Volume VII - N˚ 1/2015

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Volume VII - N˚ 1/2015
Volume ViI
N˚ 1/2015
Periodico trimestrale - Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 1, DCB Pisa
Aut. Trib. di Milano n. 208 del 29-04-2009 - Marzo - Finito di stampare presso IGP - Pisa, aprile 2015.
Organo ufficiale SIGENP
Pediatric Nutrition
& HEALTH AND FOOD SCIENCE
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST
FOR CLINICAL PRACTICE
PEDIATRIC HEPATOLOGY
NEWS IN PEDIATRIC
GASTROENTerology
PHARMACOLOGY
IBD HIGHLIGHTS
Latte di crescita
dopo il primo anno di vita
Nuove linee guida sul reflusso
gastroesofageo
I difetti di sintesi degli acidi biliari
I farmaci biosimilari
Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD
L’equilibrio interno
accende il benessere generale
KALE 14 09
Kaleidon (Lactobacillus rhamnosus GG ATCC 53103)
il probiotico meglio studiato nel bambino, 1
che favorisce l'equilibrio della flora intestinale 2
1. Bousvaros A, et al. A randomized, double-blind trial of lactobacillus GG versus placebo in addition to standard
maintenance therapy for children with Crohn's disease. Inflamm Bowel Dis 2005; 11(9): 833-9.
2. Foglietto illustrativo Kaleidon.
ISSN 2282-2453
Volume ViI - N˚ 1/2015 - Trimestrale
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scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore S.p.A. - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Pisa.
Sommario
1
EDITORIALE
È l’alba di un giorno nuovo …
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST
49 FOR CLINICAL PRACTICE
Le nuove linee guida del National Institute for Health and
Care Excellence (NICE) sul reflusso gastroesofageo: quali
sono le raccomandazioni? Quali le considerazioni?
The new National Institute for Health and Care Excellence
(NICE) guidelines on gastroesophageal reflux: what are
the recommendations? What are the considerations?
M. Baldassarre
3
TOPIC HIGHLIGHT
Un algoritmo per amico (… ovvero come evitare esami
e terapie inutili nei disturbi funzionali gastrointestinali
del bambino) Intervista al Prof. Yves Vandenplas
M. Baldassarre
7
CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
Genetica ed epigenetica delle malattie infiammatorie
croniche intestinali
Genetics and epigenetics of inflammatory bowel
diseases
T. Gabbani, S. Deiana, N. Manetti, V. Annese
14
PEDIATRIC HEPATOLOGY
I difetti di sintesi degli acidi biliari:
una diagnosi che non dovrebbe mai essere omessa
Bile acid synthesis defect: a diagnosis that should never
be missed
T. Capriati, S. Salvatore
58
Focus on
Il ruolo degli alginati nell’era degli inibitori di pompa
protonica
A. Dimauro, M. Baldassarre
60 C'è vita nelle …Aree
Il Pediatric Nutrition Day
S. Amarri
M. Cananzi, G. Giordano
21
PEDIATRIC NUTRITION
& HEALTH AND FOOD SCIENCE
Latte vaccino intero o latte di crescita dopo l’anno di vita:
quali evidenze?
What evidences for whole cow’s milk or growing up milk
after the first year of life?
V.L. Miniello, L. Diaferio
26
IBD HIGHLIGHTS
Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD
Pancreatic involvement in IBD
Il punto di vista del gastroenterologo dell’adulto
A. Amodio, A. Gabbrielli
Il punto di vista del gastroenterologo pediatra
M. Martinelli
34
CASE REPORT
Sapere per riconoscere... Quando l’intestino ci mette alla prova
Learn to recognize... When the intestine challanges us
G. Guariso, M. Gasparetto
36
NEWS IN PEDIATRIC
GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
Gemelli diversi? I farmaci biosimilari nelle malattie
infiammatorie croniche intestinali del bambino
Different twins? Use of biosimilars in paediatric
inflammatory bowel disease
P. Lionetti, S. Ghione, M. Paci
Segreteria SIGENP
Biomedia srl
Via Libero Temolo, 4 - 20126 Milano
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COME SI DIVENTA SOCI DELLA
L’iscrizione alla SIGENP come Socio è riservata a coloro (medici/
ricercatori) che dimostrano interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.
I candidati alla posizione di Soci SIGENP devono compilare una apposita scheda con acclusa firma di 2 Soci presentatori. I candidati
devono anche accludere un curriculum vitae che dimostri interesse
nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica.
In seguito ad accettazione della presente domanda da parte del
Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di ammissione ed
indicazioni per regolarizzare il pagamento della quota associativa
SIGENP.
40 RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE
Pancreatiti acute e croniche:
quando i geni hanno un ruolo importante
Acute and chronic pancreatitis: when some genes play
an important role
F. Adragna, P. Mansueto, C. Enna, A. Seidita, A. Carroccio
45
ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY
Ingestione di batterie a bottone: descrizione di due casi
con complicazioni esofagee e proposta di un protocollo
multidisciplinare di trattamento
Ingestion of button batteries: report of two clinical cases
with esophageal complication and proposal
for a multidisciplinary protocol of treatment
A. Barabino, S. Vignola, P. Gandullia, S. Arrigo, A. Calvi, L. Dall’Oglio,
F. Torroni, P. De’Angelis, M. Bini, A. Rossi
Soci ordinari e aderenti
• € 50,00 quota associativa annuale SIGENP senza abbonamento DLD
• € 90,00 quota associativa annuale SIGENP con abbonamento DLD
Soci junior (età non superiore a 35 anni)
• € 30,00 Quota associativa annuale SIGENP con DLD on-line
Per chi è interessato la scheda di iscrizione
è disponibile sul portale SIGENP
www.sigenp.org
Editoriale
È l’alba di un giorno nuovo …
Ci siamo.
Il giornale è pronto per essere sfogliato e letto. Abbiamo lavorato in questi mesi cercando di dar
vita ad un Giornale che possa diventare sempre più un compagno della nostra vita professionale,
un ausilio utile quando ci vengono dei dubbi.
Veniamo subito alle novità. Come noterete ha un nuovo abito, cioè una nuova veste grafica, un
nuovo Editore... ed anche un sito web dedicato: www.giornalesigenp.it. Si tratta di un sito web
“open access”, come deciso dall’assemblea dei soci Sigenp all’ultimo congresso, e quindi di facile
consultazione per tutti . Servirà a scaricare gli articoli nuovi e vecchi del giornale, a trovare materiale
aggiuntivo correlato agli articoli stessi, a scriverci.
L’altra grossa novità è che il nostro Giornale si apre da quest’anno ai contributi che ognuno di voi
vorrà inviarci: casi o studi clinici, report di ricerche originali pubblicati su riviste con IF … L’intento è condividere cultura e conoscenza nell’ambito della gastroenterologia, epatologia e nutrizione
pediatrica. I contributi potranno essere inviati on-line, scaricando le norme editoriali dal sito della
rivista www.giornalesigenp.it.
Troverete in questo primo numero una nuova rubrica dal titolo “Linee guida: elementi utili per
la pratica clinica”, affidato a Teresa Capriati (Bambin Gesù, Roma), allo scopo di rendere note e
diffondere le linee guida più recenti su argomenti vari di gastroenterologia, epatologia e nutrizione
pediatrica, commentate da parte di esperti. Vi presentiamo in questo numero le linee guida NICE,
appena pubblicate, sul reflusso gastroesofageo, commentate da Silvia Salvatore.
Yves Vandenplas (Bruxelles) ci illustra, nell’intervista che gli abbiamo rivolto, gli algoritmi che ha
pubblicato nel 2014 nell’intento di fornire una “traccia” da seguire per arrivare alla diagnosi di un
disturbo funzionale gastrointestinale nel bambino senza dover effettuare esami eccessivi o terapie
dannose.
Vito Miniello (Bari) ha realizzato per noi una efficace disamina sui latti di crescita, offrendoci
spunti utili a motivare le nostre scelte.
Mara Cananzi (Padova) ci parla magistralmente dei difetti di sintesi degli acidi biliari, causa di
gravi epatopatie nel bambino. Si tratta di patologie certo non frequenti, ma che bisogna conoscere
e saper individuare, perché l’epatopatia da difetto di sintesi degli acidi biliari può essere curata ed
è totalmente reversibile. In caso contrario l’epatopatia evolve fino alla cirrosi epatica.
Vito Annese (Firenze) ci parla di genetica ed epigenetica delle Malattie Infiammatorie Croniche
Intestinali (MICI). Si tratta di un campo in cui le conoscenze sono molto cambiate negli ultimi anni.
L’articolo è un’ottima messa a punto delle più recenti novità.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:1-2
1
Editoriale
In tema di MICI pediatriche, Armando Gabrielli (Verona) e Massimo Martinelli (Napoli) ci parlano del coinvolgimento pancreatico in corso di MICI, sia nell’adulto che nel bambino. La patologia
pancreatica va sempre sospettata in presenza di alcuni segnali di allarme, ben descritti nell’articolo
che vi presentiamo. Il confronto tra gastroenterologo dell’adulto e del bambino rappresenta un
utile confronto nell’ambito di una patologia in cui si transita spesso, purtroppo, da un’età all’altra:
chi si trova a gestire un bambino con MICI deve sempre guardare al momento in cui quel bambino
diventerà un adulto.
Paolo Lionetti (Firenze) ci parla di farmaci biosimilari, sostanze da poco immesse nel mercato farmaceutico per sostituire i farmaci biologici come l’infliximab (IFX), utilizzato nella terapia delle MICI
e di altre patologie autoimmuni. La scadenza del brevetto per l’IFX in Europa è prevista nel triennio
2013-2015 (in base alla Nazione considerata) e nel settembre 2013 l’EMA ha approvato per la prima
volta due farmaci biosimilari dell’IFX (Inflectra e Remsima). Troverete descritti in questo articolo i
vantaggi, ma anche i dubbi e le domande ancora aperte legate all’uso di queste nuove molecole.
In tema di pancreas, Antonio Carroccio, vero esperto in tale campo, ci parla di meccanismi genetici delle pancreatiti in età pediatrica.
Infine, l’interessantissimo l’articolo di Arrigo Barabino (Genova) ci presenta un nuovo protocollo
sul trattamento delle lesioni esofagee dopo ingestione delle pericolosissime batterie “a bottone”.
Tale protocollo standardizza le procedure da attuare da parte dell’equipe medica qualora si verifichi
l’ingestione di queste batterie “killer”. Come leggerete, tali procedure correttamente effettuate possono rivelarsi “salvavita” per il bambino che sia incorso in tale drammatica evenienza.
Sono sicura che dopo la lettura attenta di questi articoli vi sentirete più ricchi …
Grazie ai miei fidati compagni di viaggio della Redazione e a tutti i “contributors” degli articoli.
Buona lettura!
2
a cura di
Mariella Baldassarre
TOPIC HIGHLIGHT
Un algoritmo per amico
(… ovvero come evitare esami
e terapie inutili nei disturbi funzionali
gastrointestinali del bambino)
Intervista al Prof. Yves Vandenplas
Introduzione
Sintomi gastrointestinali quali la stipsi, il rigurgito, le coliche sono presenti in circa il 50% dei
bambini. Questi sintomi sono spesso funzionali,
ma possono talora essere causati dall’allergia
alle proteine del latte vaccino. Il professor Yves
Vandenplas, famoso in tutto il mondo per i suoi
studi sul reflusso gastro-esofageo e sull’allergia
alle proteine del latte, ha di recente sviluppato e
pubblicato alcuni algoritmi, basati sul consenso di
esperti, per la diagnosi di alcuni tra i più frequenti
disturbi funzionali gastrointestinali che si propongono di aiutare il pediatra nella sua pratica clinica.
Abbiamo intervistato il professor Vandenplas sulla reale utilità di questi algoritmi che vi proponiamo in queste pagine. L’articolo che li contiene in
lingua originale è disponibile sul sito della nostra
rivista (www.giornalesigenp.it).
L'utilizzo di questi algoritmi potrebbe davvero
essere utile nella pratica clinica?
Assolutamente sì! È stato proprio questo l’obiettivo che speravo di centrare mentre mi sforzavo
di sviluppare i suddetti algoritmi. Questi propongono infatti raccomandazioni pratiche per trattare i sintomi gastrointestinali funzionali. Secondo
i dati epidemiologici, circa il 50% di tutti i neonati sviluppa almeno un sintomo GI funzionale e
parecchi neonati ne presentano più di uno contemporaneamente. Per definizione, quando vi è
un disturbo funzionale, non vi è alcuna malattia
organica. L’obiettivo di questi algoritmi è quello
di guidare medici di medicina generale e pediatri di libera scelta verso una diagnosi sicura ed
efficace, ma anche di aiutarli a gestire questi disturbi frequenti con interventi terapeutici efficaci
e non dannosi.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:3-6
Yvan Vandenplas si è laureato
e specializzato in pediatria
(1981-1986) presso la “Vrije
Universiteit” di Bruxelles (Belgio).
È diventato Direttore dell’Unità
di Gastroenterologia Pediatrica
e Nutrizione nel 1987 e dal 1994 è
Professore di Pediatria e Direttore
del Dipartimento di Pediatria
presso l’“University Hospital” di
Bruxelles (UZ Brussel). Ha più
di 350 pubblicazioni su riviste
internazionali con IF. I suoi interessi
principali sono il reflusso gastroesofageo (procedure diagnostiche, trattamento),
l’uso dei probiotici e prebiotici, l’allergia alle
proteine del latte vaccino, la stipsi e la nutrizione
infantile. Attualmente è editore associato del
“Journal of Pediatric Gastroenterology and
Nutrition”, e Presidente del gruppo di studio di
Gastroenterologia dell’ESPGHAN.
Key words
Gfunctional gastrointestinal disorders • Algorithm
Abstract
About 50% of infants present with functional gastrointestinal symptoms such
as colic, regurgitation and constipation,
and many infants experience a combination of these symptoms. Each of these
three conditions account for roughly 20
to 25% of all cases. This study presents
state-of-the-art practical algorithms for
the management of these functional
gastrointestinal symptoms. The goal
was to simplify the approach to functional gastrointestinal disorders.
Indirizzo per la corrispondenza
Yves Vandenplas
Free University of Brussels
Department of Pediatrics
E-mail: [email protected]
3
Intervista al Prof. Yves Vandenplas
4
TOPIC HIGHLIGHT
Un algoritmo per amico
Nei neonati allattati artificialmente, l’allergia
alle proteine del latte vaccino può essere a
sua volta una possibile causa di FGID. Pensa
che questo aspetto sia sovra-diagnosticato o
sotto-diagnosticato?
Devo innanzitutto sottolineare che c’è una differenza tra l’allergia alle proteine del latte vaccino e i sintomi ad essa correlati. Mentre l’incidenza di allergia è stimata attorno al 3-5%,
l’incidenza di sintomi correlati al latte vaccino
potrebbe attestarsi su valori più alti, pari al 1015%. L’allergia alle proteine del latte vaccino è
sia sotto- che sovra diagnosticata, a seconda
di quella che è la formazione specifica del medico e la sua capacità di pensare alla diagnosi
senza poi dare troppo spesso alle proteine del
latte vaccino tutte le colpe. Anche in questo
caso, l’algoritmo si propone di aiutare il medico
a riconoscere meglio ed a trattare l’allergia al
latte vaccino. Il trattamento di scelta per questo tipo di allergia è l’utilizzo di latti con idrolisi
estensiva.
Quali sono le situazioni in cui suggerirebbe
al pediatra di famiglia di inviare il paziente ad
un centro di riferimento per la gastroenterologia pediatrica?
Queste situazioni sono chiaramente indicate
negli algoritmi, e il manoscritto ne fornisce le
spiegazioni. Le indicazioni possono variare naturalmente sia in base alla nazione in cui il medico lavora che in base ai sintomi considerati.
In generale, le raccomandazioni sono basate su
un approccio diagnostico e terapeutico sicuro
ed efficace fornito da un’accurata anamnesi e
da un completo esame fisico. Gli algoritmi non
fanno riferimento ad indagini diagnostiche o ad
5
Intervista al Prof. Yves Vandenplas
un trattamento farmacologico. Il perno della terapia raccomandata è Il trattamento dietetico
con “alimenti funzionali” (= alimento che, grazie
ad alcune peculiari proprietà nella sua composizione, oltre alle proprietà nutrizionali, è in gra-
do di alleviare i disturbi funzionali del neonato).
Appena questo approccio diviene insufficiente
o quando diventa necessario porre l’indicazione
ad effettuare indagini diagnostiche si consiglia il
rinvio ad uno specialista.
1. La stipsi, il rigurgito, le coliche sono presenti in circa il 50% dei bambini. Si tratta di sintomi spesso funzionali, ma
talora causati dall’allergia alle proteine del latte vaccino.
2. Gli algoritmi presentati propongono raccomandazioni pratiche per trattare i sintomi gastrointestinali funzionali.
3. Le raccomandazioni sono basate su un approccio diagnostico e terapeutico sicuro ed efficace fornito da un’accurata
anamnesi e da un completo esame fisico.
4. Gli algoritmi non fanno riferimento ad indagini diagnostiche o ad un trattamento farmacologico: quando diventa
necessario porre l’indicazione ad effettuare indagini diagnostiche si consiglia il rinvio ad uno specialista.
