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L`OMICIDIO DI HINA SALEEM Profili psicologici delle aggravanti dei
L’OMICIDIO DI HINA SALEEM Profili psicologici delle aggravanti dei motivi futili o abbietti e della premeditazione Avv. Gerardo Milani Laureato in Giurisprudenza Tutor: Dott.ssa Sara Codognotto 2007-2008 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Indice: Abstract Il caso: l’omicidio di Hina Saleem pag. 1 Il filicidio pag. 2 Profilo vittimologico pag. 5 L’incidenza della motivazione culturale nell’aggravante dei motivi futili o abbietti pag. 17 L’incidenza della norma soggettiva nell’aggravante della premeditazione pag. 24 Breve profilo criminologico del padre pag. 29 Bibliografia pag. 31 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Abstract: il presente lavoro svolge una lettura in chiave psicologica di alcuni istituti giuridici ritenuti nella sentenza di condanna per un reato di filicidio consumato in Italia nel corso dell’anno 2006. Nel caso in esame, sono state contestate a tre imputati le circostanze aggravanti della premeditazione del delitto e dei motivi futili o abbietti, ossia, due fattispecie di circostanziazione del reato intrise di interessanti profili extragiuridici: il dolo con premeditazione, sussunto in termini psicologici come rappresentazione pianificatoria dell’azione, ed i motivi futili e abbietti, che attingono il loro contenuto intrinseco nel novero delle motivazioni personali e familiari, delle componenti etniche culturali, religiose e generazionali degli imputati. Il fine del lavoro è dimostrare come un’adeguata conoscenza delle nozioni fondamentali di psicologia possa aiutare il problem solving giudiziario nel quotidiano svolgimento dell’attività di difensore. PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Il caso: breve esposizione Il giorno 11 agosto 2006 a Sarezzo in provincia di Brescia, una giovane ragazza pakistana di nome Hina Saleem, di anni 20, è stata trovata uccisa e sepolta nel giardino della casa dei propri genitori. Il ritrovamento del cadavere della vittima è avvenuto per iniziativa del fidanzato convivente, il quale, non avendola vista rientrare in casa la notte precedente e ben consapevole dei gravi dissidi che esistevano tra la coppia e la famiglia della giovane pakistana, la mattina del giorno successivo ha sporto denuncia di scomparsa. I carabinieri si sono recati presso la casa paterna ove hanno trovato il padre di Hina che affermava di non avere visto la figlia. Allontanatisi, dopo alcune decine di minuti, la medesima pattuglia operativa ha incontrato il fidanzato che si stava anch’esso portando presso la casa paterna della ragazza e, insieme, hanno fatto ritorno all’abitazione. Il padre è stato visto poco prima allontanarsi precipitosamente ed i militi, accompagnati dal fidanzato, dopo aver inutilmente suonato alla porta, scavalcando la recinzione, sono entrati nel giardino retrostante la casa, laddove, la loro attenzione è stata attirata da un riporto di terreno che delimitava uno scavo di circa due metri di lunghezza ed uno di larghezza, simile alla fossa tipica dell’inumazione. Presi alcuni attrezzi da giardino hanno iniziato a scavare e presto sono venuti alla luce gli indumenti e il cadavere della vittima. L’esame autoptico ha provato che il corpo della giovane è stato attinto da molteplici colpi (provocati da almeno due differenti armi da taglio), precisamente con ventotto colpi, dei quali sette al viso, nove al collo, dieci agli arti (questi ultimi riconducibili alle tipiche ferite da difesa) e due alla superficie anteriore del torace. Tutte le ferite presentavano carattere di intravitalità. Sono state riscontrate anche quattro aree escoriative ed ecchimotiche al volto e due alla gamba sinistra, dovute all’afferramento e compatibili con pugni e schiaffi. L’evento letale è stato causato dagli ultimi quattro colpi, inferti con un tramite, che hanno reciso la carotide, la trachea, il tratto cervicale dell’esofago e della colonna vertebrale, provocando la morte pressoché immediata della vittima, precedentemente ferita e sfigurata. Il decesso è stato fatto risalire al giorno precedente, verso le ore 17.30, e le tracce ematiche hanno consentito di accertare che l’aggressione è stata posta in essere in un ripostiglio situato nel sottotetto della palazzina. I vicini hanno riferito di aver visto la sera precedente, verso le ore 19.00, il padre, i due generi e lo zio di Hina, lavorare in giardino intenti nello scavare una fossa ma, a causa della pioggia insistente, nessuno ha notato la fase di traslazione della salma. Gli indagati, tutti di origine pakistana, avevano regolare permesso di soggiorno, svolgevano regolare attività lavorativa e, nei giorni successivi, si erano resi irreperibili sottraendosi 1 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com all’arresto. Dopo circa tre giorni di ricerche il padre e lo zio si sono costituiti ed il primo ha reso dichiarazioni confessorie. Nei giorni seguenti anche i generi, ormai impossibilitati a trovare ulteriore usbergo, si sono costituiti e, a loro carico, è stata formulata l’imputazione per il reato di omicidio volontario in concorso morale materiale, ex art. 61 n. 1, 5 e 11, 110, 112 c. 1° n. 2, 575, c.p., aggravato dalla circostanza dell’esistente rapporto di filiazione e parentela tra gli autori e la vittima, ex art. 576, n. 2 c.p., la premeditazione ex art. 577 n. 1, 3, 4 l’aggravante dei motivi futili ed abbietti ex art. 61 n. 1 c.p., nonché, per occultamento di cadavere ex art. 61 n. 2, 110, 112 c. 1° e 2° e 412 c.p.. Gli imputati hanno scelto di accedere al rito abbreviato, condizionato all’acquisizione di documentazione e all’audizione dei periti balistici. All’esito della discussione il P.M. ha formulato una richiesta di condanna per i reati summenzionati nei confronti di tre dei quattro imputati, mentre a favore del quarto, lo zio, sono emersi elementi tali da escludere la sua presenza in casa al momento dell’omicidio, di talché, la responsabilità è stata ritenuta limitatamente al reato di occultamento di cadavere. La difesa degli imputati ha puntato sul tentativo di attribuire la responsabilità dell’omicidio esclusivamente al padre; questi, reo confesso, a suo dire, avrebbe agito in stato d’ira, provocato dalla vittima che, armata di coltello, lo avrebbe minacciato; gli altri imputati, invece, hanno mirato ad ottenere l’assoluzione per il reato più grave avendo, a loro dire, concorso unicamente nell’occultamento del cadavere. Il Giudice ha ritenuto il padre ed i generi responsabili dei reati ascritti e, riqualificato il reato di occultamento di cadavere nel più grave reato di distruzione di cadavere, di cui all’art. 411 c.p., li ha condannati alla pena complessiva di anni trenta di reclusione, oltre alla condanna inerente le statuizioni civili a favore del fidanzato, costituitosi parte civile. Le motivazioni della sentenza sono state depositate il giorno 19.01.2008. Il Filicidio La famiglia è la cellula fondamentale della società ed è il luogo per eccellenza dell’amore, dei legami affettivi, della solidarietà e della protezione. Eppure, questo microcosmo di relazioni fondamentali per la vita di ogni persona a volte diventa talmente disfunzionale da costituire una minaccia per i suoi componenti. Maltrattamenti, violenze, soprusi, sono talmente ricorrenti da costringere il legislatore a coniare nuove fattispecie di reato quali lo “Stalking”; molestie sessuali e addirittura la morte rappresentano il baratro in cui i componenti della famiglia cadono quando varcano la soglia di casa. A volte, il giogo che si crea è senza possibilità di riscatto, al punto che nel 1990 2 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Gelles e Cornell hanno scritto che “la gente ha più probabilità di essere uccisa, fisicamente aggredita, colpita, picchiata, schiaffeggiata, o sculacciata nelle proprie case da parte di altri membri della famiglia che in qualsiasi altro luogo, o da chiunque altro, nella nostra società”. In questa succinta trattazione non è possibile approfondire se la violenza domestica è un fenomeno che si manifesta prepotentemente in epoca moderna, oppure, se sia un fenomeno storicamente consolidato, rimasto nel range criminologico del numero oscuro e che emerge solo in anni recenti in ragione del fatto che il diritto soggettivo della persona tende ad affermarsi anche al di sopra della necessità di “salvare il bene famiglia” e che la donna ha iniziato a godere di una certa indipendenza economica, per cui, tali reati possono essere denunciati dalla vittima senza timore di incorrere in una censura sociale e nell’esclusione dalla cerchia parentale. Per quanto concerne invece il filicidio la storia insegna che purtroppo l’assassinio di un bambino è un evento che si ripropone senza tempo e senza distinzione di ceto sociale: poveri e ricchi nel corso della storia hanno sempre commesso il reato più efferato, più ingiustificabile. Resnick, nel 1969, ha analizzato ed elencato i vari metodi utilizzati per commettere l’infanticidio: le madri ricorrevano allo strangolamento, annegamento o asfissia, i padri per lo più alle percosse, allo schiacciamento ed alle pugnalate. Le madri sono coinvolte con maggior probabilità nell’uccisione dei loro figli più piccoli (neonaticidio e infanticidio), i padri uccidono più probabilmente i figli più grandi (filicidio). La sociologia spiega tale diversità in ragione del ruolo genitoriale: le giovani madri commettono il neonaticidio in una fase del rapporto in cui il legame e l’attaccamento materno non è ancora fissato. I padri svolgono un ruolo genitoriale più rilevante negli anni dell’adolescenza, orientano e controllano il comportamento dei figli più grandi ed è pertanto più probabile che siano i padri a far loro del male, in un eccesso di esercizio del potere punitivo che può sconfinare in un sistematico ricorso alla violenza, spesso, vista come l’estrema ratio per affermare la propria autorità paterna. In genere, le ragioni dell’omicidio del proprio figlio riposano in stati di grave debilitazione psichica. Una persona nevrotica non percepisce il suo dramma esistenziale e spesso agisce in modo disadattato. La persona psicotica ignora completamente la realtà e gli atti sono guidati dal suo pensiero delusionale. Entrambi, nevrotici e psicotici alla fine potrebbero uccidere i loro figli, i primi in uno stato apparentemente razionale, i secondi in un confuso stato d’animo. 