Georg Wilhelm Friedrich HEGEL: CONTRO IL ROMANTICISMO, IL

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Georg Wilhelm Friedrich HEGEL: CONTRO IL ROMANTICISMO, IL
Georg Wilhelm Friedrich HEGEL: CONTRO IL ROMANTICISMO, IL VERO E’ L’INTERO
Introduzione
All'inizio della Prefazione alla Fenomenologia, scritta dopo la stesura dell'opera come introduzione esplicativa a tutto il sistema filosofico, Hegel
sviluppa uno dei concetti cardine del proprio pensiero: la verità risulta solo "alla fine", dalla comprensione dell'intero, e può essere
adeguatamente esposta solo in forma concettuale dalla filosofia in quanto scienza o esposizione sistematica della totalità. Di qui il proposito
hegeliano di «collaborare affinché la filosofia si avvicini alla forma della scienza, affinché giunga alla meta in cui possa deporre il proprio nome
di amore del sapere per essere sapere reale», cioè non si presenti più come semplice ricerca, come aspirazione al sapere, secondo il significato
etimologico del termine, ma diventi un vero sapere in atto il cui oggetto è il reale nella sua totalità.
Secondo Hegel i tempi sono maturi per compiere questo passaggio, in un momento particolarmente vivo, di gestazione e di transizione verso
una nuova epoca, come testimoniano i fermenti politico-culturali che attraversano l'Europa. Di questa nuova epoca si intravedono le linee
essenziali, ma solo se ci si pone dal punto di vista della filosofia; il pensiero filosofico, infatti, è in grado di cogliere il senso del proprio tempo
non nelle sue caratteristiche accidentali, destinate presto a svanire, con cui si presenta alla coscienza comune, bensì nella sua verità, nel suo
nucleo essenziale, che ancora sfugge agli occhi dei più. Ma la verità filosofica può instaurarsi solo se si compie il passaggio indicato dal puro
amore del sapere al vero sapere, individuando un principio assoluto a cui ricondurre ogni forma di dualismo o di opposizione e pensando la
totalità in modo sistematico.
A questo traguardo non possono però giungere le dottrine di coloro che negano la necessità del sistema filosofico, ritenendolo anzi un
ostacolo alla conoscenza dell'assoluto, e che si appellano in alternativa all'immediatezza, al sentimento, alla fede (chiaro riferimento ai
romantici). Proprio nel contrapporre la propria visione dell'assoluto a quella romantica, Hegel indica il concetto come la forma di conoscenza
adeguata alla comprensione scientifica (filosofica) dello spirito. Il concetto non è un atto intuitivo, ma il prodotto dell'attività razionale che
comprende (nel senso letterale del prendere insieme, del tenere insieme le diverse parti di un'unità) il processo intero dello spirito. Perciò solo
il concetto è in grado di cogliere il movimento dello spirito nel suo completo sviluppo. Il vero, dunque, è l'intero: ogni momento dell'essere che
diviene non è concettualmente afferrabile secondo verità se non è collocato, nel suo specifico ruolo, all'interno del tutto.
Per arrivare a una autentica comprensione scientifica del reale, la via hegeliana consiste nell'intendere il vero, la totalità, l'assoluto, non più
come sostanza, ma come soggetto, cioè come attività originaria. Intendere il vero, l'assoluto come soggetto significa superare ogni forma di
immediatezza: né l'essere immediato separato dal pensiero, né l'autocoscienza immediata, autoreferenziale. L'assoluto è unità di un soggetto
che permane e si riconosce come identico in tutte le sue molteplici manifestazioni, ovvero è un movimento, «l'essenza che si completa
mediante il proprio sviluppo», un procedimento dialettico i cui momenti interni non hanno senso se presi ciascuno per sé, isolatamente, ma
acquistano significato solo se pensati in relazione all'intero di cui sono parte. Sinteticamente, nel linguaggio hegeliano, l'assoluto è spirito.
G. W. F. HEGEL: dalla «Fenomenologia dello spirito», Prefazione I, II.
Il concetto si contrappone all'intuizione dell'Assoluto
La vera figura della verità è posta nella scientificità, e ciò equivale a dire che la verità trova l'elemento della propria
esistenza solo nel Concetto 1 .
Io so tuttavia che questo sembra essere in contraddizione con una concezione, e con le relative conseguenze, la cui grande
arroganza non è inferiore alla diffusione e al favore di cui gode nella nostra epoca. Non pare perciò superfluo un
chiarimento su tale contraddizione [...].
