Capitolo Decimo Il procedimento davanti al Tribunale in
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Capitolo Decimo Il procedimento davanti al Tribunale in
Procedimento davanti al Tribunale monocratico e Giudice di Pace Capitolo Decimo Il procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica e il Giudice di Pace Il giudice unico: linee-guida della riforma La riforma del giudice unico in primo grado, operativa dal 2 gennaio 2000, è stata attuata mediante: • interventi diretti all’istituzione del giudice unico di primo grado, con soppressione delle preture; • riduzione del carico processuale innanzi al Tribunale ordinario (perseguita dalla legge delega 25 giugno 1999, n. 205 e dal relativo decreto legislativo di attuazione, il D.Lgs. 3012-1999, n. 507), attraverso l’abrogazione di numerosi reati minori e la trasformazione di altri reati in illeciti amministrativi. Per quei fatti che hanno conservato natura di reato, la riduzione del carico innanzi al Tribunale è perseguita anche con la previsione della competenza penale del giudice di pace (1), già prevista con la legge 21-11-1991, n. 374, ridefinita e ampliata dalla legge delega 24-11-1999, n. 468, cui è stata data attuazione con il decreto legislativo del 28 agosto 2000, n. 274 (v. infra par. 3); • adeguamento, da parte della legge 16-12-1999, n. 479, della disciplina prevista per il rito pretorile alla nuova figura, dalla competenza più vasta di quella del pretore, del Tribunale monocratico. 1. Il Tribunale in composizione monocratica I procedimenti innanzi al Tribunale monocratico seguono lo schema del rito innanzi al Tribunale collegiale, con talune modifiche ispirate a criteri di semplificazione e conseguenziali alla sua composizione mono-personale (art. 549). Tali modifiche, peraltro, sono meno incisive quando per i reati attribuiti al Tribunale monocratico è prevista la celebrazione dell’udienza preliminare. La citazione diretta a giudizio Fra i reati attribuiti alla competenza del Tribunale monocratico (delineati dall’art. 33ter c.p.p.), ve ne sono alcuni (elencati dall’art. 550 c.p.p.) per i quali è prevista la citazione diretta a giudizio, ad opera del P.M. (es.: contravvenzioni, nonché delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva ed altri specifici delitti elencati nel secondo comma dell’art. 550) (2) attraverso la quale si salta il «filtro di garanzia» dell’udienza preliminare per giungere direttamente al giudizio. Per le altre fattispecie di competenza del Tribunale monocratico, è seguito lo schema «canonico» della richiesta di rinvio a giudizio ad opera del P.M., cui fa seguito l’udienza preliminare ad opera del G.U.P., con eventuale citazione a giudizio. In caso di citazione diretta, nel decreto emanato dal P.M. è, fra l’altro, indicato il giudice competen(1) Il giudice di pace è un magistrato ordinario e, a differenza dei magistrati di carriera, ossia togati, è onorario, in quanto non incardinato da un rapporto di impiego con l’Amministrazione della giustizia; è temporaneo perché dura in carica un quadriennio rinnovabile una sola volta; i requisiti per la sua nomina sono un’età compresa fra i 30 e i 70 anni, l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, il fatto di non esercitare alcuna altra attività lavorativa, tranne quella di avvocato. (2) La L.23 marzo 2016, n.41 (Introduzione del reato di omicidio stradale) disciplina la citazione diretta a giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica, per il reato di lesioni stradali. In tal caso, il PM esercita l’azione penale con la citazione diretta a giudizio, disponendo che il decreto di citazione a giudizio debba essere emesso entro 30 giorni dalla chiusura delle indagini preliminari e che la data di comparizione contenuta nel decreto di citazione a giudizio debba essere fissata non oltre 90 giorni dalla emissione del decreto stesso (v. art. 552). 159 Capitolo Decimo 160 te per il giudizio nonché il luogo, il giorno e l’ora della comparizione, con l’avvertimento all’imputato che, non comparendo, sarà giudicato in assenza. Il decreto è, quindi, notificato all’imputato, al suo difensore e alla parte offesa almeno sessanta giorni prima della data fissata per l’udienza di comparizione. Dopo la notifica, il P.M. procede alla formazione del fascicolo per il dibattimento e lo trasmette al giudice, unitamente al decreto di citazione. Nella fase degli atti introduttivi, la lista testi deve essere depositata 7 giorni prima dell’udienza, ma a differenza del rito ordinario, non devono essere indicate le specifiche circostanze sul quale deve vertere l’esame (art. 555, c. 1). In sede di udienza di comparizione, prima che venga aperto il dibattimento, P.M. ed imputato possono optare per la definizione anticipata del procedimento, richiedendo il patteggiamento; all’imputato è, altresì, consentito di richiedere il giudizio abbreviato, o di presentare domanda di oblazione (artt. 162 e 162bis c.p.). Sempre in sede di udienza di comparizione, il giudice, ove si proceda per reato perseguibile a querela, verifica se il querelante è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione. Se i tentativi di evitare il giudizio non sortiscono esito alcuno, si procede al dibattimento. A tale scopo, una volta dichiarata aperta la fase dibattimentale, le parti indicano i fatti che intendono provare e chiedono l’ammissione delle prove, oltre a poter concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva. Il dibattimento, quindi, si svolge secondo le regole stabilite per il procedimento davanti al Tribunale in composizione collegiale, in quanto applicabili. Il rito monocratico Chiusura delle indagini preliminari P.M. richiesta di rinvio a giudizio (reati ex art. 33ter diversi da quelli di cui all’art. 550) citazione diretta a giudizio (art. 550), ove si proceda per: ➤ contravvenzione ➤ delitto punito con la reclusione non superiore nel massimo a quattro anni con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva udienza preliminare (artt. 416 ss.) ➤ ulteriori fattispecie ex art. 550, c. 2 udienza di comparizione (art. 555) definizione anticipata (art. 555, c. 2 e 3) dibattimento (art. 559) rito alternativo ➤ richiesta di patteggiamento ➤ richiesta di giudizio abbreviato ➤ domanda di oblazione ➤ rimessione della querela ed accettazione della rimessione stessa Procedimento davanti al Tribunale monocratico e Giudice di Pace 2. I riti speciali Per i reati del Tribunale monocratico, quando non deve essere celebrata l’udienza preliminare (ossia nei casi di cui all’art. 550), non è previsto il giudizio immediato. A)Rito abbreviato Il giudizio abbreviato (art. 556), anche qui richiedibile solo dall’imputato, può essere instaurato: in sede di udienza preliminare, se questa è prevista; dopo la citazione a giudizio, ma prima del dibattimento ordinario, quando sia prevista tale citazione; durante gli altri riti speciali attivati dal P.M. (giudizio direttissimo e procedimento per decreto penale). Spetta al giudice il vaglio preventivo di esperibilità del giudizio abbreviato, disponendo, in caso contrario, l’ulteriore corso del processo secondo il suo rito originario. Il rito abbreviato ha luogo innanzi al G.I.P., al G.U.P. o al giudice dibattimentale, a seconda della fase in cui si trova il processo. In ogni caso comporta la piena utilizzabilità degli atti contenuti nel fascicolo del P.M., con notevole riduzione dell’istruzione probatoria (art. 441, comma 5). B)Applicazione della pena su richiesta delle parti Innanzi al Tribunale monocratico il pattaggiamento è esperibile con le stesse forme e negli stessi limiti previsti innanzi al Tribunale collegiale. Il patteggiamento, a differenza del rito abbreviato, non può essere condizionato a integrazioni probatorie, dovendo avvenire unicamente sulla base degli atti. L’applicazione di pena su richiesta è ammissibile: durante le indagini preliminari; in fase predibattimentale; in fase dibattimentale, in sede di conversione. La sentenza applicativa della pena patteggiata, tanto se pronunciata dal G.I.P., quanto dal Tribunale monocratico dibattimentale, non è appellabile, ma solo ricorribile per cassazione, così come per il corrispondente rito del Tribunale collegiale. C)Procedimento per decreto Il procedimento per decreto penale (art. 459), consistente nell’applicazione di pena pecuniaria, non presenta particolari differenze rispetto all’analoga disciplina del rito davanti al Tribunale in composizione collegiale. Innanzi al Tribunale monocratico, ma soprattutto innanzi a quello collegiale, il procedimento per decreto penale è destinato ad avere un’applicazione assai limitata, a seguito della competenza penale del giudice penale. Anche innanzi al Tribunale monocratico il P.M. formula, unilateralmente, al G.I.P., entro il termine di 6 mesi dalla notitia criminis, la richiesta di decreto penale a pena pecuniaria diminuita fino alla metà del minimo edittale. Competente all’emissione del decreto è il G.I.P. D)Giudizio direttissimo Nell’ambito dei procedimenti speciali davanti al Tribunale monocratico, il rito direttissimo — non essendovi la possibilità del giudizio immediato — è l’unico a essere celebrato in dibattimento. 