3 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Scott, nel 1973, ordinò in due categorie le patologie dei genitori omicidi: nel primo gruppo il disturbo di personalità, la depressione reattiva o malattia psicotica. Nel secondo la psicosi post partum, psicosi schizoide paranoica, depressione. L’assenza di psicosi è invece più frequente nei padri, le cui motivazioni perciò si radicano sovente in una scelta razionale. Alcuni studi (Sadoff 1995) hanno dimostrato che spesso i padri omicidi sono tossicodipendenti o alcolisti che mostrano scarsa tolleranza verso il pianto dei bambini. Questi padri, se affetti da patologie psichiatriche, pongono in essere gli agiti errando nell’interpretare il comportamento dei bambini. Un altro studio (Marleau ed altri nel 1999) ha esaminato dieci casi di filicidio paterno ed ha concluso che i fattori associati a tale comportamento sono i seguenti: Demografici (nel senso che i figli più grandi sono maggiormente esposti al rischio di esser uccisi), Socio-economici (il padre era disoccupato al momento del delitto), Sviluppo esistenziale (morte del genitore, abuso da parte dei genitori), Situazionali (la possibilità di separazione del coniuge), Psichiatrici (malattia psicotica), Tossicologici (abuso di droghe e alcol). Scott ordinò invece le spinte alla commissione del delitto in cinque categorie: eliminare i bambini indesiderati, omicidio per compassione, aggressione attribuibile a grave patologia mentale, stimolo suscitato al di fuori delle vittime (impulso di rabbia, evitamento della censura, perdita di status, perdita di oggetto d’amore) e, infine, lo stimolo derivante dalle vittime (Palermo George B., Murderous parents, in International Journal of Offender, 2002). Al filicidio psicotico è spesso correlato un altro fenomeno, il suicidio dell’omicida. La letteratura in tema di filicidio-suicidio dimostra che circa il 20% delle madri e circa il 60% dei padri, dopo aver commesso il filicidio, si tolgono la vita. Un’altra evidente caratteristica è rappresentata dalla circostanza che raramente il filicidio è preceduto da violenze domestiche; in pochissimi casi i padri e le madri hanno ucciso i figli dopo una lunga storia di abusi, mentre nella stragrande maggioranza dei casi i genitori non avevano precedentemente posto in atto tentativi di filicidio (Susan Hatters Friedman ed altri). Per quanto concerne il presente lavoro, raffrontando la panoramica sopra esposta con il caso in esame, possiamo concludere che trova conferma la tesi che i figli maggiori sono uccisi dai padri e, per la modalità di consumazione del delitto, è ricorrente l’uso dell’arma bianca; nel caso del padre di Hina Saleem non si riscontrano disturbi psichici; non è stata chiesta alcuna perizia psichiatrica, ha giustificato il suo gesto affermando “so che quello che ho commesso è gravissimo, ma era giusto così” e non ha mai mostrato alcun segno di resipiscenza. 4 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Profilo vittimologico La vicenda umana di Hina Saleem traccia una parabola vittimologica che consente di meglio comprendere i retroscena che hanno gradualmente degenerato il rapporto familiare, sino a sfociare in un atroce omicidio consumato tra le mura di casa. Un delitto che ha suscitato particolare scalpore e che ha attirato l’attenzione dei mezzi di comunicazione per la sua inspiegabile efferatezza, ma, come si vedrà, se si leggono con attenzione le pregresse vicende, anche di natura processuale, vi si possono ritrovare alcuni evidenti segni premonitori. La vittimologia è la disciplina che studia il crimine dalla parte della vittima con scopi diagnostici, preventivi, riparativi e trattamentali del reato e della conseguente vittimizzazione. Secondo la classificazione delle vittime proposta da Henting, al vertice delle 12 categorie figurano i giovani. Soggetti poco predisposti ad apprezzare le situazioni di rischio, a riconoscerle e, di conseguenza, a porre in essere adeguate misure di evitamento. Per meglio comprendere la natura dei rapporti tra vittima e aggressore nel caso in esame, è opportuna una breve parentesi sul vissuto e l’agito delle parti. Il sig. Saleem ha vissuto in Francia per nove anni, poi, nel 1998 si è trasferito in Italia e nel 1999 lo ha raggiunto tutta la famiglia. Hina era la terza di sette figli, era nata in Pakistan nel 1985 e arrivata in Italia all’età di 14 anni, un’età estremamente critica per lo sviluppo di una ragazza. Hina iniziò a frequentare le scuole medie a Sarezzo e poi le scuole superiori a Brescia. Il suo rendimento scolastico nel 2002 non era confortante. Soprattutto nel corso dell’ultimo anno di frequenza alle superiori, alcuni connazionali riferivano di vedere spesso Hina in giro durante le ore di lezione (Verbale udienza TM del 24.03.2003). La ragazza viveva uno stridente contrasto tra il rigido costume imposto dalla famiglia e lo stile di vita delle sue compagne di classe, alle quali voleva somigliare in tutto e per tutto. Verso la fine del 2002 Hina smise di frequentare la scuola e visse chiusa in casa. Nel verbale dell’udienza TM del 24.03.2003 dichiarò: “I miei avevano minacciato di mandarmi in Pakistan. Ma io non voglio, perché preferisco stare in Italia. Sono qui da quattro anni, ma già quando stavo nel mio paese mi comportavo come una ragazza occidentale. Ho una mentalità diversa da quella dei miei e loro non la tollerano”. Questo rapporto generazionale connotato da alta conflittualità degenerò nei primi mesi di Marzo dell’anno 2003. La madre di Hina si recò dai Carabinieri per denunciare l’allontanamento della figlia. I militi si misero sulle tracce della ragazza e la ritrovarono davanti all’Istituto Golgi a Brescia, la prelevarono e la riportarono a casa. 5 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Tre giorni dopo, il 04.03.2003, Hina si recò dai Carabinieri e sporse una denuncia circostanziata nella quale riferì di maltrattamenti subiti in casa da parte dei genitori: “da circa un anno e mezzo sono costretta a subire continui maltrattamenti e umiliazioni da parte dei miei familiari, in concomitanza con il mio ritiro dalla scuola, che come ripeto non è dovuto alla mia volontà ma a quella dei miei genitori. Mio padre e mia madre più degli altri si accaniscono contro di me accusandomi di assumere atteggiamenti da cristiana e non da musulmana dicendomi espressamente testuali parole “Ti comporti da cristiana e non da musulmana”, costringendomi a subire violenze morali consistenti in insulti del tipo “Sei una cretina, una stupida maledetta, maleducata, ignorante”. Insulti che si ripetono quotidianamente, con l’intento di farmi desistere dal seguire mode dell’occidente. Mia madre come il resto della famiglia non va oltre gli insulti e i richiami, mentre mio padre in diverse circostanze mi ha aggredito fisicamente. Posso infatti riferire di alcuni episodi in cui sono stata oggetto di violenze fisiche da parte di mio padre, da sei mesi a questa parte” (SIT del 04.03.2003). In particolare Hina denunciò vari episodi, tra i quali nel Luglio 2002 “Mio padre mi picchiava davanti all’intera famiglia armato di un bastone di legno con il quale mi colpiva su tutte le parti del corpo, tra l’indifferenza totale dei miei familiari. Nonostante le ferite non sono mai stata portata all’ospedale. Hina riferì che il padre, avendo appreso che fumava con le sue amiche “Mi picchiava utilizzando un bastone e mi rompeva un dito. In questa occasione mio padre e mia madre hanno dovuto portarmi al Pronto Soccorso dell’ospedale di Gardone V.T. venivo medicata e mi veniva applicata una stecca al pollice rotto. In ospedale alla richiesta del medico, mia madre diceva che la ferita al pollice era stata causata da una caduta in bicicletta. La stecca mi è stata tolta da mio padre, senza ricorrere al personale medico dell’ospedale”. Un secondo episodio: “io continuavo a fumare e mio padre essendo contrario a questo mio vizio prima mi picchiava colpendomi con schiaffi al viso poi rinchiudeva in camera da letto impedendomi di uscire avendo chiuso la porta a chiave. Subito tornava armato di un taglierino con il quale mi feriva al braccio sinistro cagionandomi due ferite una all’altezza dell’avambraccio ed un altra all’altezza del polso. Io mi sono difesa dandogli uno schiaffo ed un calcio nelle parti intime facendolo desistere dal continuare ad aggredirmi. Ancora, un altro episodio, accaduto nel dicembre 2002: “Il motivo dell’aggressione era sempre che erano venuti a conoscenza che avevo fumato mentre mi trovavo in ospedale a Brescia ad accudire il mio fratellino che era stato ricoverato. Quando sono tornata a casa 6 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com sia mia madre sia mio cugino, alternandosi, mi hanno picchiato con schiaffi su tutto il corpo. Le mie urla attiravano l’attenzione della mia amica nonché vicina di casa, alla quale mia madre diceva che le urla sentite erano quelle della mia sorellina”. Alla domanda “Lei ha mai subito particolari attenzioni da parte di suo padre o di altri componenti della famiglia ? Hina rispondeva: “Come ho già detto durante tutto il mese di Agosto 2002 mia madre è stata assente da casa in quanto si trova in Pakistan, pertanto io sono rimasta a casa con mio padre e le altre due sorelle. Una sera del mese di Agosto, non ricordo la data esatta, verso le ore 23.30 circa, mi trovavo nella mia stanza da letto intenta a dormire quando è giunto mio padre il quale mi chiedeva se avessi bisogno di qualcosa e alla mia risposta negativa è andato via. Io mi sono addormentata e ad un tratto ho sentito una mano che mi accarezzava il seno, strofinandola sulla camicetta. Io mi sono svegliata ed ho iniziato ad urlare attirando l’attenzione di mia sorella, che si trovava nella sua stanza da letto accanto alla mia. Mio padre gli ha risposto che non era successo niente ed usciva dalla mia stanza. Io restavo in silenzio senza dire niente neanche a mia sorella. Il secondo episodio risale alla settimana successiva. Verso le ore 15.30 circa mi trovavo a casa unitamente ad una mia cugina alla lontana, abitante a Brescia, che era stata accompagnata a casa nostra dai suoi genitori in quanto dovevo aiutarla a fare i compiti di matematica assegnati al termine del terzo anno di scuola media da consegnare ai nuovi insegnanti delle scuole superiori. Mentre eravamo a casa mio padre ha detto alle mie sorelle di uscire di casa e di portare a passeggio mia cugina per fargli vedere il paese in modo tale da poter restare soli a casa. Mio padre mi diceva di cucinare della pastasciutta mentre se ne andava a stendere sul letto per dormire. Ad un tratto mi chiamava dicendomi che gli faceva male la testa e mi chiedeva di dargli un Aulin per calmare il dolore. Io gli ho portato un bicchiere d’acqua con l’Aulin e a questo punto dopo averla bevuta mi prendeva per il polso della mano destra e con la forza mi faceva sedere sul letto. Ad un tratto ha lasciato il mio polso destro e ha stretto invece il polso sinistro e con la sua destra mi accarezzava sul seno senza spogliarmi. Successivamente cercava di infilare la mano sotto la giacca della tuta e la magliettina che indossavo senza però che vi riuscisse in quanto mi divincolavo dalla stretta del polso e mi allontanavo. Nell’allontanarmi gli dicevo “Cosa stai facendo? Sono tua figlia, lo dico alla mamma” e mio padre rispondeva dicendomi: “Lo sa già”. Dopo queste parole sono corsa fuori dalla sua stanza da letto e dopo averla chiusa ho guadagnato l’uscita sempre correndo e lasciando mio padre da solo che nel frattempo aveva 7 