Salonia-Ordo-Amoris
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Salonia-Ordo-Amoris
ORDO AMORIS E FAMIGLIA DI ORIGINE di Giovanni Salonia Noi non cesseremo mai di esplorare e la fine di tutto il nostro esplorare sarà giungere dove siamo partiti e conoscere il posto per la prima volta1 T. S. Eliot 1. Gesù di Nazareth e la sua famiglia d’origine Il dono che Benedetto XVI ci ha fatto in questi giorni con il suo libro sui Vangeli dell’infanzia di Gesù2 diventa il punto di partenza della nostra riflessione. Anche Gesù ha avuto un’infanzia, una famiglia d’origine, una storia. Tenerlo presente – ci ricorda von Balthasar3 – significa prendere sul serio l’Incarnazione del Verbo, il suo coinvolgimento pieno nella storia dell’Alleanza. Una novità, questa, dato che ai tempi di Gesù l’infanzia delle persone celebri era ritenuta umiliante e veniva spesso avvolta nel vago per poter essere mitizzata4. Matteo inizia invece il suo Vangelo con il racconto puntuale della «Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1)5. Il succedersi di tanti nomi srotola la storia dentro la quale è fiorito il ‘Germoglio di Jesse’: il farsi carne, infatti, è sempre un farsi storia. Storia che diventa prossima e determinante proprio nelle persone di Giuseppe e Maria. Le modalità dell’esser-ci di Gesù di Nazareth (corpo, sensibilità, linguaggio) risultano impregnate dai contatti intimi, quotidiani, significativi che Egli ha avuto con il corpo, la presenza, le parole, la storia di Maria e di Giuseppe6. Ed è bello rivalutare l’importanza della presenza corporea e spirituale di Giuseppe nella formazione di Gesù di Nazareth. I figli vengono formati dalla e nella co-presenza (fisica e spirituale) del padre e della madre, che modellano la loro identità e il loro stile relazionale. È confermato che anche i genitori adottivi hanno un peso determinante nella costruzione dell’identità corporea e relazionale dei figli. La 1 T.S. ELIOT, Quattro quartetti, Bompiani, Milano 2010 (ed. or. 1943). Cfr. J. RATZINGER. BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Rizzoli, Milano 2012. 3 Cfr. H.U. VON BALTHASAR, Homo creatus est, Morcelliana, Brescia 1991 (ed. or. 1986). 4 Se andiamo a rileggere la presentazione che viene fatta dell’autore (di Gibran) viene detto che cercava di rendere vaghe le notizie sulla sua infanzia per diventare un personaggio. Di Kahlil Gibran si dice, ad esempio, in diverse sue biografie, che cercasse di rendere vaghe le notizie sulla sua infanzia per poter diventare un personaggio. 5 Su questi temi, cfr. G. SALONIA, Kairòs. Animazione comunitaria e direzione spirituale, EDB, Bologna 1994. 6 La corporeità è radice intima di ogni identità. Cfr. C. PERI - G. SALONIA, «Corporeità», in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (edd.), Dizionario di Scienze dell'Educazione, LAS-LDC-SEI, Roma 1997, 265-269; G. SALONIA, «La Gestalt Therapy e il lavoro sul corpo. Per una rilettura del fitness», in S. VERO, Il corpo disabitato. Semiologia, fenomenologia e psicopatologia del fitness, Franco Angeli, Milano 2008, 51-71. 2 famiglia, infatti, (qualsiasi famiglia) costituisce la matrice dell’identità personale7 e relazionale. Per tali ragioni, ogni processo di maturazione richiede l’assunzione della propria storia in tutta la sua verità e la sua completezza, includendo anche momenti ed eventi umilianti e doloranti. Per comprendere, quindi, se stessi e gli altri, è necessario tener presente la storia e, nella fattispecie, la famiglia d’origine. Qualche esemplificazione tratta dalla vita di Gesù di Nazareth. La Lettera agli Ebrei afferma che Gesù «imparò l’obbedienza da ciò che patì» (Eb 5,8). È bello pensare che Gesù apprese tale atteggiamento sin dalla sua infanzia: «e stava loro sottomesso» (Lc 2,51). L’obbedienza a Giuseppe e a Maria come sfondo dal quale maturerà l’obbedienza al Padre. Come non pensare che nell’Orto del Getsemani Gesù porti a compimento l’affidarsi del Padre appreso a casa da Maria e da Giuseppe? Come non sentire la somiglianza tra quell’«Avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38) di Maria all’Angelo e il «Sia fatto non come voglio io ma come vuoi tu» (Mt 26,39.42) di Gesù al Padre nel Getsemani? Il piccolo Gesù ha appreso che figli e genitori sanno amarsi anche quando non si comprendono. Nel Getsemani, pur non condividendo la volontà del Padre, Egli si fiderà dell’amore del Padre e a Lui rimarrà sottomesso... proprio come aveva appreso a casa dai suoi genitori (Maria e Giuseppe). Eloquente e lirica una poesia di Marco Beck dove l’autore immagina un dialogo fra Gesù e la sua mamma. Gesù ha insegnato il Padre Nostro e Maria gli dice: «Non avevo mia sentito, figlio, una preghiera così piena di lode, di speranza, di fiducia, di filiale amore. D’ora in poi sarà per me stupendo conservarla nel mio cuore. […] Ma è come se l’orecchio mi dicesse che in questa melodia manca una nota, una semplice nota che potrebbe renderla completa». Il Figlio le chiede quale sarà mai questa nota che manca e lei risponde: «Lascia, mio Signore, che te La suggerisca. […] Prima di Dacci oggi il pane per la vita, io soggiungerei Avvenga (come all’angelo risposi) quello che vuoi»8. 