6
a cura di
Osvaldo Borrelli
CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
Genetica ed epigenetica delle malattie
infiammatorie croniche intestinali
Genetics and epigenetics of inflammatory bowel diseases
Epidemiologia genetica
Differenze etniche
Le malattie croniche infiammatorie intestinali
(IBD) hanno dimostrato avere importanti differenze geografiche ed etniche per quanto riguarda
incidenza e prevalenza. L’incidenza della malattia di Crohn (MC) e della colite ulcerosa (CU) è
gradualmente aumentata dopo la seconda guerra mondiale, in particolare nel Nord Europa e nel
Nord America, dove sono stati segnalati i tassi di
incidenza più alti del mondo. In diverse aree storicamente a bassa incidenza, come Asia e Africa,
è stato segnalato un aumento dell’incidenza negli
ultimi anni. D’altra parte, l’elevata incidenza delle
IBD nelle comunità isolate come gli ebrei Ashkenaziti, sembra persistere indipendentemente dalla posizione geografica o dal periodo storico 1, 2.
Studi familiari
L’aggregazione familiare dei casi di IBD è stata
ampiamente confermata in circa il 5-23% dei pazienti affetti. Famiglie con molteplici individui affetti sono più spesso concordanti per tipo di malattia (MC o CU).
Rischio per i parenti
Il maggior rischio di sviluppare IBD è presente
avendo un parente affetto. La stima del rischio relativo, per un soggetto di una famiglia a rischio, è
del 13-36% per il MC e del 7-17% per la CU. Il
rischio assoluto è però più basso, nell’ordine del
4,8-5,2% per i non ebrei e 7,8% per gli ebrei. Per
quanto riguarda un parente di primo grado di un
paziente affetto da CU si può approssimare un
rischio assoluto di contrarre la malattia dell’1,6%
per i non ebrei e del 5,2% per gli ebrei. Un po’ più
alto appare invece essere il rischio di trasmissione
ai figli: il rischio assoluto per la prole di un paziente
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:7-13
Tommaso Gabbani
Simona Deiana
Natalia Manetti
Vito Annese (foto)
Gastroenterologia 2,
AOU Careggi, Firenze
Key words
Genetics • Epigenetics •
Inflammatory bowel diseases •
Crohn’s disease • Susceptibility
loci • Ulcerative colitis
Abstract
IBD has a strong familial aggregation
with striking geographic and ethnic
differences in prevalence. At least 163
susceptibility loci are described and
many of these are shared with other immune diseases. The epigenetic mechanisms might play an important role and
represent the meeting point between
genetic and environmental factors.
While the genetic profile remains stable during life, epigenetic profile is influenced by environmental factors and
transmitted during mitosis.
Indirizzo per la corrispondenza
Vito Annese
largo Brambilla 3, 50139 Firenze
E-mail: [email protected]
7
T. Gabbani et al.
con IBD è approssimativamente il 10%. Il rischio di essere affetti da IBD nella prole aumenta drasticamente se entrambi i
genitori sono affetti da IBD, con
un rischio del 33-52%.
Studi sui gemelli
Nel 1988 è stato pubblicato il
primo studio che ha dimostrato
in coppie di gemelli monozigoti
un tasso di concordanza superiore di MC, rispetto ai dizigoti.
In tale studio sono stati osservati tassi di concordanza per
MC del 58% nei monozigoti e
del 4% nei dizigoti. Successivamente una coorte danese ha
riportato tassi di concordanza
del 58% nei monozigoti e dello 0% nei dizigoti. Allo stesso
modo, i tassi corrispondenti a
gemelli monozigoti e dizigoti
con CU erano del 18% e 4%, rispettivamente. Questi dati sono
poi stati confermati da altri studi
di coorte scandinavi, britannici
e tedeschi. Più recentemente,
uno studio standardizzato per
età ha mostrato tassi di concordanza per MC in gemelli monozigoti e dizigoti rispettivamente
del 38% e del 2%. I corrispondenti per CU sono stati del 15%
e dell’8%. È noto anche un aumento di prevalenza delle IBD
in altre condizioni infiammatorie
croniche, con forte evidenza di
suscettibilità genetica, come la
spondilite anchilosante, la psoriasi, la sclerosi multipla e la celiachia 3.
Genetica
molecolare
Studi di linkage
Le IBD hanno una predisposizione genetica non di tipo
8
mendeliano classico, ma sono
malattie geneticamente complesse. Ampie scansioni di
genoma basate su studi di
linkage, usando micro satelliti come marcatori, hanno mostrato negli anni ’90 regioni
cromosomiali comuni in coppie
di parenti affetti. Nel 1996 con
questa strategia è stata dimostrata una regione di linkage
sul cromosoma 16, chiamata
IBD-1. Studi successivi, hanno
identificato altre aree di linkage
significativo su altri cromosomi.
Nel 2001 è stato identificato il
primo gene di suscettibilità genetica per la malattia di Crohn,
il gene NOD2, all’interno del
locus IBD 1. In particolare, tre
polimorfismi differenti di NOD2
nella regione LRR hanno mostrato essere associati al MC.
Queste tre varianti comprendono una mutazione “frameshift”
(Leu1007fi NSC) che provoca
una trascrizione troncata e due
polimorfismi “nonsynonymous”
(Arg702Trp e Gly908Arg). La
prevalenza di questi tre principali polimorfismi varia nel mondo, con tassi di maggiore prevalenza in Europa e Stati Uniti:
fino al 40% di pazienti affetti
da MC è portatore di almeno
uno dei suddetti polimorfismi.
D’altro canto, sono stati riportati tassi di mutazione inferiori
nel Nord Europa (Scandinavia
e Scozia); inoltre le mutazioni
NOD2 sembrano essere quasi
assenti in Asia (Giappone, Corea e Cina) 4.
Studi di associazione di tutto
il genoma (GWAS)
Dopo la dimostrazione che
nelle IBD non esiste un unico
gene, ma piuttosto un grande
numero di geni coinvolti, si è
passati agli studi di associazione di tutto il genoma (GWAS),
dove si confronta la frequenza
di un particolare allele variante
tra casi e controlli.
Attualmente, in letteratura sono
stata descritti 163 loci di suscettibilità. Molti polimorfismi a singolo nucleotide, associati al MC,
sono stati identificati nel gene
TNFSF15 oltre che nel NOD2.
Altre varianti, associate alle IBD
sono state identificate nel gene
del recettore per l’interleuchina
23 (IL23R). Altri loci sono stati
poi identificati nella regione del
complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) e nel gene
che codifica la proteina della
matrice extracellulare 1 (ECM1).
Le IBD presentano un’incidenza durante l’infanzia o l’adolescenza del 15-20%. Lo studio
di pazienti con esordio precoce
della malattia avrebbe potuto
dimostrare una maggiore probabilità di identificare varianti
di rischio nuove, non identificate negli adulti. Le IBD ad insorgenza precoce, mostrano,
tra l’altro, la tendenza fin all’esordio ad interessare zone più
estese di intestino e ad avere
una progressione più rapida.
Due recenti GWAS, effettuati
esclusivamente in questa fascia di età, hanno dimostrato
molte somiglianze genetiche
tra le IBD ad insorgenza precoce e quelle ad insorgenza
nell’età adulta. Diversi loci,
già noti da studi sugli adulti
(NOD2, IL23R, HLA, TNFSF15),
sono stati dimostrati anche sui
bambini affetti da IBD. Tuttavia sono stati identificati altri
nuovi loci, associati alle IBD in
età pediatrica e non riscontrati
sugli adulti: tra questi il 20q13
e 21q22, verosimilmente ap-
CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
Genetica ed epigenetica delle IBD
partenenti al gene TNFRSF6B,
coinvolto nella via del tumor
necrosis factor (TNF). Anche
il locus 16p11, vicino al gene
per IL27, è stato identificato in
pazienti con insorgenza precoce di IBD ma non nei pazienti
adulti.
Dei 163 loci identificati, 110
sembrano essere rilevanti sia
per il MC che per la CU, 23 sembrano essere di rischio specifico
per CU e 30 specifici per MC.
Questo spiega solo il 23,3% del
rischio di ereditarietà stimata per
il MC ed il 16% per CU. D’altra
parte la ricerca in tal campo non
è conclusa, ed un ampio nu-
mero di geni di interesse sono
stati identificati, tra questi ricordiamo SMAD3, ERAP2, IL10,
IL2RA, TYK2, FUT2, DNMT3A,
DENND1B, BACH2, TAGAP e
ED 18. Altri geni invece rimangono tuttora candidati, ma con
incerto coinvolgimento nella patogenesi: IL1R2, IL8RA-IL8RB,
L7R, IL12B, DAP, PRDM1, JAK2,
IRF5, GNA12 e LSP1.
Molti geni associati alle IBD
sembrano essere coinvolti nel
processo di differenziazione di
linfociti T (per esempio le citochine IL21, IL10, IFNG, IL7R).
In particolare, alcuni di loro
sono specificamente coinvolti
nella via dell’IL23 (IL23R, JAK2,
STAT3, IL12B e PTPN2), implicata nel processo di differenziazione dei linfociti Th17. Le
cellule Th17 sono ritenute fondamentali nel coordinare la difesa contro i patogeni specifici
e nel mediare l’infiammazione.
Altri geni, coinvolti nell’interazione con il TNF (TNFRSF9,
TNFRSF14, e TNFSF15), sono
ben rappresentati e codificano
per proteine con vari effetti immunitari, tra cui la propagazione dell’infiammazione sistemica e l’attivazione del fattore di
trascrizione NF-kB infiammatorio (Tab. I).
Tabella I.
Principali pathways patogenetiche implicate nelle IBD e relativi marcatori molecolari identificati.
Locus
Gene candidato
Pathway
SLG
Ligando costimolatore inducibile
cellule T
Ruolo chiave per differenziazione cellule Th17 da linfocti
CD4 naïve. Molecola costimolatrice in cellule presentanti
l’antigene
STAT3
Trasduttore del segnale e attivatore
della trascrizione 3
Trasduttore del segnale in molte pathways delle
citochine tra cui IL23 e IL6
JAK2
Janus chinasi 2
Chinasi nella pathway STAT3
CCR627
Recettore chemochina 6
Recettore accoppiato a proteina G espresso nelle cellule
di memoria T, media migrazione nei tessuti per flogosi
epiteliale
TNFSF15
Membro 15 della superfamiglia
tumor necrosis factor
Induce attivazione di NF-B, potenzia il segnale di IL-2 e
secrezione di IFNγ da linfociti T
NKX2-3
Fattore di trascrizione correlato a
NK2, locus 3
Fattore di trascrizione espresso nell’intestino
Gene desert
cromosoma 5p13
PTGER4
SNP su 5p13 correla con l’espressione di PTPGER4. Codifica
recettore prostaglandina EP4
MST1
Stimolatore macrofagi 1
MST1 induce fagocitosi da parte di macrofagi peritoneali
ITLN1
Intelectina 1
ITLN1 riconosce residui di galattofuranosile presente
nelle pareti delle cellule di vari microrganismi non
mammiferi
ECM1
Proteina della matrice
extracellulare1
Associata con CU, probabilmente implicate
nell’alterazione delle permeabilità intestinale
IL-10252, 253
Interleuchina 10
Varianti associate con CU
Cluster di SNPs 5.5 kb
a monte di PTPN2
PTPN2. Tirosin-fosfatasi proteica delle
cellule T (TCPTP)
Regolatore negativo della via di segnalazione pro
infiammatoria JAK-STAT
9
T. Gabbani et al.
Infine, dagli ultimi studi emerge che gran parte dei loci di
rischio per le IBD sono condivisi con altre malattie immunomediate, come la spondilite
anchilosante, la psoriasi, le
immunodeficienze primarie e
le malattie da micobatteri. È
stato dimostrato infatti, che
alcuni particolari polimorfismi
conferiscono un aumento di
rischio per più di una malattia
immuno-mediata. La sovrapposizione genetica però non è
costituita solo da loci condivisi
di rischio: alcuni polimorfismi
o aplotipi sembrano conferire
un aumento del rischio per una
malattia ma addirittura possono essere protettivi per un’altra
patologia. In particolare è stata
identificata una sovrapposizione genetica tra MC e suscettibilità alle infezioni da Mycobacterium leprae, con 7 su 8
geni condivisi 5, 6.
Epigenetica
I fattori genetici identificati spiegano solo una piccola
percentuale di tutti i casi di
IBD e, da soli, non giustificano
l’aumentata incidenza di tali
patologie negli ultimi decenni,
anche in considerazione della
stabilità del genoma umano
nell’ultimo secolo. Nella patogenesi delle IBD, come già
menzionato, giocano un ruolo
importante fattori ambientali e
pertanto i meccanismi epigenetici possono rappresentare il
punto di incontro tra genetica
e ambiente. L’epigenetica è la
branca della genetica che studia le modificazioni ereditabili
che alterano la funzionalità del
gene, senza alterare la sequenza nucleotidica del DNA. I due
10
meccanismi epigenetici maggiormente studiati nei mammiferi comprendono le modificazioni degli istoni (acetilazione
e metilazione) e la metilazione
del DNA. Recentemente, è stata posta l’attenzione anche sui
microRNA, piccoli RNA non
codificanti, che agirebbero da
fattori epigenetici. Tali meccanismi agiscono modificando
il grado di espressione di un
gene, riducendolo o aumentandolo. Ad esempio, la metilazione del DNA all’estremità 5’
del promotore di un gene porta
al silenziamento del gene stesso, mentre le modificazioni degli istoni portano ad alterazioni
del compattamento della cromatina, modulando l’espressione dei geni. Mentre il profilo
genetico rimane stabile durante la vita dell’individuo, il profilo epigenetico è più facilmente
e più rapidamente influenzato
dai fattori ambientali (dieta,
stress, agenti chimici, farmaci). Le epimutazioni durano per
tutta la vita della cellula e vengono trasmesse alle cellule figlie durante la mitosi, portando
ad un nuovo fenotipo acquisito, che talvolta potrà anche
essere ereditato. Per tale motivo l’epigenoma rappresenta
un sistema allo stesso tempo
stabile, per la possibilità di trasmissione alle cellule figlie, e
dinamico, per la possibilità che
fattori stocastici e ambientali
lo modifichino nel tempo. Normalmente il profilo epigenetico
va incontro ad un processo
di riprogrammazione durante la gametogenesi. Nel caso
in cui tale processo avvenga
in maniera incompleta, le modifiche epigenetiche indotte
dall’ambiente potranno esse-
re trasmesse alla generazione
successiva (ereditarietà epigenetica transgenerazionale).
Questo evento può spiegare
sia i casi sporadici di IBD, che i
casi ad aggregazione familiare.
Nei casi sporadici una mutazione epigenetica si verifica nella
linea germinale, causando la
malattia nella progenie. Quando la mutazione persiste per
più generazioni, si può verificare il fenomeno dell’anticipazione epigenetica, che consiste
nel progressivo aggravamento
del fenotipo nelle generazioni successive, con un esordio
più precoce ed un decorso più
aggressivo della malattia. I fattori ambientali e il microbioma
intestinale presentano un ruolo
fondamentale nel determinare
il profilo epigenetico dell’individuo, sopratutto durante la gravidanza e nelle prime fasi dello
sviluppo 7. Ad esempio, una
dieta materna ricca di folati e di
sostanze ricche di donatori di
gruppi metile, va ad influenzare
il grado di metilazione del DNA
nel feto, portando ad un determinato profilo epigenetico, più
o meno suscettibile a diverse
malattie. Per quanto riguarda il
microbioma intestinale, questo
può alterare il profilo epigenetico delle cellule epiteliali e delle
cellule immunitarie, ad esempio attraverso la formazione
di metaboliti come il butirrato,
che agisce da inibitore della
deacetilasi istonica. In questo
modo il microbioma si inserisce in un sistema complesso,
in cui i meccanismi epigenetici
modulano la risposta immunitaria sia innata che acquisita, in
un delicato equilibrio tra tolleranza e difesa dell’ospite, garantendo la giusta omeostasi
CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
Genetica ed epigenetica delle IBD
Tabella II.
Studi di metilazione del DNA su sangue periferico e su biopsie intestinali nelle IBD.
Autori
Tipo di campione
Soggetti
Loci con differente metilazione
Harris
et al., 2012
Sangue periferico
Gemelli monozigoti discordanti,
controllo con IBD
TEPP
Lin
et al., 2012
Linfociti B EBV-trasformati
18 pazienti IBD
Bcl3, PPARG, STAT3, OSM, STAT5,
IL12RB, SOX1, COL18A1
Nimmo
et al., 2012
Sangue periferico
21 MC ileali, 19 controlli
MAPK13, FASLG, PRF1, S100A13,
RIPK3, IL-21R
Cooke et al.,
2012
Biopsie rettali (intero tessuto e
cellule epiteliali)
8 CU attive, 8 CU quiescenti, 8 MC
attive, 8 MC quiescenti, 8 controlli
sani
THRAP2, FANCC, TNFSF4, TNFSF12,
FUT7, CARD9, ICAM3, and IL8RB
Hasler
et al., 2012
Biopsie intestinali
20 gemelli monozigoti discordanti,
135 soggetti controllo
CFI, SPINK4, THY1/CD90
Lin
et al., 2012
Tessuto intestinale da pezzo
operatorio
9 MC, 17 CU, 26 controlli sani
BGN, SERPINA, TNFSF1A, AATK,
GABRA5, MAPK10,
e STAT5A
intestinale. La stretta interazione tra il microbioma intestinale
e il profilo epigenetico dell’individuo, in particolare nelle prime
fasi della vita, è alla base della cosiddetta ipotesi igienica,
secondo la quale la precoce
esposizione batterica durante l’infanzia e l’adolescenza,
possa proteggere da patologie
immunomediate come l’asma
o le IBD.
