La realtà in trasparenza: lettere – Bompiani – 2001
Il medioevo e il fantastico – Luni editrice – 2000. Contiene il saggio Sulle fiabe.
Le traduzioni da The Hobbit e The Lord of the Rings sono mie, seppure senz’altro influenzate in massima
parte dalla continua lettura delle edizioni italiane di Rusconi e, a seguire, Bompiani.
10