L`eco di Bergamo (pag.46) - «Fotografica

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L`eco di Bergamo (pag.46) - «Fotografica
«Laguerra, orrore che tirestadeirtro»
Fotoreporter. Giovanni Diffidenti racconta il dolore degli uomini ai quattro angoli del mondo, spesso occultato
Due sue mostre in Città Alta per il festival Fotografica. «Il futuro è nelle mani di chi oggi educa i giovani»
f = ^
Il fotografo Giovanni
Diffidenti
RAFFAELLA FERRARI
^ ^ ^ H Un proverbio arabo recita: «Non esiste uomo senza
sofferenza. E se c'è, costui non
è un uomo». Giovanni Diffidenti ha viaggiato il mondo lavorando in più di 27 Paesi, e questa
sofferenza umana la conosce
bene. Anche perché, come dice
lui stesso, é un sopravvissuto:
«In Cambogia nel 1994 due persone sono morte al posto mio,
a causa delle mine antiuomo.
Sto approfondendo da diversi
anni il lavoro delle vittime e dei
sopravvissuti alle mine, realizzando reportage in diversi Paesi: in Libia, Tailandia, Sudan,
Egitto, fino al Kosovo e l'Afghanistan».
Diffidenti, di Verdello, ha lavo rato anche in Uganda, Mali,
Nicaragua, Sudafrica. Kenva.
Mozambico e ancora in Etiopia, Ruanda, Zaire, Bangladesh, fino agli ultimi
viaggi in Turchia e
in Siria. In occasione di «Fotografica»,
il primo Festival di
fotografia a Bergamo in calendario da
venerdì 4 al 30 novembre, dal titolo
«Oltreconfine»,
porterà due mostre presso la
sede dell'ex Carcere di Sant'Agata, dal 4 al 13 novembre:
«The only thingieftto do is cling
to God» («L'unica cosa che resta
da fare è aggrapparsi a Dio») e
«Libya - Off the wall».
Diffidenti ha documentato
alcuni tra gli scenari internazionali più drammatici, riprendendo l'essenza del reportage sociale, che si impegna a portare alla
luce situazioni umanamente
inaccettabili. Dalle conseguenze della guerra in Iraq al modo
in cui vivono i bambini sulle
strade dello Zimbabwe, dal colera e i malati di Hiv in Congo
al lavoro minorile in Bolivia,
fino al terremoto in Pakistan.
Quale stato i I motivo che l'ha spinta
a fare questo lavoro?
«È stataunacombinazione tra
analisi e passione. Non inseguo
mai l'evento, come per esempio
una guerra, entro in campo solitamente quando l'attenzione
mediatica cala».
Cosa succede quando torna a casa
dopo aver incontrato tanta sofferenza? Come concilia la sua vita
quotidiana con le situazioni drammatiche che ha visto?
«All'inizio della carriera, tornando a casa avevo lapercezione che molti comportamenti
occidentali fossero superficiali.
È necessario un distacco, unperiodo di decompressione.
Quando sono andato in Siria,
dopo tre tentativi per entrare,
al quarto sono finalmente riuscito e sono rimasto in quel Paese 17 giorni. Poi le
forze dell'Isis hanno
cominciato a combattere contro i
gruppi rivoluzionari
e hanno sospettato
che fossi una spia,
così sono dovuto
tornare in Italia. Su
quei 17 giorni passati ad Aleppo, 14 li ho
trascorsi sotto i
bombardamenti. Sul
terreno ci sono ordigni micidiali e dagli aerei lanciano barili di
esplosivo pieni di ferraglie. La
FOTOGRAFICA FESTIVAL
distruzione è spaventosa, difficile da descrivere».
11 pericolo è portarsi dietro quel le
esperienze.
«Certo. È accaduto anche quando sono tornato in Italia da due
viaggi in Colombia dove avevo
documentato le vicende tra governo colombiano e Farc-Ep,
l'organizzazione guerrigliera
comunista. Quella volta, dopo
il rientro, ho trascorso quattro
giorni in un monastero buddista
a Berceto, in provincia di Parma,
in totale silenzio. Sopra il monastero passava una linea aerea e
mi accadeva che il rumore degli
aerei mi facesse venire in mente
ibombardamenti che avevo documentato in Sudan nel 2015.