2. Ordo amoris: percorsi formativi Per presentare i legami affettivi della famiglia, ci ispiriamo alla splendida formulazione dell’amore fatta da Agostino: ordo amoris (nel De Civitate Dei dice «vera virtutis est ordo amoris»9 e nel De doctrina cristiana parla di «ordinatam dilectionem»10). In questa intuizione geniale, Agostino ci ricorda che l’amore prende forma sempre e comunque nella e dalla relazione in cui è collocato (genitoriale, nuziale, fraterna e quant’altro). Come vedremo, un amore non è genuino se perde la ‘forma’ della sua declinazione (ad esempio: amare un figlio come partner). L’amore come ordo amoris oggi, in una società definita liquida11, acquista una particolare valenza antropologica e terapeutica come chiave di lettura che fa chiarezza sulla struttura affettiva dei 7 Cfr. S. MINUCHIN, Famiglia e terapia della famiglia, Astrolabio, Roma 1981 (ed. or. 1974). M. BECK, «Quarta stazione. Gesù incontra sua madre», in F. CASTELLI (ed.), Testi mariani del secondo millennio, Città Nuova, Roma 2002, vol. 8, 264-267, p. 267. 9 AGOSTINO D’IPPONA, De civitate Dei, libro XV, cap. 22. 10 AGOSTINO D’IPPONA, De doctrina christiana, libro I, capp. XXII-XVII, § 23.26.28. 11 Cfr., ad esempio, Z. BAUMAN, Amore liquido, Laterza, Roma-Bari 2006 (ed. or. 2003). 8 legami. Come dire che, per non diventare ‘liquido’ e inconsistente, ogni amore deve essere dentro la propria collocazione, altrimenti è altro (si chiama amore, ma è ‘al posto di’). Per tale spessore di attualità, l’intuizione agostiniana di ordo amoris, ripresa in un testo ormai classico di Max Scheler12, riscontra un rinnovato interesse (basti ricordare Bodei13 o la De Monticelli14 o Lyotard15) nella ricerca di una nuova grammatica dell’affettività. Parlare di ordo amoris (invece che di amore) significa riconoscere l’elementare dato antropologico secondo cui l’amore si declina e si inscrive sempre e comunque in un contesto relazionale (ossia in legami) dal quale riceve un ordo, una grammatica che ne determina e ne garantisce l’autenticità. In questa asserzione è implicito il fatto che l’istanza regolativa dell’amore non proviene dall’esterno, ma dall’interno: l’ordo, infatti, è intimamente costitutivo dell’amore stesso. Per cui, ad esempio, non ha senso parlare di ‘troppo’ amore (come valutazione negativa), in quanto l’amore può essere sempre poco, mai troppo. La valutazione negativa riguarda l’amore ‘nonordinato’. Ecco perchè Agostino, dopo aver parlato dell’ordo amoris, può affermare: «Ama e fa quello che vuoi». È l’ordo, infatti, che legittima ogni amore: l’amore diventa eccessivo o sbagliato quando... è altro, ossia quando non rispetta la grammatica del legame (l’ordo amoris). Non è la ‘intensità’ il rischio dell’amare, ma la qualità. Un amore ordinato (ordinata dilectio) non sarà mai negativo ed invece un amore non ordinato sarà sempre negativo, non in linea con le autentiche esigenze del cuore. Poiché il modo di vivere (maturo o disfunzionale) l’ordo amoris si apprende nella famiglia di origine, la prima attenzione formativa riguarda allora il prenderne consapevolezza. Individuare, cioè, delle eventuali connessioni tra il modo di percepire se stessi e gli altri – a livello di pensieri, di emozioni, di reazioni corporee e di comportamenti – e le modalità relazionali apprese nella famiglia di origine. Solo così sarà possibile percepire il presente nella sua freschezza e originalità e, quindi, relazionarsi con se stessi e con gli altri in modo aggiornato, realistico, non appesantito da residui emotivi non elaborati. In un secondo momento, sarà necessario – per un genuino cammino spirituale – rileggere ed eventualmente trasfigurare la propria storia familiare alla luce dell’ermeneutica di fede che mostra la presenza di Dio nella storia di ogni uomo: un Dio che conduce per mano e che – come sostiene Etty Hillesum – ci fa maturare anche quando non lo vogliamo. Nelle situazioni di ferite affettive particolarmente laceranti (ingiustizie, abusi, etc.) ciò comporterà un processo spesso lungo, sempre travagliato, ma comunque inevitabile di guarigione e riappacificazione della memoria e del cuore16. La crescita umana e spirituale di ogni persona accade e si esprime nella rilettura purificata e pacificata della propria storia, della propria famiglia d’origine; lettura che, tra l’altro, si modifica a seconda della crescita nella maturità umana e di fede. In questo cammino non ci si accosta al racconto della propria o altrui storia come ad una rigida e ossessiva ricerca delle cause («Finalmente ho trovato la causa di quel comportamento», «Sei così perchè... nella tua storia ti è accaduto questo»), si ricercano piuttosto con umiltà i significati 12 M. SCHELER, Ordo amoris, Franco Angeli, Milano 2008. R. BODEI, Ordo amoris. Conflitti terreni e felicità celeste, Il Mulino, Bologna 1991. 14 R. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Garzanti, Milano 2003. 15 J.F. LYOTARD, La confession d’Augustin, Editions Galilee, Paris 1998. 16 Cfr. M. LINN - D. LINN, Come guarire le ferite della vita, Paoline, Cinisello Balsamo 1998 (ed. or. 1978); N. DELL’AGLI, Parola. Eucaristia e guarigione, EDB, Bologna 2008. 13 genuini e le intenzioni relazionali (che spesso rimangono nello sfondo) di comportamenti rigidi e disfunzionali (con domande del tipo, ad esempio: «Questo modo di comportarsi ha ancora lo stesso scopo che aveva quando lo hai appreso nella famiglia di origine?», «In che modo questo comportamento ti è utile ad affermare te stesso e a raggiungere gli altri?»). 