Il libro segreto di Dante
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Il libro segreto di Dante
Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 1 Francesco Fioretti Il libro segreto di Dante Newton Compton editori Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 2 Prima edizione: maggio 2011 © 2011 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-2985-6 www.newtoncompton.com Realizzazione a cura di Corpotre, Roma Stampato nel maggio 2011 da Puntoweb s.r.l., Ariccia (Roma) su carta PamoSuper della Cartiera Arctic Paper Mochenwangen Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 3 I 13 settembre 1321 A metà dei miei giorni me ne andrò alle porte degli inferi. Chissà perché proprio allora gli vennero in mente così, mentre appoggiava un piede a terra tastando cautamente il suolo, quelle parole misteriose che aveva scritto il consigliere di Acaz di Giuda, il più grande tra i profeti dell’era antica... Forse succede a tutti prima o poi, nel bel mezzo di una vita, a trentacinque anni, quanti ne aveva anche lui: che si possa essere presi da un inesplicabile senso di vuoto, come quando si danza sull’orlo dell’abisso. Capita soprattutto se si è smarrita la via, e si arranca irrequieti tra le spire malsane della solitudine, che tutto all’improvviso paia insulso, vanitas vanitatum, persino il fatto di essere dove si è, se si era partiti con altre aspirazioni. Se si vuole essere onesti con se stessi occorre ammettere un mezzo naufragio, altrimenti si rischia di aggrapparsi a illusioni scadute, di crearsi un alibi per il 3 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 4 fallimento, di proseguire il viaggio cullandosi tra le menzogne poco rassicuranti di una falsa coscienza... Magari è solo un attimo quello in cui si percepisce l’inganno e si avverte, sopra di sé, il silenzio insopportabile dei cieli. Ebbe la strana sensazione, lì al buio, che davanti ai suoi piedi dovesse da un momento all’altro spalancarsi il baratro. Il senso della vita degli altri, il senso della sua, lì dov’era, e le storie di tutti in quell’attimo gli parvero non più importanti delle generazioni d’erbacce che si avvicendano nei prati. Avesse dovuto chiuderla così, si domandò quale fosse stato il significato di quell’incongrua sequenza di fatti minimi che era stato il suo viaggio... Tuttavia non ebbe tempo d’indugiare a lungo su quei pensieri. Forse perché aveva dovuto smontare dal suo cavallo, e adesso lo conduceva tirandolo per le briglie. E perché doveva stare molto attento a come avanzava, a piedi, molto lentamente e a fatica, nell’oscurità assoluta della foresta in cui si era perduto. Non aveva idea di come fosse finito in quella selva inestricabile, groviglio di sottobosco in cui rimaneva a ogni passo impigliato alle edere, ai rovi, agli agrifogli, che gli avevano lacerato i calzoni e il mantello. Sanguinava il braccio che aveva libero, e con cui cercava alla cieca di pararsi dai rami spinosi. A volte sembrava che gli sterpi, spezzandosi, e i ciottoli, franando, pronunciassero un crepitio incomprensibile di 4 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 5 consonanti, come il becero insulto d’un rauco giudice infernale. «Colpa tua»: gli parve persino di udire queste parole, in un rimbrotto di sterpaglie calpestate. E certo era solo la voce d’una coscienza inquieta, che suole torturare il torturato dalla sorte presentandogli le avversità come una punizione, e la punizione come l’effetto di un peccato, qual esso sia. In verità non c’era colpa alcuna nell’esser finito lì come un ladro braccato, nel seguire vie impervie per non cadere nelle mani di nemici ignoti, forse solo immaginari, e magari pronti a fargli pagare i presunti debiti di un altro. La provincia d’Italia è così, una terra molto faticosa, una guerra di tutti contro tutti. Adesso lì, nel bosco, le fronde dei frassini erano talmente fitte che neanche un raggio di sole penetrava attraverso il fogliame. Nel buio avvertiva solo il nervosismo del cavallo. L’aria era calda, immobile, la sua gola secca. Era sporco di terra e di sangue, e la sua sete era incolmabile. Cadde ancora una volta – più d’una era già caduto – e ogni volta rialzarsi era più difficile. Si sforzava di mantenere costante la rotta: se avesse proseguito sempre in una sola direzione, se non altro ne sarebbe uscito. Anche i boschi finiscono prima o poi, il peggio sarebbe stato invece girare a vuoto. E tuttavia quella gli parve, se ne fosse uscito vivo, un’esperienza carica di sovrasensi, così come capita a volte, vivendo, che si proceda a tentoni, e che ci 5 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 6 si armi nell’oscurità del cammino di un destino provvisorio; e ci si augura, procedendo senza sapere nulla, di uscire prima o poi alla