QUI - Ziqqurat
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Riccardo Novellone A Cesare, Mirella, Viola Siamo noi la poesia. I. Hai il sole nei capelli e il cielo negli occhi. Sei fatta di luce e di vento sei il battito del cuore sei il mistero della notte, sei sogno senza sonno. Nella stanza della mia mente ho appeso il tuo ritratto: hai il sole nei capelli e il cielo negli occhi. II. La luna ci spia dal suo trespolo di stelle mentre sperduti ci aggiriamo nella notte di Parigi in cerca di un taxi, di un motel, di un letto in cerca di un attimo d’amore eterno gli alberi si inchinano al nostro passaggio gli ubriachi baciano il suolo che calpestiamo le fontane zampillano sangue in nostro onore il freddo ci accarezza come un’amorevole madre le foglie morte ci salutano svolazzando nel vento i semafori impazziscono i tombini gorgogliano le strade tremano i palazzi ondeggiano le finestre sbattono le insegne esplodono i parchi bruciano e i cimiteri si risvegliano abbiamo sigarette al posto delle dita e rombante vino al posto del sangue ovunque sia il letto che ci aspetta noi proseguiamo imperterriti invincibili inesauribili invidiati dalla luna nel suo giaciglio di solitudine luna piena come le tue labbra di ciliegia luna degli assassini e degli amanti disillusi luna di carne bianca rotonda e lussuriosa che ci guida finalmente dopo famelica peregrinazione ad avvinghiarci nel sudario delle nostre coperte a fare l’amore strappandoci a morsi le avide labbra sangue nel sangue fiato nel fiato corpo nel corpo avvolti dalla candida oscurità del nulla sospesi nel dolce vuoto del piacere senza angeli né Dio né diavoli senza stelle né spazio né pianeti… ma ecco improvvisa appare ancora la luna che si insinua tra noi sotto le coperte come una pestifera gattina gelosa illuminandoci con la sua benedizione eterna musa degli amanti disperati che si incontrano per caso in una nicchia di Parigi in un’unica notte d’amore che non si ripeterà mai più. III. Zafferano, polvere e miseria cielo d’argilla e sorriso di cannella fiato del tempo, sangue della terra sogno d’Agosto e gioia in guerra profumo d’India nella brezza come legno nella foresta come arancia sbucciata come donna straniera nel letto nuda e addormentata. IV. Scegli il vizio, l’insania, l’oblio il sollievo del cieco all’insulto del sole bestemmia l’amore sadico di Dio il bambino che nasce ma non vuole distruggi, esplodi, mordi ama il sorriso dei pazzi e la pace dei sordi la poesia è dietro l’orgasmo e chi crede il contrario chi rifugge l’imbrunire è un prete vergine che si masturba senza mai venire. V. Coraggio giullare non era questo quello che volevi? Leccare la dolceamara vulva dell’esagerazione? Bere lunghe sorsate di notte inebriato da morbide lune di carne? Scaricare il basso ventre nei lombi del pericolo dello sperpero e dell’autodistruzione? Stringere il seno del significato come gonfia mammella materna? Baciare le labbra del sole respirare i capelli dell’alba accarezzare i fianchi del mare fare l’amore col fulmine e venire nel vulcano coraggio giullare avventato funambolo delle lettere il tuo mestiere è divertire niente altro e morire nel farlo. VI. Sdraiato a letto da interminabili giorni ricoperto di briciole e cenere schizzi di vino rancido depravazione solitudine follia e biondi capelli di donna, giocando a scacchi con Morfeo blandito dalle inebrianti onde del materasso le lenzuola come intrepide vele diretto alle accoglienti caverne della notte in un naufragio di sogni estatici ed erezioni impetuosi oceani alcolici rigogliose isole di carne stordenti uragani sessuali danzando sulla inesauribile sinfonia del campanello volteggiando al ritmico squillare del telefono come un viziato imperatore sbronzo contemplo sbadigliando il mondo bruciare giacendo placidamente riverso sul mio glorioso trono orizzontale. VII. Avvolti dal nero grembo della notte accarezzo le tue cosce tortuose accavallate come forbici di carne, la languida sigaretta penzolante cupo volto di insonnia sguardo di lama tagliente cuore coccio di bottiglia: tu sei uguale a me. Siamo martiri del buio kamikaze dell’oscurità sacrifici dell’ombra… ci aggiriamo per l’Eden di notte mangiando tonnellate di mele mentre Dio dorme come un bimbo e il cielo russa come temporale, la luna è il nostro anello nuziale la tenebra il nostro soffice talamo dove abbracciati ci nascondiamo dalla luce: perché un giorno inevitabile il sole ci scoverà e ci separerà ghignando uccidendoci con il suo arido amore in un lugubre lampo d’invidia. Ma ci incontreremo ancora è destino non temere, ci ricongiungeremo come sempre sulla soglia del nostro amato grembo… là, dove l’alba diventa inferno e il tramonto paradiso. VIII. Gli amori marciscono le fabbriche producono i fiori nascono e le persone uccidono le lacrime si sciolgono nel mare come ricordi e le poesie d’amore sono incubi mascherati triste giullare della notte lei danza sul tuo cranio sputandoti farfalle nel cuore ridendo come terremoto urlando come uragano squassandoti le ossa in un dolce omicidio suo è il coltello, tuo il sangue sulla pagina angoscia dorata supplizio zuccherino dolore raffinato letale come il sole del deserto lei è l’innocenza della tormenta di neve. Gli amori marciscono le fabbriche producono i fiori nascono e le persone uccidono le lacrime si sciolgono nel mare come ricordi e le poesie d’amore sono incubi mascherati triste giullare della notte suo è il coltello, tuo il sangue sulla pagina. IX. Bicchieri di vino vuoti posacenere pieni piatti sporchi in cucina scheletri di bottiglie le tapparelle abbassate, a protestare contro l’inutile esistenza del giorno i vestiti sparsi dappertutto, come centinaia di spaventapasseri esplosi e tu nuda notte incarnata che parli e fumi e cammini in questa stanza precisa replica della mia mente in cui ti aggiri indifferente signora di materia e di spirito tra pizza, disperazione e sigarette ad ogni passo si agitano i tuoi capelli come ragnatele dorate come trappole per il mio cuore-insetto e la mia pelle è solo una cicatrice solo una sottilissima pellicola che trattiene inutilmente le mie budella frementi e intrusa la luce filtra dalle tapparelle disegnando le linee del tuo corpo con la precisione di un bisturi divino e io muto ti osservo in controluce mentre parli e fumi e cammini e all’improvviso comprendo