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com tentato di raggiungermi. Ho raggiunto le mie sorelle al bar che si trova sotto casa senza raccontare niente di quanto mi era accaduto. Il terzo episodio risale al mese di Gennaio 2003. Verso le ore 15.30 i miei genitori con i miei fratelli e le mie sorelle sono usciti di casa per andare al parco di Villa Carcina, mentre io decidevo di restare a casa da sola in quanto non avevo voglia. Dopo circa un'ora è rientrato a casa mio padre da solo il quale mi diceva di essere tornato, in quanto aveva mal di testa. Dopo essere entrato nella sua stanza da letto mi ha chiamato affinché lo raggiungessi. Avendo intuito quali fossero le sue intenzioni gli rispondevo che dovevo finire i mestieri di casa ma questi mi diceva di andare da lui in quanto doveva raccontarmi una cosa. Io sono entrata nella sua stanza e mio padre mi ha fatto sedere sul letto mentre lui restava in piedi e continuava a ripetermi che doveva dirmi una cosa. Io gli dicevo di fare in fretta perché dovevo terminare i mestieri e a questo punto ha iniziato a colpirmi al viso con dei violenti schiaffi che mi facevano svenire. Dopo essermi ripresa mi sono ritrovata vestita distesa sul letto della mia stanza, ma avevo il reggiseno rotto all’altezza della spallina. Al momento del risveglio accusavo dei forti dolori sia al seno sia nelle parti più intime del corpo. Sono rimasta immobile nel letto per circa quindici minuti in quanto impaurita. Subito dopo sono andata in bagno per lavarmi e spogliandomi mi accorgevo che avevo dei segni sul seno, causati da unghiate, mentre nelle parti più intime mi avvedevo che avevo perso della sostanza ematica, che aveva sporcato il mio slip. Oltre al bruciore accusavo altri dolori nel basso ventre. Dopo essermi lavata sono tornata nella mia stanza da letto. Il quarto episodio risale a Giovedì 27 Febbraio 2003, quando verso le ore 19.30 circa mi trovavo a casa unitamente a mio padre, ai miei fratellini che si trovavano nella stanza di quest’ultimo e a mia sorella, che invece dormiva nella sua stanza da letto. Mentre ero in cucina intenta ad effettuare dei mestieri mio padre mi ha chiamato dicendomi di andare in sala per farmi vedere una cosa che era sporca. Io l’ho raggiunto nel salotto e qui improvvisamente mi ha afferrato per il polso sinistro, torcendomi il braccio dietro la schiena mentre con la mano destra mi tappava la bocca e con il piede destro socchiudeva la porta. Dopo aver socchiuso la porta mi ha spinto sul divano-letto che si trova accanto alla porta sulla parte destra del muro e qui dopo avermi posizionato in posizione supina mi imbavagliava la bocca con una sciarpa che avevo al collo per impedirmi di gridare. Con tutte due le mani mi teneva strette le braccia e con il peso del suo corpo mi impediva qualsiasi altro movimento, essendosi sdraiato sopra di me dicendomi di non muovermi. Ha lasciato così le mie braccia e ha iniziato a toccarmi, infilando una mano sotto la maglietta con la quale mi toccava il seno stringendolo e con l’altra mi toccava in altre parti del corpo. 8 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Io reagivo dimenando le mani fino a quando aiutandomi anche con il corpo sono riuscita a liberarmi e dopo essermi alzata ho tolto la sciarpa dalla bocca e ho iniziato ad urlare. Per le urla sono entrati nel salone i miei due fratellini ai quali mio padre diceva di andarsene via e io invece li invitavo a restare nella sala con me. Allora mio padre è uscito ed è andato via. DOMANDA: Lei ha mai avuto rapporti sessuali completi? RISPOSTA: No. Non ho mai avuto rapporti sessuali completi. Il 13.03.2003 il Tribunale per i Minorenni di Brescia, su richiesta della Procura della Repubblica di Brescia, adottò un provvedimento di allontanamento di Hina dalla casa paterna, con divieto di visita dei genitori, e dispose l’affido presso la comunità “Il picchio rosso”. Da tale comunità Hina si sarebbe allontanata alcuni mesi dopo, il 27.12.2003, pochi giorni dopo il compimento del suo 18° anno di età. Ma questi fatti denunciati dalla figlia erano fondati oppure, come ha asserito la madre in sede di audizione davanti al T.M., erano tutte invenzioni, frutto della fantasia di una ragazza con una spiccata tendenza alla menzogna, al solo scopo di poter andare via da casa ? Hina era una vittima reale oppure una simulatrice, una vittima immaginaria? Dal punto di vista vittimologico la risposta a siffatto quesito è rilevante al fine di stabilire se la vittima è da considerarsi innocente oppure, responsabile, per aver posto in essere un evento precipitante (la falsa denuncia di gravi reati a carico del padre). Gli atti del processo penale a carico dei genitori di Hina, per i reati di maltrattamenti e violenze sessuali, chiamato davanti al Tribunale di Brescia nel Febbraio 2006, non sono di particolare aiuto perché all’inizio del dibattimento la figlia ha rilasciato una “sofferta ritrattazione” che in seguito si scoprirà essere stata ottenuta dai genitori dalla vittima ricorrendo ad accuse, ricatti morali, promesse mai mantenute. Il processo si è quindi concluso con l’assoluzione dei genitori. Le SIT rilasciate dagli amici descrivono il travaglio interiore di Hina nei giorni precedenti la sua deposizione : “Un giorno l’ho vista piangere ed aveva un foglio in mano; le chiedevo il motivo per cui stava piangendo; la stessa mi porgeva il foglio che aveva in mano (si trattava della denuncia sporta nei confronti del padre) e mi diceva che la mamma insisteva per farle ritirare la denuncia”; ancora: “so che Hina era stata convocata presso il Tribunale di Brescia unitamente ai suoi genitori. In quell’occasione so che Hina ha ritrattato le dichiarazioni rese in sede di denuncia nei confronti del padre. Per quel che so, lo aveva fatto nella speranza di riallacciare il rapporto con il padre. Ricordo, infatti, che nei tempi immediatamente precedenti alla data della convocazione lei aveva cercato, attraverso scritti e registrazioni vocali, di trovare il modo migliore di ritrattare le sue dichiarazioni. Alcune 9 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com volte mi faceva leggere quel che scriveva e chiedeva pareri sul contenuto. Mi ricordo che in una frase che ebbi modo di leggere era evidente la sua intenzione di addossarsi la responsabilità dell’accaduto; il giorno stesso dopo la ritrattazione Hina mi ha raccontato che era un po’ dispiaciuta per il fatto che doveva rispondere del reato di calunnia nei confronti del padre. Era comunque sollevata per essersi liberata da una situazione che le creava un grosso problema”. Che tale ritrattazione fosse del tutto insincera è dato atto anche nella sentenza n. 367/06 del 25.10.2006, emessa dal Tribunale per i Minorenni di Brescia nei confronti di Hina (già deceduta) all’esito del procedimento instauratosi per il reato di calunnia; è significativo che addirittura il PM, con un’appassionata requisitoria, abbia chiesto non già la declaratoria per estinzione del reato per morte del reo, ma l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Richiesta fatta propria dal GUP che in sentenza “dichiara non doversi procedere nei confronti di Saleem Hina in ordine al delitto ascrittole in rubrica perché il fatto non costituisce reato”. Tuttavia, a prescindere dagli esiti processuali, al fine del presente lavoro è possibile completare il quadro vittimologico attingendo ad alcuni elementi di valutazione assai significativi che consentono di tracciare il profilo della vittima. Dal punto di vista culturale la vittima ha vissuto sino a 14 anni in Pakistan, per cui, il suo retroterra non poteva non risentire, in chiave opprimente, dell’influsso culturale che guardava con estremo sfavore la liberalizzazione del costume delle donne. Da quanto emerge dalle SIT raccolte dopo il delitto, è agevole sostenere che Hina fosse ben consapevole che la sua condotta, letta secondo i canoni della cultura tribale del suo paese d’origine, potesse essere considerata dalla famiglia come disonorevole ed immorale (secondo un canone culturale all’uomo pakistano, soprattutto se povero, “non viene lasciata scelta e si sente in diritto di uccidere una persona nel nome della salvezza dell’onore” - Shahnawaz Khan). Che Hina fosse stata respinta dalla famiglia in quanto vista come oggetto di vergogna è fatto provato; esemplare la SIT pag. 2350: una donna pakistana era andata a casa dei Saleem ma la madre non era in casa; c’era però una delle figlie. In quel frangente aveva visto entrare in casa una ragazza di origini pakistane vestita in maniera occidentale e aveva chiesto alla figlia chi fosse. La ragazza rispondeva che era “una sua amica”. Successivamente aveva avuto modo di rivedere, a casa Saleem, la stessa ragazza che si rivolgeva alla madre chiamandola “mamma”; capiva quindi che era la quinta figlia e la madre glielo confermava ”pregandola di non riferire a nessuno che si vestiva in maniera occidentale e frequentava ragazzi italiani”. 10 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Hina alcuni giorni dopo la sua denuncia inviava ai Carabinieri una lettera, scritta con il tipico stile comunicativo di una ragazza della sua età. Il contenuto della missiva che quivi si riporta in forma integrale assume un carattere premonitore dai toni quasi inquietanti: 11 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Come anzi detto Hina è stata inserita in una comunità per circa nove mesi, durante i quali è stata osservata, le sono stati somministrati i test grafici, il Rorschach e il T.A.T., e tanto la relazione di osservazione quanto la relazione psicologica offrono un profilo significativo: Hina è un’adolescente vivace, con temperamento focoso ma una personalità ancora fragile, poco strutturata, palesemente immatura. Versa in stato di profonda confusione, riscontrabile nella difficoltà che dimostra a percepirsi e raccontarsi, a ricostruire cognitivamente episodi pur rilevanti che la riguardano direttamente. Le ricostruzioni di accadimenti risultano infatti disordinate per quanto riguarda soprattutto le coordinate temporali e spaziali. Continue cadute e piccole botte causate dallo scontro con gli oggetti denotano una difficoltà nell’autopercezione all’interno dello spazio. Vive un grosso disagio interiore, che non è in grado di analizzare né quindi esplicitare coerentemente; ha tendenza all’autolesionismo: racconta di tentativi di suicidio avvenuti prima dell’ingresso in comunità e noi stessi abbiamo riscontrato ferite autoinflitte. Ha dichiarato più di una volta di pensare di “farla finita”, affermazioni che abbiamo percepito come l’ennesima richiesta di attenzioni ma che senz’altro sono da ricollegarsi anche ad un’effettiva sfiducia e alla percezione di sé quale vittima impossibilitata ad operare attivamente cambiamenti della propria vita. I comportamenti di Hina denotano complessivamente scarsa autostima e la mancanza di elaborazione dell’immagine del sé: esplicita un insaziabile bisogno di affetto, conferme e sostegni