luce, di ritrovare la via. Così è la selva del mondo. Ma faceva molta fatica a mantenersi su un percorso rettilineo: percepiva soltanto l’inizio di una salita, la foresta era in una valle, e dunque forse, procedendo verso la cresta del colle avrebbe ritrovato il sole e la strada che aveva smarrito, o comunque sarebbe cominciata la discesa dell’ultimo tratto d’Appennino. Bisognava rimettersi in piedi, non perdere la speranza della luce. Si rialzò, ma inciampò subito tra polloni freschi di carpini a ceppaia, e cadde, di nuovo, come corpo morto... Le ciglia allora gli si bagnarono di disperazione. Perché nella caduta, questa volta, aveva lasciato andare la briglia e aveva perso il cavallo, che non vedeva più. Chiuse gli occhi, e tentò di calmare l’agitazione. Tra le lacrime che inumidivano i suoi occhi gli parve allora di percepire un bagliore, il lembo d’una veste bianca che strisciava verso l’alto lungo il tronco d’un acero: un angelo, forse, o un fantasma femminile. Si asciugò gli occhi, alzò lo sguardo e vide che invece era semplicemente una lama di luce che feriva le chiome impenetrabili della foresta. L’anima gli si dilatò, come un fiume che diventa lago. Si appoggiò con la mano su un ginocchio e 6 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 7 si rimise in piedi, fece ancora dei passi. La salita era più ripida e gli alberi si diradavano. Si disse: «È fatta». Ancora un passo e sbucò oltre il margine del bosco, che finiva su una landa deserta di terra rossa screpolata; il paesaggio gli parve irreale: un colle brullo dietro la cui cima si intuiva la luce di un sole nascente. E in lontananza, su quella terra riarsa vide la lettera elle, una grande elle maiuscola dal pelo maculato: era la Lynx, certo, la riconobbe... oppure un leopardo accovacciato che si leccava una spalla? Si fermò spaventato e si chiese dove mai fosse finito. La terribile apparizione animalesca era ancora lì, immobile, e adesso lo fissava. Fu certo che si trattasse di una visione demoniaca; era una figura cangiante, che mantenendo la posa a elle, stava assumendo le fattezze del grande Leo: sì, era già il superbo leone dalla folta criniera, che si alzò imponente sulle quattro zampe, facendo tremare l’aria intorno. Pensò che la elle dovesse essere un marchio luciferino, la cifra del re d’Inferno. Spesso il Maligno assume le fattezze di animali che non sono animali, tant’è che cambiano aspetto come Proteo l’informe: infatti ora la bestia si stava già tramutando nella Lupa, una lupa famelica, magrissima, vorace, che un attimo dopo la metamorfosi lo puntò. Una bestia orribile ed enorme, che cominciava ad avanzare sbavando verso di lui. Era rimasto immobile, pronto a scappare verso la fore7 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 8 sta. Poi la lupa aveva iniziato a correre nella sua direzione, ma lui era come paralizzato e non riusciva a muoversi. Si accorse del cane da caccia, il Vertragus, un veltro agilissimo? un levriero?... sbucato da chissà dove. S’era messo a inseguire la lupa e adesso tutte e due le bestie si stavano avvicinando di corsa. Ma sembrava che il suo corpo non gli obbedisse più, che la sua anima se ne fosse separata, e il pensiero di fuggire non si trasformava in nessun movimento delle gambe. La lupa gli era già quasi addosso. In preda al panico, pensò che fosse arrivata la fine, ma poi vide la terra che si ritirava terrorizzata. Vide il suolo aprirsi davanti ai suoi piedi in una voragine senza fondo, la lupa sprofondarvi, con il veltro alle costole: giù giù, fino al cuore magmatico della terra che la inghiottiva nell’abisso da cui era stata sputata fuori. Riaprì gli occhi, sudato, ancora in preda all’agitazione per la scena terribile appena sognata, tanto che trovò persino rassicurante il fatto di risvegliarsi lì, nel buio ancora fitto della foresta infestata da veri lupi, nel posto in cui era caduto l’ultima volta e dove s’era assopito. “Forse gli incubi servono a questo”, si disse, “a ritrovare familiare la realtà più opprimente del giorno che ci attende”. La stanchezza doveva averlo vinto e gli aveva chiuso gli occhi. Aveva completamente perso la cognizione del tempo. Lo tranquillizzò sentire il nitrito, lì vicino, del suo cavallo. 