con la nitidezza di un sogno che Dio è il più grande artista dell’universo e anche un gran buongustaio. X. Le gambe accavallate sul bordo della notte fiera fissi il nulla fumandoti lentamente la mia anima prosciugandomi come un vecchio materasso abbandonato sul marciapiede ridendo delle nuvole e delle lacrime senza dei né fortuna lasciandomi a penzolare dai tuoi occhi enormi come fredde stelle nello spazio vibranti come una nota nel vuoto: sei fastidioso piacere illuminazione ubriaca violenta carezza incubo gentile, sei il sentimento contorto con cui vago perduto nella notte nera dei tuoi occhi. XI. Ti aspetterò all'inferno, tu e i tuoi capelli d'oro il tuo diabolico sorriso le tue candide ali. Ti aspetterò all'inferno, bruciando lucido e adirato ti aspetterò come una pietra nel fuoco, come il ghiaccio sottoterra come la luna nel vuoto. Ti aspetterò all'inferno, nascosto tra le fiamme ti aspetterò in compagnia del diavolo. Ti aspetterò sempre ma già so che non verrai mai. XII. Trafiggerò il tuo cuore tenendoti per mano e la mia anima ballando ti guarderà negli occhi, rabbrividendo di piacere cantando il nome degli angeli, tutte le bibbie del mondo esploderanno in cielo e il perdono di Dio scenderà su di me come crema alla vaniglia come il sorriso della nonna come il corpo nudo di una donna come i tuoi occhi nudi e solitari che ora mi guardano con rimprovero: il tuo ultimo sospiro schiude la tua maledizione per me, come miele nel fango come la più dolce delle benedizioni la confessione del parroco, la disperazione dell'assassino, il pianto del diavolo. XIII. Lei esce di casa, sbattendo la porta. Resta solo la grigia luce di una mattina invernale. Fuori, le automobili si rincorrono in un fanciullesco e inutile gioco senza senso. L’acqua nella vasca si raffredda, i miei capelli crescono, le batterie della mia radiolina portatile si esauriscono mentre l’ultima nota di un Mozart deforme si spegne piangendo in un lamento di infinita bellezza. In fondo la vita sarebbe meno bella senza il dolore sarebbe più noiosa senza la fatica sarebbe più triste senza la morte. Perché proprio ciò che più temiamo ed evitiamo è la forza che ci tiene in piedi, la volontà che ci fa uscire dal letto al mattino, il motivo per cui ad ogni respiro ne facciamo seguire un altro. Il sorriso che nasce tra le lacrime, l’orgasmo dopo la lotta, la risata folle di un bambino. XIV. Il sole ride in questo giorno di gloria e i nostri corpi nudi contorcendosi simili a gatti strisciano l’uno sull’altro mentre il burro sfrigola in padella e gli angeli suonano la cornamusa solo per noi e Dio e il diavolo ballano il tango della vita e della morte e tutto il vino del mondo gorgoglia di piacere in attesa di essere bevuto mentre noi giacciamo nel letto come delfini spiaggiati il sorriso appena accennato gli occhi languidi semichiusi la luce che filtra dalle tapparelle il telefono che squilla in continuazione, solitario la porta che tuona sotto la gragnuola di colpi della padrona di casa l’inferno è vuoto il paradiso pure siamo tutti qui a fare festa in faccia alla crisi economica alle religioni marcescenti alla morale decadente alla televisione alla politica alla gentaglia ora siamo la luce del mattino siamo il salto dell’acrobata siamo l’acqua che bolle siamo la sigaretta che si consuma siamo l’universo in contrazione come le doglie della partoriente come il bambino nell’utero in attesa della perfezione che dura sempre un attimo giusto il tempo di un orgasmo giusto il tempo di una giornata giusto il tempo di una vita e noi diciamo: ancora e noi diciamo: ne vale la pena e noi diciamo: si, cazzo. Ancora nel letto come un re sul trono dell’inedia mi volto e osservo il miracolo di carne al mio fianco: unica speranza di senso nell’infinito alfabeto dell’universo. “Passami le sigarette” lei dice. Il lampo benigno dell’accendino, e poi il buio. XV. Lasciate che il silenzio sia la vostra guida. Non toccatemi. Non parlatemi. E soprattutto, non giudicatemi. Avete voglia di dolcezza? Mangiate cioccolato. Lasciate a gente come noi litri di vino rosso, 1.000 sigarette, musica classica, vomito nella pattumiera. Nessuno vi ascolterà, risparmiate il fiato per le candeline sulla torta. Scegliete il legno delle vostre tombe. Leggete una poesia. Tutti i vostri sforzi sono come soffiare contro un uragano. L’unica cosa che abbia un valore, l’unica cosa sensata che potreste riuscire a fare in vita, l’unica cosa che vi renderebbe liberi e senza paura, sarebbe ridere della morte, piangere per un palloncino nel cielo, ascoltare il silenzio. Fatemi sapere se ci riuscite. Io resto qui, a guardare questo muro bianco, aspettando l’apocalisse. XVI. Distenditi sulle calde rive di questo sogno rendi la tua mente versatile come acqua gustati un bicchiere di vodka ghiacciata diventa la marionetta di te stesso compra 50 paia di mutande, ti saranno utili credi di sapere dove sei? puoi perderti per i vicoli di Tetouan gridare bestemmie nei bistrot di Parigi accoltellare ubriachi nelle fogne di Praga quello da cui fuggi sei tu sei il personaggio di un videogioco sei una diapositiva sbiadita di tuo padre sei una carta d’identità scaduta sei una banconota fuori corso sei un libro d’arte non aggiornato sei un foglio di carta piegato in due sei una stonatura in una sinfonia sei una ruga sulla fronte di un vecchio sei il cuore di un animale morto sei il chiodo arrugginito di una bara sei il bambino che piange in Namibia sei il riso di un ubriaco a Helsinki sei la targa annerita di un camion sei il ramo di un albero morto sei la lancetta di un orologio rotto sei un fotone nella notte più nera e nonostante tutto per quanto lontano tu possa andare come una lucertola al sole amerai pur sempre la luce fingendo di odiarla. XVII. La saggezza è un’antica leggenda dimenticata eternamente ripetiamo i nostri errori a rotazione come ruote di preghiera tibetane sempre in corsa numerosi come le volte che abbiamo smesso di fumare e il sole sorge ogni giorno ridendosela e noi aspettiamo la notte dove sbagliare è più dolce protetti dal velluto del silenzio celati dal fumo delle sigarette a centinaia di chilometri sotto la superficie del vino e ancora più lontano dall’impietoso giudizio di noi stessi. XVIII. Dove sei voglio mangiarti il cuore sorseggiando Chianti voglio inchiodarti le labbra alle mie annodarci