161 Capitolo Decimo 162 La materia della custodia dell’arrestato in relazione ai reati di competenza del tribunale monocratico è stata riformata dalla L. 9/2012 (di conversione del D.L. 211/2011) cd. decreto svuotcarceri), che ha inciso sul procedimento di convalida. L’ipotesi della convalida contestuale al giudizio anche qui prevede che il P.M. presenti l’imputato in stato di arresto davanti al giudice (Tribunale monocratico) dibattimentale. Però, in alternativa, la presentazione, immediata o entro le 48 ore dall’arresto, per la convalida (la cui violazione determina la caducazione della misura), può qui avvenire anche per sollecitazione della stessa polizia giudiziaria che ha eseguito l’arresto, sulla base dell’imputazione formulata dal P.M. (art. 558, co. 1-4). Il P.M. avvisato dalla polizia, di regola dispone che l’indagato sia custodito in arresto domiciliare nel circondario del tribunale in cui l’arresto è stato eseguito; in via eccezionale, l’arrestato è custodito presso «strutture nella disponibilità» della polizia giudiziaria (cd. camere di sicurezza), se non sono idonei l’abitazione dell’arrestato o un altro luogo di privata dimora o un luogo pubblico di cura o di assistenza o, comunque, se l’arresto è dovuto a rapina o ad estorsione non aggravate o a furto di abitazione o con strappo. Infine, quando le camere di sicurezza mancano, non sono disponibili o idonee o se ricorrono ragioni di necessità ed urgenza, il P.M. ordina con decreto motivato che l’arrestato sia condotto nella casa circondariale (558, commi 4bis e 4ter). Ai sensi dell’art. 123 disp.att., dopo gli interventi della L. 9/2012 cit., spetta al Procuratore della Repubblica l’obbligo di predisporre tutte le misure organizzative necessarie al tempestivo espletamento dei procedimenti di convalida entro le quarantotto ore previste ex art. 588 c.p.p. Va segnalato che con la L. 9/2012, è stato esteso il diritto di visita dei parlamentari (anche europei), dei magistrati di sorveglianza, dei garanti dei diritti dei detenuti anche alle camere di sicurezza (idonee strutture nella disponibilità degli ufficiali o agenti della polizia giudiziaria, secondo il dettato normativo), proprio alla luce della centralità che tali strutture assumono nell’attuale sistema (art. 67bis c.p.) (Visite alle camere di sicurezza). Se il giudice convalida l’arresto, procede direttamente il giudizio. Nel caso inverso, ovvero qualora non venga convalidata la misura precautelare, il giudice restituisce gli atti al P.M. per procedere secondo il rito ordinario, salvo che l’imputato ed il P.M. non prestino il consenso per procedere a giudizio direttissimo. Una volta convalidato l’arresto, l’imputato ha facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a cinque giorni. In tali casi il dibattimento è sospeso fino all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine. L’imputato può altresì formulare richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti e i riti alternativi si svolgono a seguire davanti al giudice del dibattimento. Al P.M. è riservata la facoltà di procedere al giudizio direttissimo entro trenta giorni dalla convalida dell’arresto quando tale scelta non pregiudichi le indagini e nel caso di persona che nel corso dell’interrogatorio abbia reso confessione nel rispetto dei limiti contenuti nell’art. 449, c. 4 e 6. 3. Il giudice di pace Il decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, ha introdotto nel nostro sistema processuale la competenza penale del Giudice di Pace. Procedimento davanti al Tribunale monocratico e Giudice di Pace Peculiarità disciplinari Le caratteristiche della giurisdizione del Giudice di pace possono essere così sintetizzate. • sul piano sostanziale: — scompare la pena detentiva e le opzioni sanzionatorie confidano prevalentemente sulla pena pecuniaria; — come pene principali per i reati di maggiore gravità, sono state previste le sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica utilità; — non è possibile applicare la sospensione condizionale della pena e le sanzioni sostitutive della libertà controllata, della semidetenzione e della pena pecuniaria, previste dagli artt. 53 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689. • sul piano processuale: — non è prevista la figura del giudice delle indagini preliminari, ma le sue funzioni sono svolte da un Giudice di pace del luogo ove ha sede il tribunale del circondario; — per i reati procedibili a querela, la persona offesa può chiedere al giudice la citazione a giudizio della persona alla quale è attribuito il reato; — sono stati estesi i meccanismi conciliativi e riparatori in favore degli interessi della vittima del reato, il cui soddisfacimento produce effetti sull’esito processuale, anche a scapito dell’interesse punitivo dello Stato (esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto e estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie); — la fase del giudizio è caratterizzata dalla massima semplificazione e dalla garanzia del contraddittorio. A)Competenza per materia, per territorio, per connessione La competenza per materia è delineata dall’art. 4 del D.Lgs. 274/2000, il quale prevede, ferma la competenza del tribunale per i minorenni che è un giudice speciale per tutti i reati commessi da chi al momento del fatto non ha ancora compiuto diciotto anni, che il giudice di pace è competente: a) per i delitti consumati o tentati previsti dai seguenti articoli del codice penale: — 581 (Percosse); — 582 (Lesione personale), limitatamente alle fattispecie di cui al comma 2 perseguibili a querela di parte. Il d.l. 93/2013 (conv. in l. 119/2013) (Femminicidio) ha sottratto alla competenza del giudice di pace la fattispecie di lesioni personali perseguibili a querela, qualora il reato sia commesso ai danni del convenuto o di uno dei soggetti indicati nell’art. 577, co. 2, c.p.; — 590 (Lesioni personali colpose), limitatamente alle fattispecie perseguibili a querela di parte e ad esclusione delle fattispecie connesse alla colpa professionale e dei fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale quando, nei casi anzidetti, derivi una malattia di durata superiore a venti giorni (3). — 594 (Ingiuria), anche nella forma aggravata; — 595, commi 1 e 2 (Diffamazione); — 612, comma 1 (Minaccia); — 626 (Furti punibili a querela dell’offeso); — 627 (Sottrazione di cose comuni); — 631 (Usurpazione), salvo che ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 639bis; — 632 (Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi), salvo che ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 639bis; (3) La L. 23–3- 2016, n. 41 (Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali), ha previsto la sottrazione alla competenza del G.d.P. delle lesioni personali stradali, per cui l’azione penale deve essere esercitata con la citazione diretta a giudizio innanzi al tribunale monocratico. 163 Capitolo Decimo 164 — 633, comma 1 (Invasione di terreni o edifici), salvo che ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 639bis; — 635, comma 1 (Danneggiamento); — 636 (Introduzione o abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo), salvo che ricorra l’ipotesi di cui all’articolo 639bis; — 637 (Ingresso abusivo nel fondo altrui); — 638, comma 1 (Uccisione o danneggiamento di animali altrui); — 639, comma 1 (Deturpamento e imbrattamento di cose altrui, limitatamente alle cose mobili, non di interesse storico od artistico); — 647 (Appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito); b) per le contravvenzioni previste dai seguenti articoli del codice penale: — 689 (Somministrazione di bevande alcooliche a minori o a infermi di mente); — 690 (Determinazione in altri dello stato di ubriachezza); — 691 (Somministrazione di bevande alcooliche a persona in stato di manifesta ubriachezza); — 726, comma 1 (Atti contrari alla pubblica decenza. Turpiloquio); — 731 (Inosservanza dell’obbligo dell’istruzione elementare dei minori); c) per i delitti, consumati o tentati, e per le contravvenzioni previsti da disposizioni di leggi speciali. Per territorio la competenza è quella del luogo di consumazione del reato (art. 5, D.Lgs. 274/2000). La connessione si distingue in omogenea (avente a oggetto procedimenti relativi a reati appartenenti alla competenza di giudici differenti) ed eterogenea (avente a oggetto procedimenti che sono tutti di competenza del giudice di pace). In tale ultimo caso, la connessione opera solamente se la pluralità di reato è commessa in «concorso formale» (art. 81, c. 1, c.p.) e sposta la competenza al giudice superiore. B)Indagini preliminari e loro chiusura Il vero fulcro delle indagini preliminari innanzi al giudice di pace è la polizia giudiziaria. Indagini di P.G. L’art. 11 del decreto disciplina le modalità di svolgimento delle indagini a opera della P.G., che, acquisita la notizia di reato, compie di propria iniziativa tutti gli atti di indagine necessari per la ricostruzione del fatto e per l’individuazione del colpevole e ne riferisce al pubblico ministero, con una relazione scritta, entro il termine di quattro mesi, indicando il giorno e l’ora in cui ha acquisito la notizia. Notizia di reato ricevuta dal P.M. L’art. 12 regola, invece, i casi in cui è il P.M. a ricevere la notizia di reato perché ne prende direttamente conoscenza, o perché la riceve da privati, da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio. In tali ipotesi il P.M. può: a) richiedere l’archiviazione; b) disporre la citazione a giudizio dell’imputato; c) svolgere le indagini. Il P.M. non appena riceve la relazione della polizia giudiziaria ha tre possibilità: ➤ richiedere l’archiviazione, se ritiene infondata la notizia di reato ➤ esercitare l’azione penale, formulando l’imputazione e citando a giudizio l’imputato (art. 20, D.Lgs. 274/2000) ➤ provvedere a ulteriori indagini personalmente, ovvero a mezzo della polizia Giudiziaria Procedimento davanti al Tribunale monocratico e Giudice di Pace Ai sensi dell’art. 17 il P.M. presenta al giudice di pace richiesta di archiviazione nei seguenti casi: a) quando la notizia di reato è infondata; b) nei casi previsti dall’art. 411 c.p.p.; c) quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa; d) quando il fatto è di particolare tenuità. Il giudice di pace può: ➤ accogliere la richiesta del P.M. e disporre con decreto l’archiviazione; ➤ disporre con ordinanza la restituzione degli atti al P.M. perché provveda nel tempo indicato alle ulteriori indagini o formuli entro dieci giorni l’imputazione (cd. coatta). C)L’esercizio dell’azione penale Nel procedimento davanti al giudice di pace, assume la qualità di imputato la persona alla quale il reato è attribuito: — nella citazione a giudizio disposta dal P.M. (l’atto è notificato all’imputato, al difensore dell’imputato e alla persona offesa ameno trenta giorni prima dell’udienza); — nel decreto di convocazione delle parti emesso dal giudice di pace (nel termine di tre mesi dalla notizia del fatto che costituisce reato, il ricorso è presentato, a cura del ricorrente e con la prova dell’avvenuta comunicazione al P.M., nella cancelleria del giudice di pace competente per territorio). La presentazione immediata al giudice Questa nuova modalità di esercizio dell’azione penale è stata introdotta dalla L. 94/2009 (Pacchetto sicurezza), che ha introdotto nella disciplina del rito innanzi al Giudice di Pace gli artt. 20bis e ter. L’art. 20bis introduce una modalità più celere di presentazione a giudizio dell’imputato nei casi di reati procedibili d’ufficio, in caso di flagranza di reato ovvero quando la prova è evidente. In tali ipotesi la polizia giudiziaria