8 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 9 Che cosa aveva sognato, poi? La scena del primo canto della Commedia, che aveva riletto prima di partire: la Lynx, il Leo, la Lupa, i tre simboli della lussuria, della superbia, dell’avidità, che nella selva oscura impediscono a Dante la via verso la luce. Mai però aveva prestato attenzione a quel che il sogno adesso gli aveva rivelato: i loro nomi iniziavano tutti per elle, le tre bestie sarebbero potute essere altrettante manifestazioni dell’invidia prima, di Lucifero che le ha partorite e a cui il Vertragus, il veltro, le rispedirà. Giunto a Ravenna, avrebbe raccontato il sogno a Dante Alighieri in persona, e insieme ne avrebbero riso. Finalmente quello che era diventato il più grande poeta del tempo gli avrebbe parlato, e lui avrebbe potuto chiedergli di persona tutto ciò che desiderava sapere e manifestargli tutti i suoi interrogativi sul magnifico poema che stava scrivendo. Gli avrebbe chiesto a chi alludeva con il misterioso veltro del primo canto della Commedia, e a chi poi con l’altro vendicatore, il Cinquecento diece e cinque, il DXV. Forse un dux, un condottiero, gli pareva di capire anagrammando le lettere latine del numero, l’enigmatico messo divino annunciato alla fine del Purgatorio. C’erano tante cose da chiedere. Doveva solo proseguire in quelle tenebre, uscire dalla selva oscura, ritrovare la strada verso il mare, verso l’alba, verso l’antica capitale dell’Occidente. Si guardò intorno, vide spuntare tra i 9 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 10 rami alti degli alberi la luna prossima al tramonto. Le volse le spalle e proseguì nella direzione opposta, riafferrando le briglie del suo cavallo. In direzione opposta al tramonto, verso l’Adriatico, il mare da cui sorge il sole: adesso sapeva dove andare. Fortunatamente dopo pochi passi intravide un sentiero che fendeva il sottobosco, ancora troppo impervio per percorrerlo a cavallo, ma al termine del quale si trovò su uno sterrato più ampio. Rimontò sulla sua cavalcatura e corse a briglie sciolte in una direzione che era a metà tra la stella polare e Venere, che brillava luminosa all’orizzonte, lì dove presto sarebbe sorto il sole. Lucifero, la stella del mattino, scòrta del sole nascente. Arrivò al galoppo sulla cresta dell’ultima collina prima del litorale, si fermò a far riposare il suo destriero e a curarsi le verruche col lattice d’euforbia. Davanti a lui si apriva la pianura, con le mura illuminate, di una città sull’Adriatico che adesso si vedeva in lontananza. Il sole cominciò ad affacciarsi proprio allora, un punto rosso sul limite estremo del mare a sud-est. Non c’era foschia, e lo vide lentamente salire fino a diventare una palla di fuoco appoggiata all’orizzonte. Lo aveva ammirato tramontare sul Tirreno, qualche anno prima, ma mai sorgere dal mare. “Alla gente che vive da queste parti”, pensò, “deve sembrare una cosa consueta, eppure è una scena che riempie di nuova energia. La natura si sveglia, 10 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 11 gli uccelli iniziano a cantare tutti insieme, il giorno comincia in pochi attimi: è l’emozione dell’inizio, nella sua intensità più pura... Chissà se il poeta, negli ultimi anni ha respirato quest’annuncio di nuova vita, se ancora si sveglia presto per non perdersi spettacoli come questo, adesso che vive qui, in riva all’Adriatico, dove il Po discende per trovare pace per sé e i suoi affluenti stanchi di Lombardia”. Si stese sotto un pino a riposare, prima di riprendere il cammino. Che fosse stata proprio quella la prima alba in cui Dante non avrebbe più riaperto gli occhi – quegli occhi che erano stati così sensibili a ogni minima vibrazione della luce – lo seppe solo quando finalmente arrivò a Ravenna e stava cercando la sua locanda alle vecchie case dei Traversari, nei pressi di San Vitale. Era entrato dalla Porta Cesarea infilandosi nella guaita di Sant’Agata Maggiore, aveva attraversato un paio di ponti su ciò che restava dei canali dell’antica laguna, letti limacciosi di fiumi divenuti secche cloache, da cui esalava aspro lezzo di putrefazione: “il sepolcro a cielo aperto”, aveva pensato, “dell’Impero antico”. Era poi sbucato nella piazza della chiesa della Resurrezione e aveva sentito un banditore comunale fare il nome dell’altissimo poeta. Così aveva appreso che la salma di Dante Alighieri, cinta d’alloro e 11 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 12 ornata come s’addice a uomo di tale grandezza, per volere esplicito di messer Guido Novello da Polenta, signore della città, sarebbe stata portata in processione dalla sua dimora ravignana fino alla chiesa dei Frati Minori, dove l’indomani si sarebbe svolta la cerimonia funebre. Un tuffo al cuore. Si era ritirato sotto un portico, trascinandosi dietro il cavallo, per nascondere le lacrime. Il lungo viaggio che aveva fatto per arrivare fin lì, per parlare con lui, l’unico che avrebbe potuto aiutarlo: tutto inutile. Non avrebbe mai potuto nemmeno raccontargli di come quella dell’immenso poema stava diventando la grammatica dei suoi sogni. 