emotivi, che si traduce nella richiesta di attenzioni continue ed esclusive da parte degli educatori e nella ricerca, purtroppo acritica, di legami sentimentali e d’amicizia. Nell’ultimo periodo ha tentato di affermarsi agli occhi del gruppo-adolescenti della comunità sul territorio, adottando atteggiamenti aggressivi, o di assoluta ribellione verso le regole comunitarie. Hina, attraverso forti reazioni di rabbia svela una grande fragilità nella ricezione delle critiche, divieti o imposizioni aventi valenza educativa, ed entra facilmente in crisi di fronte al confronto con i coetanei; tende ad imitare l’immagine e di comportamenti di adolescenti che giudica modelli positivi per la loro apparente forza e presunta capacità di farsi rispettare; quanto si descrive altera frequentemente i dati di realtà correggendo idealmente la propria immagine per renderla accettabile a se stessa e agli altri; sembra non tollerare emotivamente la solitudine. Considera la propria cultura d’origine, alla quale non appare particolarmente legata, un ostacolo alla socializzazione, e cerca perciò di distaccarsene il più possibile: appena arrivata si è precipitosamente tagliata i lunghi capelli, poi ha cominciato a depilarsi in maniera persino eccessivamente scrupolosa, fuma regolarmente, segue la moda occidentale, 12 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com si tinge i capelli ed effettua pulizie profonde della pelle per schiarire i propri colori bruno intenso. Alcune considerazioni, sempre tratte dalla relazione di osservazione, confermano il difficile rapporto con la famiglia d’origine e con il padre: “Rifiutata dalla famiglia d’origine, che ha fatto omertosamente “quadrato” attorno al padre e l’ha colpevolizzata e ricattata affettivamente affinché ritirasse la denuncia, Hina ha profondamente bisogno di vedere soddisfatto in comunità il suo senso d’appartenenza. Sotto questo profilo, il nostro lavoro ha potuto sinora far leva sull’attivazione di una buona motivazione interna. Nell’ultimo periodo, in accordo con i servizi sociali, abbiamo consentito a Hina due telefonate protette con la madre. La prima non ha avuto l’effetto sperato da noi e dalla minore, perché la mamma l’ha fortemente colpevolizzata, accusandola di essere responsabile della propria depressione, della disgregazione familiare, della vergogna che la famiglia prova di fronte alla comunità pakistana dei parenti e dei vicini e, persino delle molestie subite dal padre ! “Se anche è successo qualcosa siete stati tutte e due, tu e il papà, non il papà da solo …”queste, più o meno le parole pronunciate dalla signora Saleem. Dal punto di vista della dipendenza psicologica dagli altri, Hina non è in grado di badare a se stessa; deve ancora imparare a proteggersi dalle situazioni di pericolo. Infatti, in un paio di circostanze “quello che più ci ha colpito è stato notare l’inconsapevolezza e l’ingenuità con cui Hina si è fatta trascinare in una situazione a forte rischio, senza neppure calcolarlo, e la sua ignoranza rispetto alla sessualità. In occasione di un inserimento lavorativo Hina faceva molta fatica ad applicarsi alle consegne, a mantenere la concentrazione e rispettare regole ed orari. A questo proposito il comportamento più eclatante è stato quello tenuto dalla minore il giorno 24 giugno, quando, mentendo agli educatori, se ne è stata tutto il giorno a “spasso” invece di recarsi, come d’accordo, sul posto di lavoro (Relazione di Osservazione della comunità del 07.08.2003). La relazione psicologica conferma il quadro clinico tracciato nella relazione di osservazione; ecco gli stralci più significativi: “Hina è scappata di casa perché non riusciva più a sopportare la situazione in cui viveva in famiglia, non le lasciavano fare nulla, non poteva uscire neanche per andare a correre con le amiche, ma soprattutto perché suo padre la picchiava e “la toccava in posti particolari”. L’imbarazzo della ragazza durante il racconto era così evidente da non riuscire a verbalizzare gli episodi di abuso da parte del padre, tanto che per esprimere questi particolari del racconto ha dovuto ricorrere ad un biglietto scritto. 13 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Ai test proiettivi, mentre l’immagine paterna è rappresentata come minacciosa ed aggressiva, la relazione con l’immagine materna è negata, con un rifiuto delle identificazioni femminili. Emergono inoltre problematiche relative alla sessualità rappresentata con un simbolismo fallico, minaccioso e aggressivo. Dopo la decisione di denunciare la propria situazione Hina si è sentita rifiutata dalla propria famiglia (al momento dell’allontanamento la madre le diceva che per loro era da considerarsi morta), senza avere un riferimento abbastanza solido nel nuovo ambiente, così con un rifiuto da una parte e un’incapacità di integrarsi pienamente dall’altra, si è creata per lei una situazione transitoria di non appartenenza a nessuna delle due culture (Relazione psicologica del 12.08.2003). Circa i maltrattamenti subiti, un amico che ha ospitato per alcuni mesi la vittima, dopo ormai quasi due anni di lontananza dalla casa familiare, dichiara: “Una cosa mi aveva colpito di Hina, era che durante la notte aveva spesso degli incubi dove parlava nel sonno e la sentivo dire “papà, papà, basta non mi picchiare con il bastone faccio la brava”. Infatti un giorno durante una delle nostre chiacchierate, le ho espressamente chiesto come mai avesse gli incubi e parlava sempre del padre e lei mi aveva detto che il padre aveva un bastone, che secondo lei era speciale, per punire solo lei” (SIT de 22.08.2006). Da quanto emerge dal profilo psicologico si può affermare che, per la vittima, la vita all’interno delle mura domestiche fosse un pesante giogo di mortificazioni, soprusi e negazione di quella propria ed autonoma identità che, seppur ancora in fieri, i genitori osteggiavano con ogni mezzo. Tre anni dopo, all’età di 21 anni, Hina è una ragazza assai diversa, più matura, stabile, affidabile. Dopo aver vissuto per due anni ospite da amici, conosce il fidanzato ed inizia una convivenza che, evidentemente, rafforza il suo senso di autostima e le evita le angosciose esperienze della solitudine. Rompe il fidanzamento che i genitori avevano concordato anni prima con un ragazzo pakistano: “ricordo che c’era stata una festa di fidanzamento in Pakistan, che Hina era consenziente ma non so dire quando questa cosa sia avvenuta, essendo passati vari anni; so che poi ad un certo punto mia sorella Hina, circa un anno fa, ha rotto il fidanzamento, ed ha detto che non voleva più sposarsi con questa persona e con nessun altro”(SIT del 23.08.2006); la vittima è perfettamente consapevole della gravità della sua decisione ed infatti, confida ad un amico: “Hina rispose che era tradizione pakistana che la donna sposasse il prescelto dalla famiglia; il rifiuto non era assolutamente contemplato, pena gravi 14 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com conseguenze anche di natura fisica. Mi spiegava anche che nel suo caso specifico, sua madre le aveva promesso che la famiglia non le avrebbe fatto nulla” (SIT del 18.08.2006). Questa consapevolezza dei rischi della propria scelta dimostrano come Hina avesse ormai deciso in maniera irrevocabile come sarebbe dovuta essere la sua vita. Dopo quasi due anni di mancanza di contatti, la vittima riallaccia i rapporti con la famiglia ma non con il padre; infatti, si reca a far visita alla madre, ai fratelli e sorelle solo quando il padre non è in casa, dimostrando di aver imparato a gestire le situazioni di rischio: “Quando Hina veniva a trovarci in genere mio marito non era presente, le poche volte che era presente tra loro due neanche si salutavano” (SIT del 23.08.2006), “Hina parlava solamente con me e mai con suo padre che peraltro era sempre al lavoro; era lei a decidere quando venire a trovarci e ciò avveniva sempre previo avviso telefonico” (SIT 16.08.2006). Dal punto di vista lavorativo, riesce a conquistarsi la fiducia del titolare del ristorante presso cui lavora, al punto che viene assunta regolarmente e preferita ad altre candidate: “Hina ci teneva a dimostrare che quel lavoro spettava a lei” (SIT del 18.08.2006). Supera anche la stagnante crisi di identità culturale, ora sa quello che vuole essere, senza più timori e incertezze: “circa uno o due anni prima della morte, ha cominciato a riapparire Hina; io non l’avevo più vista per anni; ricordo bene la prima volta in cui l’ho rivista perché sono rimasta colpita dal suo enorme cambiamento; io la ricordavo una bambina piccola e minuta, e ora era una ragazza bella, con i capelli lunghi, parlava perfettamente l’italiano, era vestita bene, ricordo che aveva una maglietta color marrone, ricordo che aveva gli occhi azzurri, perché, come lei stessa mi aveva spiegato, aveva messo le lenti a contatto azzurre; mi ha detto che era molto felice e si capiva che lo era, che era innamorata di un ragazzo, che lavorava in una bar, che abitava a Pisogne e che sarebbe venuta ad abitare a Brescia, con questo ragazzo; le ho chiesto se aveva cambiato religione, se voleva essere cristiana, ma ha detto che non voleva essere né cristiana né musulmana, ma che voleva solo essere una ragazza italiana” (SIT del 07.05.2007). Hina ora è una ragazza che sa quello che vuole, si è definitivamente staccata dalla sua originaria cultura ed ha abbracciato uno stile di vita completamente occidentale (nei pregi e nei difetti). La famiglia l’ha irrimediabilmente “persa” e il padre ne è ormai ben consapevole. L’escalation degenerativa del rapporto padre-figlia è al punto di non ritorno. La madre ha confermato che Hina non avrebbe mai accettato di incontrare il padre da sola, ed infatti, per indurla a recarsi presso la casa il giorno del delitto, egli ha dovuto ricorrere ad un inganno, un tranello, necessario per superare le barriere di diffidenza (morale, ma anche fisica) che la vittima aveva eretto nei confronti del genitore. 