le lingue nascondermi nel tuo utero voglio schiantare la tua immagine nel cielo bella come un bambino che piange reale come il mal di pancia dove sei ti aspetto con la lama del mio amore fumando mitragliatrici di sigarette gettando grappoli di bottiglie vuote dal balcone ti aspetto sei il mio lager sei il sasso che mi fa inciampare sei la mia apocalisse felice e il tempo è un bambino impaurito dinanzi alla pazienza della mia ossessione ti aspetto qui impassibile come un cadavere tu dimmi dove sei. XIX. Sputa nel vulcano bevi birra sdraiato sotto il letto strappa le unghie ai sogni squarciati il petto e baciati il cuore schiaffeggia le tigri oirartnoc la alrap e ivircs ridi quando tutti piangono piangi quando tutti ridono urla in chiesa sii silenzioso nelle osterie cerca il vuoto in ogni bicchiere e la notte nei raggi di sole apri il paracadute ma solo dopo esserti schiantato. XX. Lacrima di fango e orfana risata tremulo ansito della notte àncora nel vuoto getto di veleno nelle vene pillola nel whiskey gioco oscuro, violento, dissennato graffio nell’anima urlo del pensiero bacio sanguinante e carezza al vetriolo sguardi nudi che si incastrano come i nostri corpi mentre le stelle rabbrividiscono la benzina danza con il fuoco e gli angeli si barricano nel rifugio del cielo. XXI. Non respira il vento il serpente a sonagli tace immobili siedono le nuvole. Il tuo volto nel cielo sostituisce la luna ma non illumina il cammino. Non respira il vento il serpente a sonagli tace l’arido deserto è il tuo sorriso. Potessi drogarmi del tuo respiro potessi bollire nel tuo sguardo potessi morire per crearti. Non respira il vento il serpente a sonagli tace e il mio scheletro spellato nella polvere giace. XXII. Come il raggio di sole si allunga calmo e silenzioso sul pavimento di legno della casa della tua infanzia, così io mi distendo pur sembrando immobile nell’arco del tempo e osservo e assorbo e mi dilato in un amplesso che è quello dell’universo: completo e soddisfatto. Non ho bisogno di nulla perché il nulla non ha bisogno di me. XXIII. Immortale come una zanzara il nostro pensiero segue la strada dei folli dei martiri e degli invasati inciampando in bottiglie vuote tra mozziconi di noi stessi abbagliati dalla luce di un sole spento in un’epoca di gloria recitata siamo sugo che cola dalla bocca del niente. XXIV. Estatico graffio della notte cintura slacciata dei nostri pensieri saggezza nei posacenere pieni morso dell’alba alla natica del sonno siamo le oscure nuvole del giorno l’afa che il sole appanna, l’ombra dei sassi la carne dei sogni e il colore dei ciechi il muro bianco e crepato nella casa dei pazzi è il tramonto l’unica cosa che possiedi come l’anima alla tua morte il tuo ultimo pensiero insanguinato come il sole ingoiato dalla famelica notte avvinghiato disperato al seno della vita che ti sfugge. XXV. Il cielo preoccupato nel crepuscolo incombente dei lumi notturni il curatore i tuoi occhi cerca, invano due stelle mancano all’appello. XXVI. Pensi che scrivo ma ti sto guardando da dietro lo schermo, spiando tu che nuda fumi sul letto i piedi sui cuscini la testa sul copriletto avessi una pistola ti sparerei ammirando il sangue rosso come il tuo smalto spandersi sulle lenzuola candide fossi vento entrerei furioso dalla finestra scompigliandoti i capelli scrollandoti di dosso il loro profumo sapessi rimpicciolire ti scalerei accucciandomi nell’incavo del tuo seno la perduta valle dell’Eden ma questo corpo possiedo e niente altro per cui mi alzo mi avvicino e afferrandoti per i capelli ti amo. XXVII. Il tuo fiore sapeva di cannella Jodhpur in una giornata di Maggio umana spezia sul miasma del mondo gusto di mosto sotto la lingua ed io mi arrampicavo come Buhl sul tuo fiore come sul Nanga Parbat mentre soffiavi i tuoi divieti e i tuoi rifiuti sulla mia nuca scoperta, nella mia bocca aperta dea del terremoto, del fulmine e del gelo che i leviatani combattano che i preti predichino che gli scheletri si sbriciolino negli armadi io ricordo il profumo di cannella tra le dita che era il tuo fiore che era la mia vita. XXVIII. Il fato è sordomuto indifferente ai nostri miseri schemi calcoliamo eclissi, diagnostichiamo malattie prevediamo il tempo ma una pietra ha già il nostro nome sopra come ebbri ballerini sulle viscere del caso ignoriamo i richiami dell’ultima madre spranghiamo la porta stacchiamo il telefono e nel letto ci giriamo dall’altra parte. XXIX. Ballando disperati tra le note della notte in un bagno di vino, sudore e sigarette ci guardiamo in silenzio trattenendo il fiato mentre la notte chiede al giorno di aspettare solo per noi che rinunciamo per sempre agli sbadigli e alle domeniche di sole incatenati l’uno negli occhi dell’altro come asceti pazzi ignorando gloria e miseria del mondo rincorrendo i lampi nella notte distillando il sudore degli angeli venerando il miracolo della carne siamo batterie che non si scaricano siamo motori che esplodono siamo pugni al cervello siamo albe senza giorno e i fauni rincorrono le ninfe e i fiori di loto si schiudono con la forza delle carezze e i piaceri del corpo ci ingolfano coraggio schiudi la bocca esplodi la lussuria nella mia è come cadere dal 4° piano reggendo sigaretta e bicchiere di vino mentre il Papa ci condanna dalla finestra ignaro che gli angeli esistano e il diavolo piange ogni notte come qualsiasi uomo solo e dio è una donna che guardandoti dice: perché mi sono innamorata di te? ma ora balliamo come demoni impazziti e guardiamoci in silenzio trattenendo il fiato tra le note della notte sorridendo fino a quando il tempo non sarà stanco e ci lascerà in pace per sempre. XXX. Tu mi guardi sorridendo arcana velata da ciocche folte di serpenti tu mi guardi sorridendo mistica ballando nuda al ritmo del jazz tra sigarette indifferenza vino e bellezza mentre il mondo telefona preoccupato e dio bussa alla porta, furiosamente tu mi guardi sorridendo oscura gemito di 1.000 sirene della polizia fusa di gatta da 10 tonnellate bacio di vulcano attivo, con la lingua sibilo di luna forata con il tuo tacco a spillo tu mi guardi sorridendo astrusa e io ti rido addosso di rimando crollando sul letto delle tue labbra per addormentarmi sazio e ubriaco nel conforto del dubbio, della giovinezza e del peccato. XXXI. Come ruota inceppata slitto sui tornanti dei miei pensieri