12 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 13 II Si decise a entrare soltanto poco prima del tramonto, quando la folla s’era sciolta e l’andirivieni era terminato. La chiesa che a Ravenna qualcuno chiamava ancora di San Pier Maggiore, e che adesso era dei frati di San Francesco, era immersa in una quieta penombra irrorata d’incenso. Erano accese solo poche torce alle pareti, tra gli affreschi ingrigiti di nerofumo. Non c’era quasi più nessuno: soltanto una sorella di Santo Stefano degli Ulivi a vegliare sulla salma collocata davanti all’altare. Lui sapeva bene chi fosse quella donna: Antonia, di sicuro, la figlia di Dante e di Gemma, entrata in monastero col nome di suor Beatrice. Ormai nessun altro sostava vicino al letto funebre, qualche fedele ancora a pregare, in ginocchio, in fondo alla chiesa, e quattro armigeri del Polentano a due a due ai lati dell’altare, i quali, ora che la situazione era tranquilla, si erano seduti a riposare sui seggi di legno dei Frati Minori. Tra la popolazione c’era anche chi credeva che Dante, all’Inferno, ci fosse andato davvero in carne e ossa, quand’era vivo, 13 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 14 e correva la diceria che fosse dotato di poteri soprannaturali: la superstizione avrebbe anche potuto portare ad atti di profanazione, a prender pezzi di stoffa o persino brandelli di carne del morto come amuleti, per scongiurare la malasorte, come accadeva coi santi. Quattro militari evidentemente bastavano a tener lontane quelle crudeli manifestazioni di follia plebea. Rimase fermo alle spalle della figlia, che pregava inginocchiata ai piedi del padre. Il poeta era lì, mani in croce sul petto, ferita bianca sul vestito nero. Lo salutò in cuor suo. «Grazie di tutto, maestro», gli disse. Lo immaginò camminare un po’ curvo come lo aveva visto tempo addietro, avanzare a passi lenti verso la luce accecante in cui pian piano lo vedeva dissolversi. Era passato in questo mondo, e il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Sentì proprio in quell’istante la monaca singhiozzare e dovette mordersi le labbra per non mettersi a piangere anche lui. Antonia si alzò in lacrime, rimase un attimo ferma, poi si avviò in fretta, nascondendo il volto, verso la porta che conduceva alla sagrestia, dietro la quale sparì. Allora si avvicinò lentamente al morto, e lo osservò. Vide che aveva il volto sereno, appena un po’ accigliato, come quando era assorto nei suoi pensieri. Era magro e le guance, scavate in due solchi ai lati della bocca, facevano risaltare, più di quanto ricordasse, le larghe mandibole. La fronte alta, che gli sembrò gigantesca, era coronata 14 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 15 d’alloro. Notò che aveva le labbra nere, e questa circostanza lo inquietò. Di cosa era morto? In giro si diceva della malaria delle paludi di Comacchio, mentre si recava a Venezia per conto del Polenta. Come il suo amico d’un tempo, Guido Cavalcanti, il destino aveva voluto che fossero accomunati dalla stessa morte: i veleni dell’aria, quando erano sopravvissuti a quelli della politica. Da medico, era abituato a vedere volti senza vita, corpi abbandonati dall’anima, e quasi non ne aveva più paura. Ma adesso gli si stringeva il cuore, come se si fosse spenta di colpo una parte importante del suo mondo, oscurata per sempre una zona ampia dell’universo in cui viveva. Le labbra nere gli parvero però indizio d’altra sorta di veleni che quelli dell’aria. Si ricordò d’un tale che era morto intossicato, di cui a Bologna, col suo maestro averroista, aveva fatto l’autopsia. Gli tornò in mente il clima da società segreta, da setta iniziatica, che avvolgeva quegli esperimenti ispirati dai trattati arabi, e in odore d’eresia. C’era il gusto del proibito, il fascino insieme della scoperta e della profanazione. Non riuscì a resistere alla curiosità, all’impulso di ripetere quell’antica esperienza. Sbirciò intorno a sé per vedere se qualcuno lo stesse guardando e gli parve di no. Allora prese una mano del poeta e ne esaminò attentamente il palmo e le unghie. Poi, vinta un’iniziale ripugnanza, cominciò ad aprirgli la bocca, con l’intenzione di osservargli la lingua, quando 15 Trentaduesimo_Dante_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:23 Pagina 16 alle sue spalle si levò un urlo: «Cosa fa quello lì? Ehi, uomini di guardia!». «Blasfemia!», urlò un’altra voce, «blasfemia!». Un armigero gli fu subito addosso allontanandolo dal volto di Dante. Un altro si precipitò ad afferrarlo per i piedi, e un terzo gli sferrò un pugno mentre cercava di spiegare. «Un mago, uno stregone!», diceva qualcuno, e gli si era già formato intorno un piccolo crocchio di gente, curiosa e vogliosa di menar le mani. «Al rogo, al rogo!». Riuscì a dire: «Per carità!», e a malapena a scongiurare: «Fatemi parlare con Iacopo Alighieri, suo figlio, posso spiegargli tutto...». L’uomo che aveva di fronte aveva già preso la rincorsa e la mira per un secondo pugno, meglio assestato del primo. Fortunatamente, richiamata da quel vocio, ricomparve Antonia e chiese alle guardie cosa stesse accadendo. Così la vide in faccia, per quanto in parte coperta dal velo, e anche nella confusione del momento notò la sua bellezza. Era ancora molto giovane, gli occhi verdi lucidi di pianto e lo sguardo profondo, vivace, che lo scrutava, e dava segno d’aver capito al volo che da lui non c’era niente da temere: «Chi siete voi, signore, cosa volete?»