3. La famiglia come matrice dell’ordo amoris La Comunione Trinitaria è l’Ordo Amoris da cui derivano tutti gli amori. Ratzinger – in pagine di una chiarezza luminosa – parla della Comunione Trinitaria differenziandola in modo netto dalla fusione, dal politeismo, dal monoteismo, in quanto l’Amore Trinitario prende forma proprio nella diversità dei legami17: il Padre ama divinamente in quanto e come Padre né smetterà mai di essere (e di desiderare di essere) Padre; e così il Figlio; e così lo Spirito Santo. L’Amore divino è vero perchè Ordinato, ossia uno nella diversità dei Legami Divini (l’Amore che genera, l’Amore generato, l’Amore donato). Per i cristiani l’Amore è Comunione, e Comunione significa Ordo Amoris: co-presenza della diversità e dell’identità come il Dono dello Spirito nel linguaggio della Pentecoste («Lo Spirito tutti unisce perchè comprende ogni linguaggio», recita l'antifona). Nei capitoli 3 e 4 di Genesi viene raccontato come Dio ha donato agli umani l’amore declinandolo in quattro differenti legami. Il primo nasce dalla e nella diversità dei generi: l’eros unisce Adamo ed Eva, due persone autonome legate da un’attrazione (la coppia). Il secondo legame ha due registri: Adamo ed Eva si prendono cura (legame genitoriale) dei figli Caino ed Abele e i figli si affidano ai genitori (amore filiale). Il quarto legame nasce con Abele (la fraternità): due persone autonome che provengono dallo stesso grembo. Quest’ultimo – come sappiamo e come si evince dal racconto – si può presentare in prima battuta più come un legame-compito che come dono e attrazione. Riepilogando, la struttura antropologica dell’affettività narrata nei capitoli 3 e 4 di Genesi presenta due tipi di legami paritari (uno in cui è presente l’attrazione e l’altro senza attrazione) e due nonparitari (genitori/figli). Su questa struttura poggiano i legami della condizione umana. Al paritario-con-attrazione (nuziale) fanno riferimento legami come l’amicizia, il gruppo di appartenenza, etc., mentre al paritariosenza-attrazione (fraterno) si riferiscono rapporti non scelti (lavoro, cittadinanza, etc.). Il legame genitori/figli è il paradigma su cui si modellano – in modi diversi – tre contesti relazionali: educare, curare, governare. Nello specifico, i legami dell’educare e del curare riguardano relazioni in cui qualcuno non è (ancora o per il momento) autonomo. Sono legami temporanei perchè finalizzati a rendere l’altro autonomo. Il terzo (governare) riguarda persone autonome che scelgono di essere coordinate da un leader. Anche questo legame è temporaneo, nel senso che deve esistere18 un turn over tra i leader. Dall’ordo amoris deriva che la maturità affettiva relazionale si esprime nella capacità di vivere in modo coerente i quattro contesti relazionali: prendersi cura, affidarsi, legarsi in un patto, 17 Tema frequentemente ricorrente in BENEDETTO XVI (cfr. Deus caritas est, 2005) e recentemente ripreso nella Lectio divina ai parroci e i sacerdoti di Roma (23 Febbraio 2012). 18 Nella dittatura il compito del governare assorbe anche gli altri due (educare e curare), in quanto il popolo viene visto come 'immaturo'. condividere19. Voler e saper vivere sempre e solo un modello relazionale (essere sempre, ad esempio, ‘colui che si prende cura’ anche in situazioni simmetriche), non vivere in pieno il proprio contesto relazionale (una mamma che fa confidenze sulla propria vita intima ad una figlia piccola; un educatore che si rapporta al formando come fossero paritari) sono tutti segni di disagio affettivo, ovvero malattie dell’ordo amoris. 4. L’ordo amoris nella famiglia d’origine Descriviamo adesso in che modo si tessono i legami affettivi e l’ordo amoris nella famiglia d’origine. Per comprendere l’ordo amoris della famiglia bisogna tener presente due coordinate: quella diacronica (temporale/evolutiva) e quella sincronica (spaziale/srutturale). 4.1 La dimensione evolutiva dell’ordo amoris La prima riguarda i cambiamenti familiari dovuti allo scorrere del tempo. In termini tecnici si chiama il Ciclo Vitale Familiare. Fa parte della maturazione affettiva accettare i progressivi cambiamenti che accadono nella famiglia: una famiglia sana vive questi momenti con tensione ma anche con l’energia necessaria per attraversarli e approdare ad un nuova tappa del proprio ciclo evolutivo. Se invece la famiglia non ha le energie e la flessibilità per andare avanti e accogliere i nuovi compiti evolutivi, si irrigidisce e si ammala. Si può affermare che ogni crisi nella famiglia (e nelle singole persone) in ultima analisi riguarda la difficoltà ad accettare o i cambiamenti fisiologici del ciclo vitale o qualche evento traumatico20. In altre parole, la maturità implica la disponibilità e la flessibilità per riconsiderare e modificare, nelle varie fasi evolutive, il proprio modo di percepire se stessi e gli altri nelle relazioni. Si tratta della dimensione temporale dell’ordo amoris (non sempre sufficientemente attenzionata) che deriva dalla consapevolezza che l’amore ha un suo ordo temporale: si evolve e si modifica nel tempo (da innamoramento diventa amore, da piccoli si diventa grandi, da anziani si cede il posto agli altri). Anche il tema della fedeltà rientra in questa temporalizzazione dell’ordo amoris. 4.2 Il triangolo primario La seconda categoria nella quale si declina l’ordo amoris in famiglia è quella spaziale, ossia come si strutturano le relazioni21. Nella costituzione della famiglia è centrale la divisone asimmetrica, ossia la linea generazionale: il modo come viene abitata questa linea determina il malessere o il benessere della famiglia. Sono state evidenziate, in particolare, tre modalità in cui non viene rispettata la linea generazionale creando disagi affettivi relazionali nell’ordo amoris dei figli. 19 Sul tema della maturità si veda: G. SALONIA, «Maturità», in J.M. PRELLEZO - C. NANNI - G. MALIZIA (edd.), Dizionario di Scienze dell'Educazione, LAS-LDC-SEI, Roma 1997, 662-665. 20 Su questi temi, G. SALONIA, «Letter to a young Gestalt therapist for a Gestalt therapy approach to family therapy», in The British Gestalt Journal 18/2 (2009) 38-47; G. SALONIA, Danza delle sedie e danza dei pronomi, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2013, in press. 