Il meccanismo epigenetico
maggiormente studiato nelle
IBD è la metilazione del DNA,
che è stato valutato su cellule di sangue periferico e su
campioni di tessuto intestinale di pazienti affetti da IBD e
di controlli sani. Quello che è
emerso è che le differenze tra
i due gruppi riguardavano loci
contenenti geni direttamente
correlati alla risposta immunitaria e alla via IL23/Th17 e
IL12/Th1. I geni coinvolti erano
gli stessi geni di suscettibilità
individuati negli studi del genoma, come TNF, NOD2, IL19,
IL27, CARD9, ICAM3, IL8RB.
Un altro dato interessante è
rappresentato dal fatto che le
differenze di metilazione sono
state riscontrate confrontando
specialmente IBD attive e controlli (Tab. II). Le modificazioni
degli istoni rappresentano invece un meccanismo meno
studiato nelle IBD. A questo
proposito ricordiamo che le
citochine fibrogeniche, come
IL1b, TGFb e TNFa, modificano
gli istoni della regione del gene
del collagene di tipo I, inducendone l’espressione. Questa
è la dimostrazione che fattori
epigenetici possono modulare
l’espressione di geni fibrogenici, determinando ad esempio il pattern fibrostenosante
delle IBD 8. Per quanto riguarda i miRNA intestinali, questi
sono coinvolti nella regolazione dell’omeostasi e si trovano
alterati sia a livello tissutale,
che nel sangue periferico di
soggetti con IBD (Tab. III), inoltre la terapia corticosteroidea
può modificare il loro profilo di
espressione. Gli studi di epige-
netica nelle IBD hanno importanti implicazioni sia diagnostiche che terapeutiche. L’analisi
della metilazione del DNA e del
profilo dei miRNA nei campioni
fecali, nelle biopsie intestinali e
nel sangue periferico, potranno
essere usati possibilmente per
confermare la diagnosi e definire il fenotipo di malattia, per
predire il decorso della malattia, la suscettibilità a sviluppare una neoplasia, ed eventualmente valutare la risposta alla
terapia.
Conclusioni
Nonostante i grandi progressi
nell’ambito della genetica molecolare, alcune osservazioni
epidemiologiche sono ancora
senza risposta. È difficile stabilire qualsiasi chiara associazione tra genotipo e fenotipo, a
parte le peculiarità del NOD2.
Sulla base delle analisi delle sequenze di DNA, l’alta ereditabilità osservata nelle IBD è stata
11
T. Gabbani et al.
Tabella III.
Studi sul miRNA su sangue periferico e su biopsie intestinali nelle IBD.
Autori
Tipo di
campione
Duttagupta
et al., 2012
Sangue
periferico
20 CU attive, 20
controlli sani
Paraskevi
et al., 2012
Sangue
periferico
miR-16, -23a, -29a, 106a, -107, -126, -191,
128 MC, 162
controlli sani; 88 CU -199a-5p, -200c, 362-3p, and 532-3p miRattive e 162 controlli 16, -21, -28-5p, -151-5p, -155, 199a-5p
Wu
et al., 2011
Sangue
periferico
MC attivi vs
controlli.
MC quiescenti vs
controlli sani.
CU attive vs 13
controlli sani.
CU attive vs MC
attivi
miR-199a-5p, -340, -363-3p, -532-3p, and
miRplus-E1271 miR-340 * miR-28-5p, -1515p, -103-2 *, 199a-5p, -340 *, -362-3p,
-532-3p, and miRplus-E1271, miR-28-5p,
103-2 *, 149 *, 151-5p, -340, -532-3p,
iRplus-E1153
Zahm
et al., 2011
Siero
46 MC attivi, 32
controlli sani
miR-16, -20a, -21, -30e, -93, -106a, -140,
-192, -195, -484, let-7b
Bian
et al., 2011
Biopsie del
colon
5 CU attive, 4
controlli sani
miR-150
Brest
et al., 2011
Biopsie del
colon
83 CD attivi, 67
controlli sani
miR 196
Fasseu
et al., 2010
Biopsie del
colon
CU attive vs controlli
sani.
CU quiescenti vs
controlli sani
MC attivi vs controlli
sani
MC quiescenti vs
controlli sani
MC quiescenti vs
MC quiescen.
miR-7, -31, -135b, 223, 29a, 29b, 126, -1273p, 324-3p.
miR-196a, -29a, 29b, -126, 127-3b, 324-3p
miR-9, -21, -22, -26a, -29a, 29c, 30b, 31,
34c-5p, -106a, -126,-126 *, -127-3p, -130a,
-133b, -146a, -146b-3p, -150 ,155, -181c,
-196a, -324-3p, -375 miR-9*, -21, -22, -26a,
29b, 29c, 30a*, -30b, -30c -31, -34c-5p, 106a,
-126, -127-3p, -133b, -146a, 146b-3p, -150,
-155, -196a -223, 324-3p
Nguyen
et al., 2010
Biopsie del
colon
8 MC attivi, 6
controlli sani
Olaru
et al., 2011
Biopsie del
colon
Displasia IBDassociata vs IBD
attiva
Pekow
et al., 2012
Biopsie del
colon
8 CU attive vs 8
controlli sani
Takagi
et al., 2010
Biopsie del
sigma
12 CU attive vs 12
controlli sani
miR-21, 155
Wu
et al., 2008
Biopsie del
sigma
15 CU attive vs 15
controlli sani
miR-16, -21, 23a, 24, 29a, 126, 195, left-7f
miR-192, 375, 422b
Wu
et al., 2010
Biopsie del
sigma, ileo
terminale
5 MC colon vs 13
controlli.
6 MC ileali vs 13
controlli sani
miR-23b, -106a, 191.
miR-16, -21, -223, 594
miR-19b and -629
12
Tipo di
soggetti
miRNA con
aumentata espressione
miRNA con
ridotta espressione
miR-188-5p, -378, -422a, -500,
-501-5p, -769-5p, 874
miR-149 * and
miRplus-F1065
miR149 *
miR-505 *
miR-505 *
miR-188-5p, -215,
-320a, 346.
miR-188-5p, -215,
-320a, 346.
miR-150, 196b, 199a3p, 199-5p, -223, 320a.
miR-7
miR-31, 31 *, -96, -135b, -141, -183, -192,
-192 *, -194, -194 *, -200a, -200° *, -200b,
-200b *, -200c, -203, -215, -224, -375,
-424 *, -429, -552
miR -122, -139-5p,
-142-3p, -146b-5p,
-155, -223, -490-3p,
501-5p, -892b, -1288
miR-143 and -145
CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW
Genetica ed epigenetica delle IBD
solo parzialmente chiarita, ed i
contributi degli altri meccanismi molecolari di ereditabilità,
tra cui l’epigenetica, sono ancora in gran parte da definire.
Ad oggi, i progressi scientifici
della genetica molecolare comunque non hanno ancora influenzato la pratica clinica nella
gestione delle IBD e le applicazioni pratiche sono ancora attese. Ci si augura che modelli
genetici più accurati possano
consentire una maggiore valutazione del profilo, migliorare
la stratificazione clinica anche
in senso prognostico, e potenzialmente aiutare nel predire la
risposta alla terapia, evitando
potenziali effetti tossici della
terapia stessa. I dati preliminari
dello studio dell’International
IBD Genetic Consortium, sul
rischio di colectomia per CU
acuta grave, sono un esempio
promettente, avendo eviden-
ziato un marcatore genetico
(rs2403456 sul cromosoma
11p15.3) fortemente correlato
all’evoluzione verso la colectomia 9.
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Disease Genetics Consortium (IIBDGC) Immunochip study. Gastroenterology 2013;144:S-470.
9
• Le IBD mostrano importanti differenze geografiche ed etniche di prevalenza, l’incidenza è in aumento e l’aggregazione
familiare è frequente soprattutto nelle forme pediatriche.
• La presenza di un parente di 1° grado con IBD rappresenta tuttora il maggior fattore di rischio.
• Sono stati descritti almeno 163 loci di suscettibilità identificati, in gran parte condivisi con altre malattie immuno-
mediate (spondilite anchilosante, psoriasi, immunodeficienze primarie e malattie da micobatteri).
• I fattori ambientali ed i meccanismi epigenetici giocano un ruolo importante nella patogenesi delle IBD.
• Mentre il profilo genetico rimane stabile durante la vita dell’individuo, il profilo epigenetico è influenzato dai fattori am-
bientali. Le epimutazioni durano per la vita della cellula, inoltre possono essere trasmesse alle cellule figlie portando
ad un nuovo fenotipo acquisito che potrà anche essere ereditato.
13
PEDIATRIC HEPATOLOGY
a cura di
Francesco Cirillo
I difetti di sintesi degli acidi biliari:
una diagnosi che non dovrebbe mai
essere omessa
Bile acid synthesis defect:
a diagnosis that should never be missed
Mara Cananzi1 (foto)
Giuseppe Giordano2
Gastroenterologia, Endoscopia
digestiva, Epatologia e Cura
del bambino con trapianto di
fegato, UOC Clinica Pediatrica,
Dipartimento di Salute della
Donna e del Bambino, Azienda
Ospedaliera Università degli
Studi di Padova; 2 Laboratorio
Spettrometria di Massa,
Dipartimento di Salute della
Donna e del Bambino, Azienda
Ospedaliera Università degli Studi di Padova
1
Key words
Inborn errors of bile acid metabolism • Defects
of primary bile acid synthesis • Cholic acid •
Chenodeoxycholic acid
Abstract
Inborn errors of bile acid synthesis
are rare genetic disorders that cause
chronic liver disease, fat malabsorption and fat-soluble vitamin deficiency
in childhood. The diagnosis is made by
liquid chromatography-tandem mass
spectrometry. If the disorder remains
untreated end-stage liver disease may
develop, while bile acid replacement
therapy allows resolution of the hepatic disorder with excellent prognosis.
Indirizzo per la corrispondenza
Mara Cananzi
via Giustiniani 3, 35100 Padova
E-mail: [email protected]
14
Introduzione
I difetti di sintesi degli acidi biliari (DSAB) sono
un gruppo di alterazioni del metabolismo degli
steroli causati da alterazioni, geneticamente
determinate, del processo di sintesi degli acidi biliari 1. Da un punto di vista clinico i DSAB
possono esordire a tutte le età: in età pediatrica
si manifestano prevalentemente con quadri di
epatopatia e con i segni del malassorbimento
delle vitamine liposolubili mentre in età adulta
si presentano con sintomi neurologici 2. L’esatta epidemiologia dei DSAB non è nota; si stima
che la prevalenza di questi disordini in Europa
sia pari a 1-9 soggetti/1.000.000 persone. Si
ritiene inoltre che i DSAB siano responsabili di
circa l’1-2% di tutte le epatopatie croniche in
età pediatrica 2.
L’obiettivo di questa revisione è quello di fornire indicazioni utili per sospettare, diagnosticare e
trattare le epatopatie secondarie a DSAB in età
pediatrica.
Acidi biliari:
basi biochimiche
e fisiologiche
Gli acidi biliari sono un gruppo eterogeneo di steroli acidici (molecole anfipatiche costituite da un
nucleo sterolico idrofobico e da un gruppo acido
carbossilico idrofilico) sintetizzati tramite multiple reazioni enzimatiche a partire dal colesterolo (Fig. 1). Il processo di sintesi degli acidi biliari
avviene esclusivamente negli epatociti e consiste
nella produzione degli acidi biliari primari (acido
colico [cholic acid, CA] e acido chenodesossicolico [chenodeoxycholic acid, CDCA]) e dei loro
coniugati (Fig. 2). Gli acidi biliari secondari sono
prodotti nel lume intestinale tramite processi di
deidrossilazione e deconiugazione operati dalla
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:14-20
PEDIATRIC HEPATOLOGY
I difetti di sintesi degli acidi biliari
Figura 1.
Classificazione degli acidi biliari e loro strutture molecolari.
flora batterica; la loro sintesi
non è pertanto rilevante ai fini
dei DSAB 3.
Gli acidi biliari possiedono
numerose funzioni: stimolano la produzione biliare; consentono l’escrezione di colesterolo e di tossici esogeni
ed endogeni con la bile; permettono di assorbire i grassi
e le vitamine liposolubili; facilitano l’assorbimento intestinale di calcio; prevengono
l’eccessiva crescita batterica
intestinale. In condizioni di
colestasi, tuttavia, l’aumento
della concentrazione intraepatocitaria degli acidi biliari
produce effetti epatotossici.
A causa del loro elevato potere detergente, in concentrazioni troppo elevate, gli
acidi biliari innescano meccanismi di stress ossidativo
e generano effetti citotossici
e pro-apoptotici 3.
DSAB:
classificazione
e aspetti
fisiopatologici
I DSAB sono classificati in “primitivi” e “secondari” 2. I DSAB
primitivi sono causati da deficit congeniti di specifici enzimi
epatici coinvolti nel processo
di sintesi degli acidi biliari. I
DSAB secondari si realizzano
nell’ambito delle malattie perossisomiali (es. sindrome di
Zellweger, adrenoleucodistrofia neonatale) in cui l’alterato
assemblaggio dei perossisomi
impedisce lo svolgimento delle reazioni enzimatiche a sede
perossisomiale implicate nella
biosintesi degli acidi biliari. In
questo articolo sono trattati
soltanto i DSAB primitivi.
Dal 1974 fino ad oggi sono stati descritti 8 difetti primitivi di
sintesi degli acidi biliari (Fig. 2,
Tab. I), tutti a trasmissione au-
tosomica recessiva; fra questi
i più frequenti sono costituiti
dal deficit di 3-β-idrossi-C27steroido deidrogenasi e dal
deficit di δ4-3-ossisteroide-5-β
reduttasi, seguiti dalla xantomatosi cerebrotendinea e dai
difetti di coniugazione 1. Nonostante le loro singole peculiarità, i DSAB condividono i medesimi principi fisiopatologici:
il deficit di un enzima causa, “a
monte” del blocco enzimatico,
un accumulo di intermedi tossici e, “a valle” del blocco enzimatico, una ridotta produzione
biliare.
In condizioni fisiologiche gli acidi biliari primari regolano la loro
sintesi tramite un meccanismo
di feedback negativo modulato
dal recettore nucleare X Farnesoide (FXR). Nei DSAB l’assenza degli acidi biliari primari impedisce l’attivazione di questo
meccanismo di auto-regolazio-
15
M. Cananzi, G. Giordano
Figura 2.
Sintesi degli acidi biliari all’interno degli epatociti. La principale via biosintetica (in arancione) è costituita
dalla via classica, responsabile della formazione del 90% degli acidi biliari primari (CA e CDCA). La via
alternativa di sintesi degli acidi biliari (in rosa) è responsabile della formazione di una quantità di CDCA
pari a circa il 10% di tutto il pool di acidi biliari primari. La terza via di sintesi (in azzurro) è costituita dal
percorso di 25-idrossilazione che porta alla formazione di un’ulteriore piccola quota di CA. Dopo la sintesi,
gli acidi biliari primari vengono coniugati. Il processo di coniugazione con glicina o taurina, è indispensabile per la loro escrezione nella bile poiché ne garantisce la solubilità in ambiente acquoso a diversi
pH (ovvero nella bile e nel liquido enterico); per tale ragione, sia in condizioni fisiologiche che in corso di
colestasi, gli acidi biliari presenti nella bile sono quasi esclusivamente costituiti da acidi biliari coniugati.
In giallo e blu sono rappresentati gli enzimi i cui deficit sono responsabili dei DSAB attualmente noti (da
Heubi et al., 2007 2, mod.).
ne per cui gli epatociti, nel tentativo di ripristinare un normale
pool di acidi biliari, continuano
a metabolizzare il colesterolo sintetizzando un accumulo
inarrestabile di metaboliti epato- e/o neuro-tossici 4.
16
In condizioni normali, gli acidi
biliari rappresentano i principali componenti organici
della bile e, una volta secreti
nelle vie biliari, sono i maggiori determinanti del gradiente
osmotico responsabile dell’e-
screzione biliare. Nei DSAB
l’assenza degli acidi biliari
determina una riduzione della
produzione di bile con conseguente
malassorbimento
intestinale di lipidi e vitamine
liposolubili (Fig. 3) 4.
PEDIATRIC HEPATOLOGY
I difetti di sintesi degli acidi biliari
Tabella I.
Principali caratteristiche dei DSAB attualmente noti.
#OMIM
Gene/i
Sede
intracellulare
della reazione
biochimica
Deficit di colesterolo
7α-idrossilasi
118455
CYP7A1
microsomi
A
IperC, LB
Deficit di ossisterolo
7α-idrossilasi
(DSAB3) *
613812
CYP7B1
microsomi
I
E
Deficit di 3-β-idrossi-C27-steroido
deidrogenasi (DSAB1)
607765
HSD3B7
microsomi
I
E, M
Deficit di δ4-3-oxosteroide-5-β
reduttasi (DSAB2)
235555
AKR1D1
citosol
I
E
Deficit di sterolo 27 idrossilasi
(xantomatosi cerebrotendinea)
213700
CYP27A1
mitocondri
I, A
E, N, X,
C, IpoC
Deficit di 25-idrossilasi **
604551
CH25H
microsomi
I
E
Deficit di 2-metilacil-CoA racemasi
(DSAB4)
214950
AMACR
perossisomi
I, A
E, M, N,
IpoC
Deficit di CoA ligasi e difetti
dell’amidazione (Ipercolanemia
familiare)
607748
EPHX1,
TJP2,
BAAT
perossisomi
I
E, M
Reazione
biochimica
Deficit enzimatico
(DSAB)
Modificazioni
dell’anello
sterolico
Modificazioni
delle catene
laterali
dell’anello
sterolico
Coniugazione
Età di
esordio
Quadro
clinico
Abbreviazioni. E = epatopatia, M = segni malassorbimento dei grassi e delle vitamine liposolubili, N = neuropatia, IpoC = ipocolesterolemia,
IperC = ipercolesterolemia, LB = litiasi biliare, X = xantomi, C = cataratta, I = età pediatrica, A = età adulta.