… (Continua in libreria…) 16 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 1 Lars Rambe Il mosaico di ghiaccio Newton Compton editori Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 2 Titolo originale: Skuggans spel Copyright © Lars Rambe 2010 by Agreement with Grand Agency, Sweden, and Pontas Literary&Film Agency, Spain Traduzione dallo svedese di Mattias Cocco Prima edizione: maggio 2011 © 2011 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-3016-6 www.newtoncompton.com Stampato nel maggio 2011 presso Puntoweb s.r.l., Ariccia (Roma) su carta PamoSuper della Cartiera Arctic Paper Mochenwangen Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 3 Prologo Sabato 1° luglio 2006, ore 08:38 Era tutto come in un sogno: difficile da afferrare, effimero e, in un certo qual modo, assolutamente insostenibile. Era, allo stesso tempo, il migliore e il peggior giorno della sua vita. Quello che lei aveva atteso tanto a lungo. I laghi Marvikensjöarna erano incredibilmente belli. Era affascinata dalle impressionanti pareti di roccia al di sopra delle loro teste, dal modo in cui i pini spuntavano direttamente in mezzo ai massi per poi svettare spandendo un’ombra delicata sull’acqua. Ogni volta che il remo veniva sollevato, lasciava cadere delle gocce sulla superficie del lago, che scomparivano rapide com’erano cadute. Lei non aveva mai vissuto con tale trasporto l’estate svedese. Amava quei luoghi, malgrado tutti i ricordi che le affioravano alla mente. Åkers Bergslag era un posto unico, una terra fiabesca che appariva dal nulla e accoglieva il suo ospite. Da tempo, desiderava condividere 3 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 4 quell’esperienza con l’uomo che le stava seduto di fronte nel kayak. Un regalo che gli offriva senza condizioni, una gioia di per sé. Eppure quasi non scambiarono una parola. Forse si trattava del silenzio dettato dalla tranquillità, dal senso di appartenenza reciproca, o forse era qualcosa di completamente diverso: il triste viaggio verso l’ora della verità, quando tutto ciò che temiamo ci sarà rivelato. Lui l’aveva fatta arrabbiare, l’aveva terribilmente delusa e resa infelice. Non aveva mai confessato a nessuno quant’era furiosa. Per tanti versi, il suo tradimento l’aveva obbligata a vivere una vita che detestava, una vita che non valeva più la pena di essere vissuta. Ma adesso sarebbe finalmente terminata. Sorrideva tra sé pensando al percorso che li aveva condotti fin lì, agli inverosimili eventi e alle circostanze che li avevano fatti incontrare. Ciò che lei aveva fatto era riprovevole, egoistico ma profondamente appagante. Era stato versato sangue umano ed erano state sacrificate vite altrui, eppure lei non aveva intenzione di guardarsi alle spalle. Presto sarebbe finito tutto. Presto sarebbero stati loro due soli, lontano da lì. *** Si sorprendeva di quanto godesse nello sforzo fisico. 4 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 5 L’energia che si propagava nel suo corpo indebolito, dalle braccia fin dentro l’acqua scura. Era un movimento attutito e vorticoso, sopra abissi spaventosi, su quella barca fragile. Totalmente esposto, ora sedeva di fronte alla donna che la vita gli aveva restituito e che aveva riscoperto, ancora sorpreso che ciò fosse accaduto. Riusciva a sentirla in ogni suo movimento, una vicinanza erotica che gli procurava un dolore incessante nelle membra. Avevano fatto l’amore quella notte, senza ragione e senza pietà. In ogni caso, non c’era pietà per lui. Sapeva che lei non avrebbe mai potuto capire i suoi rimorsi, l’adorazione che nutriva nei suoi confronti, così insostenibilmente mescolata ai sensi di colpa. Vergogna, colpa e felicità insieme. Si sentiva disorientato. Sorrise tra sé. Forse avrebbe dovuto insistere per sedere sul fondo del kayak e posare ancora una volta lo sguardo su di lei, su quella bella nuca che aveva già baciato mille volte e sui suoi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo. Ma questo lo avrebbe portato a chiudere i sensi alla bellezza del mondo esterno. Sarebbe stato un peccato. Le libellule ronzavano e scintillavano, si esibivano in una danza sullo specchio dell’acqua. Di quando in quando, un pesce a caccia di insetti affiorava alla superficie, sbattendo la coda per poi tornare a scomparire. Oltre