sei ostacolo improvviso ghiaccio su strada colpo di sonno attacco di panico starnuto convulsivo albero di traverso sigaretta accesa tra le gambe cerbiatto paralizzato dalla luce riflesso stordito dal vino crampo del mio cuore sei la piccola distrazione che uccide e io il santo ebete che precipita sorridendo nel burrone degli amori perduti. XXXII. Notte, ecco che arrivano le 3:00. Silenziosamente come sempre la notte ti abbraccia la testa e ci soffia dentro suoni cristallini e immagini di libidine speranza e disperazione disgusto ed estasi oblio, reminiscenza sigarette, vino e sbornie e donne ubriache che russano e santoni che si ingozzano e sguardi luccicanti di lussuria e bava che cola da menti affamate, drogate… Viviamo come ipnotizzati dalla accecante luce della luna, che a tutti dà il benvenuto nessuno escluso in questo orario mistico, che fa pensare che fa scrivere che fa gridare. Come faccio io, qui, ora alle 3:00, seduto nella mia stanza. XXXIII. La tua lingua scivola come colla sui miei pensieri mentre le onde del nostro amore si infrangono come gli antichi imperi siamo noi gli scogli ostinati noi il fondale oscuro noi la tempesta siamo bambini che rompono giocattoli siamo castelli di sabbia senza mare siamo navi che trasportano amanti destinati a nuovi amori di sale ci affoghiamo tenendoci per mano mentre la tua lingua come frusta imperterrita lecca i miei pensieri al punto che gonfi come lacrime cadranno presto a terra esplodendo felici lasciando infine ad altri l’onere di amarti. XXXIV. Il tuo sorriso come squarcio nel cuore dal passato teneramente mi acceca mentre mi contorco nel letto sfatto ubriaco chiudendo gli occhi ai sogni come ai morti pregando su altari di bottiglie vuote inseguendo e fuggendo te medicina mortale fiore velenoso angelo sadico io sono il lupo ululante tu la mia tagliola vago cieco nel regno della tua bellezza niente più che ombra sul muro della notte unica luce la brace della sigaretta, unica luce il ricordo del tuo sorriso. XXXV. Nascosto dal nero giorno infame in attesa del candido calore della notte ancora imbrigliato nei capelli dei sogni respirando come un naufrago affogato ecco che improvviso un raggio di sole mi colpisce dardo bruciante di un cecchino perfetto non posso far altro che subire e attendere attendere la notte, paziente attendere la luna che è il mio astro attendere il momento in cui cadrai perché tu cadrai, sole già vedo il tuo sangue dilagare in cielo divorato dalle montagne all’orizzonte colpito a morte dalle avanguardie del buio e allora saprai, allora saprai come io so, quale scherzo il destino ha giocato a entrambi. Tuo il giorno mia la morte, tua la morte mia la notte. XXXVI. Incantati dagli arcobaleni del nostro pensiero ci lasciamo sfuggire i lombi lussuriosi della terra Noè ubriaco che guarda il cielo vino sudore della guerra dolce sangue di vagina fiore appassito della regina il re che muore, veleno nel ventre Dioniso programmatore di deliri insinua virus nella mente stordisci i tuoi sensi e affoga i sospiri lascia scivolare l’uva nella gola soffoca il gemito nella tua bocca la tua lingua è un rospo che io lecco sul dorso allucinazione rosa e bionda il tavolo macchiato di vino sul quale mi hai tagliato un dito che pende ora dal tuo collo insieme al crocefisso di tua madre siamo ubriachi e morti io e te antichi dei, mai risorti. XXXVII. Tu sei sbagliato. Devi nasconderti, camuffarti come un santo in paradiso. Come birra in osteria. Mordi le cosce di tua madre? E tappale la bocca, alza il volume mentre stupri un angelo sii cauto sei circondato da chiese e senso del peccato pioggia, fango, sperma caramella del sole schiavo decapitato la donna della tua vita intrappolata in un sogno che alla mattina scompare come uno sbadiglio come l’urina mattutina giù nel cesso dei tuoi desideri tira lo sciacquone e goditi i tuoi pensieri a che ti serve una nuova alba? a che ti serve fare ancora sesso? a che ti serve una nuova vita? sei sempre tu il regalo di te stesso. XXXVIII. Cerchiamo il senso alla luce di un fiammifero sotto il tavolo dei nostri bagordi tra cicche di sigaretta, briciole e polvere niente gloria, solo entropia brindiamo a ciò che è caduco all’orgasmo ai tramonti all’amore vino, sesso e ristoranti siamo sazi cronici danzanti sui cocci dei nostri ideali che importa se ci sanguinano i piedi se i capitali durano meno dei nostri pensieri solo i nomi restano degli imperi. XXXIX. Brucia le liste del rimpianto Sodoma e Gomorra nel bicchiere goccia di sesso sulla fronte del volere la sigaretta che si fuma da sola finalmente abbandonata il giorno che si infrange sulla notte infoiata gloria nel tuo gemito che risveglia come un canto la risata nel pianto la muleta del torero la donna che muore nell’orgasmo del guerriero. XL. Svegliato dal morso di un sogno i tuoi capelli sul cuscino sparsi come alghe su scogli bianchi tatuaggi d’ombra sulla pelle l’oscurità nei miei occhi non in questa stanza la sete nella mia mente non in questa bocca l’amore nella pattumiera non in questo cuore. XLI. La tua bocca è una caverna di corallo e alghe rosa il mio rifugio dalla polvere dei giorni dove respiro il fumo delle tue sigarette e annego negli alcolici di cui ti inebri il mio sole è la tua ugola, acqua sorgiva la tua saliva scogli d’avorio i tuoi denti e vento caldo il tuo fiato musica ammaliante la tua voce di sirena la tua bocca è una grotta di velluto la tua bocca è il mio bunker la tua bocca è la mia tomba in vita dove giaccio beato e disperato fino al giorno in cui distrattamente deglutendo, mi inghiottirai. XLII. Gioca alla morte con gli scacchi dei tuoi giorni triste stella spenta da uno sputo valoroso mantra imbavagliato benvenuto nella giostra del banale e nel ricordo del possibile il cerchio si chiude e tu ne sei fuori fiamma che danzi furiosa nel tuo bruciare hai l’orgoglio del diavolo e la forza di un petalo il cuore di un leviatano e la fame del lupo hai la nobile fierezza di un dio caduto, e l’amara saggezza dell’eroe dimenticato. XLIII. Nel palcoscenico della mia mente tu balli nuda simile a pizia indemoniata sui cadaveri dei miei ricordi e i tuoi capelli suonano come sitar e la luce è il tuo unico vestito mentre io gorgoglio, rubinetto intasato d’amore stridulo suono di un gatto affogato becco proteso di un cucciolo d’aquila che aspetta solo il