15 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Il cadavere di Hina verrà trovato sepolto con il capo rivolto verso la mecca, secondo il rigoroso dettame coranico. L’ultima imposizione che poteva essere consumata sulla figlia. Dal punto di vista processuale la difesa del padre ha sostenuto che l’omicidio è stato determinato da dolo d’impeto provocato dal fatto ingiusto altrui: Hina lo avrebbe aggredito con un coltello per farsi consegnare del denaro. Quindi non vittima innocente, ma vittima responsabile, perché avrebbe posto in essere un evento precipitante la condotta delittuosa. Sul punto è utile avvalersi della classificazione proposta da Mendelshon (1963), basata sulle rispettive responsabilità di agente e di vittima: le vittime innocenti, le vittime con minima responsabilità, le vittime con responsabilità pari a quella dell’aggressore, le vittime più responsabili dell’aggressore, le vittime con massima responsabilità. In realtà, la tesi che voleva attribuire alla vittima un evento precipitante è rimasta un mero teorema assolutamente indimostrato, non solo perché non è stato fornito alcun elemento di prova, ma anche perché dalle numerose indagini svolte è emerso che la figlia non avrebbe avuto alcun motivo per recarsi a casa del padre a pretendere denaro. Infatti, proprio in quel periodo Hina godeva di una stabilità sentimentale e di una tranquillità economica come mai in precedenza. Le SIT del 30.08.2006 e del 27.04.2007 provano che la vittima in quel periodo non aveva alcun problema economico in quanto conviveva con il suo fidanzato: “si volevano ben e lui non le faceva mancare nulla” ed inoltre “Hina guadagnava circa 500 o 600 euro al mese, mi diceva che era contenta di quello che guadagnava perché in sostanza mangiava al ristorante e non aveva altre spese, e per la casa viveva col fidanzato; in sostanza non si lamentava mai con me per l’aspetto economico” di talché non vi era alcun movente che potesse giustificare una condotta talmente azzardata da recarsi in casa del padre, senza la madre (cosa che non avrebbe mai fatto), per minacciarlo con un coltello. Anche per il Giudice la figlia è una vittima innocente, attirata in casa con l’inganno al fine di porla di fronte ad una scelta senza possibilità di ripensamento: rientrare docilmente nel solco della rigida tradizione di famiglia, oppure, gli uomini, preposti a presidiarne l’onore al cospetto della comunità, adotteranno una soluzione definitiva. Nel solco della classificazione vittimologica tradizionale è possibile concludere che la vittima, oltre che innocente, era infungibile e selezionata, ossia, suo malgrado era legata ad un significativo legame con il reo e, dal punto di vista di quest’ultimo, non poteva essere sostituita (Gulotta). 16 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com L’incidenza della motivazione culturale nell’aggravante dei motivi futili o abbietti L’agire umano, salvo l’incidenza di fattori patologici, è caratterizzato da un comportamento orientato a raggiungere determinati obiettivi, di talché la condotta è volta ad organizzare mezzi, azioni ed omissioni in maniera astrattamente idonea a soddisfare i bisogni di un individuo. I bisogni (obiettivi) possono essere di varia natura e, nel 1954, Maslow li ha ordinati secondo una tassonomia che delinea cinque livelli: Bisogni primari: sono tali quelli fisiologici e di sicurezza. Includono i bisogni di sopravvivenza, sessuali e di riproduzione, ossia, obiettivi che l’individuo deve soddisfare per garantire il proprio benessere o per evitare eventi dannosi. Bisogni sociali: sono i bisogni di stima e di appartenenza che, se soddisfatti, consentono all’individuo di avere un ruolo ed una relazione sociale, amore, affetto, la stima degli individui, della comunità e nei luoghi nei quali il soggetto svolge la sua personalità. Bisogni di autorealizzazione: sono i bisogni del Sé, intesi come autorealizzazione, autoaccettazione, autostima, apparenza fisica, fiducia in se stessi e nelle proprie capacità. In una società sviluppata e progredita i bisogni sociali e di autorealizzazione assumono per l’individuo un’importanza dominante, rispetto ai bisogni primari che agevolmente vengono soddisfatti con le adeguate disponibilità economiche. In una comunità caratterizzata dal benessere economico per l’individuo le maggiori frustrazioni derivano dalle aspettative deluse che riposano in questi due segmenti al vertice della piramide di Maslow. Le persone tendono quindi a perseguire finalità e raggiungere traguardi (materiali, emotivi, cognitivi) che consentono di soddisfare i loro bisogni mediante un determinato modo di agire supportato da un’adeguata tensione verso il risultato. Questo fattore dinamico che attiva una persona verso una meta è la motivazione, definita come “un fenomeno psicologico diagnostico e prospettico di tensione cognitiva ed emotiva verso un obiettivo” (Gulotta), ovvero, “un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni ambientali” (Anolli- Legrenzi). La motivazione (dall’etimo latino motus) è il motore dell’azione e può essere intrinseca, quando si fonda su un bisogno interno dell’individuo, ad esempio il suo bisogno di autoaffermazione all’interno di un gruppo, oppure estrinseca, quando dipende da pressioni esterne da parte dell’ambiente, come ad esempio la necessità di mantenere elevata la reputazione in un determinato contesto sociale. 17 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com La comprensione dei processi motivazionali è stata oggetto di riflessione da diversi punti di vista teorici, dai quali sono discese: la teoria biologica, che si incentra sull’omeostasi, quale esigenza di conservare in modo stabile nel tempo i livelli di equilibrio per il funzionamento dell’organismo; la teoria comportamentista, che propone un modello fondato sull’interazione tra pulsione e abitudine; la prospettiva cognitivista che, come punto di partenza assume che gli individui agiscono in modo da ottimizzare non il valore in termini oggettivi, bensì l’utilità soggettivamente intesa. Tra le motivazioni secondarie che caratterizzano l’esistenza dell’essere umano è individuato il bisogno di affiliazione, che consiste nel ricercare la presenza degli altri per la gratificazione che deriva dalla loro compagnia e dalla sensazione di far parte di un gruppo. Il bisogno di affiliazione è particolarmente forte e diffuso nelle culture orientali (di natura collettivistica), nelle quali vige incontrastato il principio dell’interdipendenza, inteso come senso di reciprocità e di appartenenza come predominio del gruppo sull’individuo, come definizione della propria identità attraverso l’identità del gruppo (Anolli - Legrenzi). Dal punto di vista giuridico la motivazione non attiene all’elemento psicologico strettamente inteso (dolo, colpa o preterintenzione), ma lo precede alla stregua di antecedente psichico della condotta, nel senso sopra esposto; il bisogno che un soggetto vuole soddisfare lo risolverà a porre in essere un’azione idonea a soddisfarlo, ossia, la motivazione a soddisfare il bisogno è la causa psichica della condotta (il c.d. movente). L’art. 61, n. 1 del codice penale configura la circostanza aggravante “L’aver agito per motivi abbietti o futili”. Ma quando un motivo può essere considerato “abbietto o futile“ ? Il significato da attribuire alla locuzione non può inferirsi che da elementi di carattere etico morale, propri di una comunità in un determinato momento storico. La Corte Suprema afferma che “è abbietto il motivo turpe, ignobile, che rivela nell’agente un grado tale di perversità da destare profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità, nonché quello spregevole o vile, che provoca ripulsione ed è ingiustificabile per l’abnormità di fronte al sentimento umano” (Cass. 5448/05) mentre afferma che il motivo è da qualificarsi “futile” quando “la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza sociale esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l’azione commessa, quando cioè la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale, sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da poter considerarsi, più che una causa determinante, un mero pretesto o una scusa per l’agente di dar sfogo al suo impulso criminale” (cass. 5864/01). Ancora, il 18 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com giudizio di futilità deve essere contestualizzato nel vivere sociale, di talché, segue il paradigma secondo cui “non può essere astrattamente riferito ad una medianità comportamentale, peraltro difficilmente definibile in una realtà sociale per molti versi disomogenea, ma va ancorato agli elementi concreti della fattispecie, tenendo conto delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, nonché del contesto sociale in cui si è verificato l’evento e dei fattori ambientali che possono avere condizionato la condotta criminosa, dato che, soltanto se valutato in tale contesto, il movente può reputarsi palesemente sproporzionato e tale da far trasparire un istinto criminale più spiccato” (cass. 26013/07). Benché la fattispecie circostanziale di cui all’art. 61 n. 1, c.p. preveda i motivi “abbietti o futili”, ordinati secondo una previsione alternativa, nel caso in esame, il capo d’imputazione ascrive agli imputati l’aggravante di entrambi i motivi assumendo i motivi “abbietti” consistiti “nel fatto di aver voluto punire la donna per tutto un insieme di comportamenti quali l’essersi determinata a vivere fuori dal contesto familiare e tradizionale di origine pakistana, l’essersi rifiutata di unirsi in matrimonio con un connazionale, l’essersi procurata un lavoro serale e a contatto con il pubblico, e in generale l’aver intrattenuto relazioni sociali e private libere in linea con il contesto sociale di tipo occidentale dove viveva ed avendo voluto con il loro atto (gli imputati n.d.r.) riaffermare una sorta di possesso-dominio che non tollera l’insubordinazione – disobbedienza e la libertà di scelta e di autodeterminazione morale e personale di un membro femminile, pur maggiorenne, della famiglia, e così tenendo una condotta in insanabile contrasto con il comune sentire e con lo sviluppo del sistema sociale normativo del paese ospitante che invero del paese di provenienza, e tale da suscitare nella collettività un marcato senso di riprovazione”. La connotazione dei motivi “futili”, nel capo l’imputazione, è stata ritenuta essendovi ”rilevante sproporzione tra i motivi dell’agire e la gravità del fatto commesso, che contrasta con elementari esigenze di giustizia avvertite da tutta la collettività civile ove gli imputati erano inseriti da anni, così dimostrando una particolare capacità criminale con notevolissima possibilità di reiterazione in particolare con riguardo agli imputati che hanno altri figli”. Tali pronunce attribuiscono alle aggravanti in parola un forte giudizio di disvalore, atteso che in esse vengono sussunte condotte poste in essere in spregio ai valori morali, etici, sociali, propri della nostra società in questo determinato contesto storico, e non sfugge come, un siffatto giudizio, sia intrinsecamente vincolato ad un relativismo culturale ed etico che, pur nel rispetto del multiculturalismo dell’attuale società occidentale in generale, ed italiana in 19 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com particolare, deve ricevere la propria legittimazione sottoponendosi al vaglio dei principi e dei valori sui quali la Costituzione Italiana non intende assolutamente transigere né recedere. Il padre ha improntato la propria linea difensiva su due punti cardine, rimasti indimostrati, la provocazione, per cui la figlia lo avrebbe minacciato con un coltello per farsi prestare del denaro, e la motivazione, rappresentata dalla propria formazione culturale ed etico-religiosa in osservanza delle quali il padre non avrebbe più tollerato il distacco della figlia da quei valori tradizionali e considerati essenziali per la sua famiglia. Eloquente è il contenuto della dichiarazione del padre