alle grida dei gabbiani, si udiva solo il rombo di5 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 6 stante di un elicottero, unica prova dell’esistenza di altri esseri umani sulla Terra. La sensazione del sogno purtroppo non durò a lungo. Non ci voleva molto tempo per percorrere in kayak l’estensione di quei laghi stretti e lunghi, neanche per due principianti senza alcuna fretta. Quella di portare il kayak in spalla, di lago in lago, era senza dubbio la parte meno piacevole della gita, ma lui non si lamentava. Lei era in forma e di dieci anni più giovane, mentre lui amava definire la propria pancia “un po’ morbida”. “Il luogo prescelto dalla natura per posarci il suo sassofono”, come gli aveva detto un giorno un suo collega. Jazz, tutto alla fine ruotava intorno al jazz. Lui ovviamente era alla ricerca di qualcosa di diverso, su questo non c’era alcun dubbio. Magari lei lo capiva, o forse no. Si rese conto che non la conosceva, in realtà. Era una chimera, un’illusione che aveva deciso di prendere per vera. “La speranza è l’ultima a morire”, si dice, ma non era forse una speranza vana quella di immaginare un nuovo inizio con lei, quando la ragione e il buon senso gli suggerivano invece di lasciarla andare prima che fosse troppo tardi, prima di rovinare tutto ancora una volta? Allo stesso modo, pensava con paura e dolore a sua moglie e ai suoi figli, a suo fratello, che aveva tutti i motivi per detestarlo; ma anche a ciò che gli era apparso chiaro 6 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 7 ed evidente meno di due giorni prima. Un’opportunità incredibile, una domanda urgente che doveva dimostrare a cosa teneva realmente, e che fornisse una spiegazione. Ma anche lui celava un oscuro segreto, aveva un passato da nascondere. Chi era lui per giudicare? Aveva tanto da guadagnare, e tanto da perdere. Ora scorgeva la fine della tappa, il punto in cui sarebbero scesi per trasportare il kayak in spalla. All’ultima sosta, mentre lottavano per farsi strada con la canoa piena d’acqua in una stradina del bosco fitta di vegetazione, con un sorriso malizioso lei gli aveva promesso una sorpresa al loro arrivo. Non aveva voluto dargli nessun indizio e lui cominciava a essere davvero curioso. In quel punto, la riva del lago non sembrava molto accogliente. Tra i pini del bosco si intravedeva un sentiero. Correva lungo la lingua di terra che univa quel lago con il successivo. Si udì un rombo e passò accanto a loro un’automobile argento metallizzato, dando prova di quanto fosse vicina la presenza umana e infrangendo quella campana di vetro dentro la quale si sentiva tranquillo. *** Adesso vedeva lo strettissimo tunnel di cemento. A quella distanza, non le appariva molto più grande di un puntino nero dai contorni grigio chiaro. Lui ne sarebbe 7 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 8 stato sollevato, era evidente che lo sforzo della discesa con il kayak in spalla gli risultava penoso. Lei era ancora in tempo per evitarlo. Tremava. Non le erano mai piaciuti gli spazi angusti, i passaggi stretti e la buia umidità. Lui l’avrebbe trovato eccitante. E perfetto come conclusione. Gli picchiettò su una spalla, lui si voltò a fatica per riuscire a vederla. Lei sorrise, indicando con il remo verso la spiaggia e il tunnel strettissimo. «È lì che stiamo andando. Niente più pesi da portare!». Lui si rigirò in avanti e lo osservò stupito. Gott im Himmel!1 Possibile? Dovevano veramente infilarsi in quel coso? Si udì un colpo ovattato in lontananza. Forse la portiera di un’automobile, ma poteva anche trattarsi di un albero che veniva abbattuto nel bosco. Man mano che si avvicinavano, la bocca del tunnel aumentava di dimensioni, ma sarebbe comunque stato un passaggio terribilmente angusto. Quanto distava l’estremità opposta? Sentì una stretta allo stomaco, ma non aveva altra scelta che fidarsi di lei. «Metti il remo nel kayak e tieni giù la testa. Io do la spinta». Fece come gli era stato detto. Il buio si infittì, avvolgen1 In tedesco nel testo: “Santo Dio!”. 8 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 9 doli. Provò a guardare avanti, ma insaccò rapidamente la testa tra le spalle dopo aver sfregato dolorosamente contro il cemento ruvido. Poi vennero la luce e l’ombra. Dapprima la luce, mille raggi scintillanti di sole che si facevano strada fino all’apertura del tunnel, un piacevole contrasto con il buio claustrofobico che lo circondava, seguìto dal calore sul volto quando infine fu in grado di raddrizzare la schiena, una volta all’esterno. Poi l’ombra, il profilo di una figura che oscurava il sole. Quando vide di chi si trattava, sbarrò gli occhi. I colpi furono assordanti. Lo fecero cadere prima all’indietro e poi di lato. Paralizzato, affondò nell’acqua fredda, trascinando giù con sé il kayak e la sua amata. 