vomito del tuo cuore tonnellate di diamanti o un rivolo di bava la carne per la frusta e il dente cariato anestetico prescritto senza anamnesi polvere nel sole, un contratto stilato sui coltelli sono il cane nella macchina del tuo affetto ma tu sei andata via, chissà dove senza abbassarmi il finestrino. XLIV. Suonano i tuoi passi sulla sabbia mentre il vento danza con il granchio e ride il gabbiano nella nebbia siamo lo scrigno del sole, insieme i tuoi denti come lune piene le tue mani coralli rosa siamo l’onda che rolla senza posa il marinaio e la sirena l’orma dei tuoi piedi sulla rena matrici dorate della tua figura eterna statua tra le mie braccia eterna prigioniera delle mie mura. XLV. Serenità nella mischia e passione nella calma esiste un solo giorno, una sola vita da quando nasci a quando muori da quando ti svegli a quando ti addormenti siamo noi l’intervallo della notte la pausa tra le note il vuoto che riempie la ferita il presente che ci schiaccia tra l’incudine del passato e il martello del futuro il teschio dietro ogni faccia siamo noi l’impronta sulla sabbia noi il mare, che subito la cancella senza lasciarne traccia. XLVI. Aprite i rubinetti della notte ululanti monaci a lato dei sogni profeti di vetro, aquile senz’ali dormite quando siete svegli cadete senza inciampare combattete a guerra finita lasciate gli ideali a leccarsi come cani ragnatele di carne agli angoli dei giorni avaria nei quadranti del paradiso benzina che sostituisce il sangue i missili che zampillano, i satelliti che spiano le pubblicità che adulano i portafogli che ci avvolgono e ci stritolano i leader che sorridono plastici è meglio dormire dormiamo ora che c’è il sole risorgeremo puri con la luna e il mondo, nostro adorato specchio è il nemico che al risveglio distruggeremo. XLVII. Ingoiato dal bicchiere in un gorgo di piacere rincorrendo false estasi e lussuria scadente filosofi infoiati che fornicano con la tua mente sei pronto a ingoiare i cocci dei tuoi pensieri più inutili? raccatta i lembi infranti della tua stima e ricucili l’ispirazione non è una bottiglia di vino vuota sei la bocca arida del mattino, lo sbadiglio dell’assassino l’orgasmo esaurito, il corpo dissanguato e il criceto senza ruota hai la forza ma non la puoi usare come un foglio senza matita cerchi il sole nel riflesso di una lampadina nella sporca pozzanghera che è la tua vita. XLVIII. Inchiostro nel bicchiere vino sulla pagina lupi nella lingua polipi tra i pensieri ombre negli occhi freddo come il bancone su cui mi addormento galleggiando con la cenere sulla superficie della notte che incombe chi bussa alla porta della mia noia? chi sfonda le finestre della mia solitudine? chi percuote il petto della mia apatia? tu mio spettro rosa nuvola di abbandono che copri la luna delle mie notti inzuppando con la pioggia dei tuoi baci la mia presunta invincibile indifferenza. XLIX. I nostri corpi giacciono riversi, scomposti rovesciati sui tavoli e sui tappeti, con sguardi foschi tra migliaia di bottiglie vuote e mozziconi di sigaretta come candele votive in una chiesa maledetta abbiamo fiato d’ombra e occhiaie di cobalto respiriamo immobili come spiriti in letargo talvolta si scorge un movimento, s’ode un grugnito una risata che scoppia solitaria e senza invito birra nei vasi, il computer nel lavandino risucchiamo le speranze e le sputiamo sul destino l’ultima luna dalle finestre ci spia divertita come delatrice celeste, luminosa bandita seducente, limpida e curiosa con una risatina maliziosa si dilegua all’orizzonte lasciandoci vuoti tra dubbi e scarpe rotte come tristi ruscelli senza fonte abbandonati a noi stessi, soli nella notte: non fa differenza, il tempo ha gambe corte giacciamo riversi e scomposti nell’attesa brindando con i diavoli e ridendo della morte. L. Dante sapeva meglio di noi che il tuo girone era quello dei codardi una vita dietro la scrivania della vita a saggiare i sogni con la punta delle dita come un gatto fa con l’acqua, ripugnato ti crogiolavi nella falsa gloria del vino e nascosto in vagine foderate di specchi contemplavi il tuo volto nell’orgasmo: c’era il vuoto, solo il vuoto nel tuo sguardo come in quello delle antiche statue sumere siamo la lingua sotto il tacco del piacere il pene del diavolo, le cosce della madonna il tuffo liberatorio nel cuore di una donna. LI. Figli diseredati del sole andavamo predicando la gioia il sesso, l’estasi e il piacere incatenati in gocce di pioggia ora ci resta solo la gelida mente la fradicia ragione calcolante con cui contemplare l’universo che un tempo era nostro ma ora non più. LII. Il sole indifferente cuoce la carne in gocce di condensa e sudore sabbia come cenere musica che si muove a fatica nell’aria nausea, estasi e donne maya iguane imperscrutabili imperatori nel regno dell’indolenza lacrime e pelle d’oca, sbadigli e risate infiniti dubbi e infinite attese come se il domani fosse il paradiso perduto siamo tutto e abbiamo niente la mano sul coltello, il vino nella pancia e un diamante nel cervello il sorriso nella forma, il vuoto nell’essenza siamo un conto alla rovescia cuori rossi ma spenti oceani di benzina privi di scintilla figli dell’inevitabile entropia perché la purezza è inversa alla durata la simmetria è caos per il caos le verità sono fradice di alcool e ovunque la vita è la stessa: inutile e graziosa, come un libro sfogliato dal vento. LIII. Mastica il mio cuore come filetto di maiale io sono cielo, tu il mio temporale la tua saliva è alcolica i tuoi capelli sono fumo sei la sostanza che mi uccide, ma che assumo ape di lussuria sul fiore del mio pensiero Venere in pizzo rosso e dal sangue nero sei la lacrima che cola come lama la goccia gelida lungo la schiena la tortura senza meta di un anello la lugubre risata di un’avida iena… dimenticate diavoli, assassini e mentecatti e ricordate: sono gli angeli i torturatori più esperti ti lasciano cieco al mondo infatti ma con gli occhi aperti. LIV. I nervi sono sassolini nel terremoto del tempo che scorre. La pelle è elettrica, un’unica squama rosa. Ti senti meglio dopo aver letto il giornale della domenica? La tua unica ambizione: congelare l’ego, una corda rotta nella sua nota il letto sfatto dopo che ci hai scopato sopra. La coscienza farà di tutto per abbandonarti. Credi che otterrai qualcosa con il prossimo