Se dunque, come vuole tale concezione, il vero esiste solo in ciò che, o meglio, solo come ciò che una volta vien detto
intuizione, un'altra volta sapere immediato dell' Assoluto, religione, essere - non l'essere che si trova nel centro dell'amore
divino, bensì l'essere di questo stesso centro -, allora ciò significa, nel contempo, che per l'esposizione della filosofia si
esige proprio il contrario della forma concettuale. Da questo punto di vista, infatti, l'Assoluto dev'essere non concepito, ma
sentito e intuito; non il suo concetto, bensì il sentimento e l'intuizione che lo concernono devono avere diritto alla parola
ed essere espressi 2 .
(…) Per soddisfare questo bisogno, dunque, la filosofia non dovrebbe tanto penetrare la compattezza della sostanza ed
elevarla all'autocoscienza, non dovrebbe tanto riportare la coscienza caotica all'ordine del pensiero e alla semplicità del
Concetto, quanto piuttosto rimescolare le classificazioni del pensiero, sopprimere il Concetto differenziante e ripristinare il
sentimento dell'essenza. La filosofia, insomma, dovrebbe garantire non tanto penetrazione e comprensione quanto
edificazione.
Il bello, il sacro, l'eterno, la religione e l'amore diventano adesso l'esca più idonea per suscitare la voglia di abboccare; non
il Concetto, ma l'estasi, non la fredda e progressiva necessità della Cosa, ma l'ardente entusiasmo deve costituire
l'atteggiamento in grado di sostenere e diffondere la ricchezza della sostanza.
A questa istanza corrisponde lo sforzo zelante e assai eccitato di strappare gli uomini dalla depravazione di ciò che è
sensibile, volgare e singolare, per orientarne lo sguardo verso le stelle; come se gli uomini, obliando del tutto il Divino,
versassero nella condizione di appagarsi, come i vermi, di polvere e di acqua 3 .
1
Il termine "concetto" è qui usato da Hegel per indicare la concezione della verità come esposizione sistematica del sapere in quanto ha per
oggetto l'assoluto. Tra le determinazioni del concetto vi è anche quella per cui esso comprende in sé lo strenuo sforzo intellettuale di mediare
il particolare con l'universale. In questo senso tale termine va contro una tendenza di pensiero, tanto diffusa quanto presuntuosa perché pensa
di poter giungere all'assoluto senza percorrere la via faticosa e complessa del sapere scientifico.
2
Ritroviamo citati polemicamente alcuni termini essenziali della filosofia tedesca postkantiana e romantica, a cui Hegel contrappone il rigore
del concetto ovvero della filosofia come scienza sistematica.
3
L'ironia antiromantica è evidente nella raffigurazione caricaturale del romanticismo, tutto teso a strappare gli uomini dalla volgarità del
mondo sensibile.
Un tempo essi si erano plasmati un cielo e l'avevano ornato con smisurati tesori di pensieri e di immagini. Il significato di
tutto l'essente riposava nel filo luminoso grazie al quale ogni cosa era legata a quel cielo; lo sguardo rivolto all'insù, invece
di indugiare sulla presenza di questo mondo, vi aleggiava sopra verso l'essenza divina, verso una presenza posta, per cosi
dire, al di là del mondo.
L'occhio dello Spirito dovette allora essere riportato con forza a ciò ch'è terreno e qui essere trattenuto; e, nella tetraggine
e nella confusione in cui versava il senso dell'aldiquà, c'è voluto molto tempo per ripristinare quella chiarezza che solo
l'ultraterreno possedeva, al fine di rendere interessante l'attenzione verso la presenza in quanto tale, quell'attenzione che
è stata chiamata col nome di esperienza 4 .
Adesso, invece, sembra vi sia bisogno del contrario, sembra che il senso sia così radicato in ciò ch'è terreno da essere
necessaria per risollevarlo una forza uguale e opposta a quella di allora. Lo Spirito si mostra così povero che per il proprio
ristoro, come il viandante nel deserto brama per una sola goccia d'acqua, esso sembra agognare unicamente il sentimento
indigente del Divino in generale. E la facilità con cui lo Spirito oggi si appaga dà la misura della grandezza di ciò che ha
perduto.
Solo la filosofìa è sapere reale
[...] Chi cerca solo edificazione, chi pretende di avvolgere nella nebbia la molteplice varietà terrena della sua esistenza e del
pensiero e aspira all'indeterminato godimento di quell'indeterminata divinità, veda pure dove può trovare tutto ciò: non
gli sarà difficile escogitare il modo di esaltare qualche fantasma e di gloriarsene. La filosofia deve però guardarsi dal voler
essere edificante.