* Il deficit di ossisterolo 7α-idrossilasi è stato descritto in un unico paziente: lattante di 10 settimane affetto da una grave epatopatia colestatica
a GGT bassa e con assenti acidi biliari plasmatici. L’epatopatia, a causa dell’importante tossicità dei precursori monoidrossilati, non ha risposto
alla terapia con CA ed il bambino ha necessitato di un trapianto di fegato.
** Il deficit di 25 idrossilasi è stato descritto in un unico paziente: lattante di 9 settimane affetto da epatite colestatica a GGT bassa associata a
ridotti livelli plasmatici di acidi biliari. L’epatopatia è stata curata con CA + CDCA.
DSAB:
quadri clinici e
bioumorali
I DSAB possono manifestarsi in
modo eterogeneo sia per età di
insorgenza dei sintomi (pediatrica o adulta) che per manifestazioni cliniche; queste possono essere costituite da quadri
di epatopatia cronica, di malassorbimento intestinale e di disturbi neurologici progressivi. Il
principale fattore che determina
la variabilità clinica dei DSAB è
costituito dal difetto enzimatico. In generale, i DSAB causati da deficit di enzimi implicati
nelle reazioni di modificazione
del nucleo sterolico (con l’eccezione del deficit di colesterolo
7α-idrossilasi) sono più precoci e più severi ed esordiscono
nell’infanzia con quadri di epatopatia associati a segni di malassorbimento delle vitamine liposolubili. Nei DSAB causati da
deficit di enzimi implicati nelle
reazioni di modificazione delle
catene laterali dell’anello sterolico e nei processi di coniugazione degli acidi biliari primari
sono invece prevalenti i sintomi
extra-epatici 2.
I DSAB determinati da deficit
enzimatici di enzimi implicati
nelle reazioni di modificazione
del nucleo sterolico rappresentano i DSAB più frequenti e di
maggiore interesse per l’epatologo pediatra. Essi sono principalmente costituiti dal deficit di 3-β-idrossi-C27-steroido
deidrogenasi e dal deficit di
δ4-3-ossisteroide-5-β reduttasi. Da un punto di vista clinico
si manifestano in età pediatrica
con quadri variabili di epatopatia (epatite neonatale, epatite
cronica, cirrosi) e con segni
di malassorbimento delle vitamine liposolubili talora con
17
M. Cananzi, G. Giordano
Figura 3.
A. In condizioni fisiologiche gli acidi biliari primari auto-regolano la loro sintesi tramite un meccanismo
di feedback negativo modulato da FXR. In presenza di sufficienti quantità di CA e CDCA, FXR riduce la
sintesi di nuovi acidi biliari inibendo la trascrizione di 3 enzimi: colesterolo 7 α-idrossilasi (via classica),
sterolo-27 idrossilasi (via alternativa), 12α-idrossilasi (via classica e pathway di 25-idrossilazione).
B. Nei DSAB l’assenza degli acidi biliari primari impedisce l’attivazione di FXR con conseguente accumulo
di metaboliti tossici a monte del difetto enzimatico e ridotta escrezione biliare nel lume intestinale.
franca steatorrea. L’età media
alla diagnosi è di circa 1,3 anni
(range: 4 settimane-11 anni di
vita). I segni clinici di esordio
sono principalmente costituiti
da: ittero, epatomegalia, steatorrea, scarsa crescita, rachitismo. Il prurito è di regola
assente anche se è stato segnalato in rari casi 5. Il deficit
di δ4-3-ossisteroide-5-β reduttasi tende a manifestarsi più
precocemente e ad avere un
decorso più rapidamente evolutivo verso la cirrosi e l’insufficienza epatica rispetto al deficit di 3-β-idrossi-C27-steroido
deidrogenasi. I test epatici dimostrano valori bassi di GGT
(mediana 20U/L, range 11-53)
e valori variabili di transaminasi (ALT mediana 157U/L, range
55-600) e bilirubina (mediana
110umol/L, range 40-350). Da
un punto di vista bioumorale
questi disordini sono contraddistinti da valori bassi di acidi
18
biliari plasmatici e da abnormi
livelli di precursori anomali degli acidi biliari nel plasma e nelle urine 2, 4, 5-8.
I DSAB determinati da deficit
degli enzimi deputati a catalizzare le reazioni di modificazione delle catene laterali
dell’anello sterolico del colesterolo sono principalmente
costituiti dalla xantomatosi cerebrotendinea e dal deficit di
2-metilacil-CoA racemasi. Si
manifestano principalmente in
età adulta con disordini neurologici degenerativi e sintomi
quali atassia, paralisi pseudobulbare, demenza precoce. A
questi si associano segni di
malassorbimento delle vitamine liposolubili talora con franca
steatorrea. Il quadro epatologico è variabile ma nella maggior
parte dei casi consiste in un
quadro di epatite colestatica
neonatale a GGT bassa, con
acidi biliari plasmatici bassi e a
risoluzione spontanea nel primo anno di vita. Da un punto
di vista bioumorale questi disordini sono contraddistinti da
ridotti valori ematici di colesterolo e acidi biliari, e da abnormi livelli di precursori anomali
degli acidi biliari nel plasma e
nelle urine 2.
I DSAB determinati da deficit
di enzimi deputati alla coniugazione degli acidi biliari primari sono raggruppati sotto il
termine di Ipercolanemia Familiare. Da un punto di vista
bioumorale sono contraddistinti dalla completa assenza
di acidi biliari coniugati nella
bile e da elevati livelli plasmatici e urinari di CA. Da un punto
di vista clinico sono principalmente caratterizzati dai segni
del malassorbimento delle vitamine liposolubili in assenza
di evidente steatorrea. A causa
degli elevati livelli plasmatici di
CA, molti soggetti lamentano
PEDIATRIC HEPATOLOGY
I difetti di sintesi degli acidi biliari
prurito pur in assenza di una
vera e propria epatopatia. Solo
nel corso dei primi mesi di vita
una quota di pazienti si presenta con un quadro di epatite
colestatica neonatale a GGT
bassa usualmente a risoluzione spontanea ma, in rari casi,
potenzialmente severa 9.
Dsab: diagnosi
In età pediatrica i DSAB devono essere sospettati in presenza di:
•un’epatopatia colestatica cronica a GGT bassa, associata
a normali livelli degli acidi biliari plasmatici, soprattutto se
in assenza di prurito;
•un’epatopatia cronica criptogenetica;
•segni di malassorbimento
intestinale di lipidi e vitamine
liposolubili (es. scarsa crescita, steatorrea, rachitismo,
ariflessia, discoagulopatia) 1.
La biopsia epatica può mostrare quadri istologici con gradi
variabili di necrosi epatocitaria,
fibrosi, colestasi canalicolare
ed epatocellulare, sempre in
assenza di reazione duttulare;
l’esame istologico pertanto, è
utile nella diagnosi differenziale dell’epatopatia ma non permette di formulare una diagnosi di certezza 5.
La diagnosi si basa sull’utilizzo della spettrometria di massa che non solo consente di
diagnosticare la presenza di
DSAB ma anche di riconoscere il deficit enzimatico presente. In condizioni normali l’escrezione urinaria degli acidi
biliari è irrilevante; in caso di
colestasi, invece, l’escrezione
urinaria degli acidi biliari aumenta in modo direttamente
proporzionale alla severità della colestasi. Analogamente, nei
DSAB, i metaboliti “atipici” degli acidi biliari prodotti a monte
del blocco enzimatico vengono eliminati con l’urina dove
possono essere identificati e
quantificati tramite l’indagine
spettrometrica. Per ciascun
DSAB, quindi, la spettrometria
di massa permette di riconoscere “l’impronta metabolica”
dei singoli difetti in modo non
invasivo (Fig. 4) 1, 2.
L’analisi genetica è necessaria
per stabilire il difetto molecolare alla base del deficit funzionale enzimatico e per effettuare una consulenza genetica
alla famiglia.
Trattamento
La terapia dei difetti di sintesi
degli acidi biliari primari si basa
sulla somministrazione per via
orale di CA e/o CDCA con lo
scopo di ricostituire un normale pool di acidi biliari 1. Ciò
permette da un lato di inibire,
tramite l’attivazione di FXR, il
Figura 4.
Profili degli acidi biliari urinari ottenuti tramite spettrometria di massa rispettivamente da un soggetto
sano (A) e da un paziente affetto da deficit di 3-β-idrossi-C27-steroido deidrogenasi (B). IS = standard
interni marcati. A, B, C, D = metaboliti biliari atipici presenti nel DSAB e non presenti in condizioni normali
19
M. Cananzi, G. Giordano
processo endogeno di biosintesi di precursori “tossici”
degli acidi biliari e, dall’altro,
di ripristinare la produzione di
bile acido biliare-dipendente 2.
CA e CDCA si sono dimostrati
efficaci nel trattamento di tutti i DSAB (i.e. scomparsa dei
precursori tossici degli acidi
biliari nell’urina, guarigione
dell’epatopatia) fatta eccezione per il deficit di ossisterolo
7α-idrossilasi (Tab. I). CA e
CDCA possono essere utilizzati singolarmente e in combinazione; le dosi di partenza
sono di 5-15 mg/kg/die per
CA o CDCA in monoterapia 4-8,
e di 7 + 7 mg/kg/die per l’associazione di CA + CDCA 5. In
corso di trattamento la spettrometria di massa permette
di stabilire l’adeguatezza della
dose monitorando la quantità dei metaboliti degli acidi
biliari nell’urina 7. La terapia
con acidi biliari primari è priva
di effetti collaterali e sicura a
lungo termine. Sono stati segnalati casi di transitoria epatotossicità (ipertransaminase-
mia, colestasi a GGT elevata,
prurito, diarrea) in caso di assunzione accidentale di dosi
elevate.
Nei pazienti con difetti di coniugazione degli acidi biliari
primari si è recentemente dimostrata efficace la terapia
con acido glicocolico (15 mg/
kg/die) 10.
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9
Heubi JE, Setchell KD, Jha P, et al.
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defects with glycocholic acid. Hepatology 2015;61:268-74.
10
I difetti di sintesi degli acidi biliari:
• sono rari disordini epatici causati da deficit geneticamente determinati degli enzimi coinvolti nel metabolismo degli
acidi biliari;
• nel bambino si manifestano tipicamente con quadri di colestasi a GGT bassa e con i segni del malassorbimento dei
grassi e delle vitamine liposolubili;
• sono diagnosticati tramite l’identificazione di metaboliti “atipici” degli acidi biliari nei liquidi biologici (siero, urine)
mediante spettrometria di massa;
• se non trattati possono evolvere verso la cirrosi e l’insufficienza epatica;
• rispondono prontamente al trattamento con acidi biliari che, nella maggior parte dei casi, determina la completa
regressione dell’epatopatia.
20
a cura di
Antonella Diamanti
PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH
AND FOOD SCIENCE
Latte vaccino intero o latte di crescita
dopo l’anno di vita: quali evidenze?
What evidences for whole cow’s milk or growing up milk
after the first year of life?
Il latte materno, alimento naturale specie-specifico, viene legittimamente considerato un complesso sistema biologico dinamico e inimitabile, in grado di soddisfare le esigenze nutritive e
metaboliche del neonato/lattante. L’elevata biodisponibilità dei suoi nutrienti strutturali e funzionali, la presenza di cellule, un sofisticato network
di fattori bioattivi con funzioni trofiche, metaboliche, ormonali e immunomodulanti conferiscono
alla sua composizione dignità di gold standard.
In considerazione degli inconfutabili benefici sullo sviluppo cognitivo, affettivo e relazionale del
bambino un documento redatto nel 2014 dal Ministero della Salute (Tavolo tecnico operativo interdisciplinare per la promozione dell’allattamento
al seno) ribadisce posizioni sostenute dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e da società scientifiche pediatriche che raccomandano
l’allattamento al seno con modalità esclusiva per
i primi 6 mesi di vita, integrato con alimenti complementari nel secondo semestre e proponibile
oltre il primo anno.
Se la valenza funzionale dell’allattamento al seno
prolungato è condivisa da tutti, non c’è accordo
su quale sia il latte più idoneo a sostituire quello
materno dopo il primo anno di vita, in caso di indisponibilità. La vivace querelle scientifica verte
sull’alternativa tra latte vaccino intero pastorizzato e i cosiddetti “latti di crescita” (LdC) 1-3, alimenti a base di latte (vaccino, caprino) o di vegetali
(soia, riso). Il razionale per il loro utilizzo si basa
fondamentalmente su due parametri compositivi:
il tasso proteico inferiore a quello del latte vaccino
intero e la supplementazione con micronutrienti
(ferro, zinco, acidi grassi polinsaturi, vitamina D).
L’alimentazione in età evolutiva è determinante
per il futuro biologico dell’individuo. Secondo la
teoria del programming, postulata dall’epidemiologo britannico David Barker, il regime dietetico
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:21-25
Vito Leonardo Miniello (foto)
Lucia Diaferio
U.O. “Bruno Trambusti”,
Dipartimento di Assistenza
Integrata, Scienze e Chirurgia
Pediatrica, Università di
Bari “Aldo Moro”, Azienda
Ospedaliero Universitaria,
Consorziale Policlinico di Bari,
Ospedale Giovanni XXIII, Bari
Key words
Whole cow’s milk • Growing up
milk • Toddler • Dietary protein adequacy • Iron
intake
Abstract
As recommended by WHO, breastfeeding should ideally continue beyond infancy. When breastfeeding decreases
or stops after 12 months of age, whole
cow’s milk or growing up milks are the
first-line choices for young children.
Different views exist in the scientific
community on whether growing up
milk have any nutritional benefits when
compared to other foods that can constitute the normal diet.
Indirizzo per la corrispondenza
Vito Leonardo Miniello
via Amendola 207, 70126 Bari
E-mail: [email protected]
21
V.L. Miniello, L. Diaferio
adottato in periodi critici dello
sviluppo (gestazione e infanzia)
svolgerebbe un ruolo chiave
nella programmazione endocrino-metabolica del bambino
e del soggetto adulto, agendo
quale cofattore ambientale nello sviluppo di malattie cronicodegenerative ad eziologia multifattoriale.
Il nostro organismo contiene
centinaia di tipologie cellulari che espletano differenti
funzioni, nonostante presentino lo stesso DNA. Tutte le
informazioni genetiche sono
racchiuse nel genoma (ereditarietà “dura”): alcune restano continuamente attive
(geni housekeeping) mentre
altre vengono attivate in relazione alle specifiche funzioni
da svolgere. Pertanto, non tutte le cellule utilizzano gli stessi geni. La programmazione
viene governata dal silenziamento selettivo di alcuni geni
a seguito di segnalazioni ambientali definite “epigenetiche”
in quanto non modificano la
sequenza del genoma, ma ne
regolano la sua lettura (ereditarietà “morbida”). L’indagine
epigenetica ha rivoluzionato
l’approccio interpretativo delle
patologie umane, ampliando
un panorama relegato fino ad
un recente passato al fatalismo del corredo genetico. In
epoche precoci della vita macro e micronutrienti (funzionali
e strutturali), insieme con il microbiota intestinale che condizionano, rappresentano i principali driver della segnatura
epigenetica. Questa scoperta
ha avuto un impatto culturale
tale da meritare la copertina
del Time (Why your DNA isn’t
your destiny).
22
Per decenni l’obesità, considerata dall’OMS “emergenza
sanitaria del terzo millennio”,
è stata affrontata limitandosi
ad interventi dietetici, realizzati prevalentemente in età
scolare e adolescenziale. I risultati sconfortanti e una mole
di evidenze scientifiche hanno
successivamente suggerito la
necessità di spostare l’attenzione delle strategie preventive nei confronti dell’obesità su
epoche più precoci della vita,
adottando un nuovo e differente approccio concettuale ed
operativo al problema.
L’intake proteico del lattante
e del bambino nella prima infanzia (indicato nella letteratura internazionale con il termine
toddler) è un argomento sensibile nell’ambito della comunità
scientifica in quanto imputato
nella multifattoriale eziopatogenesi dell’obesità.
Con meccanismo adipogenico sequenziale l’elevato intake proteico (> 15% delle kcal
totali) incrementerebbe i livelli
plasmatici e tissutali di aminoacidi ramificati, la produzione
di insulina e insulin like growth
factor-1 (IGF-1), il numero
di preadipociti (early protein
hypothesis) 4. Fisiologicamente
la curva del BMI (Body Mass
Index) presenta un progressivo incremento durante il primo
anno per poi diminuire e riprendere ad aumentare a partire dai
5-6 anni di vita. La precoce inversione della curva di adiposità (early adiposity rebound)
in epoca prescolare, registrata
nella ricostruzione dei grafici
antropometrici di adolescenti
e adulti obesi, suggerisce l’influenza di fattori di rischio ambientali presenti già durante le
prime epoche di vita 5.