quando si consegna spontaneamente: “Ho ucciso mia figlia perché non aveva un comportamento corretto da molti anni, in particolare beveva alcolici fumava ed era una puttana” ed ancora “so che quello che ho commesso è gravissimo, ma era giusto così”. A prescindere dalla circostanza che dai numerosi atti di indagine non risulta affatto che la vittima fosse dedita alla prostituzione, anzi, da confidenze rese ad un amico Hina narrava di un litigio con il proprio fidanzato per essersi a lui rifiutata e confessava di “non aveva mai provato piacere con alcuno e spiegava la cosa per aver patito violenza sessuale dal padre”, per il padre era del tutto irrilevante che le voci fossero vere o false, posto che lui riprovava che la figlia intrattenesse relazioni sentimentali e sessuali con il proprio convivente e tanto bastava al padre per considerarla meritevole della punizione inflitta. Del resto anche la madre di Hina, sentita a SIT, affermava che “mio marito ha sbagliato ma Hina non era una buona musulmana”. La stessa vittima era consapevole che nel sistema di valori della propria famiglia d’origine non vi era tolleranza per questi suoi comportamenti, ed infatti, in occasione del processo penale contro i genitori per maltrattamenti e violenza sessuale, sentita nell’udienza dibattimentale a cui il padre era presente, mostrò tutto il suo pudore-timore laddove alla domanda del P.M. “Se aveva mai avuto esperienze sessuali prima dei fatti contestati” rispose: “Posso anche non rispondere a questa domanda”. In sostanza il padre ha confessato e giustificato il proprio comportamento come un delitto d’onore. Di fronte all’inusitata condotta trasgressiva della figlia egli si sarebbe sentito costretto ad agire per la necessità di salvaguardare l’integrità dei principi cardine che reggono l’ordine all’interno della sua famiglia e la reputazione della stessa di fronte alla comunità parentale e amicale. A questo punto, per sondare la genuinità di tale convincimento, è necessario soffermarsi sul vissuto della famiglia Saleem, soprattutto i luoghi e la cultura di provenienza, per analizzare il retroterra culturale. Saleem Mohammed nasce nel 1955 in Pakistan, a Gujrat, nella regione del Pungjab, provincia ove effettivamente vige il delitto d’onore, chiamato “Kalikali”, ed è 20 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com praticato da secoli. Consiste nell’uccisione di una donna da parte del padre, del fratello o di un parente entro il quarto grado (esempio uno zio) perché ha, o è sospettata di avere, rapporti sessuali prima o fuori dal matrimonio. A volte può essere anche la stessa madre ad uccidere, ma la motivazione è la stessa, proteggere l’onore della famiglia leso da comportamenti sessuali impropri posti in essere dalle donne. Nelle società del Medio Oriente e in quelle Islamiche l’onore dei maschi risiede nel corpo delle donne e se queste violano le regole sociali, religiose o tribali, possono essere punite anche con la morte. Il codice penale ottomano all’art. 183 prevedeva un’espressa causa di giustificazione “Colui che vede sua moglie o qualsiasi dei suoi parenti con un’altra persona in una situazione di fornicazione e picchia, ferisce o uccide uno o entrambi sarà perdonato. Colui che vede la moglie o uno dei suoi parenti con un’altra persona in un letto illegale e picchia, ferisce o uccide uno o entrambi sarà scusato”. Dopo l’indipendenza del 1947 in Pakistan venne introdotto un sistema legale di impronta britannica. Nel 1961 entrò in vigore lo Statuto del diritto personale, ispirato al diritto islamico di interpretazione moderata. Tuttavia nel 1977, a seguito di un colpo di stato il dittatore Muhammad Zia ul-Haqq, iniziò un processo di islamizzazione del codice penale e, due anni dopo, entrò in vigore l’ordinanza Zina che condannava tutte le forme di sessualità che non rientravano nel matrimonio. A fronte di una così rigida regressione dei diritti, già all’epoca, si costituirono alcuni movimenti a tutela dei diritti delle donne, che nel 1979 a Lahore, in Punjab, organizzarono una manifestazione di piazza in un clima di pesante intimidazione (in quei giorni veniva impiccato l’ex primo ministro Ali Bhutto). Il Women’s Action Forum continua ancora oggi a riunirsi ed annovera tra i suoi componenti molti gruppi di avvocate. La deriva integralista continuò nel 1980, quando venne istituita la Shari’a Court, organo giurisdizionale col potere d’invalidare ogni norma giuridica in contrasto con il Corano e la Summa. Nel corso degli anni novanta sino ad oggi in Pakistan non è stato possibile modificare tali leggi in quanto è necessaria una maggioranza di due terzi, impossibile da formare senza il consenso delle forze religiose di matrice integralista (Farian Sabati). In questa cornice di diritto positivo si aggiungono tradizioni tribali dai tratti repressivi ancora più cruenti (vedasi il caso del 2002, avvenuto nel Punjab a danno di Mukhataran Mai, una maestra del villaggio vittima della giustizia del clan e violentata da quattro uomini per decisione del consiglio degli anziani). Da quanto sopra esposto si può concludere che nella società pakistana il delitto d’onore è praticato da secoli e, ancorché il codice tribale preveda la morte come punizione per 21 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com l’adulterio solo delle donne sposate, in realtà le donne sono vittime del delitto d’onore indipendentemente dal loro status. Infatti, le statistiche pakistane nel 1999 riferiscono di 2303 donne uccise per delitto d’onore, delle quali 45 erano minorenni e due su cinque erano nubili. Ancora, dal Gennaio 2001 al dicembre 2004 si sono verificati 4383 casi di omicidio nei quali è stata invocata la circostanza attenuante della difesa dell’onore; il dato presenta margini di approssimazione tanto dal punto di vista del numero oscuro (posto che molti fatti di reato non sono portati a conoscenza dell’Autorità giudiziaria), quanto dal survey di vittimizzazione (molti casi non sono considerati dall’Autorità giudiziaria come delitti d’onore, mentre in altri casi la “difesa culturale” è invocata al solo scopo di beneficiare della pena attenuata). Ancora oggi in Pakistan i diritti delle donne sono molto limitati; nella pratica vigono consuetudini addirittura più repressive rispetto sia al diritto positivo che al diritto islamico hanafita, ancorché vi siano sensibili differenze a seconda del ceto sociale di appartenenza. Nei ceti medio bassi i matrimoni delle figlie ultrasedicenni sono combinati dai genitori senza la partecipazione della futura sposa nella scelta del partner, esiste l’istituto giuridico del ripudio ed è fonte di riprovazione sociale per la donna e per la sua famiglia di origine. Le donne non devono avere contatti con gli uomini, neppure a scuola con gli insegnanti, accudiscono i figli (sempre assai numerosi), hanno rapporti con la famiglia estesa ed una socializzazione limitata al vicinato, al fine di consentire uno stretto controllo sociale. A causa degli intensi flussi migratori, questa cultura patriarcale, che relega le donne nell’angusto perimetro domestico e che ne regola la vita quotidiana con ferree consuetudini, ivi compreso il delitto d’onore, ha seguito lo stazionamento delle comunità di provenienza anche nei paesi occidentali, ove si sono infatti verificati alcuni casi che hanno suscitato clamore. Nel Regno Unito nel 1998 una donna pakistana che aveva abbandonato il marito (un cugino pakistano) e che era rimasta incinta da parte di un cittadino inglese è stata uccisa dalla madre e dal fratello. Nel 2003 ancora nel Regno Unito un curdo iracheno ha ucciso la figlia perché aveva un fidanzato ed era diventata troppo occidentalizzata. Le SIT raccolte nel corso delle investigazioni per l’omicidio di Hina offrono uno spaccato della vita della famiglia Saleem, composta dal marito, moglie, cinque figli, oltre a due generi con relativa prole; una famiglia allargata composta da tredici persone e tre nuclei familiari. Il padre è ben inserito nel contesto socio economico, gestisce due attività commerciali ed ha acquistato una casa in proprietà; le due figlie maggiori, sposate con due fratelli anch’essi pakistani, non sono state mandate a scuola perché il padre non voleva che fossero in contatto con insegnanti maschi. Tutta la famiglia, ad eccezione di Hina, è rigorosamente praticante (il padre si è recato alla moschea poche ore prima dell’omicidio); il padre nell’audizione del 22 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com 26.03.2004, avanti il T.M. dirà “noi siamo musulmani praticanti. Per la nostra cultura non è possibile il matrimonio con un cristiano”. Per Hina il percorso fu diverso perché frequentò gli istituti scolastici pubblici, seppur con poco profitto, fino all’età di 17 anni; era abituata a frequentazioni promiscue, aspirava ad un’integrazione in sintonia con la sua generazione di coetanei e si alimentava di una cultura e di un costume tipicamente occidentali (dai vestiti al tipo di divertimento). Il padre ed uno dei generi monitoravano la vita di Hina per lo più tramite informatori, (dall’improbabile attendibilità, visti alcuni clamorosi travisamenti dei fatti) e senza neppure preoccuparsi di accertare la fondatezza delle indiscrezioni, annotavano giorno per giorno il graduale allontanamento della figlia dal solco della tradizione patriarcale sino a segnare il punto di non ritorno. La rottura del fidanzamento concordato dal padre con il cugino pakistano, l’instaurazione della convivenza con un italiano, il rifiuto a recarsi in Pakistan con tutte le altre donne della famiglia, nonostante il padre le avesse acquistato il biglietto aereo, sono le condotte che determinano la risoluzione ad agire da parte dei maschi della famiglia. Dalle SIT emerge che quando Hina iniziò a lavorare come cameriera presso il ristorante “Antica India” riferì ad alcuni amici, in toni molto preoccupati, di aver intravisto nel locale alcuni amici di famiglia che la osservavano con fare circospetto per poi andare a riferire al padre. I maschi della famiglia non potevano tollerare oltre. Le SIT narrano di cene in casa Saleem consumate al lume del rancore, con il genero che aggiornava il padre, sulla base di non meglio precisate voci sentite sul lavoro, di presunti misfatti della figlia e di un onore familiare gravemente compromesso che doveva essere, a loro dire, difeso al cospetto della comunità pakistana che ormai irrideva al capo famiglia, incapace di educare la figlia. Illuminante sul punto la SIT 23.08.2006 della sorella della vittima, moglie di uno degli imputati: “mio marito si lamentava del fatto che Hina usasse vestire come una donna occidentale anche quando era a casa, e le diceva che una volta tornata da scuola doveva indossare gli abiti tradizionali. Inoltre era stato lui ha scoprire ed a riferire ai miei genitori che Hina fumava; per tutte queste cose tra Hina e mio marito vi era inimicizia e da allora non si sono più parlati; se vi era una qualche minima forma di dialogo in