A TUTTI COLORO CHE VIVONO UNA PARTE DELLA
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A TUTTI COLORO CHE VIVONO UNA PARTE DELLA
A TUTTI COLORO CHE VIVONO UNA PARTE DELLA LORO VITA NEL POLITECNICO Sono molti coloro per i quali il Politecnico di Torino non significa un semplice luogo di lavoro o di studio, ma molto di più, uno stile di vita che li ha segnati da un punto di vista professionale e morale. L’ampiezza dell’uditorio e la difficoltà di raggiungere almeno coloro che a vario titolo vivono una parte della loro vita nel Politecnico obbliga ormai ad usare la rete interna per qualsiasi comunicazione rapida (ed a volte intrusiva). L’importanza della comunicazione orale è però sempre prevalente. Neanche la migliore lezione registrata può sostituire una buona esposizione diretta in aula. Questo è ampiamente noto a tutti noi. In molti ci siamo ritrovati il 18/4 nell’Aula Magna del Politecnico per l’assemblea prevista dal Regolamento per le elezioni del Rettore con lo scopo di favorire la partecipazione al dibattito elettorale, la definizione delle candidature ed il confronto tra i programmi dei candidati. In quell’assemblea mi sono espresso su alcuni punti che considero fondamentali tra i valori ispiratori del comportamento e dell’attività del nuovo Rettore. Coloro che non hanno potuto seguire di persona l’assemblea del 18/4 scorso possono ricavare il senso di quello che io ho detto leggendo i seguenti documenti collegati: Trasparenza e rappresentanza Didattica e ricerca A tutti un cordiale arrivederci nell’Assemblea dell'8/5 prossimo, Donato Firrao Donato FIRRAO Politecnico di Torino, 7/5/2001 P.S. Per coloro che non mi conoscono può essere utile collegarsi a Note Biografiche Prof. Donato FIRRAO Dip. di Scienza dei Materiali e Ingegneria Chimica Politecnico di Torino, Italy Tf.: +39-011-5644663/7977, Fax: +39-011-5644699 e-mail: [email protected] POLITECNICO: QUANTO TEMPO PER LA RICERCA ? Nel mondo occidentale l’università si è formata per la prima volta in Italia a Bologna in pieno medioevo come comunità di docenti e discenti tesa alla più alta formazione, libera da condizionamenti esterni (allora religiosi). Dall’Italia il primo modello di Università si estese a Parigi e nel resto della Francia e di là in Inghilterra ad Oxford e Cambridge e nel resto del Nord Europa. La moderna università occidentale è nata in Germania agli inizi del secolo XIX sul modello sviluppato dal filosofo Fichte per la nuova università di Berlino ed ivi realizzato da Humboldt. Approccio scientifico alla conoscenza, compresenza di ricerca ed insegnamento, libertà di ricerca e di insegnamento ne erano i capisaldi. Si deve all’Università di Berlino ed alle altre università tedesche sviluppate su questo modello nel primo quarto dell’800 la prima affermazione che sperimentazione, investigazione, ricerca sono la principale funzione e responsabilità delle università. Si deve anche a loro il trasferimento nelle università della sperimentazione scientifica prima svolta solo in istituzioni non dedicate all’insegnamento come l’Accademia delle Scienze francese o la Royal Society inglese. Il modello si espanse successivamente in Europa e, con qualche modifica, negli Stati Uniti sull’onda dell’emigrazione di fine secolo. La breve introduzione ricorda i ruoli fondamentali che deve svolgere un’università, contemporaneamente luogo di ricerca e di didattica. Le due funzioni devono essere intimamente interrelate. E’ infatti indubbio che l’insegnamento risulta specialmente efficace se il docente riesce a trasferire allo studente l’entusiasmo che risulta dal lavorare alle frontiere della conoscenza. Si potrebbe obbiettare che non sempre ciò risulta possibile perché nella maggior parte dei corsi di base l’insegnamento non concerne la ricerca avanzata. D’altra parte, anche in tali corsi, l’impegno dell’insegnante in attività di ricerca e nelle conseguenti attività di pubblicazione e di esposizione in congressi porta ad un maggior rigore