respiro? Personalmente, si. L’algoritmo della vita riesce ancora ad affascinarci. Sepolti dalla televisione, dal lavoro, dalla moda la brace della fenice continua a brillare, celata. Prima o poi arriverà l’uragano quel delicato, innocente e profumato respiro che ci farà divampare come il sole a mezzogiorno, prima o poi. La folla sarà un unico “si”, il cielo un salotto, e un nostro sbadiglio l’assordante tromba dell’apocalisse. LV. Strizzami l’anima come spugna sul tuo viso mia languida ferita che tu chiami sorriso mia goccia di sangue che sputi sulla vita aroma del tuo capezzolo tra le dita sei il fiore della notte che si schiude nel canto del mio diluvio salivare i santi che si riparano sotto i tetti insieme ai cani e alle puttane piega del tuo seno, sguardo dietro al velo immagine ideale di me stesso Tantalo eunuco nel mondo del tuo sesso ubriaco come vela nel vento dei giorni prego Orfeo che il risveglio più non torni scivola il carattere sul fondo del bicchiere mentre ordini distratta la mia anima al cameriere sono piccola goccia perduta nel deserto prendi quella goccia, puoi inzupparci il mondo dentro piccola goccia che succhierai dalle mie labbra statua fasulla, oceano in una brocca le calde coperte del nulla l’accogliente vuoto della tua bocca regina dell’Olimpo e sovrana dell’Ade che sia verso l’alto o verso il basso mio è il cuore che pesante come un masso cade. LVI. Girovago vagabondo nella landa del tuo spirito regina del mio regno vela del mio vento coppa del mio sangue alla ricerca di un pozzo bramando l’oasi all’orizzonte che non troverò mai, perché non esiste: sei il miraggio che pur avvicinandoti sempre lontano appare. LVII. La testa nel fango e i piedi nel cielo languide erezioni nel mezzo la tua vagina senza un pelo morbido cuscino del ritmo tacco dodici nel cervello la pelle un’unica lingua eterna battaglia nel deserto miraggio d’acqua tra le gambe io sdraiato a terra in mutande tra scrivanie di solitudine tappeti di silenzio che ci separano chiudo le tende, serro la porta spengo la luce e aspetto i drappi del tuo abito arcano lo sguardo del maestro dietro al velo uccidimi, risvoltami e rovesciami i piedi nel fango e la testa nel cielo. LVIII. Saltando da un sogno all’altro tra le pieghe del vino trascino il giorno con me inutile, come un computer rotto la notte beffarda che mi guarda e ride a braccetto della luna ma io tornerò accompagnato dai mastini infernali e schiere di debosciati incoronato re marcio e tutte le bottiglie rotte del mondo saranno i nostri coltelli e uccideremo con risate sguaiate cadremo scopando e mangiando l’orgasmo sarà la nostra politica e allora notte tu saprai chi è il padrone di chi sei figlia tu saprai a chi devi la tua forza. Tornerò a prenderti scagliando via l’inutile giorno, tornerò a prenderti puntuale come la morte tornerò a prenderti stanotte, come sempre, come ogni notte. LIX. L’orgasmo è una finestra rotta vuoto sbirciato da una crepa nel mondo strizzare l’occhio al diavolo scalando natiche d’avorio nell’ombra l’orgasmo è una lama che taglia come falce di luna, rasoio degli angeli contraddittorio parco giochi del corpo l’orgasmo è lo sbadiglio di un dio annoiato panno al sole dopo la pioggia uragano domato, starnuto del fiore linea retta che si incurva maliziosa l’orgasmo è una poesia, senza scopo alcuno impossibile equazione di carne cranio sfracellato nell’amplesso legge fisica infoiata e assioma del sesso l’orgasmo è un pianeta che rotola come una biglia verso il tombino del nulla che precipitando in silenzio si sfracella al suolo con un gemito come l’allegra morte di un’onda. LX. Scivoliamo come gelide gocce lungo la schiena dei giorni siamo il brivido del sole gli ingranaggi della notte saldamente aggrappati al nostro bicchiere attraversiamo le burrasche dei tramonti scrutando avidi l’orizzonte sempre aspettando il sorgere di una luna la nostra amata luna che non esiste, se non in pagine come questa. LXI. Tramonto di corallo rosa sulla languida terrazza del nostro cuore dove tu balli liquida sudando feromoni giocando con i pianti del passato riflessi nel tuo gigantesco sorriso presente che mi schiaccia come un cuscino profumato evaporando l’acqua degli oceani spegnendo stelle e angosce aggrappati alle ali degli angeli in questo tramonto di corallo rosa inutile ruota dei secoli appassiti lento movimento delle tue anche la chioma che ondeggia come petalo sulla languida terrazza del nostro cuore pensieri di cristallo rovente tu che mi sfiori dolcemente come il fulmine sfiora la terra come il fuoco abbraccia la benzina mentre balli liquida sudando feromoni sbriciolando il mondo nella tua danza il peccato redento dalla tua candida lussuria il corallo rosa di questo tramonto la tua lucida pelle di platino la mente come stella nuova musica senza tempo, senza ritmo, senza suono solo il momento presente sulla languida terrazza del nostro cuore avvolta nell’aria tua unica veste balli liquida sudando feromoni esplodendo i miei occhi come uova mentre gli dei si masturbano infoiati le pietre applaudono e gli alberi si inchinano l’aria si infiamma il pianeta si ferma dal suo trottolare l’universo frena la sua espansione in questo tramonto di corallo rosa sulla languida terrazza del nostro cuore dove tu balli liquida sudando feromoni giocando con le ceneri della mia anima spezzandomi le ossa e lacerandomi la carne distruggendo i miei pensieri io ti osservo placido e rido finalmente rido forte e per sempre. LXII. E mentre il sole cadeva in picchiata nel cielo di porpora i motoscafi prendevano il largo scivolando sul ciglio dell’orizzonte si sdraiavano le ombre i cormorani schernivano il mare ed io contemplavo l’impronta del tuo corpo nudo sulla sabbia una lacrima sul seno la ruga che spunta quando sorridi il cielo dopo la tempesta che infinito si perde nel tuo volto finalmente sereno. LXIII. Prega i tuoi dei bambina ingranaggio di lussuria che la terra si apra e ti inghiotta come una vagina ti aspetto io sul fondo armato di Ovidio e lubrificanti fruste, candele e manette il paradiso è deliziosa prigione cancelli di carne cielo di specchi prega i tuoi dei bambina elettriche squame rosa foreste di lingue rosse e un gigantesco cuore nero immobile, spento ma tu ed io sappiamo come accenderlo bambina mia e lo faremo, oh si che lo faremo. LXIV. Vivi abbastanza da veder morire