Al fine di individuare il periodo critico dell’età evolutiva in
cui l’eccessiva assunzione di
proteine può ipotecare l’alterata composizione corporea
è stata realizzata una recente
revisione sistematica, validata dall’adozione della rigorosa
metodologia GRADE (Grading
of Recommendations Assessment and Evaluation). Dopo
aver classificato le evidenze in
convincing, probable, limitedsuggestive e limited-inconclusive, il panel di esperti conclude che un alto intake proteico
nella dieta del lattante e del
toddler è “convincingly” associato ad un più elevato BMI in
epoche successive 6.
Nell’ambito dell’Early Nutrition
Project, finalizzato a valutare
l’impatto a medio e lungo termine di interventi nutrizionali
precoci, i risultati del progetto europeo CHOP (CHildhood
Obesity Programm) inducono
profonde riflessioni. Il followup a 6 anni del trial prospettico
ha confermato valori elevati di
BMI e precoce adiposity rebound (2-3 anni) nel gruppo
alimentato con formula a più
alto tasso proteico. In questi
lattanti, inoltre è stato riscontrato un maggior rischio di sviluppare obesità (circa 2,5 volte)
rispetto al gruppo che assumeva formula a basso apporto
proteico 7.
L’assunzione di micronutrienti
funzionali ed in particolare di
ferro riveste un ruolo cruciale
nel programming dei primi anni
di vita.
Il ferro è un elemento indispensabile per la maturazione postnatale del sistema nervoso
centrale, periodo in cui i neu-
PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE
Latte di crescita dopo il primo anno
roni completano il complesso
network di connessioni. I primi
due anni risultano particolarmente critici considerando la
concomitanza temporale del
consolidamento dei processi
maturativi (sinaptogenesi, arborizzazione dendritica, mielinizzazione) e l’elevato rischio
di incorrere in condizioni di depauperamento marziale (“finestra di vulnerabilità”).
“La sequenza del DNA non è
che l’inizio” recitava l’aforisma
di J. Craig Venter e in effetti
nel lattante il tessuto cerebrale è soggetto a sensibili variazioni dell’espressione genica,
processo che permette alla
cellula di rispondere dinamicamente agli stimoli ambientali
compresi quelli nutrizionali. La
biologia dei sistemi e l’impiego
delle tecnologie molecolari cosiddette “omiche” ha rivelato
che alcuni geni coinvolti nello
sviluppo del linguaggio e delle
abilità linguistiche sono altamente espressi solo nella vita
fetale e nella prima infanzia.
I latti di crescita sono stati
commercializzati come “latti per la prima infanzia” e in
quanto tali “adeguati per l’alimentazione di bambini da 1 a 3
anni”. In realtà il claim è rimasto
per lungo tempo solo teorico
considerando il gap legislativo
e la mancanza di indicazioni
nutrizionali evidence-based o
perlomeno consensus-based.
Sebbene disciplinati da atti
giuridici dell’Unione Europea
(Direttiva 2009/39/CE), i LdC
non sono contemplati dalle misure specifiche in vigore, applicabili agli alimenti destinati ai
lattanti e ai toddler. Dato che
“esistono opinioni diverse sul
fatto che tali prodotti rispon-
dano alle esigenze nutrizionali
specifiche della popolazione
a cui sono destinati” (Regolamento 609/2013) il Parlamento europeo è ricorso all’EFSA
(Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) perché potesse esprimersi a riguardo.
Il documento EFSA (Scientific
Opinion on nutrient requirements and dietary intakes of infants and young children in the
European Union) afferma che
i latti di crescita non possono
essere considerati as a necessity per soddisfare i fabbisogni
nutrizionali dei bambini nella
prima infanzia, considerando
l’apporto di altri alimenti presenti in una dieta bilanciata.
è altrettanto doveroso segnalare che il panel di esperti
EFSA ha evidenziato nei lattanti e toddler europei elevati
apporti proteici, calorici e salini
e ridotti intake di ferro, vit.D,
acidi a-linolenico e docosaesaenoico (DHA).
Partendo dal fondamentale
assunto che il bambino non
è un ‘piccolo adulto’, la componente lattea della sua alimentazione deve contribuire a
soddisfare specifici fabbisogni
nutrizionali, evitando al tempo
stesso alterate assunzioni di
macro e micronutrienti 8, 9.
L’ultima revisione dei LARN
(2012) ha prestato particolare
attenzione al problema riducendo i valori di assunzione
raccomandata (PRI) delle proteine nell’alimentazione del
lattante (1,32 g/kg/die) e del
toddler (1 g/kg/die). L’autorevole posizione dei LARN, il
cui acronimo non indica più
“raccomandazioni” ma livelli
di assunzione di “riferimento”,
dovrebbe indurre la revisione
della percentuale compositiva
proteica anche per i latti formula (alimenti per lattanti, alimenti di proseguimento).
Il latte vaccino intero contiene
un tasso proteico sensibilmente superiore a quello del LdC
ed un’esigua quantità di ferro
scarsamente
biodisponibile
(Tab. I).
Il rischio di incorrere in errori
nutrizionali è più frequente di
quanto si creda. Un esempio
paradigmatico è rappresentato dalla comune abitudine
di somministrare nella prima
infanzia latte vaccino parzialmente scremato, caratterizzato
da una maggiore percentuale
proteica e un minore appor-
Tabella I.
Differenze compositive tra latte vaccino intero e latte di crescita (100 ml).
Composizione
Latte vaccino intero
Latte di crescita
Proteine (g)
3,3
1,6-1,8
Carboidrati (g)
4,5
7,4-8,5
Grassi (g)
3,5
3,0-3,3
Ferro (mg)
0,03
1,2
tracce
1,5-1,7
274
274-289
Vitamina D (mg)
Energia (KJ)
23
V.L. Miniello, L. Diaferio
to energetico rispetto a quello intero (rispettivamente 122
kcal e 157 kcal in una tazza da
250 ml). In questo periodo di
elevato fabbisogno energetico
un insufficiente intake calorico
potrebbe indurre la precoce
programmazione
epigenetica di un “fenotipo a risparmio
energetico”, come accade
nell’iponutrizione fetale e perinatale. L’ultimo adattamento
evolutivo del genoma umano
risale a 150.000 anni fa. Essendo originariamente progettati per risparmiare energia da
utilizzare in condizioni di deficit alimentare, tale programma
genetico comporta la tendenza ad accumulare grasso di
riserva e pertanto un indubbio
svantaggio metabolico in epoche successive della vita, considerando l’attuale contesto
sociale di eccessiva disponibilità alimentare.
Nel corso della prima infanzia
un regime dietetico inadeguato a soddisfare il fabbisogno
marziale non può più essere
integrato dal ferro di deposito, risorsa a cui solo il lattante
attinge nel primo semestre 10.
Apparentemente paradossale
risulta pertanto l’elevata prevalenza di sideropenia (fino al
30%) riscontrata in toddler di
Paesi industrializzati, gratificati da soddisfacenti standard
economici. Dati epidemiologici
di tutto riguardo, se si considera che durante la prima infanzia
la potenziale progressione in
anemia condiziona negativamente future performance cognitivo/comportamentali.
In un trial neozelandese furono
arruolati toddler non sideropenici (12–20 mesi), randomizzati in 3 gruppi per ricevere latte
vaccino fortificato con ferro (1,5
mg/100 g), latte vaccino non
supplementato (0,01 mg/100
g) o carne rossa che garantisse
l’apporto di 2.6 mg di ferro. Alla
fine dello studio i valori di ferritina sierica risultarono incrementati del 44% (p = 0,002) nel gruppo che assumeva latte arricchito
con ferro, immodificati in quello
della carne rossa e ridotti (-14%)
nei bambini alimentati con latte
non fortificato 11.
Da quanto esposto, risulta opportuno smarcarsi dal pattugliamento di rigidi fronti culturali: la promozione del latte di
crescita o la demonizzazione
del latte vaccino intero devono
essere stemperate da un’attenta analisi delle abitudini alimentari del bambino. L’alternativa
non può pertanto prescindere
dalla valutazione complessiva,
da parte dei caregivers (genitori
e pediatra), della composizione
quali-quantitativa dei vari pasti
giornalieri del bambino, con
particolare riguardo all’apporto
proteico e marziale in questa
stagione della vita tanto straordinaria quanto vulnerabile.
Bibliografia
Przyrembel H, Agostoni C.
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marketing? World Rev Nutr Diet
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with adult obesity (5).World Rev
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5
• L’Organizzazione Mondiale della Sanità e Società scientifiche pediatriche consigliano l’allattamento al seno anche
dopo il primo anno di vita.
• L’alternativa all’indisponibilità del latte materno dopo il primo anno di vita è rappresentata dal latte vaccino intero
pastorizzato o dal latte di crescita.
• Rispetto al latte vaccino i latti di crescita sono caratterizzati da un minore tasso proteico e dalla supplementazione
con micronutrienti.
• La scelta del latte da parte dei caregivers deve considerare la composizione quali-quantitativa degli altri pasti gior-
nalieri del bambino.
24
PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE
Latte di crescita dopo il primo anno
Hörnell A, Lagström H, Lande B,
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25
IBD HIGHLIGHTS
a cura di
Fortunata Civitelli
Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD
Pancreatic involvement in IBD
Antonio Amodio1
Armando Gabbrielli2 (foto)
Cattedra di Gastroenterologia,
UOC Gastroenterologia Università
di Verona, AOUI Verona;
2
Endoscopia digestiva, UOC
Gastroenterologia, AOUI Verona
1
Key words
Acute pancreatitis • Chronic
pancreatitis • Azathioprine •
Autoimmune pancreatitis •
Inflammatory bowel diseases
Abstract
Inflammatory bowel disease (IBD) is
characterized by a number of extraintestinal manifestations, including
acute and chronic pancreatitis. Acute
pancreatitis in cd can be explained by
the presence of biliary stones as a result of ileal disease, anatomic abnormalities of the duodenum, side effects
of many medications. Autoimmune
pancreatitis is a novel entity associated with ibd, with typical immunological
mechanisms. Nonspecific elevations of
serum pancreatic enzymes make it difficult to avoid over diagnosis of acute
pancreatitis, particularly in Crohn’s
disease (cd).
Indirizzo per la corrispondenza
Armando Gabbrielli
largo L.A. Scuro 10, 37134 Verona
E-mail: [email protected]
26
Introduzione
Le manifestazioni pancreatiche sono importanti manifestazioni extra-intestinali delle malattie
infiammatorie intestinali (Inflammatory bowel diseases, IBD), sia nella popolazione adulta che in
quella pediatrica. Numerosi sono i fattori coinvolti
nella eziopatogenesi del danno pancreatico nelle IBD: autoimmunità, farmaci, alterazioni anatomiche, etc. Questo articolo illustrerà i principali
meccanismi patogenetici, le manifestazioni cliniche, le più recenti classificazioni e la prognosi a
lungo termine delle manifestazioni pancreatiche
nelle IBD, sia nell’adulto che nel bambino.
Il punto di vista
del gastroenterologo
dell'adulto
Il morbo di Crohn (MC) e la colite ulcerosa (CU)
sono le due principali malattie infiammatorie croniche intestinali, caratterizzate da un interessamento infiammatorio della mucosa colica nella
CU o transmurale di tutto il tratto intestinale nel
MC. Le complicanze extra-intestinali delle IBD
possono coinvolgere l’apparato muscolo-scheletrico (artrite, sacro ileite, spondilite), la cute e le
mucose (eritema nodoso, pioderma gangrenoso, uveite, afte), il tratto epato-biliare (colangite
sclerosante, litiasi biliare, cirrosi epatica, steatosi
epatica), il pancreas (pancreatite acuta e cronica).
La pancreatite acuta è caratterizzata da una infiammazione della ghiandola pancreatica determinante un quadro clinico tipico, con intenso ed
improvviso dolore epigastrico irradiato a sbarra e
al dorso, a volte associato a vomito, con interessamento flogistico che può coinvolgere il tessuto
peripancreatico ma anche divenire malattia sistemica per il rilascio di citochine pro-infiammatorie
che possono indurre un quadro di insufficienza
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:26-33
IBD HIGHLIGHTS
Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD
multiorgano (polmonare, renale, epatica). Nella pancreatite
cronica il danno flogistico è
lento e progressivo nel tempo,
con ricorrenti riacutizzazioni
dolorose, sostituzione fibrotica
del parenchima ghiandolare,
dilatazione del sistema duttale, formazione di calcoli, e, dal
punto di vista funzionale, comparsa di insufficienza esocrina
ed endocrina pancreatica (diabete mellito pancreatogenico).
Nei Paesi Occidentali l’incidenza della pancreatite
acuta nelle IBD varia fra 5 e
38/100.000 pazienti; l’incidenza della pancreatite acuta
nel MC può essere calcolata
tra 1% e 1.4% in un periodo di follow-up di 10 anni 1.
La relazione tra pancreatite e
IBD, nota da moltissimi anni,
è stata proposta per la prima
volta da Ball et al. nel 1950:
in uno studio autoptico di pazienti affetti da colite ulcerosa
ha documentato che nel 53%
dei casi erano presenti segni
di pancreatite cronica 2. Un
dato di tale entità tuttavia non
è stato più confermato nei vari
studi pubblicati successivamente.
Diverse sono le cause associate all’insorgenza di flogosi
pancreatica nel corso di IBD
(Tab. I).
La litiasi delle via biliare determina circa il 60% dei casi
di pancreatite acuta nei Paesi
del Mediterraneo 3; nel MC la
prevalenza di litiasi biliare varia fra il 13-34% 4, 5, il doppio
circa rispetto alla popolazione
generale. La genesi di tale condizione è legata all’interruzione
del circolo enteroepatico degli
acidi biliari per la presenza di
alterazioni localizzate a livello
Tabella I.
Fattori associate ad insorgenza di
pancreatite nelle IBD.
I. Litiasi biliare
II. Farmaci
a.Salicilati (sulfasalazina e 5-ASA)
b.Azatioprina/ 6-mercaptopurina
c.Metronidazolo
d.Corticosteroidi
e.Ciclosporina
III. Alterazioni anatomiche nella
malattia di Crohn
IV. Autoimmunità
ileale o post-resezione ileale,
all’incremento dei livelli di colesterolo, alla dismotilità della
colecisti, alla facilità delle infezioni, al digiuno e al calo ponderale repentino in caso di malattia intestinale attiva.
In letteratura è documentata
l’associazione fra alcuni farmaci usati nelle IBD e l’insorgenza di pancreatite acuta,
sebbene gli studi siano ormai
datati nel tempo. I meccanismi non sono stati del tutto spiegati, e probabilmente
sono legati ad un danno tossico diretto del farmaco sulle
cellule acinari pancreatiche o
alle modificazioni metaboliche
associate (dislipidemia e ipercalcemia secondaria). Sono
stati documentati episodi di
pancreatite necrotico-emorragica dovuti all’uso di sulfasalazina 6, mentre sono state
descritti pancreatiti acute lievi
legate all’uso di mesalazina.
Gli effetti collaterali sul pancreas sembrano essere imprevedibili e non dose-correlati,
verosimilmente legati ad una
reazione idiosincrasica. L’azatioprina, un analogo delle tioguanine, ed il suo metabolita
attivo, la 6-mercaptopurina,
sono farmaci utilizzati in larga
scala nel mantenimento della
remissione nelle IBD. L’insorgenza di pancreatite acuta è
uno dei vari effetti collaterali
che limitano l’uso di tale farmaco, oltre alla soppressione
midollare e al danno epatico;
la pancreatite associata all’uso di azatioprina è un evento
avverso ben documentato da
anni, con diversi studi che
hanno confermato un rischio
intorno al 4-7% nei pazienti con IBD 7. Il rischio di pancreatite acuta associata ad
azatioprina appare essere 8
volte maggiore nei pazienti con MC rispetto a pazienti
che usano l’azatioprina per
altre malattie autoimmuni, per
motivi ancora ignoti 8. Il meccanismo attraverso cui l’azatioprina determini la flogosi a
livello pancreatico non è ancora conosciuto, tuttavia recentemente 9 sono stati identificati due aplotipi dell’HLA
(DQA *02:01 e DRB *07:01)
che sono associati a suscettibilità di pancreatite: i pazienti
eterozigoti in rs2647087 hanno un rischio del 9% di sviluppare pancreatite dopo la somministrazione di una tiopurina,
mentre gli omozigoti hanno un
rischio del 17%. L’associazione fra pancreatite e uso di altri
farmaci quali gli steroidi, il metronidazolo e la ciclosporina è
infine ancora molto dibattuta e
con pochi casi riportati in letteratura.
Le alterazioni anatomiche legate al coinvolgimento flogistico duodenale nel MC possono determinare pancreatite
per meccanismi ostruttivi, per
esempio per stenosi della papilla di Vater, per reflusso da
27
A. Amodio, A. Gabbrielli
stenosi duodenale nella II-III
porzione duodenale o per fistole col sistema duttale pancreatico 10.
In passato, in assenza delle
cause sopracitate, la pancreatite associata a IBD veniva
etichettata come “idiopatica”,
con una frequenza di circa
1,5% 11. Nel corso degli ultimi
anni ci sono stati molti studi
che hanno documentato l’associazione tra colite ulcerosa
e lo pseudotumor pancreatico, attualmente codificato
a livello internazionale come
pancreatite autoimmune. Tale
condizione, negli ultimi anni
sempre meglio riconosciuta e
codificata, spiegherebbe gran
parte delle pancreatiti acute e
croniche definite fino a qualche
tempo fa come “idiopatiche”.