espositivo, ad un miglior approfondimento dei fondamenti della disciplina in cui insegna, ad una più completa interrelazione con le possibili applicazioni delle nozioni fondamentali. Lo studente percepisce nettamente se è in presenza di un docente impegnato anche in attività di ricerca; si stabiliscono così le migliori condizioni per una trasmissione formativa. Nei corsi, inoltre, dove effettivamente si può parlare di nozioni avanzate lo sforzo di preparazione all’insegnamento può in qualche caso aiutare il docente ad una comprensione più approfondita della materia, a semplificare il ragionamento nei punti fondamentali ed in definitiva a trasferire su carta le proprie deduzioni scientifiche in modo più semplice ed efficace. Non è raro il caso in cui alcune deduzioni svolte in corsi avanzati siano risultate importanti per il superamento di alcuni momenti di difficile interpretazione delle attività di ricerca teorica o sperimentale. In facoltà tipo Architettura ed Ingegneria, nelle quali l’insegnamento ha come fine la creazione di figure professionali adatte alla soluzione di complessi problemi progettuali in senso lato, con profondi risvolti economici e sociali, la funzione del docente universitario si dilata a comprendere la necessità di attività (professionali, di ricerca applicata, ecc.) che lo portino ad interrelarsi con la realtà socio-economica nazionale ed internazionale, aiutandolo a selezionare le informazioni da impartire ai fini di una formazione mirata dello studente. Per le sopra esposte ragioni le attuali regole di valutazione comparativa per il raggiungimento del titolo di idoneità nei concorsi a cattedra correttamente impongono di non disgiungere la valutazione dell’attività scientifica da quella dell’attività didattica e dell’attività organizzativa e professionale. La soluzione del problema di coniugare nelle università attività didattica ed attività di ricerca in senso lato diventa costantemente più difficile in conseguenza della attuale richiesta di formazione post-secondaria da parte di numeri sempre crescenti di studenti. Molte nazioni si sono proposte di risolvere il problema con istituzioni universitarie o para-universitarie nelle quali è prevalente da parte dei docenti l’impegno didattico, mentre non vi è obbligo di ricerca. Le stesse nazioni riservano la maggior parte degli investimenti per la ricerca ad un numero ristretto di atenei, gli unici abilitati a conferire i titoli universitari più alti. In altre nazioni, come l’Italia, si è scelto di seguire la strada di non distinguere fra le istituzioni universitarie; applicando quindi a tutte le stesse regole di finanziamento, si è reso necessario per le singole università puntare sull’aumento dei corsi nella speranza di aumentare il numero di iscritti e quindi il proprio livello di finanziamento pubblico. Senza riprendere tutti i fatti che hanno portato all’attuale situazione e semplificando di molto l’esposizione, il carico didattico è divenuto ormai insostenibile anche in termini economici: i docenti hanno superato di molto il punto di equilibrio fra didattica e ricerca, continuano a sacrificare il proprio arricchimento culturale e professionale indispensabile per un’efficace didattica e ricerca, mentre la loro attività didattica risulta costantemente meno retribuita. Cerchiamo allora di stabilire quale è il punto di equilibrio onesto fra le due attività fondamentali dell’università. A tal fine ripeterò un ragionamento da me già fatto nel Senato Accademico del Politecnico di Torino nel dicembre del 1998 quando si approvò (per fini meramente macroeconomici, si disse) che ogni docente strutturato in I o II fascia doveva all’istituzione 150 ore di didattica "frontale" (termine orrendo, ma ormai entrato nel gergo comune per indicare lezione od esercitazione in aula o laboratorio) all’anno. Per una corretta effettuazione di un’ora di lezione a livello universitario e non solo liceale è necessario dedicare almeno un’altra ora fra