i tuoi eroi e potrai dire allora di esser saggio scrivi con le unghie, con i tendini e coi nervi e potrai dire di essere sincero fa l’amore con i giorni rinunciando all’orgasmo e potrai dire di essere sereno scegli la fatica di aprire gli occhi al mattino e potrai dire allora di esser vivo solo perché la vita non ha senso né scopo non rinunciare allo sforzo costante di stare in piedi come la scimmia primigenia nostra antenata che guardando il sole si erse per la prima volta seguendo la nobile illusione di poterlo afferrare. LXV. Ai bordi taglienti delle strade l’anima simile ad uno specchio rotto ascolti il mondo ruttare piano mentre ti digerisce come una vongola le automobili demoni danteschi i lampioni picche da impalamento il cielo puro fango nero allora prendi la bottiglia di vino e vuotandola d’un fiato la infrangi e con i cocci in mano ti getti nella mischia brandendo fiero la tua lama dionisiaca macellando il grigio, quieto, apatico mondo con una risata ululante che sovrasti l’assurdo assordante silenzio che spinga tutti quanti a toccare il fondo. LXVI. Il sorriso è l’unica cosa vera che possiedi la tua spada e il tuo scudo nelle frane della sorte la nemesi del caos, il dato certo nell’equazione il perno fisso nella ruota dei mutamenti lascia che gli alberi crescano e le persone si ignorino che le pistole sparino e gli animali si accoppino lascia che le fogne si riempiano che le stelle si allontanino lascia il pane bruciare nel forno hai il tuo sorriso sulle labbra la smorfia d’Atlante tenero virgulto e colonna portante che in segreto sostiene il mondo. LXVII. Si prega di slacciare le cinture di sicurezza aggrapparsi saldi al seno della musa che ci allatta si prega di collezionare stelle e vomitare arcobaleni al mattino bere tè bollente, alla sera vino dei pensieri si prega di filtrare il mondo con lo sguardo e quindi depurarlo sfigurare gli angeli più casti, intinger tutta la filosofia nel lardo si prega di fissare la tigre negli occhi, anche mentre ci mangia scalciare forte vostra madre quando ancora siete nella pancia si prega di bere per ricordare ciò che il bere ci ha fatto dimenticare usare le parole come stampelle e le stampelle come protesi fino a quando le protesi saranno carne, e i nostri sogni in fondo al mare. LXVIII. L’alba ci sorveglia come sadico carceriere mentre noi gli ridiamo la notte in faccia ribelli galeotti imprigionati dalla luce incatenati nel ciclico ribadirsi del giorno avvogliamo la tristezza nei drappi del vino danziamo al suono del buio come pizie epilettiche fissando il sole negli occhi senza sbatter ciglia in equilibrio pazzo sulla sfera della luna come acrobati onirici, atleti dell’oblio con un salto accendiamo sigarette nelle comete il cuore sul comodino come posacenere scheggiato nessun dogma, nessuna filosofia, solo carne accoppiamenti sui tetti e parti in vicoli oscuri vizi cullati come figli adorati spieghiamo a Dio la matematica e al Diavolo il peccato felici vagabondi tra le note dell’ombra la nostra preghiera è la risata nel crepuscolo e le stelle sono come lampadine che un giorno spegneremo. LXIX. Ininterrotta sgorga la notte dalle nostre menti sgocciolando sulla superfice dei pensieri goccia dopo goccia (rimarrà la macchia) scandendo il tempo come un metronomo coagulandosi in forme geometriche semplici e pure e crudeli (rimarrà la macchia) è così dunque siamo solo sacchetti di pelle contenenti ossa e altra brodaglia rossa che uscirebbe se potesse da questo squallido motel chiamato corpo dilagando liberamente sul pavimento (rimarrà la macchia) si, lo sappiamo tutti la verità è una terra inospitale inadatta alla proliferazione della vita la menzogna è il nostro paracadute la nostra calda coperta la menzogna è il nostro universo perché ogni generalizzazione è menzogna ogni insieme è menzogna ogni recinzione o contenitore o sacchetto menzogna solo il particolare esiste l’atomo in movimento l’indivisibile e anche questo in fondo è solo un ulteriore limite che ci siamo imposti solo una boccata d’aria un po’ di relax prima della follia totale in questa matrioska senza fine in questo eterno sgocciolio di pensieri e pianeti. (rimarrà la macchia) LXX. Lascia andare come il primo pugno della tua vita con le lacrime agli occhi e la rabbia nel destino lascia andare chiudi gli occhi come prima di dormire sperando di non sognare abbracciato dalle calde coperte della notte sfuggendo all’ultimo pensiero cacciatore come un bambino sotto la gonna della madre lascia andare. LXXI. Corpi nudi distesi al sole donano la loro vita alla luce (paladini della logica che si crogiolano nella loro moralità) mentre gli uomini-vampiro attendono impazienti la nascita della luna nuova incuranti delle leggi del sole disgustati dalla frenetica attività del giorno. Io e loro mentre il mondo dorme sappiamo bene che la notte è solo un dolce e breve intervallo completamente privo di senso durante il quale bere e pensare e scrivere. Tutto qui. LXXII. E’ così la vita è meschinità, sudore, rabbia. Eppure quando le dita della mente sfiorano la caustica superficie della follia proprio quando hai voglia di scagliare la tua faccia contro lo specchio sghignazzante del mondo allora comprendi. Lì giace il segreto del crepuscolo. Il sospiro che trasforma la notte in alba. Il boccone deglutito che scivola nell’abisso, e che ora sei pronto a digerire. Quindi abbracci la donna che dorme al tuo fianco non importa che sia tua madre una puttana, Maria Vergine o l’amore della tua vita. L’abbracci, come se fosse l’ultima cosa viva al mondo. E finalmente ti addormenti. Regalando un sorriso più luminoso del sole al tuo volto sazio rivolto alle ombre della notte, sconfitte ma intimamente soddisfatte della tua vittoria. Loro sapevano che ce l’avresti fatta loro sapevano, come tu sai che la morte è il motore, della vita e dell’amore. LXXIII. Gioca il lampo con il buio fugace sorriso sul volto della notte sbrodolano i pensieri alla finestra come vino sulla camicia che indossi da una settimana soffre l’asfalto accogliendo la pioggia implorando il fiore perduto negli aridi ingranaggi dei nostri pensieri. LXXIV. Fate nel piombo fuso sirene sott’olio, come sardine unicorni al mattatoio sfingi che miagolano in salotto angeli spennati e diavoli castrati poeti imbavagliati esiliate creature di un antico sogno siamo sudditi