21 Cfr. S. MINUCHIN, Famiglia e terapia della famiglia,cit. Si parla di linea generazionale rigida quando la coppia genitoriale è chiusa dentro il legame di coppia e non riesce ad aprirsi pienamente al legame genitoriale. In tale situazione vengono sottolineate in modo eccessivo le fatiche e i pesi che l’accudire i figli comporta. I figli crescono come ‘orfani affettivi’: si sentono un peso e lentamente diventano genitori di se stessi e rinforzano come sostitutivo il legame fraterno. Di conseguenza svilupperanno una difficoltà eccessiva nell’affidarsi a chi dovrà prendersi cura di loro. Quando la linea generazionale è assente i genitori non riescono a prendersi cura perchè si percepiscono figli con i figli, in un clima di amicizia che non include il principio di autorità. Situazione questa esplosa negli anni del Sessantotto e che si ritrova in particolari contesti sociali (famiglie regali o patriarcali) in cui solo un membro della famiglia allargata (il patriarca o il monarca) svolge il compito di autorità. I figli, in mancanza della linea generazionale, crescono con un senso di confusione nei confronti del principio di autorità, esperti forse negli aspetti ludici ma senza capacità di darsi e raggiungere una meta. La terza modalità disfunzionale riguarda la scissione della coppia genitoriale, che può avvenire o in modo dipendente o conflittuale. I genitori, in altre parole, non si percepiscono coppia genitoriale o perchè uno è dipendente dall'altro o perchè sono in conflitto tra chi è più bravo22. Se in una famiglia un genitore ha il ruolo preminente (come fosse sull’altare maggiore) e l’altro sta in ginocchio da lui, i figli vivono rapporti disfunzionali. Abitualmente il figlio dello stesso genere del genitore che è sull’altare maggiore riceve poche attenzioni (va sugli altari minori o in sagrestia!), mentre il figlio di genere diverso viene valorizzato in modo inappropriato. I figli, non essendo stati riconosciuti nella loro unicità, cresceranno con notevoli difficoltà, anche se in modalità differenti: sia quello che rigidamente deve stare al centro che quello che rigidamente deve sempre nascondersi soffriranno, perchè entrambi incapaci di entrare in modo genuino e pieno in una relazione. Se invece la scissione affettiva tra i due genitori è conflittuale, si creeranno delle alleanza perverse tra un genitore e uno dei figli (dello stesso o di diverso genere). In questa situazione la sofferenza dei figli deriva dal fatto che sono trattati come partner del proprio genitore o contro l’altro genitore o contro la coppia genitore/altro figlio. I figli, cioè, vengono usati come alleati contro l’altro genitore. La confusione affettiva dei figli sarà grande, sia perchè non riceveranno le cure genitoriali (avranno difficoltà ad affidarsi), sia perchè non cresceranno con un rapporto positivo con ambedue i genitori (e, spesso, nutriranno squalifica o disprezzo verso l’altro genitore. Le alleanze all’interno della famiglia – fisiologiche e legittime (si pensi al legame fortissimo padrefiglia/madre-figlio) – diventano negative nel contesto della linea genitoriale invischiata, perchè alleanze ‘contro’ altri membri della famiglia. Per una crescita sana, la linea generazionale dovrebbe essere presente e flessibile: i genitori si prendono cura anche se amichevoli, anche se giocano con i figli (un papà si diverte a giocare con il figlio anche se rimane attento che il figlio non si faccia male). Nella linea generazionale flessibile e sana viene evidenziata – oggi in particolar modo – l’importanza decisiva della cogenitorialità23. Si 22 Sulla simmetria o (complementarietà) delle comunicazione cfr. P. WATZLAWICK - J.H. BEAVIN - D.D. JACKSON, La Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971 (ed. or. 1967). 23 Su questi temi, cfr. G. SALONIA, «Letter to a young Gestalt therapist for a Gestalt therapy approach to family therapy», cit.; G. SALONIA, «Edipo dopo Freud. Una nuova gestalt per il triangolo primario», in D. CAVANNA - A. SALVINI (edd.), Per una psicologia dell’agire umano. Scritti in onore di Erminio Gius, Franco Angeli, Milano 2010, 344-358. tratta di una prospettiva che emerge con particolare enfasi in questo periodo storico perchè si è passati da modelli relazionali verticistici ad una società orizzontale e perchè si è superata la netta divisione casa/madre e mondo/padre24. La categoria della cogenitorialità – ormai condivisa nell’occidente geografico e culturale – include due principi. Il primo: che l'amore genitoriale è for ever e deve essere distinto dal legame coniugale (questo può finire mentre quello genitoriale non finisce mai). Il secondo: il figlio per crescere ha bisogno dei due genitori25. Le differenze educative (essere più centrati sull’amore incondizionato per l’esserci del figlio o sull’amore che punta sul divenire; l’essere più orientati a proteggere o a stimolare) non solo vanno accolte con rispetto ma anche con gratitudine. Un genitore deve maturare un senso di gratitudine nei confronti della prospettiva differente dell’altro co-genitore: la differenza è sempre necessaria per evitare che la propria prospettiva imbocchi derive (ogni genitore, se si ascolta, prende consapevolezza che almeno un po’ condivide la prospettiva diversa dell’altro genitore). La categoria della ‘cogenitorialità’ richiede un cambiamento epistemologico, in quanto include un insieme di cambiamenti di prospettive: si pensi a come può essere applicata alle diversità dei metodi formativi (tra formatore e comunità) o alle differenze a livello di governo. Vivere