È normale avere dei vissuti di
ogni luogo visitato, come dopo
il viaggio in Ruanda: molti odori
e profumi, tutte le volte che li
sentivo mi facevano venire in
mente momenti che avevo vissuto in quelle realtà».
Quindi serve il distacco.
«È quello che ti permette di rimanere lucido e di considerare
che ognuno vive le sue pene.
Non si può paragonare la Siria
a quello che accade qui, mabisognerebbe imparare a essere meno egocentrici e pensare meno
a se stessi. In Libia, nelle centrali della guerra, la gente si ammazza, ma poi giri l'angolo e ti
ritrovi un mercato con degli uccellini che cantano. Durante la
guerra non si smette comunque
di vivere: la vita va avanti e la
sopravvivenza è l'ultima a morire. Questo va sempre raccontato».
Servirebbe una informazione più
attenta, che scuota le coscienze,
metta in lucequeste tragediee badi
meno alle futilità?
«L'informazione è come il cibo:
ci vorrebbe meno cibo, ma buono. Da fotografo, quando cala
l'attenzione su un tema, cerco
di capire quale può essere il mio
contributo e a cosa dare voce».
Il sogno di molti giovani fotografi
Non esistono
personaggi
In arrivo Monika Bulaj e Simone Cerio
Venerdì rinaugurazione
a Palazzo della Ragione
Venerdì alle 18 a Palazzo della
Ragione si apre, alla presenza
delle autorità cittadine e dei
fotografi e del curatore Denis
Curti, «Fotografica», primo festival di fotografia a Bergamo. Alle 19
all'ex Carcere di Sant'Agata aperitivo inaugurale. Monika Bulaj e
Simone Cerio, due autori di fama
internazionale, sono in arrivo con
le loro opere a Bergamo dove
saranno protagonisti di una kermesse che apre l'obiettivo soprattutto sulla condizione dei migranti.
L'appuntamento con Monika Bulaj,
dal titolo «Dove gli dei si parlano»
è fissato per sabato 5 novembre
alle 21 nell'auditorium di piazza
della Libertà. Attraverso immagini
anche forti, viene raccontato un
mondo parallelo e poco raccontato
che va dall'Asia centrale all'America Latina, dalle Russie al Medio
Oriente, tra i riti dionisiaci dei
musulmani del Maghreb, il pianto
dei morti nei Balcani, i pellegrinaggi nel fango delle popolazioni
degli Urali, le rotte degli scafisti,
fino al cammino dei nomadi dell'Asia.
Simone Cerio invece esporrà le sue
immagini da venerdì 4 al 13 novembre all'ex carcere di Sant'Agata con una mostra dal titolo «La
prima Aurora». Ha vissuto nei
centri di prima accoglienza sulle
coste della Sicilia fianco a fianco
con Emergency per osservare i
volti e le storie degli immigrati.
«Fotografie ritagliate, questo è la
mia mostra "La prima aurora": per
spostare l'attenzione dalla drammaticità dei fatti alla persona spiega Cerio -. Così gli oggetti, per
lo più trovati nei luoghi di transito,
diventano simboli della dignità
quotidiana che i protagonisti
tentano di recuperare una volta
chiusa la fase di separazione dalla
propria terra», F.B.
FOTOGRAFICA FESTIVAL
da ritrarre, tra
mi bimbo e Obama
non vedo differenze»
èdiseguireunpercorsocomeilsuo.
Cosa consiglierebbea chi vorrebbe
fare il reporter ogghèancorapossibile vivere di reportage?
«Io vivo da reporter. È un percorso talmente personale che
diventa anche molto difficile
dare consigli, perché si tratta di
un incastro di incontri, di scelte,
errori e traguardi, molto soggettivi».
Sono ancora molti i pregiudizi nei
confronti di chi arriva in Occidente
in fuga dalle guerre e dalla fame.
Intravede una speranza eli reale integrazione in futuro?
«La responsabilità è di chi oggi
è genitore e dovrà riuscire a
educare i figli in questo senso».
Quali foto ha appeso in casa sua?
«Nessuna, preferisco le pareti
bianche».
C'è un personaggio che vorrebbe
ritrarre?
«Non esistono personaggi:
ogni persona ha uguale valore
per me. Tra un ritratto a Obama
e uno a un bambino, non farei
nessuna differenza».
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Tre immagini di Diffidenti per la serie «Libya - Off the wall», da venerdì all'ex Carcere di Sant'Agata
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