In uno studio retrospettivo della Mayo Clinic 12, gli autori hanno trovato che, in una coorte
di 71 pazienti con pancreatite
autoimmune, il 5,6% soffriva
di IBD. Inoltre, la positività alla
immunoistochimica per IgG4
nelle biopsie del colon di un
paziente con pancreatite autoimmune e colite ulcerosa ha
suggerito che alcuni pazienti
con pancreatite autoimmune
potrebbero avere una coliteIgG4 mediata che simula una
IBD. Nel 2011 la International
Association of Pancreatology
ha proposto dei criteri per la
classificazione dei pazienti con
pancreatite autoimmune (International Consensus Diagnostic
Criteria-ICDC), stratificando i
pazienti in AIP (Autoimmune
Pancreatitis) tipo 1 e tipo 2 13
(Tab. II). Tra i criteri per fare diagnosi è presente, oltre l’imaging pancreatico, la sierologia
(IgG4), l’istologia e la risposta
alla terapia steroidea, anche
l’associazione con altre patologie autoimmuni, tra cui in principal modo le IBD. In particolare, la colite ulcerosa sembra
associarsi al tipo 2 di pancreatite autoimmune. La terapia di
tale forma di pancreatite è lo
steroide in prima battuta, con
necessità di somministrazione
di immunosoppressori (azatioprina) o di farmaci biologici
(rituximab) nei casi di recidiva
(Fig. 1). La casistica maggiore
italiana è quella della scuola
veronese, che recentemente
ha pubblicato una revisione
della classificazione dei pazienti affetti da pancreatite
autoimmune seguendo i nuovi
criteri diagnostici ICDC: il 22%
dei pazienti con pancreatite
autoimmune presentava una
malattia infiammatoria cronica
intestinale associata 14.
Una condizione particolare infine è quella della iperenzimemia
pancreatica cronica asintomatica, definita come rialzo delle
amilasi e lipasi sieriche in assenza di sintomi di pertinenza
pancreatica. La frequenza riportata di tale condizione nelle
IBD varia fra il 7% e il 15% 15,
e probabilmente deriva da un
maggiore riassorbimento degli enzimi pancreatici nel lume
intestinale per l’incrementata
permeabilità intestinale. Spesso l’iperenzimemia pancreatica
Tabella II.
Differenze fra i due sottotipi di AIP.
Tipo 1
Tipo 2
2.8:1
1:1
Manifestazioni cliniche
Pancreatiche
Extra-pancreatiche
Ittero, dolore
Colangite sclerosante, scialoadenite,
nefrite interstiziale, ecc
Ittero con dolore addominale acuto
Istologia
Plasmacellule IgG4-positive e
infiltrazione linfociti-T,
fibrosi storiforme, flebite obliterativa
Infiltrazione neutrofila intorno al dotto
pancreatico,
distruzione duttale
Sierologia
Elevati livelli di IgG4, auto-anticorpi
No IgG4
Massa pancreatica, ingrossamento del
pancreas, multiple stenosi del dotto
Massa pancreatica, ingrossamento del
pancreas, multiple stenosi del dotto
SI
Alta
SI
Bassa
Maschi/Femmine
Imaging
Trattamento
Risposta agli steroidi
Recidiva
28
Colite ulcerosa
IBD HIGHLIGHTS
Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD
tipo autoimmunitario, definito
negli ultimi anni come “Pancreatite Autoimmune”.
A
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4
Figura 1.
A. Paziente con pancreatite autoimmune: visibile una massa al corpo
del pancreas con una lunga stenosi e lieve dilatazione a monte del
dotto pancreatico principale.
B. Risoluzione della massa e della stenosi dopo il trattamento con
steroidi.
Lapidus A, Bangstad M, Astrom
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6
determina una errata classificazione nosografica delle malattie. Infatti, in caso di dolore
addominale in pazienti con IBD
in fase acuta e coesistenza di
iperenzimemia pancreatica, è
possibile che venga formulata una diagnosi di pancreatite
acuta, portando quindi ad una
sovrastima dell’incidenza. È
tuttavia possibile, al contrario,
che il dolore addominale in un
attacco di pancreatite possa
essere falsamente attribuito ad
un MC, e non vengano dosate le amilasi o lipasi, con conseguente errore diagnostico e
quindi sottostima del numero
dei casi di pancreatite. L’esecuzione di una colangiopancreatografia in RMN con secretina deve essere eseguita per
escludere patologie pancrea-
tiche associate con l’iperenzimemia. In caso di negatività il
paziente dovrà essere seguito
con un follow-up radiologico
adeguato 16.
Chaparro, M. et al. Safety of thiopurine therapy in inflammatory bowel disease: long-term follow-up
study of 3931 patients. Inflamm
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users of azathioprine: a population-based case-control study. Am
J Gastroenterol 2003;98:1305-8.
8
Conclusioni
L’associazione fra IBD e malattie pancreatiche è stata sempre meglio definita nel corso
degli anni. Varie cause possono determinare interessamento pancreatico, come la litiasi
biliare, l’uso di farmaci specifici, cause ostruttive dovute al
coinvolgimento flogistico nel
MC. Quella che in passato era
stata inquadrata come una forma idiopatica di pancreatite è
verosimilmente imputabile in
gran parte alla presenza di un
coinvolgimento flogistico di
Heap GA, Weedon M, Bewshea
CM et al. HLA-DQA1-HLADRB1 variants confer susceptibility to pancreatitis induced by thiopurine immunosuppressants. Nat
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11
29
A. Amodio, A. Gabbrielli
Ravi K, Chari ST, Vege SS, et
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12
Shimosegawa T, Chari S, Frulloni
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pancreatitis: guidelines of the International Association of Pancre-
Ikeura T, Manfredi R, Zamboni G
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consensus diagnostic criteria to an
Italian series of autoimmune pancreatitis. United European Gastroenterology Journal 2013;1:276.
13
15
Heikius B, Niemela S, Lehtola J, et al. Elevated pancreatic
Massimo Martinelli
Dipartimento di Scienze Mediche
Traslazionali, Sezione di Pediatria,
Università di Napoli “Federico II”
Key words
Pancreatitis • Pancreatic
involvement • Inflammatory
bowel disease • Extra-intestinal
manifestations
Abstract
Patients with IBD are at increased risk of developing both acute
and chronic pancreatitis. There are
only limited published data on the incidence of acute pancreatitis in pediatric
patients with IBD. Although pancreatitis can be seen in association to drugs
assumption, biliary lithiasis, Crohn’s
disease duodenal involvement or sclerosing cholangitis, IBD itself seems to
contribute to the pathogenesis.
Indirizzo per la corrispondenza
Massimo Martinelli
via Pansini 5, 80128 Napoli
E-mail: [email protected]
30
enzymes in inflammatory bowel disease are associated with
extensive disease. Am J Gastroenterol 1999;94:1062-9.
14
Amodio A, Manfredi R, Gabbrielli A et al. Prospective evaluation of subjects with chronic
asymptomatic pancreatic hyperenzymemia. Am J Gastroenterol
2012;107:1089-9.
16
Il punto di vista
del gastroenterologo
pediatra
Background
Il quadro dell’interessamento pancreatico nel
contesto di una IBD è particolarmente complesso in età pediatrica. Infatti, sebbene i bambini affetti da IBD presentino un rischio aumentato di
sviluppare pancreatiti, sia acute che croniche,
sintomi clinici riconducibili ad un’infiammazione
pancreatica sono riportati soltanto in circa il 2%
dei pazienti 2. Al contrario è molto più frequente il riscontro di un aumento degli enzimi isolato
(iperamilasemia e/o iperlipasemia) in assenza di
criteri per la diagnosi di pancreatite (Tab. I) 3.
Epidemiologia
I dati disponibili riguardo l’incidenza del coinvolgimento pancreatico in pazienti pediatrici affetti da
IBD sono limitati 4, 5. Molto recentemente il nostro
gruppo, in collaborazione con l’area IMIBD della
SIGENP, ha retrospettivamente analizzato i dati
del registro nazionale delle IBD al fine di caratterizzare la prevalenza dell’interessamento pancreatico nelle IBD pediatriche 6. Tutti i pazienti con
iperamilasemia ed iperlipasemia sono stati inclusi
nello studio. Sono stati identificati 27 (4,1%) pazienti con iperamilasemia/iperlipasemia su 649
pazienti totali inseriti nel registro dal Gennaio
2009 al novembre 2012. Di questi 27 pazienti,
11 (40,7%) rispondevano ai criteri diagnostici di
pancreatite acuta, pari a circa l’1,6% della popolazione totale del registro (11/649) (6%). Il sesso
femminile risultava l’unico fattore di rischio mag-
IBD HIGHLIGHTS
Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD
Tabella I.
Criteri per la diagnosi* di pancreatite acuta in età pediatrica.
• Dolore addominale caratteristico
(ad insorgenza acuta, in regione
epigastrica)
• Amilasi pancreatica e/o lipasi ≥3
volte il range di normalità
• Imaging compatibile
* La diagnosi richiede che vengano soddisfatti almeno 2 dei 3 criteri.
(da Morinville et al., 2012 9, mod.).
giore per sviluppare pancreatite. Non sono state riscontrate
differenze significative riguardo
l’età dei pazienti, l’età di esordio di malattia, l’estensione e
il tipo di IBD. In accordo con
la precedente letteratura la
maggior parte dei pazienti con
Malattia di Crohn e pancreatite
mostrava un interessamento
colonico 6.
Eziopatogenesi
L’eziopatogenesi del coinvolgimento pancreatico nelle IBD
è estremamente complessa
e sembra di origine multifattoriale. Sebbene alla base del
coinvolgimento
pancreatico
debbano sempre essere presi
in considerazione fattori eziologici quali l’assunzione di
farmaci (azatioprina, mesalazina, metronidazolo, ecc.), la
litiasi biliare, l’interessamento
duodenale da MC o la colangite sclerosante, la malattia di
per sè sembra poter contribuire primitivamente al coinvolgimento pancreatico (Tab. II) 1. È
possibile che le cellule epiteliali del tratto gastrointestinale e
del tessuto pancreatico possano condividere strutture cellu-
lari simili, egualmente vulnerabili alla risposta infiammatoria.
Questa ipotesi è fortemente
supportata dal modello murino di colite indotta dall’acido
solfonico-trinitrobenzene, nel
quale sono state dimostrate lesioni pancreatiche in concomitanza con le lesioni intestinali 7.
In accordo con questa ipotesi
vi è uno studio pediatrico pubblicato da Broide e colleghi 4
in cui gli autori descrivono una
casistica di pazienti, nei quali l’insorgenza di pancreatite
precede l’esordio del quadro
intestinale, dimostrando come
i due processi infiammatori, a
carico di tratto gastrointestinale e pancreas, possano essere parte di un unico processo
sistemico 4. Menzione a parte
merita il riscontro di pancreatite autoimmune propriamente
detta nel corso di IBD 8, anche
se i dati in età pediatrica sono
molto limitati.
Esistono diverse possibili teorie patogenetiche anche per
ciò che riguarda il semplice
Tabella II.
Fattori eziologici alla base del
coinvolgimento pancreatico nelle
MICI pediatriche.
• Pancreatite da farmaci
(Azatioprina/6-mercaptopurina,
mesalazina, ciclosporina,
corticosteroidi, metronidazolo)
• Litiasi biliare
• Alterazioni anatomiche della
malattia di Crohn (interessamento
duodenale)
• Colangite sclerosante
• Pancreatite autoimmune (IgG4
positiva)
• Disordine autoimmune sistemico
coinvolgente intestino e pancreas
rialzo enzimatico, in assenza
di criteri diagnostici di pancreatite. La più accreditata deriva
dall’osservazione che spesso
l’elevazione degli enzimi pancreatici è osservata nel corso
di malattia più estesa. L’iperenzimemia pertanto potrebbe
semplicemente rappresentare il passaggio anomalo degli
enzimi pancreatici dal lume
intestinale al sangue a causa
di un aumento della permeabilità intestinale della mucosa infiammata 1. Tuttavia nonostante l’apparente natura benigna,
non è noto quale sia il decorso
e la storia naturale dell’ipenzinemia pancreatica isolata nelle
IBD pediatriche.
Diagnosi
La diagnosi di pancreatite nei
bambini affetti da IBD pone una
serie di difficoltà interpretative.
Nausea e vomito sono le caratteristiche più frequentemente
associate ad una diagnosi di
pancreatite. Più spesso nella
malattia di Crohn, rispetto alla
rettocolite ulcerosa, il dolore
addominale è la principale manifestazione clinica. Come già
sottolineato, è molto frequente il riscontro di una semplice
iperenzimemia nei pazienti affetti da IBD, in assenza di altri
criteri diagnostici di pancreatite. In aggiunta, a complicare il
quadro, i sintomi di pancreatite sono spesso aspecifici, e si
sovrappongono a quelli della
patologia intestinale di base. Il
dolore addominale di una pancreatite può essere falsamente
attribuito alla IBD e gli enzimi
pancreatici possono non essere dosati, con conseguente
sottostima dell’incidenza di
31
M. Martinelli
pancreatite acuta 1. Pertanto,
considerato il rischio aumentato rispetto alla popolazione
generale, tutti i pazienti affetti da IBD dovrebbero essere
sottoposti ad uno screening
routinario della funzionalità
pancreatica, ed in caso di iperenzimemia, una valutazione
imaging appare obbligatoria,
non solo per confermare l’eventuale diagnosi di pancreatite acuta, ma soprattutto per
individuare precocemente segni di pancreatite cronica.
Nel caso siano soddisfatti i
criteri diagnostici di pancreatite cronica (Tab. III), anche nei
pazienti affetti da IBD non dovrebbe essere omessa un’appropriata diagnostica differenziale con la ricerca di cause
genetiche (CFTR, SPINK1,
PRSS1) e di pancreatite autoimmune (dosaggio IgG4).
Non è raro, infatti, riscontrare più fattori concomitanti alla
cronicizzazione del danno pancreatico.
Terapia
La gestione terapeutica di un
episodio di pancreatite acuta in
bambini affetti da IBD non differisce in maniera significativa
dalla gestione del paziente non
affetto da IBD. Sebbene tuttora
controverso, il provvedimento
terapeutico più frequente risulta tuttavia la sospensione
di mesalazina e/o azatioprina,
farmaci abitualmente usati nella gestione della IBD e messi in
relazione causale con lo screzio pancreatico. Anche nella
nostra casistica l’85% dei soggetti in corso di screzio pancreatico ha ridotto il dosaggio
o sospeso la terapia con aza-
32
Tabella III.
Criteri per la diagnosi di pancreatite cronica in età pediatrica*.
• Dolore addominale caratteristico più
imaging compatibile
• Insufficienza esocrina più imaging
compatibile
• Insufficienza esocrina più imaging
comaptibile
* La diagnosi richiede che venga soddisfatto almeno 1 dei 3 criteri.
(da Morinville et al., 2012 9, mod.).
tioprina e/o mesalazina come
principale provvedimento terapeutico, seguito dal digiuno
con reidratazione endovenosa
e dalla terapia antibiotica 6.
Prognosi e storia
naturale
Esistono pochissimi dati nella
letteratura pediatrica che caratterizzino la prognosi e la storia
naturale dei pazienti affetti da
IBD con coinvolgimento pancreatico. La valutazione prognostica del singolo episodio
pancreatitico si avvale dello
score di De Banto (Tab. IV). Non
necessariamente gli episodi
pancreatitici sono più severi
rispetto alla popolazione normale. Nella nostra casistica la
maggioranza dei singoli episodi
era caratterizzata da un basso
score, indicativo di episodi di
lievi entità 6. Ciononostante una
percentuale non trascurabile di
pazienti tende a recidivare durante il follow-up e in 1 (9%)
paziente su 11 con diagnosi
di pancreatite acuta il danno è
diventato cronico con insufficienza pancreatica esocrina ad
un anno di follow-up 6. La nostra casistica dimostra inoltre
come l’iperenzimemia isolata
non debba essere considerata necessariamente benigna.
Dei 16 pazienti arruolati nello
studio con iperamilasemia e
iperlipasemia isolata nel corso
del follow-up, 4 (25%) hanno
sviluppato pancreatite acuta 6.
Conclusioni
I bambini affetti da IBD sono ad
aumentato rischio di sviluppare
un danno pancreatico rispetto alla popolazione generale. Il
danno sembra essere in qualche
maniera correlato alla patologia
intestinale. Pertanto, è necessario un attento monitoraggio della
funzione pancreatica nei bambini con IBD, considerando che
in alcuni casi il danno può evolvere fino all’insufficienza esocrina/endocrina. Nuovi studi sono
necessari per chiarire la patogenesi del danno pancreatico
nel decorso della IBD pediatrica.
Tabella IV.
Score prognostico della pancreatite acuta pediatrica secondo DeBanto*.
Criteri all’ingresso
Età < 7 anni
Peso < 23 kg
Globuli bianchi > 18.500 x 103/mm
LDH > 2000 U/L
Criteri a 48 h
Calcio < 8,3 mg/dl
Albumina < 2,6 mg/dl
Sequestro di fluidi > 75 ml/kg/48 h
Aumento BUN > 5 mg/dl
* A ciascun criterio corrisponde 1 punto;
un punteggio 3 è predittivo di un decorso
severo.
(da DeBanto et al., 2002 10, mod.).
IBD HIGHLIGHTS
Le manifestazioni pancreatiche nelle IBD
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10
• Un’associazione fra IBD e malattie pancreatiche è nota da tempo, ma attualmente i criteri di definizione sono stati
meglio caratterizzati.
• Fra le varie cause di pancreatite è importante riconoscere le forme dovute a litiasi biliare, a farmaci, ad alterazioni
anatomiche conseguenti al coinvolgimento flogistico duodenale. Una nuova entità, chiamata Pancreatite Autoimmune,
può spiegare la maggior parte dei casi non inquadrabili nelle cause sopracitate.