Ancora meno questa sobrietà che rinuncia alla scienza deve pretendere che il suo entusiasmo e annebbiamento sia
qualcosa di più elevato della scienza stessa. Questi discorsi profetici credono di mantenersi proprio nel centro e nella
profondità della Cosa, guardano con disprezzo alla determinatezza (al horos 5 ) e si tengono volutamente lontani sia dal
Concetto e dalla necessità, sia dalla riflessione la cui dimora è unicamente nella finitezza 6 . [...] Abbandonandosi al caotico
fermento della sostanza, riducendo al silenzio l'autocoscienza e rinunciando all'intelletto, costoro credono di essere gli
eletti cui Dio nel sonno infonde la saggezza; ma in realtà, mentre dormono, essi concepiscono e partoriscono solo sogni. [...]
L'essenza non può essere colta a prescindere dalla forma, dal per sé
E’ dunque possibile esprimere la vita di Dio e la conoscenza divina come un gioco dell'amore con se stesso 7 . Questa idea
rischia però di degradare a mera edificazione e di divenire persino insulsa, se le mancano la serietà, il dolore, la pazienza e
il travaglio del negativo. [...]
Ora, se si dichiara che la forma è identica all'essenza, si resta proprio per questo vittima di un malinteso se si ritiene a un
tempo che la conoscenza possa accontentarsi dell'In-sé o dell'essenza trascurando la forma, se si pensa che il principio
fondamentale assoluto o l'intuizione assoluta rendano superflua l'attuazione dell'essenza o lo sviluppo della forma. Proprio perché la forma è tanto essenziale all'essenza quanto questa lo è a se stessa, l'essenza non va colta ed espressa
semplicemente come tale - cioè, come sostanza immediata, come pura autointuizione del Divino, ma anche, appunto, come
forma, e precisamente nell'intera ricchezza della forma sviluppata: solo così l'essenza viene colta ed espressa come realtà.
L'Assoluto va concepito come risultato
Il vero è il Tutto. Il Tutto, però, è solo l'essenza che si compie mediante il proprio sviluppo. Dell'Assoluto, infatti, bisogna
dire che è essenzialmente un risultato, che solo alla fine è ciò che è in verità. E appunto in ciò consiste la sua natura:
nell'essere realtà, soggetto, divenire-se-stesso. Per quanto possa sembrare contraddittorio il fatto che l'Assoluto dev'essere
concepito essenzialmente come risultato, basterà una breve riflessione a togliere questa parvenza di contraddizione. [...]
L'inizio, il principio, l'Assoluto nella sua prima e immediata enunciazione, è soltanto l'universale. E come non si espone una
zoologia con il semplice dire "tutti gli animali", con altrettanta evidenza salta agli occhi che le parole "divino", "assoluto",
"eterno", ecc., non esprimono affatto il contenuto determinato del Divino, dell'Assoluto, dell'Eterno, ecc., ma solo
l'intuizione immediata che li concerne. Ciò che vale più di tali parole, si tratti pure soltanto del passaggio a una
proposizione, contiene un divenire-altro che dev'essere ripreso: è, cioè, una mediazione. (G. W. F. Hegel, fenomenologia
dello spirito, a cura di Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano 2000, pp. 55-59, 65-67, 69-71)
4
In questo capoverso Hegel ricostruisce con rapidi tratti il cammino della filosofia, che nell'età medievale aveva individuato l'assoluto in un
essere trascendente, trascurando il mondo, sul quale concentra poi lo sguardo nell'età moderna (vedi il riferimento all'esperienza) al prezzo
della perdita dell'assoluto. Ora il tempo presente esprime di nuovo il bisogno di assoluto, a cui dà però risposte inadeguate, ponendo l'assoluto
come oggetto di un'intuizione immediata e dunque come qualcosa di vuoto. Dal punto di vista hegeliano, infatti, solo la conquista graduale
dell'assoluto nella varietà delle sue forme può metterne in luce la ricchezza. Di qui la miseria dell'attuale filosofia.
5
In greco antico horos significa propriamente limite, confine (quindi delimitazione). In senso logico-filosofico, nell'opera di Platone significa
definizione, mentre per Aristotele arriva ad assumere il significato "tecnico" di termine di un sillogismo.
6
La determinatezza è per Hegel un valore positivo in quanto consente di mettere in luce le differenze e dunque attiva il meccanismo
dell'opposizione. Anche la riflessione che ha per oggetto il finito è disprezzata dai romantici, perché appunto legata alla finitezza. Tenendosi
lontano da ciò che è determinato e finito, essi credono di addentrarsi nel cuore della realtà (la Cosa), ma l'infinito non si conquista veramente
se non attraverso la via laboriosa del pensiero che, superando le determinazioni finite, giunge all'intero e ne coglie la sua interna necessità.
7
Hegel riprende qui la polemica antiromantica, affermando che anche certe definizioni di Dio le quali ne danno a prima vista un'immagine
"mossa" (gioco dell'amore con se stesso) restano insignificanti se, poste come contenuto di un'intuizione immediata, non colgono la funzione
del negativo.