chiede al P.M. 4 l’autorizzazione a presentare immediatamente l’imputato a giudizio dinanzi al giudice di pace (4). Il pubblico ministero, se non ritiene di chiedere l’archiviazione o ritenga la richiesta di giudizio immediato manifestamente infondata, perchè carente nei presupposti o presentata davanti a giudice non competente per territorio, autorizza la presentazione immediata nei quindici giorni successivi, indicando la data e l’ora del giudizio dinanzi al giudice di pace e nominando un difensore d’ufficio all’imputato che ne è privo. La richiesta e la successiva autorizzazione sono notificate senza ritardo all’imputato ed al suo difensore. Viene quindi prevista una procedura particolarmente celere rispetto a quella prevista in via ordinaria. In ordine al contenuto della richiesta della polizia giudiziaria al P.M. essa ricalca in parte gli artt. 20 e 21 del D.Lgs. 274/2000 e deve contenere: a) le generalità dell’imputato e del suo difensore, ove nominato; b) l’indicazione delle persone offese dal reato; c) la descrizione, in forma chiara e precisa, del fatto che si addebita all’imputato con l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati; d) l’indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta, nonché le generalità dei testimoni e dei consulenti tecnici, con espressa indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame; e) la richiesta di fissazione dell’udienza per procedere nei confronti delle persone citate a giudizio. Se il P.M. autorizza la richiesta, ai sensi dell’art. 20bis, c. 4, viene notificato all’imputato ed al difensore copia della richiesta e dell’autorizzazione. Il comma 5 rinvia poi espressamente all’art. 20, c. 5, laddove stabilisce che la citazione (nel caso la richiesta con l’autorizzazione) va depositata nella segreteria del pubblico ministero, unitamente al fascicolo contenente la documentazione relativa alle indagini espletate, il corpo del reato e le cose pertinenti al reato. (4) La presentazione immediata, ai sensi dell’art. 10bis T.U. 286/98, è applicabile anche al reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato. 165 166 Capitolo Decimo L’art. 20ter disciplina una ipotesi particolare di presentazione immediata laddove ricorrano gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentono di attendere la fissazione dell’udienza, pur nei tempi ristretti di cui all’art. 20bis, o laddove l’imputato si trova a qualsiasi titolo sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale. In tale ipotesi la polizia giudiziaria formula altresì richiesta di citazione contestuale per l’udienza e lo conduce dinanzi al giudice di pace. Nel caso di presentazione immediata, il “pacchetto sicurezza” ha previsto alcune specifiche disposizioni per lo svolgimento del giudizio e giustificate dalla celerità della procedura. In particolare l’art. 32bis prevede che la persona offesa ed i testi possono essere citati anche oralmente dall’ufficiale giudiziario e, nel caso di cui all’art. 20ter, anche a cura della P.G. Detti testi e consulenti tecnici possono dalle parti essere presentati direttamente in dibattimento. Viene previsto che il P.M. dia lettura dell’imputazione; inoltre proprio perché in tali ipotesi l’imputato viene tratto a giudizio con termini ristretti, gli viene concessa la facoltà di chiedere un termine a difesa, non superiore a sette giorni, termine che però viene ridotto a 48 ore nell’ipotesi di cui all’articolo 20ter. D)Udienza di comparizione, dibattimento, sanzioni Quanto alla costituzione delle parti, valgono le regole dettate per il procedimento ordinario. Nei casi di reati perseguibili a querela, il giudice di pace, subito dopo aver controllato la regolare costituzione delle parti, è tenuto a procedere al tentativo di conciliazione, il cui esito favorevole viene consacrato in apposito verbale. Prima della dichiarazione dell’apertura del dibattimento, l’imputato può presentare domanda di oblazione. Se si conclude senza successo la fase destinata alla definizione anticipata del processo, il giudice dichiara aperto il dibattimento. L’esame di testimoni periti e consulenti tecnici può essere condotto direttamente dal giudice sulla base delle domande e delle contestazioni proposte dal p.m. e dal difensore. È stata prevista una nuova modalità di redazione della sentenza, ispirata a criteri di brevità e chiarezza. L’art. 35 del D.Lgs. 274/2000 prevede una causa generale di estinzione per tutti i reati di competenza del giudice di pace, in conseguenza della riparazione del danno cagionato dal reato. Tra le nuove sanzioni penali sono stati introdotti l’obbligo di permanenza domiciliare (art. 53) e il lavoro di pubblica utilità (art. 54). L’art. 157, c. 5, cod. pen., prevede un termine prescrizionale di tre anni se per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva o pecuniaria. Apparentemente tale disposizione sembrerebbe applicarsi ai reati di competenza del giudice di pace. Tale dubbio è stato sciolto sia dalla Corte di Cassazione che dalla Corte Costituzionale, le quali hanno stabilito che il termine triennale di prescrizione non è applicabile ai reati di competenza del giudice di pace per i quali siano previste le sanzioni dell’obbligo di permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità, in quanto esse, ai sensi dell’art. 58 del D.Lgs. n. 274 del 2000, si considerano ad ogni effetto giuridico come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria: la conseguenza è che si applicano i termini ordinari di quattro anni per le contravvenzione e sei anni per i delitti, secondo l’art. 157, c. 1, c.p. (Cass. V, 119-2007, n. 34361; Corte Cost. 14-1-2008, n. 2). E)Le impugnazioni Per quanto attiene alle impugnazioni, la legge 46/2006 che ha introdotto la inappellabilità da parte del P.M. e dell’imputato delle sentenze di proscioglimento ha inciso anche sul sistema delle impugnazioni delle sentenze del Giudice di Pace. Attualmente tutte le sentenze di proscioglimento del Giudice di Pace sono divenute inappellabili. Procedimento davanti al Tribunale monocratico e Giudice di Pace In particolare, per l’appello, gli artt. 36, 37 e 38 prevedono che: — il P.M. non può appellare le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria (art. 36); — l’imputato non può appellare le sentenze di condanna alla sola pena pecuniaria, a meno che non impugni anche la eventuale statuizione civile connessa al capo per cui vi è stata condanna (art. 37); — il ricorrente che ha chiesto la citazione, può proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento, anche agli effetti penali, nei limiti in cui è consentito al P.M. (pertanto solo ricorso per cassazione, non appello) (art. 38); — la parte civile può proporre appello ai soli effetti civili, avverso la sentenza di proscioglimento (5). In ordine alla disciplina del processo d’appello, l’articolo 39 prevede la competenza del tribunale in composizione monocratica del circondario in cui ha sede il giudice di pace che ha pronunciato la sentenza impugnata. Nei casi di inappellabilità oppure avverso la sentenza di appello è sempre consentito il ricorso per cassazione. Pur non essendo esplicitamente previsto, deve ritenersi, per ragioni logiche e sistematiche, che anche le sentenze del Giudice di Pace possano essere sottoposte al regime di impugnazione straordinario della revisione (artt. 629 e ss. c.p.p.). F)L’esecuzione L’art. 40 stabilisce le regole per l’individuazione del giudice dell’esecuzione prevedendo, analogamente a quanto stabilito per il procedimento ordinario dall’art. 665 c.p.p., che competente a conoscere dell’esecuzione di un provvedimento è il giudice di pace che l’ha emesso, e ciò anche nel caso in cui il provvedimento del giudice di pace sia stato riformato a seguito di impugnazione. In tal caso le peculiarità del processo davanti al giudice di pace, e la natura delle sanzioni da eseguire, hanno suggerito di attribuire a questo stesso giudice l’esecuzione dei suoi provvedimenti, prescindendo da successivi interventi modificativi operati in sede di appello o in Cassazione. L’esecuzione delle nuove pene applicabili dal giudice di pace (permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilità), ha richiesto una specifica disciplina, anch’essa ispirata a criteri di semplificazione e funzionalità, contenuta negli articoli 43 e 44 del decreto legislativo n. 274. (5) Cass. IV, 17-4-2007, n. 155223; Cass. IV, 14-10-2008, n. 38699. 167 205 A Abbandono della difesa art. 24 Cost.; artt. 105, 108; L. 13-2-2001, n. 45. Consiste in una assenza del difensore che provoca una obiettiva diminuzione o privazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) della parte assistita, in ogni momento in cui sia richiesta una concreta attività difensiva. Il c.p.p. vigente ribadisce che l’(—), come anche il rifiuto della difesa di ufficio ex art. 974 c.p.p., costituisce un illecito del difensore, autonomamente accertato e sanzionato disciplinarmente dal Consiglio dell’ordine forense. All’autorità giudiziaria spetta soltanto riferire al Consiglio dell’ordine i casi di (—) o rifiuto della difesa di ufficio o, comunque, di violazione da parte del difensore dei doveri di lealtà e probità, nonché del divieto di cui al comma 4bis dell’art. 106, relativo all’assunzione della difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni sulla responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento, in procedimento connesso o collegato. Verificatosi l’(—), l’imputato può nominare un nuovo difensore ovvero, in difetto, esso è designato dal giudice. Tale difensore, ai sensi dell’art. 108 c.p.p., per prendere cognizione degli atti, ha diritto ad un congruo termine a difesa. Accertamenti tecnici non ripetibili art. 360 Si tratta di una ipotesi particolare di accertamento che, a causa della possibilità di modificazioni che subisce l’oggetto dell’investigazione (persone, cose o luoghi), non è suscettibile di successiva reiterazione. Ciò giustifica la disciplina specifica prevista nell’art. 360 c.p.p., in quanto l’atto investigativo entra a far parte del fascicolo del dibattimento [vedi →] (art. 431 c.p.p.) ed è direttamente utilizzabile ai fini della decisione. Trattandosi, nella sostanza, di una «prova» assunta fuori del dibattimento, la legge predispone un meccanismo che garantisca il normale contraddittorio e prevede che l’indagato, la persona offesa e i difensori vengano avvisati, «senza ritardo», della