ribelli nel regno del “non puoi” ci imponiamo alla realtà con un vagito il ruggito possente del bambino ancestrale sventolando fogli di carne brandendo nomi d’osso parole acuminate come un “si” e verbi immortali come un “posso”. LXXV. Siamo nel gorgo e ci ridiamo sopra barcollanti sull’orlo della notte il cuore scagliato lontano, nel buio come una sveglia rotta una lattina vuota una bomba il vino è il nostro sangue il fumo la nostra aria tiriamo la coda ai diavoli strappiamo le piume agli angeli ci tuffiamo nei vulcani e demoliamo i templi immortali canaglie dello spirito siamo nel gorgo, e ci ridiamo sopra. LXXVI. Folle maschera di carne sei cubetto di ghiaccio nel drink di Dio sorseggiato come sangue per il vampiro sei sigaretta nella bocca della luna la sigaretta che hai giurato fosse l’ultima sei torta di cuore umano nel compleanno della tua morte coraggio soffia sulla candelina sulla candelina che ti illumina quella candelina sei tu folle maschera di carne coraggio soffia e spegniti: la cenere è il regalo della luce. LXXVII. Sei scheggia di stella e labirinto senza nome sei luminoso mistero, libera equazione vino dei pensieri e nicotina del cuore sei gemma infranta nel sepolcro dell’amore sei luna in pieno giorno imperturbabile sicario del cielo candido boia sul patibolo dove io giaccio torturato tra i petali del tuo sguardo appassito e derelitto mi piego su me stesso come solitario girasole nella notte. LXXVIII. Conficcherò una forchetta nel tuo gelido occhio eiaculando simile a scimmia borghese darò fuoco ai tuoi piaceri più vergini ti percuoterò le natiche con fulmini di gelosia inconcludente sentimento di lussuria ottuso godimento sfuggente sei uno sbadiglio in guerra vento sott’acqua fiore nel fuoco sei veleno di miele e groviglio di lame rosa ti masticherò il naso ti strapperò il sorriso come carne dall’osso e ridendo simile a cascata mi getterò dal balcone del Motel Luna gridando nel vuoto il tuo vano nome Amore. LXXIX. Seduto tra le vampe della cupidigia sul mio trono lentamente brucio attendendo le tue labbra come onde il tuo sorriso come nubifragio abisso lussurioso in cui tuffarmi ardente simile a fenice fiammeggiante meteora di tormento angelo di fuoco scintilla vivente illuso incandescente che sogna invano di spegnersi un giorno nel tuo bacio che è oceano che è oceano di benzina. LXXX. Ogni sasso è il tuo castello e ogni lacrima il tuo diamante, il sorriso la corona del tuo volto i pianeti lo scettro dei tuoi occhi le stelle i nei della tua pelle le farfalle i destrieri del tuo cocchio sei fuoco nel vuoto sei battito senza cuore sei sole con la pioggia il giorno è il tuo regno e il mio rifugio dove mi nascondo aspettando la notte aspettando quella notte in cui il mio scheletro spellato ballerà il tuo nome annullando il tempo sciogliendo le montagne commuovendo Dio ma lasciando te impassibile ad ignorarmi sorridente barricata nel tempio della tua bellezza. Ogni sasso è il tuo castello, ogni lacrima il tuo diamante. LXXXI. La vita è un gioco che si fa da soli come la televisione il pianto o la masturbazione la vita è un gioco che si fa da soli questo il chiodo fisso nella notte dei pensieri nel sudario della nostra stanza nell’anticamera dell’alba che ci aspetta inquieto sogno di un ingenuo bambino mi giro e mi rigiro nel letto come un naufrago nella tempesta cercandoti la vita è un gioco che si fa da soli ma questa notte questa notte vorrei farlo con te. LXXXII. Hai scoperto che ti sto fissando da qualche minuto e da sempre seduto ubriaco nell’ultimo tavolino in fondo al locale nell’ultimo locale in fondo al mondo hai scoperto che ti sto leccando con gli occhi da qualche minuto e da sempre mentre i rumori della città si spengono il tempo si spezza e tutta la luce si concentra su di te come un riflettore puntato da Dio in persona e io piccolo come una mosca sul bordo del mio bicchiere resto qui pietrificato a godermi il più straordinario spettacolo nell’universo intero: la tua chioma che ondeggia annoiata accarezzata dalla calda brezza di Agosto. LXXXIII. Le tue carezze come schiaffi solleticano la mia sete di lussuria mentre ti verso vino tra le cosce e Rachmaninov alla radio è all’orgasmo siamo come sigarette l’uno per l’altra ci succhiamo l’anima a vicenda per risputarla fuori in uno sbuffo di fumo nero siamo cavalieri del vizio monaci dell’ebbrezza servi della voluttà eternamente alla ricerca del vuoto lo stesso vuoto che scorgo ora nei tuoi occhi languidi all’apice del piacere dei sensi. LXXXIV. L’alba nei tuoi occhi e il tramonto nei tuoi baci, come sorridere appena svegli leccati dai primi raggi del sole come correre ridendo inseguendo sogni sulla spiaggia come farsi un bagno caldo in una giornata di fango come guardare l’oceano nella notte cullati dal fragore dei marosi come ubriacarsi bevendo acqua, così io con te. L’alba nei tuoi occhi, il tramonto nei tuoi baci. LXXXV. Sapete non è poi così male, quando il vento scompiglia le chiome delle donne e il profumo di quel divino groviglio stuzzica le nostre narici da fauno. Non è poi così male, quando ti siedi dopo aver camminato a lungo e guardando l’orizzonte impacchetti il tuo ultimo pensiero e semplicemente respiri come se fosse l’unica cosa di cui avrai bisogno per il resto della tua vita. Non è poi così male, sentire una ristata che scoppia dall’esofago e lasciarla libera per il mondo a salutare il cielo gli uomini gli alberi gli edifici ogni cosa morendo infine felice come gli amanti dopo l’orgasmo la belva dopo il massacro il cuore dopo il battito. Che i vostri giorni siano l’anticamera per la notte più bella, che il cielo infine si schiuda regalandovi una fede che non abbia bisogno di Dio, e in caso di necessità ricordate sempre che vivere aspettando la bellezza in fondo non è poi così male. LXXXVI. Osservavo intensamente il volo leggiadro di una bolla di sapone. Troppo tardi mi accorsi di essere stato imprigionato al suo interno. Arrivò il vento… LXXXVII. Il delirio ispeziona le nostre menti regolarmente. C’è follia ovunque, scorribande di demoni vampiri eleganti mummie che gridano bambini vecchi e silenziosi. Qualcuno conosce il segreto là fuori qualcuno sa accudire la pazzia e la piega ai propri scopi, la sua vita è un’arte che non ha bisogno di spettatori, il suo ego si guarda allo specchio, si volta, sorride, e crea.