• A prescindere dai fattori eziologici noti, la IBD di per sé sembra poter contribuire primitivamente al danno pancreatico.
• L’iperenzimemia pancreatica cronica deve essere riconosciuta per evitare errori di classificazione nosologica.
• Le manifestazioni pancreatiche sono frequenti anche nelle IBD pediatriche e, considerato il rischio di progressione
del danno nel tempo, è necessario un attento follow-up sia di laboratorio che strumentale nel bambino con IBD e
coinvolgimento pancreatico.
33
CASE REPORT
a cura di
Mariella Baldassarre
Sapere per riconoscere...
Quando l’intestino ci mette alla prova
Learn to recognize... When the intestine challanges us
Graziella Guariso1 (foto)
Marco Gasparetto2
Università degli Studi di Padova
Università degli Studi di Padova,
Cambridge University Hospitals
Paediatric Gastroenterology Unit
1 2
Key words
Chronic diarrhoea •
Immunodeficiency •
CD25 deficiency • IPEXlike immunodeficiency •
Haematopoietic stem cell
transplantation
Abstract
We report the case of a child with severe diarrhea in the first weeks of life,
and progressive deterioration with dehydration and metabolic acidosis.
Lymphocytic phenotype testing and
subsequent sequencing of the gene
IL2RA/CD25 confirmed a diagnosis of
CD25 deficiency. A prompt molecular
diagnosis enabled an early and successful hematopoietic stem cell transplantation.
Indirizzo per la corrispondenza
Graziella Guariso
via Giustiniani 3, 35128 Padova
E-mail: [email protected]
34
Presentazione
del caso clinico
Lattante maschio, italiano, unicogenito, nato a
41 settimane gestazionali da parto naturale dopo
gravidanza normodecorsa, peso alla nascita
3,280 kg. Allattamento al seno, crescita soddisfacente nel primo mese di vita. All’età di 6 settimane, i genitori riscontrano la comparsa di un
rash cutaneo a livello del volto e degli arti inferiori,
associato a scariche liquide, mucose e con componente ematica.
Condotto all’Ospedale locale, gli esami ematochimici di base risultano nella norma, mentre viene riscontrata la presenza di Rotavirus nelle feci.
Dopo idratazione e stabilizzazione, il piccolo viene dimesso con diagnosi di gastroenterite acuta
virale.
Una settimana dopo la dimissione, il bambino si
dimostra nuovamente irritabile, con ricomparsa di
feci liquide, vomito e significativo calo ponderale
(9,3% in 5 giorni).
Esame obiettivo
Ricondotto in Ospedale, il piccolo si presenta
con disidratazione lieve-moderata (peso 3,720
kg, calo ponderale di 280 g in 5 giorni), lieve tachicardia (130 bpm) e tachipnea (43 apm), normale SaO2, pallore, presenza di rash eczematoso
al volto ed agli arti inferiori. L’obiettività cardiotoraco-addominale appare nella norma. Diarrea
acquosa.
Sviluppo del caso clinico
Gli esami ematochimici eseguiti in occasione del
secondo ricovero evidenziano acidosi metabolica
severa, leucocitosi, piastrinosi, iponatriemia, cloro nella norma, iperlattacidemia (21,6 mg/dL, v.n.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:34-35
CASE REPORT
Quando l’intestino ci mette alla prova
4,5-19,8) ed ipoalbuminemia
(16 g/dL). In questa occasione le indagini infettivologiche
su urine e feci (comprendenti
CMV) risultavano negative.
Un rx-addome esclude pneumomatosi, mentre un’ecografia addominale evidenzia
ispessimento delle pareti delle
anse intestinali, presenza di liquido libero tra le anse e ridotta peristalsi.
Nonostante la stabilizzazione avviata presso l’ospedale
locale (idratazione, supplementazione di elettroliti e bicarbonato, infusioni di al-
bumina e terapia antibiotica
parenterale con ampicillina,
netilmicina e metronidazolo),
il bambino continua a presentare diarrea acquosa intrattabile (output fecale 140 ml/kg/
die). La somministrazione di
formule estesamente idrolisate o aminoacidiche non porta
alcun beneficio: viene quindi
avviata nutrizione parenterale
totale,senza modificazione del
volume e delle caratteristiche
delle feci.
Il piccolo viene quindi trasferito
presso il centro di terzo livello
di riferimento.
Possibili ipotesi
diagnostiche
•Gastroenterite acuta infettiva
•Allergia alle proteine del latte
vaccino
•Malattia infiammatoria intestinale ad esordio precoce
•Diarrea congenita (da difetti
di digestione, assorbimento e trasporto di nutrienti
ed elettroliti, da alterazione
dell’enterocita, da disregolazione della risposta immune).
Sviluppo e soluzione del caso clinico a pagina 55
35
NEWS IN PEDIATRIC
GASTROENTEROLOGY
PHARMACOLOGY
a cura di
Monica Paci
Gemelli diversi? I farmaci biosimilari
nelle malattie infiammatorie croniche
intestinali del bambino
Different twins? Use of biosimilars in paediatric
inflammatory bowel disease
Paolo Lionetti (foto)
Silvia Ghione
Monica Paci
Dipartimento Neurofarba,
Università di Firenze - SOD
Gastroenterologia, Ospedale
Pediatrico Meyer, Firenze
Key words
Inflammatory bowel disease •
Biosimilars • Biologico •
Infliximab
Abstract
Recently, with the expiration of patents for biopharmaceutical monoclonal antibodies, biosimilars are coming
to the market. It is likely a substantial
decrease of costs of these expensive
therapies. Evidence of their effectiveness and safety has been obtained from
studies in adults with rheumatological
disease. Extrapolation of safety and efficacy to children with IBD should be
done with caution. Comparative paediatric trials and post-marketing studies
of surveillance are needed.
Indirizzo per la corrispondenza
Paolo Lionetti
viale Pieraccini 24, 50139 Firenze
E-mail: [email protected]
36
Introduzione
I farmaci biosimilari hanno origine biotecnologica
e sono simili in termini di qualità, sicurezza ed efficacia al farmaco di riferimento biologico originale
già registrato 1. Il loro utilizzo è regolato dagli organismi preposti per l’autorizzazione all’immissione
in commercio dopo la scadenza del brevetto del
farmaco originale (European Medicine Agency,
EMA in Europa e Food and Drug Administration,
FDA negli Stati Uniti). La loro commercializzazione è subordinata alla dimostrazione di pari efficacia e sicurezza nel corso di test clinici comparativi
rispetto al farmaco originale, ma non è necessario
che la dimostrazione di efficacia venga ottenuta
per tutte le indicazioni del farmaco originale 2.
I farmaci biologici sono prodotti terapeutici il cui
principio attivo è derivato da un organismo vivente (es. colture cellulari) e si caratterizzano per
la complessa struttura proteica ad elevato peso
molecolare, significativamente superiore rispetto
ai farmaci tradizionali derivati da sintesi chimica 3.
Nel trattamento dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) l’uso dei
farmaci biologici, in particolare degli anticorpi
monoclonali rivolti contro il tumor necrosis factor alpha (TNF-α) (infliximab, IFX e adalimumab,
ADA), ha permesso di stabilire e raggiungere
obiettivi terapeutici molto più ambiziosi rispetto
al passato. Il loro uso, negli ultimi anni, è andato
sempre più aumentando, in particolare in ambito
pediatrico, in cui l’espressività clinica di queste
malattie è spesso più aggressiva. L’uso dei farmaci monoclonali non è scevro da rischi, ed il loro
utilizzo ha determinato un incremento rilevante
dei costi medici per la cura di questi pazienti. La
scadenza del brevetto per l’IFX in Europa è prevista nel triennio 2013-2015 (in base alla Nazione
considerata) e nel settembre 2013 l’EMA ha approvato per la prima volta due farmaci biosimilari
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:36-39
NEWS IN PEDIATRIC
dell’IFX (Inflectra e Remsima).
Sebbene l’uso dei farmaci biosimilari possa ridurre i costi
delle terapie dei pazienti (giacché il processo di approvazione di questi farmaci è più rapido), esistono ancora numerose
domande aperte rispetto alla
loro introduzione al posto del
farmaco originale. L’autorizzazione all’uso dei farmaci biosimilari per il trattamento nei pazienti con MICI, infatti, deriva
da studi clinici condotti su pazienti con malattie autoimmuni
diverse dalle MICI (spondilite
anchilosante, artrite reumatoide).
Differenze
tra farmaci
biosimilari e
farmaci biologici
Il farmaco biosimilare deve essere simile in termini di qualità,
sicurezza ed efficacia a un farmaco già registrato. Nel caso
dei farmaci biologici le difficoltà a creare un farmaco biosimilare con queste caratteristiche
sono numerose per diverse ragioni. Il farmaco originale è una
proteina complessa ed eterogenea essendo un prodotto ad
alto peso molecolare con una
struttura primaria, secondaria
e terziaria articolata. Inoltre il
farmaco biologico è prodotto
da colture cellulari sensibili a
cambiamenti ambientali a carico del terreno di coltura, dei
processi di purificazione o di
conservazione 4 e, nonostante
sia in scadenza il brevetto del
prodotto originale, il processo
di produzione nei suoi precisi
passaggi (vettore, sistema cellulare, procedura di espansione cellulare, processo di puri-
ficazione) rimane coperto dal
segreto industriale. Bisogna
inoltre considerare che, per i
motivi appena citati, anche il
prodotto originale negli anni
può essere andato incontro a
cambiamenti nel processo di
produzione.
Allo scopo di disciplinare la
sintesi di farmaci così complessi, nel 2012 l’EMA ha fornito linee guida specifiche per
i biosimilari di farmaci monoclonali, in accordo con le linee
guida della FDA. Le linee guida
stabiliscono che gli studi in vitro sono necessari per provare la biosimilarità in termini di
qualità tra i due farmaci (biosimilare e originale) basandosi
sulla comparazione di test che
studiano il legame e la funzione
della proteina. Gli studi in vivo
possono essere richiesti laddove persistano dubbi dagli studi
in vitro (alterazione nel legame
al recettore, stabilità della proteina) che potenzialmente potrebbero inficiare la sicurezza e
l’efficacia del farmaco. Gli studi clinici sono invece alla base
della valutazione di farmacocinetica, farmacodinamica, efficacia e sicurezza.
I farmaci
biosimilari
in commercio per
il trattamento
delle MICI
Dati sull’efficacia
A oggi non esistono ancora nella
letteratura scientifica studi clinici randomizzati controllati (RCT)
sull’uso di biosimilari dell’IFX
(o di altri agenti anti TNF-α)
nel trattamento di pazienti con
MICI. Gli unici dati clinici disponibili provengono da due studi
GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
I farmaci biosimilari nelle IBD
RCT condotti su pazienti adulti affetti da spondilite anchilosante (PLANETAS) e da artrite
reumatoide (PLANETRA) trattati
con CT-P13 (Immunoglobulina
chimerica umana-murina IgG1,
biosimilare dell’IFX) 5, 6. È necessaria estrema cautela nell’estensione dell’uso di questi
farmaci ai bambini e ai ragazzi
affetti da MICI.
In entrambi gli studi citati (PLANETAS: 250 pazienti trattati
per un periodo di 30 settimane, esteso poi a 88 settimane; PLANETRA: 494 pazienti
trattati per un periodo di 30
settimane, esteso poi a 78 settimane) le valutazioni di farmacocinetica, farmacodinamica e
di efficacia non sono risultate
significativamente diverse tra i
due farmaci.
Sebbene quindi nel trattamento di spondilite anchilosante
e artrite reumatoide IFX e CTP13 siano risultati comparabili,
l’estrapolazione di questi dati
al trattamento dei pazienti affetti da MICI solleva qualche
perplessità. In primo luogo
MICI e spondilite anchilosante/
artrite reumatoide hanno diversa patogenesi e numerosi sono
gli esempi di farmaci attivi nelle malattie reumatologiche che
risultano invece non efficaci o
addirittura dannosi nelle MICI.
La seconda considerazione riguarda la dose poiché questa è
diversa nel trattamento dell’artrite reumatoide (3 mg/kg) rispetto a quella adottata nello
schema dei pazienti con MICI
(5 mg/kg). Infine bisogna considerare che i bambini in trattamento con IFX di solito non
assumono altri trattamenti immunosoppressivi (monoterapia), diversamente dai pazienti
37
P. Lionetti et al.
inclusi nello studio PLANETRA
che assumevano methotrexate in concomitanza al farmaco
biologico. L’assunzione di un
immunosoppressore può condizionare la produzione di anticorpi diretti contro il farmaco
biologico (riducendone la produzione) potendo così migliorare l’efficacia e riducendo la
possibilità di reazioni avverse
all’infusione del farmaco. L’estrapolazione dei dati di efficacia e d’immunogenicità di
questo studio è quindi difficilmente estendibile ai bambini
con MICI.
Dati sulla sicurezza
Anche per quanto riguarda la
sicurezza, i dati provengono
dagli studi già citati, PLANETAS e PLANETRA. In entrambi
gli studi non sono state riportate significative differenze tra
i due gruppi di trattamento
(CT-P13 o IFX) sia per quanto riguarda le reazioni avverse
all’infusione (PLANETAS 3,9%
vs 4,9% e PLANETRA 6,6% vs
8,3%) che per quanto riguarda il rilievo di anticorpi rivolti
contro il farmaco (PLANETAS
27,4% vs 22,5%; PLANETRA
48,4% vs 48,2%). Nello studio
PLANETRA inoltre sono state valutate le possibili reazioni
avverse legate al trattamento
e anche in questo caso non
sono state notate differenze
significative tra i due gruppi di
pazienti (35,3% vs 35,9%). In
entrambi gli studi la maggioranza delle reazioni avverse era
d’intensità leggera/moderata
(elevazione transaminasi, tubercolosi latente, infezioni vie
urinarie, cefalea) e non è stato
registrato nessun caso di morte. Sicuramente sarà necessa-
38
rio estendere nel lungo periodo
la farmacovigilanza per valutare la sicurezza a lungo termine
di questi farmaci, considerando in particolar modo l’immunogenicità: ad oggi non sono
ancora stati pubblicati dati
sulla sicurezza dopo la loro immissione in commercio.
Immunogenicità
L’immunogenicità è la capacità
posseduta da una sostanza di
indurre una risposta immunitaria studiata valutando la formazione di anticorpi neutralizzanti
diretti contro la sostanza in
esame ed è una caratteristica
molto importante nell’utilizzo
dei farmaci biologici poiché
può condizionarne l’efficacia.
I dati posseduti finora sull’immunogenicità dei farmaci biosimilari dell’eritropoietina e dei
fattori di crescita, oggi ampiamente utilizzati, sono confortanti 7. I biosimilari di anticorpi monoclonali anti-TNF sono
tuttavia proteine più complesse rispetto, per esempio, all’eritropoietina (148.000 daltons
vs 18.464 daltons). I dati che
possediamo sulla cross reattività degli anticorpi diretti
contro Remicade® e contro
il biosimilare Remsima®, valutati recentemente da BenHorin et al. (pubblicati come
abstract), sono rassicuranti. I
pazienti con anticorpi contro
Remicade® sono anche positivi per Remsima® e lo studio
sull’inibizione funzionale rispetto alla capacità di legare
il TNF-α è risultato anch’esso
simile. Questi dati suggeriscono quindi che esiste una “forte
somiglianza”, anche in termini
d’immunogenicità, tra farmaco
originale e biosimilare 8.
È importante sottolineare che i
dati discussi finora riguardano
solo pazienti adulti: non ci sono
dati ad oggi disponibili in età
pediatrica. Inoltre, nei bambini,
il rischio di sviluppare anticorpi
neutralizzanti nei confronti dei
farmaci biologici è più elevato
rispetto agli adulti poiché in
età pediatrica le MICI hanno
spesso una maggiore aggressività clinica con necessità di
un trattamento prolungato con
il farmaco biologico.
Aspetti importanti
per la ricerca
L’effettuazione di nuovi studi clinici nei pazienti con MICI
sicuramente risolverà alcune
delle perplessità esposte. Sarà
necessario stabilire con attenzione l’ampiezza del campione
in esame per evitare errori di
valutazione nell’effetto terapeutico (gli studi di “non inferiorità” nella comparazione di due
farmaci richiedono un numero
di pazienti molto elevato). Sarà
importante inoltre valutare se i
biosimilari hanno azione simile
all’originale anche nel mantenimento della remissione oltre
che nell’induzione. Fondamentale sarà poi la sorveglianza
successiva all’immissione in
commercio, in particolare per i
bambini. A questo scopo la comunità pediatrica che si occupa del trattamento di bambini
e ragazzi con IBD ha allestito
nel settembre 2014 una piattaforma comune (PIBD-net) per
condividere e monitorizzare le
informazioni sulla sicurezza e
l’efficacia delle attuali e future
terapie nei bambini e nei ragazzi con MICI.
NEWS IN PEDIATRIC
Conclusioni
L’immissione in commercio dei
farmaci biosimilari apre sicuramente prospettive interessanti
per il trattamento delle MICI,
soprattutto in termini di riduzione dei costi sanitari. Rimangono però varie perplessità
circa l’utilizzo di tali farmaci, in
particolare in ambito pediatrico. I buoni risultati ottenuti in
termini di efficacia, sicurezza e
immunogenicità in ambito reumatologico, sono sicuramente
elementi a favore di un’estensione del loro utilizzo in altre
patologie. In mancanza però
di dati clinici sui pazienti affetti
da MICI (sia adulti che bambini) l’estensione del trattamento a questi pazienti impone di
effettuare prima possibile studi
clinici randomizzati controllati
GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY
I farmaci biosimilari nelle IBD
per supportare, anche in questo campo, l’efficacia e la sicurezza dei biosimilari monoclonali.
netics, safety, and efficacy of biosimilar CT-P13 and innovator infliximab in patients with ankylosing
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8
• Nel settembre 2013 l’EMA ha approvato l’uso dei biosimilari dell’IFX in tutte le sue indicazioni, compresi i pazienti
adulti e pediatrici affetti da MICI.