in modo integro e pieno la cogenitorialità educa i figli ad integrare la dialettica amare sempre/amare per sempre. E li educa anche ad un pensiero duale26: il pensiero educativo (ogni pensiero!) risulta – deve sempre risultare – da due prospettive. Nella mentalità individuale si ragiona in questi termini: «Questo penso io: se tu sei d’accordo ti sento vicino, se non lo sei ti sento lontano»; nella mentalità duale i due pensieri sono insieme in un’unica formulazione iniziale, e cioè che su questo aspetto esistono due prospettive con eguale dignità (il pensiero ‘altro’, prima di essere amico o nemico, deve essere sentito come necessario costitutivo per un pensare che sia genuino e maturo). Il triangolo primario (padre-madre-figlio) costituisce il primo imprinting della nostra affettività27: in esso si apprende l’ordo amoris nelle sue forme piene e in quelle ferite. Le emozioni fondamentali dell’esistenza vengono apprese proprio in questa collocazione filiale. 4.3 Fratelli e sorelle Un’altra rete di relazione che influisce in modo determinante sui nostri schemi relazionali è quella dei fratelli e delle sorelle. Si apprendono alcune caratteristiche dello stile relazionale (essere più attenti alla casa o al mondo; al prendersi cura di sè o degli altri; all’appartenenza o all’individuazione; essere più attivi o passivi, etc.) dal modo in cui si intrecciano l’ordine di nascita 24 Cfr. L.M. FRIEDMAN, La società orizzontale, Il Mulino, Bologna 2002 (ed. or. 1999). Sui temi della differenza di genere, cfr. G. SALONIA, «Femminile maschile: un’irriducibile diversità», in R.G. ROMANO (ed.), Ciclo di vita e dinamiche educative nella società postmoderna, Franco Angeli, Milano 2005, 54-69; A. CAVARERO, «Per una teoria della differenza sessuale», in AA.VV., Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, 43-80. 26 Cfr. L. IRIGARAY, La democrazia comincia a due, Bollati Boringhieri, Torino 1994; ID., Parlare non è mai neutro, Edizioni Riuniti, Roma 1991; G. SALONIA, Odòs, la via della vita. Genesi e guarigione dei legami fraterni, EDB, Bologna 2007; G. SALONIA, «Femminile e maschile: un’irriducibile diversità», cit.; G. SALONIA, «Femminile e maschile nella formazione», in Religiosi in Italia 385/4 (2011) 169*-174*. 27 Cfr. F. FIVAZ-DEPEURSING - A. CORBOZ-WARNERY, Il triangolo primario, Raffaello Cortina, Milano 2001 (ed. or. 1999). 25 (primogenito, terzogenito) con il genere. Da molte ricerche28 vengono confermate alcune caratteristiche che contrassegnano, ad esempio, il primogenito come più sensibile all’appartenenza alla casa, al prendersi cura, e l’ultimogenito come portato al fuori-casa, alla creatività, alla trasgressione (come non ricordare, ad esempio, Abele pastore, il fratello minore della parabola che va via? Oppure, tra i fondatori: Benedetto primogenito, Francesco secondogenito?). Come per il triangolo primario, anche in queste caratteristiche diventa necessario esserne consapevoli in particolare quando si riscontrano – in noi e negli altri – rigidità e fissazioni. Oggi sta suscitando molto interesse la componete fraterna nell’emergenza di tanti disagi psichici. In particolare, modalità relazionali quali, ad esempio, quella narcisistica o quella isterica vengono rilette come disturbi della fratria, per cui viene sottolineata la valenza terapeutica del vivere pienamente e in fondo la vita fraterna (esperienza placante della compagnia fraterna nelle sue molteplici e complesse forme) come luogo di guarigione delle ferite dell’ordo amoris. 4.4 Modelli relazionali e stili comunicativi Nell’ordo amoris di ogni famiglia lo stile dei genitori accentua un particolare clima relazionale, per cui, ad esempio, le famiglie confluenti esasperano il ‘noi’ che enfatizza l’appartenenza, quelle conflittuali il ‘tu’ dell’accusare proprio della dipendenza e della pretesa, in altre si esaspera l’‘io’ della realizzazione personale e dell’autoreferenzialità. Il paradigma della famiglia sana vive l'interdipendenza come declinazione di un sano ordo amoris. È ovvio che nella rete relazionale della famiglia esistono molti modelli, ma uno in particolare determina il clima e viene valorizzato più di altri. I figli apprendono quindi – anche in modo inconsapevole – a dare più peso (in termini positivi o anche di eventuale contestazione) ad un modello piuttosto che ad un altro. Uno dei tanti luoghi in cui emerge la differenza di clima relazionale tra le famiglie è certamente il modo in cui vivere, esprimere e gestire le emozioni. Ad esempio, esistono famiglie nelle quali il conflitto è vissuto in modo sereno e costruttivo (tipico di quando sono presenti molti figli), famiglie sempre coinvolte in conflitti cronicizzati, famiglie che hanno una sorta di fobia dei conflitti e cercano sempre una soluzione precoce di essi. Altre diversità significative riguardano le emozioni positive, l’intercorporeità29 (le espressioni corporee delle emozioni), il valore della condivisione della fragilità. Un atteggiamento particolarmente indicativo del clima familiare riguarda il rapporto con il mondo. Sono molti i modi in cui viene vissuto il rapporto casa/mondo: chiusura diffidente (propria di quando si hanno esperienze negative), dipendenza eccessiva (se si nutrono ambizioni di successo sociale ), apertura selettiva, positività ingenua, etc. Certamente non poche difficoltà relazionali emergeranno quando si entrerà in contatto con altri modelli relazionali. Diventare consapevoli che il modello relazionale che mettiamo in atto è stato appreso in un preciso contesto e che ha evidenti motivazioni storiche aiuta a non irrigidirsi in conflittualità. Immaginiamo come può essere complesso capirsi e come possa condurre a 28 Cfr. J. MITCHELL, Pazzi e Meduse. Ripensare l’isteria alla luce della relazione tra fratelli e sorelle, La Tartaruga, Milano 2004 (ed. or. 2000). 