necessità di tale accertamento, con invito a nominare eventualmente un proprio consulente. Si tratta di un atto simile all’«incidente probatorio» (svolto, però, innanzi al P.M.) che l’accordo fra le parti consente si svolga senza il rituale previsto dagli artt. 392 ss. c.p.p. Conferma di ciò si ricava dalla possibilità, prevista dalla norma, a favore del solo indagato, di formulare la cd. riserva di incidente probatorio. In tal caso, infatti, a prescindere da una formale richiesta di incidente (è sufficiente solo la riserva), il codice prevede (comma 4) che il P.M. non proceda nell’accertamento tecnico disposto, ma si segua la procedura dell’incidente probatorio, a meno che il tipo di accertamento non sia assolutamente indifferibile. La sanzione per il caso in cui, pur in presenza della riserva di incidente, il P.M. faccia comunque svolgere l’accertamento è quella della inutilizzabilità dibattimentale del risultato, qualora difetti la condizione dell’assoluta indifferibilità. Trattandosi di attività destinata ad avere valenza probatoria, l’art. 3731, lett. e), c.p.p. esige la forma del verbale. Se gli (—) devono essere svolti in un procedimento allo stato contro ignoti, sono inapplicabili le garanzie difensive previste dall’art. 360, anche se gli atti compiuti sono pienamente utilizzabili in dibattimento. Peraltro occorre tenere distinti gli (—) dai rilievi irripetibili. Questi ultimi, fra i quali rientra il «tampone a freddo», finalizzato al prelievo di eventuali residui indicativi dell’uso di armi da fuoco, rappresentano un’attività meramente prodromica all’effettuazione di (—), consistendo nella constatazione o nella raccolta di dati materiali pertinenti al reato e alla sua prova, cosicché, seppur irripetibili, la loro attuazione non deve avvenire con l’osservanza delle forme stabilite dall’art. 360 c.p.p. La giurisprudenza della Suprema Corte è oscillante in merito alla qualifica di (—) per il cd. esame STUB, finalizzato al prelievo di eventuali residui indicativi dell’uso di armi da fuoco. Rientra, invece, fra gli (—) la perizia su soluzione di lavaggio di attrezzi destinati allo spaccio di sostanze stupefacenti (bilancia, coltelli e buste di polietilene), in quanto determina una modifica dello stato delle cose tale da non consentire il rinnovo dell’atto. Accertamento tecnico artt. 359-360 Nel caso delle indagini preliminari [vedi →] possono rendersi necessarie particolari investigazioni che richiedano competenze tecniche specifiche. Al riguardo, il c.p.p. prevede varie categorie di (—): a) quelli urgenti su luoghi, cose o persone, che sono di competenza della polizia giudiziaria quando vi sia il pericolo di alterazioni o modificazioni (art. 354 c.p.p.); b) quelli che, per analoghi motivi, può effettuare il P.M., seguendo la particolare procedura descritta nell’art. 360 c.p.p.; A B 206 A B AAccompagnamento coattivo dell’imputato c) quelli che rientrano nel naturale svolgimento dell’indagine e sono suscettibili di reiterazione (art. 359 c.p.p.); d) quelli idonei ad incidere sulla libertà personale (art. 359bis c.p.p.). La L. 30-6-2009, n. 85, ha inserito l’art. 359bis che disciplina il prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi [vedi →]. Si tratta di attività che, per le peculiari caratteristiche valutative, vengono svolte da esperti (definiti dal codice consulenti tecnici [vedi → Consulenza tecnica]) e che, per le ipotesi sub a) e b), entrano a far parte del fascicolo per il dibattimento (art. 431 c.p.p.) potendo, quindi, utilizzarsi ai fini della decisione. A cagione di ciò, la legge esige in tali casi la forma del verbale (art. 373 c. 1 lett. e); art. 357 c. 2 lett. e) c.p.p.) mentre per quelli ripetibili il P.M. può redigere un verbale in forma riassuntiva o, nei casi di (—) di modesta entità, mere annotazioni (art. 373 c.p.p.). Accompagnamento coattivo dell’imputato art. 132; 490 Trattandosi di provvedimento che incide sulla libertà personale, il legislatore ha disciplinato in modo particolareggiato i presupposti e le modalità dell’istituto (art. 132). Esso può essere disposto solo nei casi stabiliti dalla legge e per il tempo strettamente necessario, comunque non superiore alle 24 ore. I casi previsti dalla legge sono quelli dell’art. 376 (interrogatorio e confronto); dell’art. 399 (necessaria presenza della persona sottoposta alle indagini per un atto da assumere con l’incidente probatorio); art. 490 (accompagnamento dell’assente per assumere una prova diversa dall’esame). Deve, infine, essere disposto con decreto motivato. L’imputato ha diritto, ma non obbligo di comparire in dibattimento, salvo l’ipotesi eccezionale della necessità della sua presenza per l’assunzione di una prova diversa dall’esame (ad es.: ricognizione personale), in cui può essere disposto l’accompagnamento coattivo (art. 490). In tale caso, con la soppressione della contumacia, avvenuta con la L. 67/2014, l’(—), si riferisce all’imputato assente [vedi →] Alibi È la dimostrazione dell’impossibilità che l’imputato [vedi →] o l’indagato [vedi →] abbiano commesso il reato per cui si procede, fondato sulla prova [vedi →] che tali soggetti si trovavano in un altro luogo nel momento in cui è stato commesso il crimine. Allontanamento dalla casa familiare art. 282bis Misura di protezione soggetta alla disciplina delle misure cautelari [vedi →]. Essa consiste essenzialmente nell’ordine rivolto all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice. L’applicazione di tale misura è consentita anche al di fuori dei limiti di pena, in relazione a particolari delitti contro la libertà sessuale, lesioni volontarie e minaccia grave o aggravata, tassativamente indicati dal legislatore (art. 282bis, co. 6). A tal proposito, il decreto sul cd. «femminicidio» ha esteso, nel caso di delitto commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la possibilità di disporre anche al di là dei limiti di pena previsti per l’applicabilità delle misure coercitive (art. 280 c.p.p.) e di accompagnare la misura con il braccialetto elettronico [vedi →]. Ha, infine, previsto per la p.g. di disporre la misura precautelare dell’allontanamento d’urgenza [vedi →]. • (—) d’urgenza art. 384bis Misura cd. precautelare, introdotta dal decreto sul «femminicidio», nei confronti di chi è colto in flagranza dei reati di cui all’art. 282bis c.p.p., mira ad offrire una tutela immediata alle vittime di tali delitti. In particolare, gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, dove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa, hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del P. M. l’(—) con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Apertura del dibattimento artt. 492, 484, 444 Il giudice o il presidente del collegio, dopo aver controllato la regolare costituzione delle parti (artt. 1781, lett. b) e c), e 179) e la presenza del difensore, dichiara aperto il dibattimento [vedi →] che inizia con la lettura del capo di imputazione. Al momento dell’(—), e non oltre, nei procedimenti in Tribunale e in Assise l’imputato o la parte può chiedere al giudice ex art. 444 c.p.p. l’applicazione di una sanzione sostitutiva [vedi →], di una pena pecuniaria o detentiva diminuite fino ad un terzo [vedi → Patteggiamento]. L’(—) rappresenta anche il momento ultimo per procedere alla costituzione di parte civile del danneggiato, per la chiamata in causa del responsabile civile (sua citazione) o per la sua volontaria partecipazione (intervento volontario), nonché per la citazione in giudizio del civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Appello 207 Appello artt. 593-605; L. 20-2-2006, n. 46 Mezzo di impugnazione concesso dalla legge alla parte per chiedere la riforma totale o parziale di un provvedimento del giudice che essa ritiene ingiusto. Esso, in particolare, è un mezzo di impugnazione ordinario, in quanto impedisce che la sentenza passi in giudicato, e devolutivo, in quanto comporta un riesame della controversia relativamente alle parti impugnate sicché la nuova sentenza sostituisce quella impugnata. La disciplina dell’(—) avverso le sentenze emesse dal giudice di primo grado era stata significativamente incisa dalla L. 20-2-2006, n. 46 (c.d. legge Pecorella) che ne aveva modificato l’originario assetto sancendo la inoppugnabilità delle sentenze di proscioglimento (art. 593 c.p.p.). In sintesi, era rimasta inalterata la facoltà, spettante all’imputato e al P.M., di appellare la sentenza di condanna; era stata eliminata, di regola, la facoltà di appellare la sentenza di proscioglimento. Le decisioni della Corte cost. n. 26/2007 e n. 85/2008 hanno ripristinato la facoltà, spettante al P.M. e all’imputato, di appellare le sentenze di proscioglimento pronunciate dal tribunale e dalla Corte d’assise. L’(—) è esperibile nel termine di 15, 30 o 45 giorni a seconda, rispettivamente che la motivazione sia contestuale al dispositivo, depositata nei 30 giorni successivi oppure in un termine ancora più lungo. La competenza del giudice dell’appello è ripartita tra la Corte d’Appello e la Corte d’Assise d’Appello. Per l’(—) contro le sentenze del giudice di pace, il tribunale in composizione monocratica. I soggetti legittimati sono il Pubblico Ministero, l’imputato o il suo difensore, la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, infine il qurelante. Con riferimento al P.M., la legittimazione è conferita sia a quello presso il giudice che ha emesso la sentenza, sia a quello presso il giudice competente per l’impugnazione. La sfera di cognizione del giudice d’(—) è più ristretta rispetto a quella del giudice di primo grado in quanto si tratta di un mezzo di impugnazione devolutivo, cioè operante nei limiti dei motivi d’(—) proposti; inoltre, non tutte le sentenze di primo grado, sia di proscioglimento che di condanna, sono appellabili. In particolare, alla luce del quadro normativo, sono inappellabili: — le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda (art. 593, comma 3); — le sentenze di non luogo a procedere emesse in sede di udienza preliminare, per le quali il nuovo testo dell’art. 428 c.p.p. (mod. dalla L. 46/2006) ammette il solo rimedio del ricorso per cassazione [vedi → Cassazione (Ricorso per)]; — le sentenze predibattimentali di proscioglimento pronunciate con la non opposizione delle parti (art. 469 c.p.p.); — le sentenze di proscioglimento emesse nel giudizio penale davanti al giudice di pace (art. 36 D.Lgs. 274/2000). Parimenti inappellabili sono: — per il P.M., le sentenze di condanna emesse in sede di giudizio abbreviato [vedi →], salvo che queste mutino il titolo del reato; — per l’imputato le sentenze di proscioglimento emesse in sede di giudizio abbreviato; — per il P.M. e l’imputato, le sentenze di patteggiamento [vedi →], con la possibilità, per il P.M., di impugnativa nella sola ipotesi in cui la pena sia stata applicata dal giudice che abbia ritenuto ingiustificato il suo dissenso (art. 4482 c.p.p.). Il giudice di secondo grado, se appellante è il solo P.M., può operare contra reum e quindi aggravare la qualificazione giuridica del fatto, la specie o la quantità della pena, revocare benefici, nonché mutare l’assoluzione in condanna o semplicemente la formula di proscioglimento. Se appellante è il solo imputato e non anche il P.M., il giudice incontra il limite del divieto della reformatio in peius, sicché in tema di colpevolezza e di sanzioni può operare solo a favore del reo, con eccezione dell’aggravamento della qualificazione giuridica del fatto, peraltro senza possibilità di aumentare la pena (art. 597 c.p.p.). Con riferimento alla forma del processo di (—), essa può essere costituita o dal dibattimento [vedi →], che assicura l’effettività del contraddittorio tra le parti, o dal procedimento in camera di consiglio [vedi →], che, essendo più agile, è meno garantista in ordine alla difesa dell’imputato. Tale rito (art. 599 c.p.p.) va seguito tassativamente soltanto quando: — vi sono doglianze in tema di specie o misura della pena, circostanze attenuanti generiche, sanzioni sostitutive, benefici della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna; — vi sia richiesta concorde delle parti di accoglimento di alcuni motivi di appello (con rinuncia ad altri) ovvero di applicazione di una pena concordata: c.d. patteggiamento sui motivi d’appello e sulla pena. Tale istituto è stato abrogato dal D.L. 92/2008, conv. in L. 125/2008. Esso era ammissibile in due casi: a) quando l’impugnazione aveva per oggetto esclusivamente la specie o misura della pena, l’applicazione delle circostanze generiche o la comparazione delle A B 208 A B Applicazione della pena su richiesta delle parti circostanze, la sospensione condizionale della pena, l’applicazione di sanzioni sostitutive; b) quando pur avendo l’impugnazione ad oggetto punti della sentenza riguardanti la responsabilità penale dell’imputato, le parti rinunciando a tutti o a parte dei motivi, concordavano sulla determinazione della pena. Le parti non potevano patteggiare l’assoluzione dell’imputato. • (—) incidentale Sotto un primo aspetto, esso rappresenta una forma di reviviscenza del diritto di appellare, non esercitato nei termini da una parte, allorché l’altra abbia proposto tempestivo (—). L’(—) incidentale, proponibile non solo dal P.M., ma da qualsiasi parte in astratto titolare del potere di impugnazione, vale a rimettere in termini l’originario non appellante e produce gli stessi effetti, in favore della parte appellante, dell’ordinario (—). Per altri riflessi, l’(—) incidentale è dipendente da quello principale, per cui se quest’ultimo è inammissibile o è oggetto di successiva rinuncia, anche l’(—) incidentale perde vita ed efficacia (art. 595 c.p.p.). Esso, infine, può porre in discussione solo i capi della sentenza gravati dall’(—) principale ed ha carattere accessorio (accessorium sequitur principale). Applicazione della pena su richiesta delle parti [vedi → Patteggiamento] • (—) per i minori Non è ammesso, perché esso presuppone una capacità di valutazione che il legislatore ha ritenuto non essere presente nel minore. Archiviazione artt. 405, 408-415bis; artt. 125-126 disp. att.; L. 20-2-2006, n. 46; D.L. 14-82012,. 93, conv. in L. 14-8-2013, n. 119; D.Lgs. 16-3-2015, n. 28 Al termine delle indagini preliminari [vedi →], il P.M. può esercitare l’azione penale mediante la formulazione dell’imputazione (art. 405), oppure può chiedere l’(—), cioè la chiusura del procedimento penale senza formulare accuse. Presupposto di essa è la infondatezza della notitia criminis (artt. 408 e 125 disp. att.) o la concreta non esercitabilità dell’azione penale per difetto di una condizione di procedibilità [vedi →], non punibilità dela persona sottoposta alle indagini per particolare tenuità del fatto [vedi →] per l’esistenza di una causa di estinzione del reato (art. 411) o per la mancata identificazione dell’autore di esso (art. 415). Una ulteriore ipotesi di (—) era stata introdotta dalla L. 20-2-2006, n. 46 che aveva previsto l’obbligo per il P.M. di richiedere l’(—) ove la Corte di Cassazione [vedi →], chiamata a pronunciarsi sul provvedimento del giudice in merito alla richiesta di una misura cautelare personale [vedi →Misure cautelari], avesse ritenuto la insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e non fossero stati successivamente acquisiti ulteriori elementi di prova a carico (comma 1bis). La Corte cost. con sent. 24-4-2009, n. 121, ha dichiarato l’illegittimità del comma 1bis, sancendo l’obbligatorietà dell’azione penale. La richiesta di (—) è notificata a cura del P.M. alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di voler essere informato. L’(—) è sottoposta alla verifica e al vaglio del G.I.P., spettando al P.M. solo un potere di richiesta. In presenza di tale richiesta il G.I.P. può accoglierla pronunciando decreto motivato di (—), senza particolare formalità. Qualora, invece, vi sia l’opposizione della persona offesa [vedi →] o il G.I.P. ritenga opportuno un più approfondito vaglio della richiesta del P.M., fissa un’apposita udienza e procede in camera di consiglio (art. 127) [vedi →]. In tale sede il G.I.P. può accogliere la richiesta di (—) emettendo ordinanza e non decreto; può disporre il compimento di ulteriori indagini (cd. coatte) da parte del P.M.; può, infine, rigettare la richiesta di (—) e disporre che il P.M. formuli l’imputazione (cd. coatta) chiedendo il rinvio a giudizio. Il provvedimento di (—) non impedisce la riapertura delle indagini preliminari in presenza dell’esigenza di nuove investigazioni, previo decreto motivato del G.I.P. (art. 414). A seguito dell’intervento della L. 16-12-1999, n. 479 (artt. 15 e 17) è previsto che il provvedimento di (—) sia notificato alla persona sottoposta alle indagini qualora sia stata applicata nei suoi confronti la custodia cautelare (art. 409) nonché che il P.M. notifichi all’indagato e al difensore,nonché quando si procede per i reati di cui agli artt. 572 e 612bis, anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo alla persona offesa, avviso della conclusione delle indagini preliminari qualora non debba formulare la richiesta di (—) (art. 415bis). N.B. L’udienza va sempre fissata, se vi è stata opposizione (ammissibile) all’archiviazione da parte della persona offesa (art. 410). Dell’udienza deve essere dato avviso al Procuratore Generale (art. 4093 e 4103), ai fini dell’eventuale avocazione. Arresto e fermo • (—) probatoria art. 125 disp. att. c.p.p. Dispone l’art. 125 disp. att. c.p.p. che il P.M. chiede l’archiviazione quando ritiene infondata la notizia di reato, perché gli elementi di prova acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Dalla formulazione della norma si evince che l’archiviazione viene chiesta non solo in presenza positiva dell’infondatezza della notitia criminis, ma anche quando l’insufficienza o contraddittorietà delle fonti di prova raccolte non consente al P.M. di prevedere di poter sostenere con esito positivo l’accusa in dibattimento. In tal caso si parla di «archiviazione probatoria», determinata cioè dalla mancanza od insufficienza delle fonti di prova d’accusa. Arresti domiciliari artt. 284, 292-293; D.L. 24-11-2000, n. 341 conv. in L. 19-1-2001, n. 4; L. 26-3-2001, n. 128; L. 21-4-2011, n. 62; D.L. 1-7-2013, n. 78, conv. in L. 9-8-2013, n. 94 È una delle misure cautelari [vedi →] personali, applicabile ricorrendo i presupposti di cui agli artt. 273 e 274 c.p.p. Risulta meno afflittiva rispetto alla custodia cautelare [vedi →] in carcere (della quale produce gli stessi effetti e condivide la natura giuridica), sia per il luogo in cui si attua (il domicilio, anziché la casa circondariale) sia per le possibili mitigazioni della restrizione (autorizzazione ad assentarsi sul lavoro). Gli (—) consistono in uno stato di privazione della libertà personale e, in tal senso, sono detraibili dal computo della pena detentiva eventualmente inflitta con sentenza definitiva. Si attuano in un immobile come la casa di abitazione, un altro luogo di privata dimora, un luogo di cura o di assistenza (ospedale) oppure una casa famiglia protetta, a seconda delle esigenze di vita dell’imputato. Una normativa specifica è prevista per due categorie di persone. Per gli imputati tossicodipendenti che hanno in corso programmi terapeutici o che intendono sottoporsi ai medesimi, è previsto l’arresto domiciliare presso strutture di recupero (art. 89 d.p.r. 309/1990). Quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età fino a sei anni con lei convivente, o padre (qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole) è previsto, oltre all’arresto domiciliare nella propria abitazione o in luogo di privata dimora o in luogo pubblico di cura o assistenza, anche la nuova figura dell’arresto domiciliare in casa famiglia protetta, ove istituita (art. 284, comma 1, mod. dalla legge 21 aprile 2011, n. 62). Infine il d.l. 78/2013, conv. in l. 94/2013 (decreto svuotacarceri) ha previsto che il giudice disponga la misura degli (—) in modo da assicurare comunque le esigenze prioritarie di tutela della persona offesa dal reato. Per provvedere a tali esigenze indispensabili, e per esercitare un’attività lavorativa (se il soggetto versa in situazione di assoluta indigenza), il giudice può autorizzare l’imputato ad assentarsi dal domicilio presso il quale la misura degli (—) viene attuata per il tempo strettamente necessario. All’interno del luogo di detenzione l’imputato è libero, ma il giudice può vietargli di comunicare (di persona o telefonicamente) con estranei. Il controllo saltuario sull’osservanza delle prescrizioni imposte compete agli organi inquirenti (P.M. e P.G.), restando escluso il c.d. piantonamento in casa (art. 284 c.p.p.). L’allontanamento dal sito degli arresti integra il delitto di evasione (art. 385 c.p.). Il D.L. 341/2000 (conv. in L. 4/2001), prendendo atto della facilità con cui le persone sottoposte agli arresti domiciliari si sottraggono al vincolo, spesso commettendo gravi reati, ha dettato una nuova disciplina in relazione a tale misura cautelare. Le novità (previste dall’art. 275bis e dalle modifiche agli artt. 276 e 284) sono le seguenti: a) quando vi sono particolari esigenze cautelari da garantire ed il giudice, salvo che le ritenga non necessarie, dispone procedure di controllo mediante strumenti elettronici od altri strumenti tecnici (es. braccialetto elettronico) di cui la P.G. abbia la disponibilità; b) il giudice deve contestualmente disporre la custodia in carcere per l’eventualità che l’imputato rifiuti l’applicazione degli strumenti di controllo; c) in caso di violazione degli arresti domiciliari (allontanamento dal domicilio), il giudice deve disporre l’applicazione della custodia in carcere; d) vi è divieto di arresti domiciliari per chi, nei cinque anni precedenti ha subito condanna per il reato di evasione (art. 385 c.p.). Arresto e fermo art. 13 Cost.; artt. 343-344, 379-390 c.p.p.; D.L. 27-7-2005, n. 144, conv. in L. 31-7-2005, n. 155; D.Lgs. 20-2-2006, n. 106; D.L. 23-5-2008, n. 92, conv. in L. 24-72008, n. 125; D. L. 23-2-2009, n. 11, conv. in L. 23-4-2009, n. 38; L. 15-7-2009, n. 94; L. 1-10-2012, n. 172; D.L. 1-7-2013, n. 78, conv. in L. 9-8-2013, n. 94; D.L. 14-8-2013, n. 93, 209 A B 210 Arresto e fermo conv. in L. 15-10-2013, n. 119; D.L. 23-12-2013, n. 146, conv. in L. 21-2-2014, n. 10; D.L. 18-2-2015, n. 7, conv. in L. 17-4-2015, n. 43; L. 23-3-2016, n. 41 A B L’art. 13 della Costituzione sancisce l’inviolabilità della libertà personale; ne ammette la limitazione ad opera dell’Autorità Giudiziaria nei soli casi previsti dalla legge. In casi eccezionali, la Polizia Giudiziaria, per finalità di pubblica sicurezza, può adottare provvedimenti provvisori da assoggettare a convalida dell’Autorità Giudiziaria entro il termine perentorio di 96 ore. Il Codice di procedura penale prevede strumenti limitativi della libertà personale che vanno sotto il nome di (—). L’arresto consiste in una privazione temporanea di libertà di competenza esclusiva della P.G. L’arresto in flagranza rappresenta la prima forma di carcerazione preventiva. Si ripartisce in obbligatorio e facoltativo a seconda che la sua attuazione costituisca un atto dovuto o discrezionale. In ogni caso, presupposto comune è la flagranza del reato, ravvisandosi tale nozione nella sorpresa del soggetto nell’atto di commettere il reato, ovvero, nell’inseguimento, ad opera della P.G., della persona offesa o di altre persone, effettuato subito dopo il reato, o nella sorpresa del reo con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima (cd. quasi flagranza) (art. 382 c.p.p.). La L. 13-12-1989, n. 401, emanata per contrastare la violenza nel corso delle manifestazioni sportive, consente che la persona che compia atti di violenza (es. invasioni di campo, lancio di materiale pericoloso ecc.), qualora sia identificabile attraverso riprese video-fotografiche, sia considerata in stato di flagranza, e possa quindi essere arrestata, fino a 48 ore dopo il fatto (c.d. arresto differito), ove non sia stato possibile procedere immediatamente all’arresto per motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Una volta disposto l’arresto in flagranza, è possibile l’applicazione di misure cautelari [vedi →] anche al di fuori dei limiti della pena prevista dal codice di procedura penale (artt. 274 c. 1, lett. c) e 280). Per tale previsione, tuttavia, è stata prevista una efficacia a tempo determinato (prorogata al 30-6-2016). Per la previsione obbligatoria di arresto deve trattarsi sempre di delitti non colposi, punibili con la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni, purché il massimo raggiunga i 20 anni, o di reati ivi espressamente menzionati, individuati per le loro caratteristiche di salvaguardia dell’ordine costituzionale, della sicurezza collettiva e dell’ordinato vivere civile (art. 3802 c.p.p.). L’altra ipotesi di arresto, quella facoltativa, è strutturata secondo una duplice previsione: una generale, che attiene alla misura della pena prevista dal Codice penale (misura più alta, pari ad almeno 5 anni, per i delitti colposi; e più bassa, superiore a 3 anni, sempre nel massimo edittale, per i delitti non colposi) ed una elencazione analitica, di natura tassativa, effettuata secondo il titolo dei reati e quindi sulla base della qualità criminale degli stessi. Per tali reati, è stata esclusa la facoltà di arresto da parte dei privati. L’arresto facoltativo in flagranza è, altresì, escluso nei confronti della persona che, nella fase delle indagini preliminari, renda informazioni false o rifiuti di renderle (art. 381, n. 4bis); tale disposizione va direttamente collegata alla riforma dell’art. 371bis c.p. (False informazioni al P.M.). Infine, l’arresto facoltativo è escluso nei confronti della persona che, nella fase delle indagini preliminari, renda informazioni false o rifiuti di renderle (art. 381 n. 4bis); tale disposizione va direttamente collegata alla riforma dell’art. 371bis c.p. (False informazioni al P.M.). Per quanto riguarda invece il fermo, esso consiste, come l’arresto, in privazione di libertà. Diversi ne sono però, rispetto all’arresto, i presupposti, le finalità e la titolarità del potere. In ordine ai presupposti, il fermo richiede anzitutto la sussistenza di gravi indizi di reità. Deve ricorrere inoltre, il pericolo di fuga, desunto da elementi specifici (tra cui l’impossibilità di identificare l’indiziato). Non è invece richiesta la flagranza. Infine, deve consentirlo il titolo del delitto (o per l’entità della pena, ovvero per espressa previsione). Le finalità sono evidenti: evitare che l’indagato possa darsi alla fuga, soprattutto quando, mancando il requisito della flagranza, non può procedersi all’arresto. Quanto alla titolarità del potere, esso spetta, diversamente che per l’(—), in via principale al P.M. e solo in via sussidiaria alla P.G., prima dell’assunzione della direzione delle indagini da parte del P.M., ovvero in caso di sopravvenute emergenze, come previsto dall’art. 3843 c.p.p. Una particolare ipotesi di fermo è stata inserita in materia di misure di prevenzione [vedi →] dall’art. 77, D.Lgs. 6-9-2011, n. 159 (Codice antimafia). Essa è applicabile nei confronti dei soggetti, indicati dall’art. 4, D.Lgs. 159/2011 cit., anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 384 c.p.p. ma purché si tratti di un reato per il quale è consentito l’arresto facoltativo in flagranza ex art. 381 c.p.p. Con riferimento al profilo della legittimazione del P.M., il D.Lgs. 20-2-2006, n. 106, in attuazione della delega (L. 105/2005) in materia di riorganizzazione dell’ufficio del Assenza pubblico ministero, in un’ottica di generale rafforzamento della posizione del Procuratore capo, ha previsto che questi debba specificamente assentire per iscritto il fermo di indiziato disposto da un procuratore aggiunto o da un magistrato del suo ufficio. Il P.M. ha 48 ore dall’(—) o dal (—) per richiedere al G.I.P. [vedi → Giudice per le indagini preliminari] della stessa sede (luogo di esecuzione della misura) la convalida; tale richiesta equivale a messa a disposizione o presentazione del soggetto in vinculis al giudice. Nelle successive 48 ore il G.I.P. deve celebrare l’udienza di convalida, e decidere, a pena di cessazione di efficacia dell’(—) o del (—). Prima di tale udienza, l’indagato può anche essere interrogato autonomamente dal P.M. L’udienza (celebrata in camera di consiglio) si svolge con la partecipazione necessaria dell’arrestato o fermato e del difensore e con quella facoltativa del P.M. Dette parti sono preavvisate a cura della cancelleria del G.I.P. Indi il G.I.P. adotta la sua decisione, che è di convalida se l’(—) era legittimo ab initio e non sia divenuto inefficace per decorrenza della serie di termini brevi innanzi esaminata. L’ordinanza di convalida, in quanto tale, attiene solo al controllo giurisdizionale sull’atto privativo di libertà, ma non vale a legittimare l’ulteriore protrazione dello stato di (—) (l’eventuale permanenza in carcere andrà disposta con altro provvedimento cautelare). L’ordinanza con la quale il G.I.P. conclude l’udienza di convalida deve essere pronunciata nelle 48 ore dalla messa a disposizione dell’arrestato/fermato da parte del P.M., ciò a pena di perdita di efficacia dell’(—) o del (—) con conseguente liberazione dell’indagato. L’ordinanza deve essere 7 comunicata al P.M., o notificata all’indagato eventualmente non comparso (art. 391 ). • (—) per i minori artt. 16-18bis d.p.r. 448/1988 Nel regime del D.P.R. 448/1998 la libertà personale dell’indagato o imputato minorenne può esse limitata: dalla p.g. mediante l’arresto in flagranza, il fermo, l’accompagnamento in un ufficio di polizia; dal P.M. mediante il fermo; dal giudice mediante le misure cautelari (prescrizioni, permanenza in casa, collocamento in comunità, custodia cautelare). L’arresto del minore è sempre facoltativo (art. 16 D.P.R. 448/1988); infatti gli agenti e ufficiali di p.g., nell’esercizio della facoltà di arresto devono tenere conto della gravità del fatto, dell’età e della personalità del minore. In relazione al minorenne il fermo può essere disposto per uno dei delitti previsti dall’art. 23 D.P.R. 448/1988 (come per l’arresto), purchè la pena non sia inferiore nel minimo a due anni di reclusione. La p.g. può accompagnare (art. 18bis D.P.R. 448/1988) presso i propri uffici il minorenne colto in flagranza di un delitto non colposo per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni. In tale caso la p.g. può trattenere il minore non oltre le dodici ore; deve avvisare il PM e l’esercente la potestà genitoriale. Infine, deve consegnarlo ai genitori, con l’ammonimento di tenerlo a disposizione del PM. Assenza • (—) dell’imputato dal dibattimento La L. 28- 4- 2014 n. 67 recante «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili» al Capo III contiene disposizioni (artt. 9 - 15) che ridisegnano la disciplina del processo «in assenza» dell’imputato, eliminando l’istituto della contumacia ed introducendo la nuova disciplina del processo in assenza, sostituendo così il testo dell’art. 420 bis c.p.p. Al primo comma viene prevista l’ipotesi in cui sia lo stesso imputato assente, libero o detenuto, a