9 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 10 1 Lunedì 12 giugno 2006, ore 02:52 Hampus strillava, ma Fredrik a malapena lo udiva. Si sentiva uno zombie o un fantasma e non desiderava altro che sdraiarsi e infilare la testa sotto le coperte. Teneva il bebè sulla spalla e camminava avanti e indietro. Si vide riflesso nella finestra della cucina: la barba incolta che cominciava a ingrigire e le zampe di gallina intorno agli occhi. Ulrika era, se possibile, ancora più stanca di lui, ma sicuramente era sveglia. Fredrik sapeva che ogni strillo del piccolo riecheggiava dentro di lei allontanando qualsiasi disperato tentativo di dormire. Ulrika allattava ogni due ore. Sembrava che il bambino le stesse incollato al seno praticamente senza mai fare una pausa. I capezzoli della donna erano pieni di ragadi e le facevano male. A questo, andavano aggiunti il continuo timore che le venisse la mastite, il dolore per i punti del parto e Klara, la loro bambina di tre anni, che diventava sempre più piagnucolosa. Fredrik provava a fare del 10 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 11 suo meglio, ma si sentiva sempre più frustrato. Benché cambiasse i pannolini a entrambi i figli e si alzasse di notte appena la moglie gliene dava la possibilità, lei non riusciva comunque a dormire quasi per niente. Era diventata tutt’uno con Hampus: un gran bel quadretto, a un occhio esterno. Eppure per Fredrik era difficile sentirsi a proprio agio nel ruolo di comparsa, quasi quanto lo era per Klara. Erano trascorse meno di due settimane da quando la moglie e il figlio erano tornati a casa dal reparto maternità, esausti ma felici. Dopo un inizio drammatico, però, alla fine era andato tutto bene. Fredrik non avrebbe mai dimenticato com’era cominciata. Quando le doglie erano iniziate alle cinque del mattino, qualche giorno prima della data prevista, lui e la moglie erano stati colti completamente alla sprovvista. Klara invece era nata allo scadere del tempo, e così, per qualche motivo idiota, avevano creduto che anche stavolta sarebbe andata allo stesso modo. I suoceri non sarebbero arrivati da Axvall prima del giorno successivo, e Fredrik aveva dovuto precipitarsi a telefonare al pronto soccorso e implorare di farsi mandare un’ambulanza da Askersund. I suoi genitori lo rassicurarono che si sarebbero subito messi in macchina. Fredrik, in pigiama, aveva svegliato la famiglia Sjödin, che viveva dall’altra parte della strada, ed estorto loro la promessa di badare a Klara se i nonni paterni non fossero arrivati in tempo. Mentre Ulrika lottava 11 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 12 con il dolore in camera da letto, la loro bambina correva in giro per la casa e raccoglieva i suoi giocattoli, inquieta ed eccitata allo stesso tempo. Sapeva che non doveva disturbare la mamma, ma non riusciva proprio a starsene buona. Fredrik aveva telefonato all’ospedale Mälarsjukhuset per annunciare il loro arrivo imminente, avvisando che avrebbero provato ad aspettare ancora per un po’. Le cose tuttavia sarebbero andate diversamente. Con la cornetta ancora in mano, aveva sentito Ulrika che urlava. Le contrazioni aumentavano rapidamente d’intensità e le si erano rotte le acque. In qualche modo, era riuscito a preparare una borsettina con le cose di Klara e a portarla dai vicini dopo aver strillato a Ulrika che certamente sarebbero usciti tra pochissimo. L’aveva pregata di resistere e in risposta aveva ricevuto un ruggito e la minaccia che avrebbe partorito nell’ingresso, se non si fosse sbrigato. Uscendo di casa, non avevano neanche fatto in tempo a richiudersi la porta alle spalle. Quando Fredrik svoltò sulla E20 in direzione di Eskilstuna cominciò a piovere. Gocce pesanti che picchiavano contro la carrozzeria e rendevano quasi impossibile vedere. Nonostante le contrazioni di Ulrika diventassero sempre più frequenti, fu costretto a guidare ben al di sotto dei limiti di velocità. Contava in silenzio i secondi che separavano ogni contrazione, maledicendo la pioggia e ripensando a tutti gli spa12 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 13 ventosi racconti di parti avvenuti sul sedile posteriore di un’automobile. All’arrivo in ospedale, furono fatti accomodare in una sala d’attesa stracolma di gente, e quell’onda di energia che in qualche modo lo aveva sostenuto e accompagnato fin lì, lo abbandonò in un istante. Almeno venti paia di occhi li stavano fissando, ed erano tutti altrettanto ansiosi di entrare per primi. Alcune di loro erano facce note, tra cui Jennifer e P.O. Ahlgren. Lei e Ulrika si vedevano di tanto in tanto al club Ladies’ Circle. Viveva con il marito in un piccolo casale del Settecento poco fuori Mariefred. Fredrik