29 Approfondimenti su questi temi in G. SALONIA, «L’errore di Perls. Intuizioni e fraintendimenti del postfreudismo gestaltico», in GTK Rivista di Psicoterapia 2 (2011) 49-66. incomprensioni l’incontro tra una persona cresciuta in un clima ‘noi’ e l’altra in un clima ‘io’, tra una che vive il conflitto con disinvoltura e chi ha imparato come valore… il negarlo. Ricordo come cambiò in noi formatori e nei confratelli la percezione che avevamo di un postnovizio quando conoscemmo la sua famiglia. In tutti suscitava fastidio e creava difficoltà per la sua mania di essere al centro e di controllare tutti, ma quando incontrammo la sua famiglia e potemmo constatare il modo in cui i suoi genitori si relazionavano con lui, ogni suo atteggiamento ci fu chiaro: era stato sempre il reuccio di casa! A quel punto la nostra reazione di fastidio si colorò di altre, ben diverse, sfumature. La consapevolezza degli apprendimenti – anche impliciti – che determinano e condizionano i modi di relazionarsi apre alla comprensione, fa maturare un pensiero non egocentrico ed entrare in contatto senza arroganza e senza accuse. 4.5 Dal trauma alla trama relazionale Una domanda che spesso ci si pone per comprendere se stessi e gli altri riguarda la presenza di eventuali traumi nella storia e nella famiglia di origine. Le scienze psicoterapiche oggi sostengono che i traumi non costituiscono un problema reale nella crescita di una persona. I traumi di per sè si superano. I problemi emergono quando nella famiglia non c’è stata una trama relazionale che ha permesso di elaborare l’eventuale trauma. La differenza è notevole. Quando si parla di trama relazionale si intende non un comportamento sporadico di un genitore ma il clima genitoriale: il livello di fiducia, di confidenza, di riconoscimento, di rispetto su cui il figlio abitualmente può contare da parte dei genitori. Un evento altamente traumatico non lascia segni e tracce preoccupanti se viene elaborato insieme ai genitori; un evento leggermente traumatico può lasciare segno indelebile se vissuto in un clima di tabù, di segreti e di chiusura. A questo punto diventa necessario ricordare la differenza qualitativa tra sofferenza/dolore e danno psichico. Il dolore, se chiaro, se elaborato rende più saggi e più forti: la condizione umana è strutturata in modo da assimilare ogni dolore. Il danno è un dolore contaminato da emozioni non elaborate. Ad esempio: se una signora di trent’anni dopo sei mesi piange disperata il marito morto si tratta di un dolore (sarebbe sciocco chiederle: «Perchè soffre ancora?»), ma se una signora piange disperata perché dieci anni prima le è morto il marito è naturale chiederle come mai soffre ancora tanto. Qui ci troviamo, infatti, di fronte ad un danno. Lo star male nel dolore si evolve e si assimila; lo star male nel danno non si assimila: deve essere chiarito ed elaborato. Queste distinzioni ci aiutano a comprendere perchè le ferite della famiglia di origine non riguardano i traumi ma la trama relazionale, ossia, nello specifico, la relazione genitoriale. Non andiamo a cercare quale sofferenza ha avuto un bambino! Può avere avuto un intervento in ospedale, un incidente stradale, mille sofferenze… non sarà mai questo il vero problema. Il vero problema sarà la presenza o assenza di un corpo che lo ha accolto, con cui ha potuto parlare per assimilare quello che è successo. Non è il trauma ma la trama che crea il danno. Un trauma relazionale grave di cui si prende coscienza con sempre maggiore frequenza riguarda l’abuso sessuale. Sia che si tratta di abuso sessuale intra che extra familiare il problema di fondo riguarda proprio la possibilità che è stata data o negata (anche in modo implicito) al bambino/a di parlarne con i genitori30. 30 Cfr. il forum sugli abusi sessuali e sul recupero dei ricordi dell’Istituto di Gestalt Therapy Kairòs (Ragusa, Roma, Venezia): http://abusosessuale.forumattivo.it/t2-abuso-sessuale L’abuso intrafamiliare è sempre drammatico perchè rivela una trama relazione traumatica non solo da parte del genitore abusante (evento di una violenza e di una gravità tragica) ma anche da parte dell’altro genitore, che non solo non ha custodito il bambino (o la bambina) ma spesso non gli ha permesso di parlarne o l’ha zittito accusandolo. 4.6 Legami familiari nella postmodernità Una situazione oggi particolarmente difficile è quella della crescita umana e spirituale dei figli di genitori separati. La separazione dei genitori viene vissuta sempre dai figli con un dolore profondo e lancinante. Ma è il modo in cui i genitori fanno vivere ai figli questo stato di fatto che configura l’evento come sofferenza o come danno). Il riferimento alle categorie di danno o di dolore di cui dicevamo fornisce la traccia per gli eventuali cammini formativi che sarà necessario percorrere: il dolore può essere elaborato e porta ad una maturità, triste ma saggia, il danno provoca invece un blocco della crescita e necessita dunque di ben diversi percorsi. Sono così da rivedere i momenti in cui la separazione è stata vissuta negli anni, puntando soprattutto al superamento di eventuali schieramenti a favore dell’uno o dell’altro cogenitore. È necessario inoltre collocare le separazioni nel cambiamento e nella trasformazione della famiglia e dei legami familiari nella postmodernità. Da quando D. Cooper parlò di ‘morte della famiglia’31, abbiamo assistito ad una trasformazione dalla