manifestare espressamente la volontà di rinunciare a partecipare alla udienza. In tali casi il processo potrà essere celebrato in assenza, non si porrà il tema del legittimo impedimento a comparire dell’imputato, attesa l’intervenuta rinuncia, e non dovrebbero operare i rimedi restitutori. La rinuncia deve essere espressa. Al comma 2 dello stesso articolo vengono previste altre ipotesi di procedibilità in assenza. In particolare, il processo viene celebrato in «assenza» se: 1) nel corso del procedimento l’imputato abbia dichiarato o eletto domicilio. La norma non fa riferimento anche all’ipotesi in cui l’imputato, invitato, rifiuti di dichiarare o eleggere domicilio, sebbene anche in tal caso pare sostenibile che l’indagato sia informato della esistenza del procedimento penale a suo carico; potranno tali casi, verosimilmente, essere ricondotti alla situazione sub 4); 2) l’imputato sia stato, nell’ambito del procedimento, arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare. Si tratta di una previsione ampia che, da una parte, sembra fare riferimento anche alle misure cautelari reali e, dall’altra, si riferisce a fattispecie che presuppongono la concreta avvenuta esecuzione della misura cautelare o pre-cautelare «sia stato arrestato, fermato o sottoposto»; 211 A B 212 A B Astensione 3) se l’imputato abbia nominato un difensore di fiducia; 4) se risulti «comunque» con certezza che l’imputato sia a conoscenza del procedimento o che l’imputato si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo. In tutti i casi esaminati il giudice emette ordinanza con cui dispone di procedere in assenza dell’imputato. L’ordinanza è revocabile anche d’ufficio se l’imputato compare. È possibile che l’imputato compaia e nulla eccepisca in ordine alla pregressa assenza, ovvero che, comparendo, fornisca «la prova che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo» ovvero che versava nell’assoluta impossibilità di comparire e che la prova dell’impedimento è pervenuta con ritardo senza una sua colpa, ovvero che il procedimento avrebbe dovuto essere sospeso ai sensi del novellato art. 420 quater. La colpa imputabile della mancata conoscenza del processo potrà consistere in qualsiasi trascuratezza o negligenza, desumibile dagli atti, che possa aver favorito la mancata conoscenza. Il nuovo art. 420 bis, comma 4, stabilisce che se l’imputato compare nel corso della udienza preliminare prima della decisione ed è in grado di dimostrare di non aver avuto colpa nella ignoranza della celebrazione del processo, il giudice dispone il rinvio dell’udienza; il raggiungimento della prova consentirà all’imputato di chiedere l’acquisizione di atti e documenti ai sensi dell’art. 421, comma 3, (primi due periodi): gli atti sono quelli di indagine compiuti dopo il deposito della richiesta di rinvio a giudizio e le eventuali memorie (art. 121) anche dei consulenti di parte; i documenti sono quelli di formazione extraprocessuale (art. 234). Ove, invece, l’imputato, assente all’udienza preliminare, compaia nel giudizio di primo grado, può formulare richieste istruttorie ai sensi dell’art. 493 (art. 420 quater, terzo periodo). È possibile in tale contesto che l’imputato abbia notizia del processo e decida di costituirsi alla prima udienza dibattimentale; egli sarà tenuto a depositare la lista prevista dall’art. 468 nel termine di sette giorni se vorrà, quindi, chiedere l’ammissione di prove dichiarative. È altresì possibile che l’imputato, rimasto senza colpa assente dall’udienza preliminare, abbia conoscenza del udienza dibattimentale dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 468 per il deposito delle liste e decida di comparire; egli quindi sarà presente al momento della costituzione delle parti in giudizio ma non potrà chiedere l’ammissione delle prove dichiarative che avrebbe dovuto indicare nella lista ex art. 468. Il quarto periodo dell’art. 420 bis riconosce infine all’imputato, ferma restando in ogni caso la validità degli atti regolarmente compiuti, il diritto di chiedere la rinnovazione delle prove già assunte. Astensione artt. 36, 39, 42, 43 È un istituto volto, da un lato, ad assicurare allo stesso giudice la serenità e l’autorità necessaria per l’esercizio delle sue funzioni e, dall’altro, a garantire i cittadini in ordine alla posizione di assoluta estraneità ed imparzialità del giudice rispetto alle parti in causa. Al giudice è fatto obbligo di astenersi sia quando sussistono motivi per essere ricusato, sia quando ricorrono gravi ragioni di convenienza. L’(—) risale ad una dichiarazione del giudice tenutovi. La decisione in merito all’accoglimento o al rigetto di tale dichiarazione spetta al presidente dello stesso Ufficio giudiziario (se si tratta di un componente di esso) ovvero al presidente dell’ufficio sovraordinato se l’(—) promana dal capo di un ufficio sottordinato: presidente del Tribunale o della Corte. Il giudice astenutosi è sostituito con altro magistrato dello stesso ufficio e gli atti da lui compiuti perdono o conservano efficacia, secondo quanto stabilito nel provvedimento di accoglimento dell’(—). Nel caso in cui siano state presentate sia la istanza di ricusazione che la dichiarazione di (—) prevale quest’ultima, anche se proposta successivamente. Il P.M. ha la facoltà di astenersi quando esistono gravi ragioni di convenienza, ma non può essere ricusato, in quanto parte e non arbitro del processo. V. schema Cap. 3, Sez. I, §2. Atti introduttivi del dibattimento artt. 484-495; artt. 3 e 7 D.L. 8-6-1992, n. 306 conv. in L. 7-8-1992, n. 356 Sono quegli atti che vanno dall’inizio dell’udienza fino alla formulazione del programma probatorio, cioè fino al momento in cui si inizia l’acquisizione delle prove. Il processo implica anzitutto la verifica della regolare costituzione delle parti. Il Presidente del collegio assicura la difesa tecnica dell’imputato, designandogli un difensore, ove necessario. L’imputato ha diritto, non obbligo, a comparire in dibattimento. Quest’ultimo viene rinviato se si provi o appaia probabile che l’imputato non abbia avuto effettiva, reale conoscenza della vocatio in ius o non sia comparso per forza maggiore o altro legittimo Audizione protetta impedimento. Invece, il dibattimento prosegue in caso di assenza volontaria dell’imputato. Infatti, la mancata comparizione all’udienza dell’imputato, libero o detenuto, in caso di regolarità della sua vocatio in ius, rappresenta il frutto di una sua libera e lecita scelta; ma questa non può bloccare l’iter del processo. Si procede allora in assenza dell’imputato [vedi →] che conserva sempre la facoltà di comparire in udienza per rendere dichiarazioni spontanee o anche assoggettarsi ad esame. La disciplina relativa alla costituzione delle parti è stata oggetto di intervento da parte della L. 16-12-1999, n. 479 (art. 39), che ha aggiunto il comma 2bis all’art. 484 c.p.p. Superate le questioni inerenti all’instaurazione del contraddittorio, l’iter procedurale deve affrontare le questioni preliminari la cui essenza concerne la regolarità dello sviluppo del rapporto processuale o di singoli momenti o atti di esso. La natura processuale di tali questioni rende la loro risoluzione logicamente e giuridicamente preliminare rispetto a quella sul merito della pretesa punitiva azionata. Tali questioni sono quelle relative alla competenza per territorio o per connessione, alle nullità relative di ordine intermedio, alla partecipazione di parti private diverse dall’imputato e simili. Superate tali questioni preliminari, decise con ordinanza, il dibattimento [vedi →] viene dichiarato aperto e il suo primo atto è dato dalla lettura dell’imputazione. Una fase successiva è costituita dall’esposizione introduttiva del P.M. e dalle richieste di prova (da parte dei difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell’imputato). Infine, il giudice, sentite le parti, provvede con ordinanza all’ammissione delle prove 1 [vedi →] ex art. 190 e 190bis c.p.p. (in ordine, rispettivamente, al diritto alla prova e ai requisiti della prova in casi particolari). Atti irripetibili artt. 3542, 392 Il codice di procedura penale non specifica cosa essi siano. Tuttavia si individuano due concetti di irripetibilità dell’atto. Una riguarda l’indifferibilità dell’atto avente una funzione probatoria, che deve essere compiuto in certi frangenti, in quanto il suo risultato probatorio è fondato sulla sorpresa. Tali sono le ispezioni [vedi →], le perquisizioni [vedi →] e i sequestri [vedi →], che possono essere disposti dall’autorità giudiziaria (e quindi anche dal Pubblico Ministero). In tal caso si parla di (—) intrinsecamente o (—) per natura. Inoltre vi sono atti che, pur essendo di per sé ripetibili per natura, non sono più tali perché sono resi in circostanze di tempo, di luogo e di persona tali da rendere l’atto non più rinnovabile. Si pensi ad una testimonianza che di per sé è atto ripetibile, ma se resa da chi versi in gravi condizioni fisiche, che successivamente deceda, diviene un atto non ripetibile. La non ripetibilità dell’atto assume rilievo in tema di incidente probatorio [vedi →]. L’irripetibilità può essere anche sopravvenuta a causa di fatti e circostanze imprevedibili (art. 512 c.p.p.). In ogni caso, gli (—) sono utilizzabili nella fase dibattimentale, sebbene assunti in quella delle indagini preliminari [vedi →] o dell’udienza preliminare [vedi →]. Atti preliminari al dibattimento artt. 465-469; D.L. 8-6-1992, n. 306 conv. in L. 7-81992, n. 356 Tali atti intercorrono tra il momento in cui il giudice dibattimentale è investito del processo per effetto del decreto che dispone il giudizio e il momento in cui ha effettivamente inizio l’udienza dibattimentale [vedi → Dibattimento]. Tali atti comprendono: — ricezione del decreto emesso dal P.M. (decreto di citazione a giudizio), dal giudice dell’udienza preliminare [vedi →] alla conclusione dell’udienza preliminare o dal GIP a seguito della richiesta di giudizio immediato; — deposito, presso la cancelleria del giudice, del fascicolo per il dibattimento, con diritto del P.M. e dei difensori delle parti private, di prenderne visione o di estrarne copia; — eventuale emissione del decreto da parte del presidente del collegio per spostare la data dell’udienza dibattimentale; — eventuale assunzione di prova, allorché vi siano i presupposti di urgenza previsti per gli atti non rinviabili dalle norme in materia di