sapeva che P.O. lavorava in banca, mentre Jennifer si occupava del casale, dei bambini, dei cani e dei cavalli. Ulrika gli aveva raccontato di non aver mai incontrato una donna con una tale carica di energia. Dal canto suo, Fredrik pensava che P.O. fosse un tipo gioviale, talvolta anche abbastanza divertente, ma piuttosto riservato. Dava anche l’impressione di essere leggermente ansioso. Sapeva condurre la conversazione nella maniera a lui più congeniale, evitando di toccare argomenti di carattere privato. Anche nella sala d’attesa, sebbene fossero nervosi come tutti gli altri, i due dimostravano un certo distacco. Avevano escluso il mondo circostante e sembravano avere occhi solo l’uno per l’altra. Rapiti da un inequivocabile trasporto. Erano in attesa del loro terzo figlio, che stava arrivando a una certa distanza dai primi due. 13 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 14 Adesso che, in quella notte d’estate, Fredrik se ne stava lì con il suo inconsolabile Hampus tra le braccia, il solo pensiero di un altro figlio gli parve assurdo: forse era vero che c’era un tempo per ogni cosa. In ogni caso, gli sguardi che si scambiavano P.O. e sua moglie avrebbero reso invidioso chiunque. Di certo, né lui, né Ulrika sarebbero mai stati contrari a un ritorno di fiamma di quell’intensità. Ma l’esperienza aveva insegnato a Fredrik che i figli piccoli mettono a dura prova l’idea stessa di una vita amorosa intensa. Lui e Ulrika non avevano dovuto attendere a lungo al reparto maternità, l’urgenza della situazione era risultata evidente al personale medico. In meno di quindici minuti, erano arrivati in sala parto. Ulrika, con una dilatazione di nove centimetri, aveva chiesto che le facessero subito l’anestesia. Il compito di Fredrik era quello di impedirle di iperventilare nella mascherina. Più facile a dirsi che a farsi. «Ancora! Ancora!», urlava non appena lui provava a toglierle la mascherina. Ogni tanto la donna piombava in uno stato di semincoscienza, dimenticandosi di respirare. Alla fine, la situazione era precipitata al punto che non avevano neanche fatto in tempo a farle l’epidurale che Ulrika aveva chiesto disperatamente. Quanto si era sentito sollevato Fredrik, quando l’aveva lasciata alle cure del personale medico. Il bambino era venuto alla luce con un braccio in avanti e l’ostetrica era 14 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 15 dovuta intervenire per aiutarlo nell’ultimo tratto. Lui non avrebbe mai dimenticato il primo sguardo che gli aveva rivolto suo figlio, quando era finalmente tutto finito e il piccolo se ne stava disteso sul seno di Ulrika, avvolto in un asciugamano. Adesso erano in quattro, una vera famiglia tradizionale. Lui e Ulrika avevano parlato dei loro timori su Klara e sulle sue reazioni verso il nuovo arrivato. Era ancora presto per dirlo, soprattutto a causa di quell’unione intensa che si era creata tra Ulrika e Hampus. In ogni caso, Klara era senza dubbio orgogliosa di suo fratello. Cercava di dare una mano, per quel che poteva, il che si risolveva spesso in piccoli incidenti: rovesciava del latte artificiale, rompeva qualche piatto sul pavimento. Ma si trattava di cose con cui bisognava convivere. In questo momento, comunque, Fredrik era felice che stesse dormendo. La cosa peggiore era quando si svegliava anche lei. Più di una volta, gli era capitato di non riuscire a farla riaddormentare, mentre Hampus strillava sempre più forte. Fredrik si lasciò cadere sul divano con un sospiro. Anche lui aveva il diritto di dormire, almeno un po’. Proprio quel giorno avrebbe iniziato a lavorare in redazione una ragazza che sostituiva un suo collega per l’estate, e la faccenda ricadeva sotto la sua responsabilità. Lui aveva ancora quattro giorni di paternità di cui usufruire, ma avrebbe potuto usarli in seguito. 15 Trentaduesimo_Mosaico_dritto_DANTE/MOSAICO 17/05/11 12:19 Pagina 16 Non gli piaceva tanto l’idea di avere una persona alle costole a osservare tutto quel che faceva, ma sarebbe stato difficile dirle di no. Dopotutto, era stato lui a convincere Gege ad accoglierla in redazione. Al momento gli era sembrata una buona idea, ma ora dubitava che fosse così. Un’ulteriore prova del fatto che non aveva capito quale differenza passasse tra l’avere due figli rispetto a uno soltanto. Quando i primi raggi di sole della giornata iniziarono a penetrare tra le persiane, si rese conto di quanto fosse illusorio sperare in un po’ di sonno. Si diresse rassegnato verso il bollitore, con una mano sola lo riempì di acqua e caffè mentre cullava senza sosta Hampus dandogli dei colpetti ritmici sul pannolino. Due tazze di caffè più tardi, suo figlio si addormentò, giusto prima che Klara arrivasse saltellando ad accendere la tv. (Continua in libreria…) 16