sostanza era di rimprovero di mio marito verso Hina; ricordo che mio marito faceva osservazioni alla Hina dicendole cose del tipo: “guarda che ti ho visto a Brescia” senza specificare più di tanto ma facendo intendere che erano cose della sua vita privata; posso dire che tutto quello che veniva a sapere riguardo a Hina mio marito lo raccontava al padre; posso dire che quello che gli dava molto fastidio era il fatto che la gente pakistana che lui 23 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com frequentava parlasse di comportamenti non tradizionali di mia sorella, in quanto in tal modo veniva pregiudicato l’onore della famiglia; questa era la preoccupazione anche di mio padre; del resto anche mio padre sentiva parlare in giro dalla comunità pakistana di comportamenti non tradizionali di Hina” Ed ancora “a mio marito veniva detto che Hina faceva la prostituta per le strade che si offriva per 10 o 20 euro e in più che veniva vista in ogni posto non vestiva bene, con abiti troppo succinti; la gente diceva anche che aveva un fidanzato italiano” (Sit del 22.08.2006). Raffrontando il profilo vittimologico della figlia con il retroterra culturale del capo famiglia, sembra che la “difesa culturale” affermata dal padre, per quanto giuridicamente inconcepibile per l’ordinamento italiano, non sia stata sostenuta in maniera del tutto pretestuosa, ancorché rimanga sullo sfondo il motivo della mera vendetta del padre a causa della denuncia sporta nei suoi confronti dalla vittima per violenze sessuali: atto di insubordinazione assolutamente inconcepibile per un genitore che pretende di esercitare sulla figlia un possesso-dominio. In conclusione, le motivazioni ed i bisogni che hanno spinto il padre ad agire la condotta criminosa sono di due tipi e possono essere configurati, secondo la tassonomia anzidetta, nella motivazione intrinseca di un inveterato bisogno del sé, intesa come frustrazione dell’autostima di un padre che si sente delegittimato nel suo ruolo dalla figlia, e nella motivazione estrinseca, riconducibile al bisogno sociale, inteso come “necessità” di difendere al cospetto della comunità pakistana e della propria famiglia (soprattutto degli altri figli minori) la propria reputazione di padre rigorosamente osservante e custode della tradizione patriarcale. L’incidenza della norma soggettiva nell’aggravante della premeditazione Ai sensi dell’art. 43 del c.p., “il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. Inoltre, la disciplina dell’omicidio volontario contempla all’art. 577, n. 3, c.p. l’aggravante dell’aver agito “con premeditazione”, ossia, con un dolo particolarmente intenso e punito con il massimo trattamento sanzionatorio, la pena dell’ergastolo. Ma come si forma l’intenzione e quando un’azione può essere considerata “secondo l’intenzione” ? Come sopra esposto, la motivazione costituisce la spinta all’azione, tuttavia, da sola non basta; per provocare l’agire umano è necessaria una rappresentazione pianificatoria 24 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com dell’azione, ossia, l’intenzione dell’azione. L’intenzione è quindi definita come “il piano di azione per il perseguimento di fini comportamentali la cui analisi consente di selezionare, andando a ritroso, l’identità dell’azione stessa” (Gulotta). Conoscere l’intenzione di un individuo significa possedere il maggiore fattore predittivo del suo comportamento, significa prevedere in anticipo che cosa farà. E’ agevole costatare l’importanza che tale elemento assume dal punto di vista investigativo, soprattutto nei reati per i quali la condotta criminosa necessita di un’articolata ideazione e coordinazione di tempi e di azioni: per esempio, nel caso le forze dell’ordine debbano intervenire a seguito di una cruenta rapina, per gli investigatori rivestirà importanza strategica immediata non tanto conoscere l’esatto importo del provento di reato, quanto piuttosto riuscire a prospettare tempestivamente il piano di fuga dei rapinatori, per scegliere quali vie di comunicazione presidiare per riuscire ad intercettarli. In pratica gli investigatori devono porsi dal punto di osservazione degli autori del reato al fine di cercare di intuire il disegno criminoso sotteso, la sua struttura ideativa, in modo da poter prevedere ed intersecare le azioni conseguenti necessarie per assicurarsi il prodotto o il profitto. La scienza psicologica ritiene l’intenzione il prodotto di tre fattori: l’atteggiamento, la norma soggettiva ed il grado di controllo. L’atteggiamento (verso il comportamento) è il fattore personale ed è influenzato da due elementi: le aspettative relative ai risultati di quel comportamento (dette anche credenze comportamentali) e la valutazione soggettiva di tali conseguenze. Ad esempio, la determinazione da parte di un individuo che uccidere una persona sia l’unica soluzione idonea atta a risolvere un suo determinato problema rappresenta una credenza comportamentale; la convinzione che la soluzione di quel problema è di importanza tale da giustificare l’azione rappresenta invece la valutazione dell’importanza soggettiva della scelta. La norma soggettiva è la credenza che si ha relativamente all’opinione degli altri, intesi come famiglia, gruppo o comunità. A sua volta si compone di due elementi: le credenze sulle aspettative degli altri (c.d. credenze normative) e la motivazione personale a compiacerli. Ad esempio, un soggetto commette un delitto d’onore supponendo che la sua comunità di riferimento condividerà il suo operato, lo stimerà di più e sarà solidale con lui (vedi infra). Il grado di controllo indica la percezione soggettiva della facilità o difficoltà a realizzare il comportamento. Tale valutazione si fonda su vari elementi, quali l’esperienza propria o di altri oppure la conoscenza oggettiva delle difficoltà e non è scevra da inferenze errate e/o attribuzioni inappropriate che, spesso, cagionano il fallimento dell’azione e la perdita di controllo delle conseguenze da essa scaturiti. Ad esempio, sopprimere la figlia supponendo 25 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com che sia una prostituta, un’emarginata, e che quindi nessuno noterà la sua scomparsa prima di un certo tempo. Dal punto di vista giuridico la premeditazione è una fattispecie circostanziale costituita da due elementi: uno ideologico o psicologico, consistente nel perdurare nell’animo del soggetto di una risoluzione criminosa ferma ed irrevocabile, chiusa ad ogni resipiscenza; l’altro, cronologico, rappresentato dal trascorrere tra l’insorgenza e l’attuazione di tale proposito di un apprezzabile intervallo di tempo, non necessariamente determinato, ma in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa ed a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere. Dalle SIT rese dalla madre si apprende che il padre aveva più volte parlato in famiglia della necessità di punire la figlia, anche a costo di doverla uccidere: “ogni tanto mio marito mi diceva la sera, quando si parlava, che sentiva parlare male di Hina da parte di persone pakistane, nel senso che non teneva comportamenti consoni alla religione musulmana; ricordo che molte volte, anche recentemente, mio marito aveva manifestato l’intenzione di uccidere Hina se le cose fossero continuate così; a Hina ho parlato del fatto che mio marito avesse più volte detto che voleva ucciderla se le cose continuavano così; a seguito delle numerose volte che aveva detto che voleva uccidere Hina io ho cominciato ad avere paura che potesse succedere qualcosa. Ho pensato che in un momento di particolare arrabbiatura mio marito potesse giungere a compiere atti del genere quando dovevamo andare in Pakistan e mia figlia mi ha detto che non veniva più io mi sono preoccupata del fatto che rimaneva a Brescia e le ho consigliato di non andare a trovare suo padre in quel periodo. Non ho ribadito a mia figlia delle minacce di morte perché ormai era implicito che tra di noi quella fosse la paura” (sit del 22.08.2006). Nel medesimo senso le dichiarazioni delle sorelle della vittima: “Mio padre era molto turbato da questa situazione; ricordo del resto che in varie occasioni, io ne ricordo almeno tre o quattro, mia padre in casa diceva che se Hina continuava a vivere così non poteva che ucciderla; ricordo che anche mia sorella ha assistito mentre mio padre diceva queste cose. Non mi risulta che mio marito o mio cognato abbiano mai detto che se Hina continuava così doveva essere uccisa; è vero che sia io che mia sorella e soprattutto mia madre avevamo maturato un certo timore che una cosa del genere di quella che è successa potesse verificarsi; anche se personalmente non ho mai pensato che mio padre potesse fare una cosa del genere (SIT del 23.08.2006). Ed ancora: “Se Hina non cambierà la ucciderò; questa frase è stata pronunciata più di sei mesi fa; queste frasi dette da mio padre avevano fatto nascere il dubbio che potesse compiere qualcosa di grave” (SIT del 23.08.2006 rese da un’altra sorella della vittima). 26 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Le condizioni per agire si presentano verso la fine del mese di Luglio, quando tutte le donne della famiglia partono per il Pakistan; Hina dopo aver fatto acquistare il biglietto decide di non partire più, per paura di doversi sposare con un connazionale in un matrimonio concordato. In quei giorni nella casa di Sarezzo restano solo i quattro uomini. Dopo il processo del Febbraio 2006 i rapporti tra padre e figlia sembrano essere diventati più distesi e, Hina, che per anni si era negata ed aveva evitato di trovarsi da sola con lui, in occasione della prenotazione del biglietto aereo comunica al padre il proprio numero di telefono cellulare. Il padre, il giorno dell’omicidio, telefona alla figlia e per superare la sua ritrosia ad incontrarlo e la diffidenza suscitata dalle raccomandazioni fatte dalla madre di non recarsi a casa durante la sua permanenza in Pakistan, inventa un artificioso tranello: la invita a recarsi a casa sostenendo che dalla Francia sarebbero arrivati dei parenti che le vogliono consegnare dei regali. La circostanza appare credibile in quanto effettivamente dalle SIT rese dalla sorella della vittima il 23.08.2006 si apprende che “Ho dei parenti in Francia; si tratta di due zii materni; non abbiamo rapporti da oltre 5 anni; con lo zio più piccolo abbiamo rapporti normali e circa due mesi fa aveva chiamato e doveva venire in Italia a trovarci, poi ha ritelefonato per dire che il suo passaporto era scaduto e a qual punto si era detto che sarebbe venuto dopo il nostro rientro dal Pakistan”. Il padre, dopo l’omicidio ha negato di aver fatto questa ingannevole telefonata, ma ignorava la circostanza che, mentre avveniva la conversazione, la vittima si trovava a bordo dell’autovettura di un amico che aveva modo di ascoltare le parole di Hina; inoltre la vittima, nelle ultime ore della sua vita, in quel fatidico giorno, aveva telefonato ad un amico per raccontare la novità: “in questa telefonata Hina mi ha detto che stava andando da suo padre, in quanto l’aveva chiamata per invitarla ad andare a casa sua perché c’erano i parenti dalla Francia; sono sicuro che in quel momento mi abbia parlato di regali portati da questi parenti dalla Francia come cose dettele dal padre; ricordo con sicurezza che in quel momento era molto contenta di questa cosa, e infatti rideva al telefono e si capiva benissimo che era contenta di andare da suo padre a prendere i regali” (SIT del 27.02.3007). La madre e le sorelle confermeranno che l’arrivo dei parenti dalla Francia era un subdolo inganno per attirare la vittima nella casa: “del fatto che doveva venire mio fratello ne avevo parlato con mio marito ma non con Hina, la quale quindi non sapeva che sarebbe potuto venire suo zio; non mi risulta che mio fratello sia arrivato in Italia prima della morte di mia figlia, del resto quando mi ha telefonato ha detto che sarebbe venuto in Italia dopo il nostro ritorno e dopo aver sistemato il problema del passaporto; pertanto non è vero che mio marito aspettasse l’arrivo di mio fratello dalla Francia” (SIT del 22.08.2006). 