incidente probatorio [vedi →]; — deposito in cancelleria delle liste dei testi, periti e consulenti di cui le parti intendono chiedere l’esame, con l’indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame; — eventuale proscioglimento predibattimentale. Audizione protetta artt. 392, 398, 498; D.L. 23- 2-2009, n. 11, conv. in L. 23-4-2009, n. 38; L. 1-10-2012, n. 172; D.L. 14-8-2013, n. 93, conv. in L. 15-10-2013, n. 119 In materia di reati di maltrattamenti contro familiari e conviventi, di riduzione o mantenimento in schiavitù, prostituzione minorile, pornografia minorile, iniziative turistiche 213 A B 214 A B Autodifesa volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi, violenza sessuale, atti sessuali con minorenni, e violenza sessuale di gruppo, atti persecutori, è prevista la facoltà delle parti di procedere con incidente probatorio [vedi →] all’assunzione della testimonianza [vedi →] di persona minore o di persona maggiorenne offesa anche al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 392 c.p.p. A tal fine, quando le esigenze del minore lo rendono necessario od opportuno, l’udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal Tribunale ed il giudice potrà avvalersi di strutture specializzate di assistenza, ovvero presso l’abitazione della persona interessata all’assunzione della prova. Anche il dibattimento [vedi →] dovrà svolgersi a porte chiuse e l’esame del minore vittima del reato ovvero del maggiorenne infermo di mente vittima del reato, viene effettuata su sua richiesta o del suo difensore mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico. Quando la persona offesa è maggiorenne per la particolare vulnerabilità della persona offesa, il giudice assicura l’adozione di modalità protette. Autodifesa artt. 121, 474, 494 All’imputato/indagato nel corso del procedimento penale è garantita in ogni momento la c.d. difesa tecnica a mezzo di un difensore di fiducia o di ufficio [vedi → Difensore] che assista l’inquisito nelle udienze od al momento del compimento di atti garantiti da parte della A.G. L’imputato, però, può in ogni momento difendersi personalmente, senza la mediazione del difensore (c.d. autodifesa), sia nel corso delle indagini (v. art. 121, che consente la presentazione di memorie e richieste all’A.G., in ogni stato e grado del procedimento; art. 374, c.p.p. che consente all’indagato di presentarsi spontaneamente al P.M. per rendere 7 dichiarazioni; art. 350 , che consente all’indagato di rendere spontanee dichiarazioni alla P.G., anche in assenza del difensore); sia nel corso del giudizio (l’art. 494, che consente all’imputato di rendere nel dibattimento spontanee dichiarazioni in ogni stato di esso). Autorizzazione a procedere art. 68 Cost.; L. Cost. 29-10-1993, n. 3; artt. 343 e 344 Costituisce una condizione di promovibilità dell’azione penale [vedi →] e di proseguibilità della stessa nel senso che, a seconda dei casi, l’(—) può intervenire per rimuovere l’ostacolo iniziale o quello sopravvenuto all’esercizio della pretesa punitiva. L’(—) costituisce una dichiarazione di volontà di una pubblica autorità (politica o amministrativa) diretta a consentire l’esercizio del magistero punitivo in considerazione della natura del reato (cd. (—) oggettiva) o della qualità del soggetto (cd. (—) subiettiva, intuitu personae). Così, per i reati contro la personalità dello Stato, per quelli di vilipendio alle Assemblee legislative, all’Ordine giudiziario e alle Forze armate o alla Corte Costituzionale occorre l’(—) (intuitus delicti). Per i reati comuni commessi da soggetti particolari (es.: membri del Parlamento, giudici della Corte Costituzionale), l’(—) è variamente regolata. L’art. 68 Cost. è stato riformulato dalla L. Cost. 3/93 che ha limitato la necessità dell’(—) ad alcuni specifici atti processuali (perquisizione, arresto, intercettazione, sequestro di corrispondenza). Al di fuori di tali atti, non è più necessaria alcuna (—). Permangono, invece, le prerogative riconosciute ai giudici costituzionali dalla L. Cost. 1/48. Attesa la natura dell’(—), questa, se concessa, non può essere revocata (art. 3435 c.p.p.). Nei casi di previsione intuitu personae, la necessità dell’(—) può insorgere dopo l’inizio dell’azione penale, allorché l’imputato solo successivamente ad essa acquisisce la particolare qualità personale. In tale ipotesi, il processo va subito sospeso [vedi → Sospensione del processo] e la sua sorte dipenderà dalla sopravvenienza o meno dell’(—). L’(—) deve essere chiesta dal P.M. alla competente Autorità entro 30 giorni dalla notitia criminis. Nell’attesa della eventuale concessione dell’autorizzazione, non possono essere effettuati il fermo di Polizia Giudiziaria, l’emissione di misure cautelari, le perquisizioni, le ispezioni, le ricognizioni, le individuazioni, i confronti, le intercettazioni telefoniche [vedi →]. Il difetto di (—) incide sul tipo di provvedimento in relazione al momento processuale in cui esso viene rilevato (archiviazione [vedi →] per improcedibilità, sentenza di non luogo a procedere [vedi → Sentenza] nell’udienza preliminare, sentenza di non doversi procedere [vedi → Sentenza] in dibattimento). Con L. 20 -6-2003, n. 140 è stata emanata una nuova regolamentazione in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato. All’art. 1 si è disposto che «non possono essere sottoposti a processi penali per qualsiasi reato, anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime: il Presidente della Repubblica (tranne che per alto tradimento ed attentato alla Costituzione), i Presidenti di Camera e Senato, il Presidente del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Corte Costituzionale». Tale disposizione (c.d. Lodo Schifani) è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sent. n. 9 del 2004. enefici di legge 215 Avocazione artt. 512, 372, 412, 413, 421bis; art. 206; R.D. 30-1-1941, n. 12 Per garantire l’obbligatorietà dell’azione penale di fronte ad eventuali ritardi od omissioni delle procure, in caso di obiettive situazioni di inerzia del P.M. designato o del suo dirigente, è contemplato un potere di (—) in capo al Procuratore Generale. Nelle indagini preliminari [vedi →], tale (—) è prevista qualora non venga richiesta l’archiviazione o il rinvio a giudizio entro il termine fissato per l’attività inquirente, nonché quando non sia possibile sostituire il magistrato designato o vi sia omissione in tale sostituzione. A fronte di tali casi in cui l’(—) è obbligatoria, vi è un’ipotesi di (—) facoltativa, allorché il giudice per le indagini preliminari [vedi →] non accolga la richiesta di archiviazione [vedi →]. In tal caso il giudice fissa l’udienza per la trattazione della questione in camera di consiglio [vedi →] e ne dà comunicazione al procuratore generale presso la Corte d’Appello (art. 4093) affinché questi eserciti il suo potere di (—) qualora ritenga insufficienti le indagini svolte dal P.M. Un’analoga ipotesi è prevista allorché il giudice, in sede di udienza preliminare, emetta ordinanza con cui invita il P.M. ad una integrazione delle indagini (art. 421bis2). A seguito dell’(—) le indagini (e le determinazioni conseguenti) sono svolte dalla Procura Generale. Azione penale art. 112 Cost.; artt. 50, 405 È quella esercitata dal pubblico ministero [vedi →] al fine di perseguire i reati di cui egli sia venuto a conoscenza, dopo averne identificato l’autore. Suoi caratteri sono la pubblicità, l’obbligatorietà e l’irretrattabilità e procedibilità d’ufficio. Il primo di tali caratteri comporta che il fine di perseguire i reati è pubblico, proprio dello Stato che lo esercita attraverso il P.M. L’obbligatorietà è data dal fatto che il P.M., una volta che abbia ritenuto sussistenti gli estremi per l’esercizio dell’(—) e che perciò, non sussistano quelli per la richiesta di archiviazione [vedi →], deve esercitare l’(—). L’irretrattabilità dell’(—) indica che il P.M. una volta esercitata l’(—), non può più ritornare indietro e chiederne l’archiviazione. Il P.M. esercita l’(—) mediante la richiesta di rinvio a giudizio, la richiesta di patteggiamento, la citazione per il giudizio direttissimo, la richiesta di giudizio immediato, la richiesta di emissione di decreto penale di condanna e la citazione diretta a giudizio. La procedibilità d’ufficio è data dal fatto che, di regola, il P.M. non è vincolato, nella sua azione, all’iniziativa di altri soggetti; è sufficiente che egli rilevi che il fatto è previsto dalla legge come reato. B Banca dati nazionale del DNA L. 30-6-2009, n. 85 La L. 30-6-2009, n. 85 (Trattato Prum), ha previsto la istituzione della Banca dati nazionale del DNA (presso il Ministero dell’Iterno) e del Laboratorio centrale per la Banca dati del DNA (presso il Ministero della Giustizia, con sede nel Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). Sono due istituzioni che consentiranno di pervenire alla identificazione di persone per fini di giustizia. Benefici di legge Formula riassuntiva che indica istituti finalizzati ad agevolare la riabilitazione del condannato. Essi sono: la sospensione condizionale della pena (art. 163 c.p.) e la non menzione della condanna (art. 175 c.p.). Braccialetto elettronico art. 275bis La disciplina del (—) si inquadra nel novero di un complesso di interventi in materia di libertà personale fondati sulla diffusa opinione della sostanziale inefficacia delle misure diverse dal carcere, in particolare degli arresti domiciliari [vedi →], dell’allontanamento dalla casa familiare [vedi →], costituendo, così, una loro modalità di esecuzione. In tale ottica è disposto che il giudice, salvo che siano ritenute non necessarie, dispone che l’imputato sia sottoposto a controllo mediante strumenti elettronici od altri strumenti tecnici di cui la polizia giudiziaria abbia la disponibilità. L’imputato, peraltro, non ha altra possibile opzione che acconsentire alla misura o essere sottoposto alla custodia carceraria. Con la modifica del decreto svuotacarceri (L. 10/2014) il giudice deve previamente accertare la disponibilità dei mezzi di monitoraggio elettronico da parte della polizia giudiziaria, il cui utilizzo costituisce la regola. Perciò il giudice, nella concessione degli arresti domiciliari, deve prescrivere l’uso di procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici a meno che, in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto, non lo ritenga necessario. A B