famiglia patriarcale a quella nucleare, da quella nucleare alla famiglia ‘dai molti volti’32. In un orizzonte educativo e di antropologia cristiana, la postmodernità ha fatto emergere l’indissolubilità del legame genitoriale (genitori ‘per sempre’). Per quanto riguarda il legame di coppia, l'attuale crisi ha come comune denominatore la consapevolezza – che i cristiani chiamano ‘genesiaca’ – che la coppia è stata voluta da Dio e quindi è proiettata, per natura, alla pienezza del legame: del suo stesso essere. Come dire che la postmodernità ha riscoperto il progetto del Padre (essere coppia per la pienezza di entrambi), ma ancora non ha gli strumenti (la maturità relazionale) per poterlo attuare. Le giustificazioni che chi si separa adduce vertono sempre sullo stesso tema: «Non mi trovavo bene con lui/lei», segno che questo star bene per cui la coppia è stata pensata ab initio è nel cuore dei partner. È un’attesa che risponde al sogno del Padre. Da una parte, quindi, la postmodernità ha alzato il livello delle attese superando il livello di rassegnazione nella vita di coppia, cosa che ha dato vita ad un vivere il legame coniugale scisso o in modo distruttivo o repressivo, dall'altro ha scoperto che non si è pronti e maturi a livello relazionale per una visione così bella della coppia, che corrisponde – per noi cristiani – al progetto del Padre. Tenere presente questa prospettiva – tra l'altro sostenuta anche da qualche sociologo33 – apre strade feconde nel cammino formativo34, in quanto recupera, al di là di errori e fragilità, la valenza positiva della intenzionalità di coppia: sperimentare nell'essere ‘due in un solo corpo’ un frammento dell'amore Trinitario. 31 Cfr. D. COOPER (1991, ed. or. 1971), La morte della famiglia, Einaudi, Torino. Cfr. A. GIDDENS, La trasformazione dell’intimità. Sessualità, amore ed erotismo nelle società moderne, Il Mulino, Bologna 1995 (ed. or. 1992); U. BECK - E. BECK-GERNSHEIM, Il normale caos dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino 1996 (ed. or. 1990). 33 Cfr. L. FERRY, Famiglie vi amo! Politica e vita privata nel'era della globalizzazione, Garzanti, Milano 2008 (ed. or. 2007). 34 G. SALONIA, «Aspettative e desideri della coppia», in AA.VV., Coppia e famiglia tra desiderio di mutamento e ricerca di stabilità. Interventi del Consultorio familiare a cura dell’Ucipem, Franco Angeli, Milano 1998, 76-84; R. TADDEI (ed.), Cammini di relazione, Elledici, Torino 2006. 32 5. Lascerà suo padre e sua madre Da casa bisogna uscire. È scritto sin dall’inizio che è necessario separarsi dai genitori: una seconda nascita. Si esce dal grembo-casa per andare nel mondo e costruire la propria casa. Il momento in cui si varca la soglia ha tutto il sapore di un nuovo taglio del cordone ombelicale. A qualunque età e in qualsiasi modo avvenga, si tratta di una cesura epocale nella storia di una vita. Andarsene da casa è un compito radicale ed avviene attraverso un processo complesso. Per potersi separare bene è necessario l’aver sperimentato fino in fondo una sana appartenenza, un sano ordo amoris. Chi ha avuto – come dice la Mahler35 – un ‘buon ancoraggio affettivo’, può diventare esplorativo. Chi se ne va da casa serenamente, con la prevalenza di sentimenti di gratitudine e di tristezza, è pronto per costruire una nuova casa e nuove appartenenze, per generare nuova vita. L’andarsene da casa scappando, sbattendo la porta, restando attaccati (demonizzazione o idealizzazione di uno o di entrambi i genitori) sono sempre segno che il cuore non è pronto per separarsi. Un cuore non è placato se vi albergano risentimenti, rancori, discorsi aperti dovuti al senso di ingiustizie subite, di attenzioni non ricevute, di umiliazioni subite, di esclusioni sofferte, di imbrogli e di imposizioni. Questi unfinished business (gestalt aperte) impediranno di percepire il mondo in modo sereno, anzi cercheranno nel mondo dei ‘pre-testi’ per riattivare le situazioni incompiute, con la speranza di potersi rifare del danno subito. Purtroppo questo avverrà in modo inconsapevole, per cui tanti conflitti nella vita di coppia e nella vita fraterna – pur innescati da situazioni concrete – vengono vissuti male e provocano reazioni non adeguate (in quanto si sommano con le situazioni precedenti). Ricordo il mio primo colloquio anamnestico con una suora che aveva chiesto di essere accompagnata. Mi impressionò molto un dettaglio: la suora, senza esserne consapevole, aveva usato, parlando della Madre Generale, gli stessi aggettivi negativi applicati all’inizio del dialogo parlando della propria madre. Ciò non significa che il racconto degli episodi in cui si era sentita trattata male dalla Madre Generale non fossero veri ma che la difficoltà più grande proveniva dalla sua storia precedente (gestalt aperta con la madre) che davano a quegli episodi valore assoluto ed ossessivo. È il non esserne consapevoli e il fissarsi sulla veridicità dei fatti (non distinti dalla ‘percezione’ di essi) che rende, a volte, queste situazioni stagnanti, una sofferenza sterile e pesante per gli altri. Un Provinciale mi chiese come aiutare un suo frate che era per molti aspetti esemplare (presente anche in anticipo ai momenti di preghiera, preciso negli adempimenti dei suoi doveri), ma incontrava (e creava) problemi nella vita fraterna o perchè richiedeva agli altri con freddezza quasi cinica la stessa sua precisione o perchè operava (a livello fraterno o pastorale) delle scissioni tra i suoi (che erano bravi) e gli altri che teneva lontani e che sottilmente disprezzava. Facendomi raccontare la sua storia, emerse con chiarezza che questo frate