preparazione prima e valutazione dopo di quello che si è insegnato. Un’altra ora in media viene impiegata nell’aggiornamento culturale direttamente riferentesi alla disciplina oggetto di insegnamento (lettura di nuovi testi, preparazione di nuove dispense, partecipazione a incontri e convegni specialistici, ecc.). Sembrerebbe quindi che 150 ore di lezione comportino "solo" un totale di 450 ore di attività. In effetti il rendimento delle due ore di attività aggiuntive per ogni ora di lezione non è uguale ad 1 (in nessuna attività intellettuale si riescono ad evitare tempi morti); assumendo un rendimento, già alto, di 0,75 esse divengono 2,67 e quindi l’attività direttamente riferibile a 150 ore di didattica diventa uguale a 550 ore. A queste vanno aggiunte almeno 120 ore di esami che con un rendimento analogo di 0,75 vengono ad occupare 160 ore di tempo. Sempre riferendosi all’attività didattica bisogna aggiungere un minimo di 50 ore l’anno per riunioni di consigli di facoltà, di corsi di studi, ecc. Riassumendo 150 ore di didattica "frontale" comportano: didattica in aula o laboratorio attività direttamente riferibile alla didattica esami riunioni 150 ore 400 " 160 " 50 " _________________________________________ Totale 760 ore Rimarrebbero pur sempre circa 1000 ore da dedicare alle altre attività. Queste però non possono essere dedicate solo ad attività di ricerca. La progressiva burocratizzazione dell’Università ed in particolare del Politecnico ed i costi sempre crescenti della attività universitaria impongono di spendere sempre più tempo in attività non di effettiva ricerca (stesura di programmi per richiedere finanziamenti, relazioni finali, relazioni di autovalutazione, amministrazione dei fondi, riunioni e commissioni di dipartimento, ecc.). La mancanza di funzionari ed operatori di segreteria fa scendere costantemente il rendimento di molte delle attività sopra descritte. Quindi, ipotizzando di dedicare a tali attività solo 200 ore all’anno, con un rendimento orario dello 0,66, se ne vanno altre 300 ore. Rimangono da dedicare alla ricerca solo 700 ore all’anno che è meno della metà del tempo complessivo di attività annuale. Considerando che attualmente la ricerca comprende molte ore di viaggio per la partecipazione a riunioni fuori sede ed a convegni nazionali ed internazionali e che molto tempo viene inoltre speso in organizzazione, il vero rendimento di queste ore è inferiore a 0,5. Assumendo con larghezza, un rendimento uguale a 0,5, le ore effettive dedicate alla ricerca rimangono solo 350 all’anno, poco più di due mesi spezzettati in piccole tranches. Guardando fuori Italia, senza voler assumere ad esempio le Università di Oxford e Cambridge nelle quali l’attività didattica è ridotta a circa 30 ore l’anno (ma lo stesso avviene a Delft), notiamo che al Politecnico di Zurigo l’attività didattica è limitata a 80-85 ore, a fronte di impegni burocratici ed amministrativi decisamente inferiori ai nostri. Il massimo che si possa richiedere ad un professore universitario è effettivamente 90 ore di didattica in aula o in laboratorio. Applicando lo stesso metodo di calcolo sopra descritto si ridurrebbe l’attività legata alla didattica istituzionale ad un totale di 550 ore. Bisognerebbe inoltre ridurre a solo 100 ore la attività legata agli obblighi burocratici sia riducendoli drasticamente, sia ampliando l’aiuto ai docenti con personale non docente. Si riuscirebbe in tal modo ad aumentare di circa 400 ore l’attività legata alla ricerca ed a riportarci a livelli più consoni alla media europea. Altrimenti la ricerca verrà confinata solo ai Dottorandi ed in parte ai Ricercatori, i quali una volta divenuti Professori abbandoneranno una delle attività per cui principalmente hanno scelto di rimanere nell’Università e si inaridiranno anche nell’altra, quella didattica. E’ evidente che tali considerazioni sono estremamente attuali nel nostro Politecnico dove gli obblighi di didattica variano da facoltà a