27 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Quando la vittima è scesa dall’autobus, si è avviata verso la casa paterna rassicurata dalla presenza degli zii; SIT del 08.05.2007: “in quel momento ho visto arrivare Hina a piedi, che proveniva dalla direzione dove si ferma il pullman che viene da Brescia; tra la fermata e la nostra casa c’è una distanza di circa due minuti a piedi; ci siamo salutate, poi ho visto che si è diretta verso l’abitazione della sua famiglia, accanto alla mia, fuori dell’abitazione c’era il padre che la stava aspettando e poi sono entrati tutti due in casa”. E la porta si è chiusa. E’ verosimile che la decisione di infliggere a Hina una punizione esemplare sia maturata in un consiglio dei maschi della famiglia. In assenza delle mogli e dei bambini la vittima, una volta attirata nella casa, non avrebbe avuto alternative: “rinunciare alla sua vita come sino ad allora l’aveva condotta (o si riteneva che fosse stata condotta, alla luce delle “chiacchiere” che da varie parti giungevano al padre); in sostanza una “pretesa” di disporre ancora della vita della figlia, come “di una cosa”, pena la soluzione finale” (sent. pag. 36). La premeditazione collettiva si desume non solo dalle condotte degli imputati antecedenti e successive alla consumazione del delitto, ma anche da vari elementi che possono trovare una ragionevole spiegazione solo se ordinati in tale prospettiva; ad esempio: la circostanza che il rientro delle donne non era previsto in una data certa, mentre è certo che per la fine del mese di Agosto tutti i tre nuclei familiari avrebbero dovuto lasciare definitivamente la casa di Sarezzo, che era stata venduta tramite un’agenzia immobiliare. Ancora, è significativa la circostanza per la quale nonostante mancassero meno di 20 giorni dal trasloco nessuno dei maschi si fosse seriamente preoccupato di recuperare la disponibilità di un immobile adeguato ad alloggiare una famiglia allargata così estesa (considerando a maggior ragione che le donne, secondo la cultura partecipata dagli autori del reato, dovrebbero sempre restare in casa). Nulla si evince neppure sull’utilizzo dei proventi della vendita della casa, di talché è ragionevole assumere che dopo aver seppellito il cadavere nel giardino dietro casa, gli autori ritenessero di avere a disposizione almeno 20 giorni per sistemare i loro ultimi affari, uscire regolarmente dall’Italia e ritornare in Pakistan dove li aspettavano tutti gli altri familiari. Sul punto la sentenza motiva come segue: “Né la circostanza che la buca ove sopprimere il cadavere sia stata scavata nell’orto, dopo l’uccisione di Hina, che parrebbe a prima vista contrastare con una premeditazione dell’omicidio, vale ad escludere questa aggravante. Ed infatti, una cosa è la premeditazione altra è la preordinazione dell’attività esecutiva; dall’altro risulta che la risoluzione omicida sia stata realizzata una volta verificatasi la condizione cui era subordinata l’attuazione del proposito criminoso, il che lasciava residuare, nella mente degli assassini, la possibilità che Hina accogliesse la proposta 28 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com paterna (ossia, di rientrare nella casa paterna e di risottomettersi alla direzione del padre n.d.r.) facendo venir meno la necessità di sopprimerla”. Breve profilo criminologico del padre Gli elementi utili per esaminare il profilo criminologico degli autori del reato non sono molti. La figura di rilievo predominante è il padre, posto che gli altri correi sono in posizione gerarchica meno decisiva. Il padre è incensurato, ancorché gravi su di lui l’ombra degli abusi sessuali consumati a danno della figlia; non è stato sottoposto ad alcuna perizia psichiatrica e neppure ha chiesto di esserlo; appare bene inserito nel contesto socio economico; vive in paesi occidentali da 17 anni ed è in Italia da circa 8 anni. Ha avviato due attività commerciali, ha cresciuto una famiglia assai numerosa ed ha anche acquistato la casa presso la quale è avvenuto l’omicidio. Per quanto concerne la disamina dei fattori sociali e familiari è evidente che il padre svolge la sua personalità essenzialmente sul lavoro e in casa; le sole uscite sono per recarsi alla moschea per i momenti di preghiera comunitaria. Effettivamente sembra che gli unici legami extrafamigliari della famiglia Saleem fossero con la comunità pakistana, invero la comunità straniera più numerosa in Brescia (Romano C. A.). In questo senso assume significato quanto sopra esposto in relazione al bisogno di affiliazione, inteso come definizione della propria identità attraverso l’identità del gruppo di riferimento. Alcuni elementi che consentono qualche ulteriore riflessione provengono dalla famiglia Saleem, che appare come un sistema relazionale chiuso, rigorosamente verticistico, in cui il padre domina su moglie, figlie e generi. La direzione di fondo è stabilita dal padre che impartisce regole specifiche, non simmetriche (le figlie non devono avere rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, ma se avvengono con il padre la regola non vale). La moglie è talmente sottomessa alla cultura maschilista che quando apprende del tradimento del marito (che abusa della figlia) colpevolizza la figlia invece del marito. Il sistema famiglia, inteso come l’insieme di persone, di relazioni tra tali persone ed i loro attributi, appare di tipo chiuso: le relazioni sono bloccate, non si mette in atto alcun scambio di energie, non c’é scambio di informazioni all’interno (non risulta che la madre o le sorelle difendano la figlia delle infondate insinuazioni) e neppure con l’esterno: nemmeno lo scrupolo di verificare personalmente la fondatezza delle “chiacchiere”; nessuno sforzo neppure per provare a comprendere che fuori dalla porta di casa il mondo giovanile volge in tutt’altra direzione. La famiglia vive nell’opulenta periferia di Brescia, una delle città più industrializzate e moderne d’Italia, ma è impermeabile ad ogni sollecitazione e perpetua il 29 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com modello arcaico, di stampo forse più conservatore di quanto non lo sia al giorno d’oggi in Pakistan (paese dove una donna è già divenuta Primo Ministro anni orsono). E’ significativo come l’allontanamento di Hina ad opera del Tribunale per i minorenni non abbia minimamente modificato il sistema relazionale; in questo caso il sistema chiuso ha agevolato l’omeostasi e la famiglia Saleem ha subito ripristinato il proprio equilibrio, senza alcuna ripercussione, senza che al capo famiglia si rendesse necessario alcun cambiamento della sua gestione, autoritaria e assolutistica, all’interno della famiglia. Poco o nulla è dato conoscere del comportamento del padre sul posto di lavoro. Tuttavia, il giorno successivo all’omicidio, il padre si è recato presso il proprio negozio ed il suo dipendente ha riferito che “il suo atteggiamento era normale come sempre”. Questo dato appare assai significativo, soprattutto se letto in unisono con la circostanza che nella medesima mattinata il padre aveva già avuto un contatto con i carabinieri che si erano recati presso la sua abitazione ed ai quali aveva negato ogni circostanza, e depongono per una personalità dotata di indubbia capacità di controllo delle emozioni e di simulazione dei comportamenti. Dalle modalità di commissione del reato, particolarmente efferate e cruente, è possibile inferire che la condotta del padre (coadiuvato da due generi) è stata agita con grande determinazione, risolutezza, senza alcuna esitazione. Le 4 ferite mortali sono state precedute da altre 24 ferite, delle quali 16 hanno attinto la vittima al collo e al viso, hanno prodotto evidenti lacerazioni con effetti sfiguranti che, invece di far recedere gli agenti dal proposito, hanno rafforzato l’azione, conclusa con quattro colpi, tipici dello “scannamento”. Anche la scelta dell’arma è significativa. Un’indagine svolta sul fenomeno omicidiario in Brescia rivela che “fra gli strumenti primeggia l’arma bianca, lasciando intendere come nelle aggregazioni devianti dei vari gruppi etnici l’omicidio abbia per lo più un significato simbolico, attuato più per scopo punitivo e dimostrativo che conflittuale. Da ciò non possono certo prescindere regole gerarchiche importate dagli immigrati ma radicate in contesti culturali e temporali assai remoti” (Romano C. A.). Le circostanze che il padre abbia agito in concorso con i generi, che vi fosse la piena possibilità di controllare la reazione della vittima in ragione della sovrabbondante superiorità fisica e numerica, la cruenta modalità di esecuzione del delitto, la lucida condotta successiva, la mancanza di segni di resipiscenza, depongono per una rilevante e spiccata capacità criminale, indice di elevata pericolosità sociale in ordine alla possibile reiterazione di comportamenti delittuosi nei confronti degli altri figli minori. Brescia, lì’ 11.02.2008 avv. Gerardo Milani 30 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com Bibliografia: Anolli L. e Legrenzi P., Psicologia Generale, Il Mulino, 2006 Farian Sabati, I diritti umani in Medio Oriente, La Stampa, 2007 Forti Marina, La lunga marcia delle donne pakistane, Il Manifesto , 2006 Giunchi Elisa, Famiglie migranti e stili genitoriali, Provincia di Bologna 2007 Gulotta G., Elementi di psicologia giuridica e diritto psicologico, Giuffré, 2001 Palermo George B., Murderous parents, in International Journal of Offender, 2002 Romano Carlo Alberto, La Leonessa che uccide, Liberedizioni, Brescia, 2007 Shahnawaz Khan, Gli omicidi d’onore corrompono il volto della società Pakistana, Donne nel Mondo, 2004 Susan Hatters Friedman e altri, Filicide-Suicide: common factors in parents who kill their children and themselves, in The Journal of the Accademy of Psychiatry and the Law, 2005 31 PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com