rimetteva in atto nella sua vita la sua storia familiare: la scissione con i fratelli, la mancanza di padre. Senza diventare consapevole di 35 Cfr. M. MAHLER - F. PINE - A. BERGMAN, La nascita psicologica del bambino, Bollati-Boringhieri, Torino 1978 (ed. or. 1975). questa ‘coazione a ripetere’ – ossia di questo stile relazionale – molte parti della sua affettività sarebbero rimaste piene di rancore e di disprezzo. Quando Francesco rimane nudo nella piazza di Assisi non accusa il padre, non proclama il vescovo padre alternativo, né opera confronti tra il padre terreno e quello Celeste. Il Vescovo andrà ad abbracciarlo e a ricoprirlo, ma Francesco non cerca rifugio o paternità alternativa alla Chiesa. Questa serenità conferma la genuinità del suo cammino di liberazione dal rapporto conflittuale con il padre. Cammino scandito da diversi passaggi: chiedere ad un contadino di benedirlo quando il padre lo malediva (inaugura l’accompagnamento psicologico?); ritirarsi nella grotta ponendosi due domande: «Chi sono io e chi sei tu, Dio» (FF 1915) (il cammino dell’interiorità in vista dell’identità); rendersi conto, nella preghiera, che anche Pietro di Bernardone è suo fratello perchè «uno solo è il Padre che è nei cieli» (Mt 23,9). Paradigmatico si pone il cammino compiuto da Francesco per ogni percorso di crescita (e di accompagnamento) esistenziale-spirituale: recuperare una relazione mancata, ferita o violenta e sperimentare una genitorialità che non porta – ovviamente – al confronto con quella originale, ma conduce alla acquisizione di una fraternità universale, che include anche i genitori, anche chi ci ha ferito, il prossimo come il più lontano. Un’icona di questo cammino è rappresentata proprio dal momento in cui si esca da casa. Una scena che – anche immaginata – ha una grande efficacia. Primo passo. Guardare tutti i familiari che si stanno lasciando, sentire nel cuore tutta la pienezza di una storia vissuta, che ha formato il corpo e l’anima. E poi chiedersi, guardando negli occhi ognuno: Quale gesto/parola avrei voluto compiere/dire e non l’ho fatto? Quale gesto/parola avrei voluto ricevere/sentire e non è accaduto? Secondo passo. Come mi sentirei oggi (nel corpo prima, nell’anima poi) se fosse avvenuto ciò che ho sempre desiderato? Terzo passo. Cosa farei oggi se godessi di questo stato d’animo che immagino? A questo punto spesso emergono le situazioni attuali in cui ci sentiamo ancora prigionieri del passato e non dentro il presente e si aprono le strade della riconciliazione e della rinascita... quei cambiamenti che permettono al cuore di liberarsi dalle pietre tombali delle eterne scontentezze o insoddisfazioni, delle ricorrenti frustrazioni o rabbie, delle inconsapevoli gelosie e invidie. Nel caso in cui nella famiglia di origine fossero avvenute violenze e abusi gravi, il cammino di guarigione avrà bisogno di tempi più lunghi e di accompagnamento professionale. Genitori violenti e abusanti minano quella fiducia di base che è fondamento di ogni crescita. «Come posso fidarmi della vita – mi diceva una paziente abusata – se coloro che me l’hanno data sono quelli che me l’hanno tolta togliendomi la gioia di vivere e di essere bambina?». Danno profondo e lacerante come una voragine. Guarire le ferite significherà anche scoprire che Dio era presente anche in quei momenti terribili. Nel dialogo – prima arrabbiato, poi placato – con Dio e nel grembo di una relazione chiara, accogliente, paziente, anche le ferite più profonde possono trasformarsi in canto ritmato sul canto del Servo di Jahvè. 6. Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli e le mie sorelle? Chi può separarsi compiutamente dalla famiglia di origine approda alla famiglia universale. Parafrasando Gesù, solo chi ha avuto una madre, dei fratelli e delle sorelle matura la consapevolezza alta e altra che ogni uomo è fratello e che anche i genitori sono i fratelli e – se ha il dono della fede – che l’unico Padre è quello che è nei cieli. Quando Francesco riconsegna al padre (che ormai – l’ha capito – è fratello) i vestiti, significa che è approdato alla solitudine costitutiva della condizione umana (un suo figlio, qualche anno dopo, dirà: Ad personam requiritur ultima solitudo). La solitudine di chi condivide l’esistenza, ma non ha ormai pretese da transitorie paternità/maternità: tutti, tutti fratelli e sorelle. «E non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare ‘guide’ perché una sola è la vostra Guida, il Cristo» (Mt 23,9-10). Una solitudine questa che permette di arrivare al vero punto di partenza: la famiglia di origine da cui tutti proveniamo è la Famiglia Trinitaria. Dal suo Ordo Amoris viene ogni famiglia umana e al suo Ordo Amoris bisogna approdare, consegnarsi: soli, ma da fratelli. BIBLIOGRAFIA AGOSTINO D’IPPONA, De civitate Dei, libro XV, cap. 22. AGOSTINO D’IPPONA, De doctrina christiana, libro I, capp. XXII-XVII, § 23.26.28. BALTHASAR VON H.U., Homo creatus est, Morcelliana, Brescia 1991 (ed. or. 1986). BAUMAN Z., Amore liquido, Laterza, Roma-Bari 2006 (ed. or. 2003). BECK M., «Quarta stazione. Gesù incontra sua madre», in F. CASTELLI (ed.), Testi mariani del secondo millennio, Città Nuova, Roma 2002, vol. 8, 264-267, p. 267. BECK U. - BECK-GERNSHEIM E., Il normale caos dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino 1996 (ed. or. 1990). BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 2005. BENEDETTO XVI, Lectio divina ai parroci e i sacerdoti di Roma (23 Febbraio 2012). BODEI R., Ordo amoris. Conflitti terreni e felicità celeste, Il Mulino, Bologna 1991. 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