facoltà, i compensi della didattica complementare non sono uguali per tutti (ma sono per tutti molto bassi) e dove vi sono docenti che pagano la loro chiamata con ore in più "ad personam" e dove è quasi inesistente il personale dedicato alla collaborazione nei vari livelli del lavoro richiesto ai docenti. Ma tali considerazioni devono essere necessariamente estese a livello nazionale con una definizione di un accettabile stato giuridico ed economico dei docenti, i cui emolumenti hanno perso costantemente potere di acquisto dal momento dello sganciamento dall’alta dirigenza statale. Né è accettabile che siano previsti a livello statale incentivi economici individuali per "migliorare la qualità della didattica"; la maggior parte dei docenti, con grande sacrificio personale, fa già il massimo per fornire agli studenti una didattica di alto livello; solo aumentando il tempo che essi possono dedicare alla ricerca in tutti i suoi risvolti, compresi quelli professionali, si può avere come conseguenza anche una migliore efficacia didattica. Altrimenti, senza nessun editto, avremo in pratica codificato che l’università italiana deve divenire solo un luogo di burocrazia e di didattica di livello progressivamente più basso. TRASPARENZA E RAPPRESENTANZA: DUE VALORI INSCINDIBILI Da quando nell’Unione Sovietica di Gorbaciov è stato portato in auge il termine "glasnost", la trasparenza ha riassunto un valore politico fondamentale in tutte le istituzioni democratiche. Se si vuole che l’applicazione della trasparenza non resti monca, bisogna far sì che essa si estenda oltre che alle decisioni prese negli organi direttivi, anche al processo di formulazione delle decisioni. E’ in questo aspetto che la trasparenza si lega intimamente con il concetto di rappresentanza. Questo anche nel nostro Politecnico. Le persone che a vario titolo partecipano agli organi di governo dell’Ateneo devono agire come rappresentanti delle categorie dalle quali sono state espresse. Il loro mandato non può estrinsecarsi in maniera compiuta se esse non sono in grado di colloquiare con la propria base di riferimento tutte le volte che decisioni importanti stanno per essere prese. Per tale ragione i documenti che vengono portati in discussione in Senato Accademico, in Consiglio di Amministrazione ed in altri organi di democrazia rappresentativa devono essere liberi di circolare all’interno del Politecnico, senza diciture del tipo "Documento in bozza da non diffondere"; basta scrivere "Documento in bozza" per indicare che è un documento ancora in discussione sul quale il dibattito è aperto e coloro che all’interno dell’Istituzione vogliono portare contributi sono liberi di farlo. Analogamente, se si vuole stimolare il dibattito, i documenti da discutere devono essere pronti con congruo anticipo, altrimenti coloro che non hanno partecipato alla loro stesura e si trovano a dover prendere decisioni non hanno il tempo di meditarli e portare un contributo pluralistico. Analogamente, ed a maggior ragione, non è ammissibile che vi siano siti dell’Ateneo nei quali non si può entrare se non muniti di parola d’ordine autorizzata o comunque di autorizzazione specifica, neanche per consultare i verbali già approvati! Altrimenti si dà spazio ad un dirigismo verticistico, incompatibile con lo sviluppo di una vera comunità democratica e foriero di senso di non appartenenza all’Istituzione. Note biografiche di Donato FIRRAO Professore Ordinario di Tecnologia dei Materiali Metallici Nato a Bari il 16/12/1944, sposato nel 1969 con Annamaria Toselli, tre figli, Gianluca, Francesca e Pierlucio. Vincitore di posto di studio presso il Collegio Universitario di Torino nel settembre 1962, si è laureato nel 1968 in Ingegneria Chimica presso il Politecnico di Torino con 110/110. E’ stato Presidente del Consiglio studentesco del Collegio Universitario – sezione di Corso Lione 24 nell’a.a.1963-64 e rappresentante di corso degli studenti di Ingegneria Chimica nell’Associazione Studenti Politecnico negli anni 1965-66 e 1966-67. Vincitore di borsa di studio Fulbright, ha conseguito il Master of Science Degree in Metallurgical Engineering nel 1970 presso la Ohio State University, Columbus, Ohio, USA. Assistente Ordinario di Siderurgia presso la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino dal 1969 ed Aiuto di tale disciplina dal 1977 al 1983. Professore incaricato di Chimica presso la stessa Facoltà dal novembre 1971 al febbraio 1983. Professore Associato di Tecnologia dei Materiali Metallici dal 1983 al 1986, cattedra che attualmente ricopre come Professore Ordinario (I fascia) presso la I Facoltà di Ingegneria. Ha sempre scelto l'opzione per il regime di impegno universitario a tempo pieno e tutte le cariche extra-accademiche in Italia ed all’estero sono state sempre ricoperte a titolo gratuito. Vincitore di borsa C.N.R. nel 1978 per soggiorno di studio e di ricerca presso il Department of Metallurgical Engineering dell'Ohio State University, USA, ha ivi svolto le funzioni di Visiting Professor nell'anno accademico 1978/79. Coordinatore Nazionale del Dottorato in Ingegneria Metallurgica dal 1996. E’ stato Direttore della "Scuola diretta a fini speciali per Esperti della Produzione Industriale" dal 1986, anno di istituzione presso la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino, corso binazionale con conferimento di doppio diploma sviluppato in collaborazione con l'University of Brighton, Regno Unito, e in seguito con il Pôle Universitaire Léonard de Vinci di Parigi, Francia; ha continuato a coordinare l’attività del corso di studi dopo la trasformazione nel 1998 in "Diploma universitario europeo in Produzione Industriale" e nel 2000 in "Laurea in Produzione Industriale". Eletto a far parte del Senato Accademico Integrato Costituente nel 1990 ha partecipato alla formulazione del nuovo Statuto del Politecnico di Torino in regime di autonomia. E' stato rieletto nel Senato nel 1991, nel 1993 e nel 1997, sempre in rappresentanza dei Professori di Ruolo (I fascia) e ne fa ancora parte. Dal 1994 è Presidente del Collegio Universitario "R. Einaudi" di Torino; è stato dal 1997 al 1999 Vice-Presidente della Conferenza dei Collegi Universitari Italiani legalmente riconosciuti (Associazione di 12 Collegi Universitari, fra i quali il Borromeo ed il Ghislieri di Pavia) e dal 1999 al 2000 Presidente della stessa Conferenza. Socio dell'American Society for Metals (ASM), della Metallurgical Society of the American Institute of Mining and Metallurgical Engineers (TMS-AIME) e dell'Associazione Italiana di Metallurgia. Socio fondatore del Gruppo Italiano Frattura (IGF) e Segretario fin dalla sua costituzione nel 1982, ne è stato Presidente dal 1988 al 1994. E’ attualmente VicePresidente della stessa associazione dal 1998. Socio dal 1980 dell'European Group on Fracture (ora European Structural Integrity Society- ESIS) e gia' componente del relativo President Council dal 1984 al 1992, è stato Co-Chairman dell'ESIS Technical Committee I (Elasto-Plastic Fracture Mechanics) dal 1987 al 1996. E' stato uno dei cinque Direttori dell'International Congress on Fracture dal 1993 al 1997. E’ attualmente membro del comitato per il conferimento di premi nella stessa organizzazione. E' stato eletto nell'aprile 1997 Vice-Presidente della Federation of European Materials Societies (FEMS) con sede a Francoforte (Germania) per il biennio 1998-2000. Ne è attualmente il Presidente per il biennio 2000-2001. Autore di pubblicazioni apparse sulle maggiori riviste internazionali del settore di pertinenza, ha fatto parte del comitato di redazione di riviste internazionali ed ha organizzato numerosi convegni nazionali ed internazionali in Italia ed all’estero. Ha coordinato programmi di studio e ricerca nazionali ed internazionali. Esperto di failure analysis, ha svolto attività di consulente tecnico del giudice in delicati procedimenti di importanza nazionale (Strage di Ustica, caso Mattei).