• I due studi RCT condotti su pazienti adulti affetti da malattie reumatologiche (spondilite anchilosante e artrite reuma-
toide) forniscono dati rassicuranti in termini di efficacia, sicurezza e immunogenicità tra IFX originale e biosimilare
(CT-P13).
• È necessario effettuare prima possibile studi clinici nei pazienti con MICI (in particolare nei bambini) per supportare i
buoni risultati ottenuti in ambito reumatologico.
• Nel bambino con MICI in trattamento con IFX in remissione, non è consigliato il passaggio al biosimilare finché non
verranno condotti studi clinici in pazienti pediatrici con MICI che supportino la sicurezza e l’efficacia di questo cambiamento.
• Data la provata cross-reattività degli anticorpi tra biosimilare (in particolare Remsima®) e IFX (Remicade®), i pazienti
positivi per anticorpi neutralizzanti contro Remicade® non sono candidati a passare a Remsima®.
39
RECENT ADVANCE
IN BASIC SCIENCE
a cura di
Salvatore Accomando
Pancreatiti acute e croniche:
quando i geni hanno un ruolo importante
Acute and chronic pancreatitis:
when some genes play an important role
Floriana Adragna1
Pasquale Mansueto1
Claudio Enna1
Aurelio Seidita1
Antonio Carroccio1, 2 (foto)
Dipartimento Biomedico di
Medicina interna e specialistica,
Università degli Studi di Palermo,
Palermo; 2 U.O.C. di Medicina
interna, Ospedale Giovanni Paolo II,
Sciacca (AG)
1
Key words
Pancreatitis • Genetic • Pancreatic enzymes •
Hypertriglyceridemia
Abstract
Pancreatic inflammatory disease are
determined by a set of individual genetic predisposition and environmental
triggers. Many genes have been isolated in pancreatic tissues, whose mutation would result in an increased risk of
developing pancreatitis.
Some of these mutations seem more
related to the onset of chronic forms
of pancreatitis, others to the onset of
acute ones.
Indirizzo per la corrispondenza
Antonio Carroccio
via Ciaculli 207, 90124 Palermo
E-mail: [email protected]
40
Introduzione
La pancreatite si manifesta generalmente attraverso complicanze locali, quali necrosi, ascessi
e pseudocisti, con possibile coinvolgimento dei
tessuti peripancreatici e degli organi a distanza.
Spesso si classifica in base alla gravità, ma altrettanto rilevante è la classificazione clinica: pancreatite acuta (PA), pancreatite acuta ricorrente (PAR)
e pancreatite cronica (PC). Lo sviluppo di queste
varianti e, in genere, di qualsiasi tipo di patologia infiammatoria a carico dei tessuti pancreatici,
prevede una predisposizione genetica dell’individuo, associata alla presenza di fattori scatenanti ambientali (Tabb. I, II). Alla base dello sviluppo
della PA e della PC vi è l’attivazione enzimatica
prematura ed intrapancreatica del tripsinogeno in
tripsina o la mancata eliminazione della tripsina
attiva, all’interno del pancreas, da parte dei sistemi di clearance. La presenza di tripsina attiva
innescherà la cascata infiammatoria e citochinica
ed i processi immuno-flogistici tissutali tipici della
malattia 1.
Molti sono i geni regolatori dell’attività enzimatica
del pancreas, in particolari quelli preposti alla formazione del tripsinogeno cationico (PRSS1), del
tripsinogeno anionico (PRSS2), dell’inibitore della
secrezione pancreatica della tripsina (PSTI), meglio noto come “gene inibitore della serina-proteasi Kazal tipo 1” (SPINK1), del chimotripsinogeno
C (CTRC), del recettore sensibile al calcio (CASR),
del regolatore della conduttanza transmembrana
nella fibrosi cistica (CFTR) e delle citochine coinvolte nella patogenesi della pancreatite, sia acuta che cronica (Fig. 1). I pazienti che possiedono
nel proprio codice genetico mutazioni a carico di
questi geni presenterebbero un rischio maggiore
di sviluppare pancreatite 2.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:40-44
RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE
Geni e pancreas
Pancreatite acuta
Mutazioni genetiche delle
citochine
In fase di studio sono i polimorfismi dei geni per le citochine coinvolte nella patogenesi della pancreatite,
soprattutto acuta. Alcune
ricerche hanno analizzato
le citochine maggiormente
coinvolte nello sviluppo della PA, come il tumor necrosis
factor-α (TNF-α), l’interleuchina (IL)-1, l’antagonista recettoriale dell’IL-1 (IL-1RA),
l’IL-6 e l’IL- 10. Ad esempio è
stata rilevata un’associazione
fra una mutazione del gene
del TNF-α (TNF-α-308 SNP)
e la gravità della pancreatite e
l’associazione all’insorgenza
di shock in pazienti affetti da
PA di grado severo 3.
Ipertrigliceridemia
e varianti
genetiche
L’ipertrigliceremia familiare da
mutazioni della lipoproteinlipasi (LPL) o deficit di apolipoproteina C-II determina una
predisposizione all’insorgenza della PA, ma solo una piccola percentuale dei pazienti
affetti sviluppa effettivamente
la malattia 4. La presenza di
lesioni pancreatiche iniziali
provocherebbe il rilascio della lipasi pancreatica, con successiva e conseguente attivazione dei processi di flogosi.
In uno studio su 126 pazienti
con ipertrigliceridemia, di cui
46 con una pregressa diagnosi di PA, si sono rilevate differenze significative (p < 0,05)
nei livelli medi dei trigliceridi
ma senza mutazioni significa-
Tabella I.
Fattori di rischio per la pancreatite acuta.
Ostruzione duttale
• anomalie anatomiche
• calcoli biliari
• parassiti
• tumori
• colangiopancreatografia retrograda transendoscopica
Fattori metabolici
• iperlipidemia
• ipercalcemia
• acidosi (ad esempio, chetoacidosi diabetica)
Tossine
• alcool etilico (alte dosi )
• insetticidi organofosforici (inibitori dell’acetilcolinesterasi)
• tossina dello scorpione (varietà Caraibica e Sudamericana)
Medicamenti (elenco parziale)
• acetaminofene
• azatioprina
• eritromicina
• estrogeni
• exenatide
• furosemide
• 6-mercaptopurina
• metronidazolo
• FANS
• pentamidina
• stavudina
• sulindac
• tetraciclina
• acido valproico
Infezioni
• virus
• batteri
Trauma
• penetrante o meno
• chirurgico
Ischemia
• idiopatica
Fattori genetici
• gene del tripsinogeno cationico (PRSS1)
• gene di PSTI/SPINK1
• gene del chimotripsinogeno C (CTRC)
• gene del recettore sensibile al calcio (CASR)
• gene della fibrosi cistica (CFTR)
(da Whitcomb, 2010 11, mod.).
tive di PRSS1 e PSTI/SPINK1.
Al contrario, la mutazione
CFTR I556V CFmild-variant è stata
dimostrata in 12/46 pazienti
41
F. Adragna et al.
Tabella II.
Fattori di rischio per la pancreatite acuta ricorrente e cronica.
Pancreatite cronica associata a pancreatite acuta di grado severo e pancreatite
acuta ricorrente
• post-necrotica (pancreatite acuta di grado severo)
• da malattia vascolare/ischemica
• post-attinica
Idiopatica
• esordio precoce
• insorgenza tardiva
• tropicale
Ostruttiva
• pancreas divisum
• ostruzione del dotto pancreatico (ad esempio, tumore)
• cicatrice post-traumatica del dotto pancreatico
• disturbi dello sfintere di Oddi
• cisti della parete duodenale pre-ampollare
Tossico-metabolica
• alcool
• fumo di tabacco
• ipercalcemia
• iperlipidemia
• insufficienza renale cronica
• farmaci
• tossine
Autoimmune
• pancreatite cronica autoimmune isolata
• pancreatite cronica autoimmune sindromica
- associata alla sindrome di Sjogren
- associata a malattia infiammatoria cronica dell’intestino
- associata a cirrosi biliare primitiva
• altro
Fattori genetici
• geni per citochine pro-infiammatorie
• gene del tripsinogeno cationico (PRSS1)
• gene di PSTI/SPINK1
• gene della fibrosi cistica (CFTR)
• gene alfa-1 antitripsina
(da Whitcomb, 2010 11, mod.).
con PA. Questi dati indicano
che, in pazienti con ipertrigliceridemia, la compresenza di
mutazioni dei geni coinvolti
nella produzione degli enzimi
pancreatici e delle citochine
proinfiammatorie può svolgere un ruolo sinergico nello
sviluppo della PA 4.
42
Pancreatite
cronica
Mutazioni genetiche
del tripsinogeno
Il tripsinogeno è il più importante enzima pancreatico perché
la sua attivazione a tripsina innesca una cascata enzimati-
ca attivante gli altri proenzimi.
Esistono 3 diversi tipi di tripsinogeno: cationico, anionico e mesotripsinogeno. Il più
abbondante è il tripsinogeno
cationico, codificato dal gene
PRSS1, che attiva il 60% circa
dall’attività totale della tripsina,
seguito dall’anionico, o PRSS2,
responsabile dell’attivazione del
restante 30-40%. Nel lume intestinale l’enterochinasi trasforma il tripsinogeno in tripsina,
che è in grado di attivare gli altri
proenzimi digestivi prodotti dal
pancreas. Il tripsinogeno può
essere attivato anche dalla tripsina, fenomeno che prende il
nome di “autoattivazione”. L’enzima attivo è pure in grado di
degradare il suo precursore (autolisi). Fattori modulanti l’(auto)
attivazione del tripsinogeno
e l’inattivazione della tripsina
sono il pH, lo ione calcio e gli
acidi biliari 2. La compartimentalizzazione degli enzimi all’interno di specifici granuli (granuli
di zimogeno) e l’inibizione intraduttale della tripsina da parte
di PSTI/SPINK1 ne impediscono l’autoattivazione intrapancreatica. PSTI/SPINK1 è stata
studiata su topi “knockout”; le
cellule acinose pancreatiche
embrionali mostravano una degenerazione vacuolare, che, alla
nascita, portava all’agenesia
acinare. Il tipo di morte cellulare
dimostrato non era né necrotico
né apoptotico, ma autofagico 5.
Studi su famiglie con PC ereditaria hanno riportato una mutazione puntiforme nell’esone
3 del gene PRSS1 (365G > A:
R122H) capace di aumentare
l’attivazione della tripsina. Altra mutazione responsabile di
aumentata attività della tripsina
è nota nell’esone 2 (85A > T:
RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE
Geni e pancreas
Figura 1.
Meccanismi patogenetici del danno cellulare nelle pancreatiti.
N29I). Almeno altre 20 mutazioni sono state riscontrate in
famiglie con storia di PC ereditaria, ma solo 3 (A16V, D22G e
K23R) sono realmente associate all’insorgenza di PC nella popolazione caucasica 6. Tali mutazioni sono di tipo autosomico
dominante, con una penetranza
dell’80-90%. La correlazione fra
mutazione e incremento dell’attività tripsinica è stata spiegata
su cavie: R122H aumenta l’autoattivazione del tripsinogeno e
impedisce l’inattivazione della
tripsina 7; N29I favorisce l’autoattivazione dell’enzima e riduce
l’attività di PSTI/SPINK1; A16V,
D22G e K23R inducono un’aumentata autoattivazione della
tripsina, modificandone il sito
attivo di clivaggio 6.
Il rischio relativo di cancro del
pancreas in pazienti con PC ereditaria da mutazioni di PRSS1 è
50-70 volte superiore alla media,
e circa il 40% svilupperà la neoplasia entro i 70 anni 7.
Mutazioni genetiche del
chimotripsinogeno C (CTRC)
Il CTRC è una proteina ad attività chimotripsina-simile, capace di distruggere la tripsina,
attaccando la molecole all’interno del sito legante il calcio e
bloccando il potenziale autocatalitico dell’enzima. Uno studio
tedesco ha identificato varianti
di CTRC nel 3,3% dei pazienti
con PC (mutazione missense
R254W e delezione in-frame
K247_R254del) vs lo 0,7% dei
controlli, con un aumento di 5
volte della probabilità di pancreatite 8. Altre 18 varianti, ma
con una frequenza molto inferiore, sono state identificate da
uno studio francese 9.
Mutazione geniche del
recettore sensibile al calcio
(CASR)
Il CASR è associato ad una
proteina G di membrana capace di “percepire” i livelli extracellulari del calcio. Varianti ge-
niche di CASR (circa 200) sono
associate a sindromi ipercalcemiche 10. Uno studio su una
famiglia affetta da FHH (familial
hypocalciuric hypercalcemia),
con storia anche di PC familiare, ha mostrato che solo i
pazienti con mutazioni a carico sia di SPINK1 che di CASR
(c.518T > C SNP) avevano sviluppato la PC. La presenza di
anomalie a carico dei sistemi di
controllo dell’attivazione della
tripsina (SPINK1) rende più pericolosa, per il rischio di pancreatite, l’ipercalcemia da iperparatiroidismo. Altre varianti
di CASR associate a PC sono
poi risultate L173P, V477A e
A986S, in associazione o meno
con varianti di SPINK1 10.
Mutazioni genetiche del CFTR
Il CFTR è un canale del cloro
che nel pancreas regola la secrezione di acqua, sodio, cloro
e bicarbonato. Le sue mutazioni, come nella fibrosi cistica
(FC), provocano un’alterazione
della secrezione di ioni cloro
ed un maggior riassorbimento
di acqua e sodio. Alcune mutazioni del CFTR sono associate
alla PC, con o senza FC. Audretz ha identificato 28 mutazioni e 22 polimorfismi 9 che, riducendo il contenuto di acqua
e sodio nel succo pancreatico,
rendendolo più denso e viscoso e più difficilmente escreto
nei dotti pancreatici, porterebbero all’attivazione intraparenchimale dei proenzimi.
Bibliografia
Bruno MJ. Current insights into
the pathogenesis of acute and
chronic pancreatitis. Scand J Gastroenterol Suppl 2001;234:103-8.
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Whitcomb DC. Genetic aspects
of pancreatitis. Annu Rev Med
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11
• Le patologie infiammatorie del pancreas sono causate da un’associazione di fattori genetici ed ambientali.
• Mutazioni a carico dei geni del tripsinogeno (PRSS), del chimotripsinogeno C (CTRC), del recettore sensibile al calcio
(CASR) e del “Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator” (CFTR) sono coinvolti nell’eziopatogenesi delle
pancreatiti croniche.
• Sembrano essere coinvolti nell’eziopatogenesi della pancreatite acuta alcune varianti dei geni che codificano il tumor
necrosis factor-α (TNF-α), l’interleuchina (IL)-1, antagonista recettoriale dell’IL-1 (IL-1RA), l’IL-6 e l’IL-10, citochine
coinvolte nei processi flogistici acuti.
• I soggetti affetti da iperlipoproteinemia di tipo I hanno una maggiore predisposizione verso l’insorgenza della pancre-
atite acuta a causa di mutazioni della lipoproteinlipasi (LPL) o deficit di apolipoproteina C-II.
44
ENDOSCOPY
LEARNING LIBRARY
a cura di
Salvatore Oliva
Ingestione di batterie a bottone:
descrizione di due casi con complicazioni esofagee
e proposta di un protocollo multidisciplinare di trattamento
Ingestion of button batteries:
report of two clinical cases with esophageal complication
and proposal for a multidisciplinary protocol of treatment
Introduzione
Negli ultimi anni sono comparse segnalazioni di
casi mortali, conseguenti all’ingestione in età pediatrica di “button batteries” (BB) di tipo alcalino
(1,5V) o delle più recenti e potenti (3V) pile al litio (LB). Al momento attuale (febbraio 2015) sono
riportati nel mondo 38 decessi, il 70% dei quali
dovuti alla formazione di una fistola tra esofago
e aorta o altri grossi vasi mediastinici 1. Il rischio
di sequele maggiori o di morte si verifica quando
la BB è in stretto contatto con le mucose, come
nelle localizzazioni esofagee. Nei liquidi tissutali
la BB attiva un flusso elettrico di ioni idrossido
fortemente alcalini al polo negativo, con ustioni ulcerative già dopo 2 ore dall’ingestione. La
potenzialità lesiva è direttamente proporzionale
al voltaggio 2-4. È stato dimostrato che un “sanguinamento sentinella” (isolata ematemesi o melena) nelle ore o nei giorni prima dell’emorragia
fatale da fistola esofago-vascolare, può essere
un sintomo di presentazione atipico 5. Il sanguinamento massivo può insorgere mentre la pila
è ancora presente nel tratto gastro-intestinale o
dopo la sua rimozione, con un intervallo riportato
da 2 a 28 giorni 1, 4. Ciò evidenzia come si tratti di
una lesione che si aggrava progressivamente nel
tempo, anche dopo la rimozione della pila stessa. Nei pazienti con “sanguinamento sentinella”
emodinamicamente stabili vi è una finestra di
tempo che permette la riparazione chirurgica del
danno vascolare ed esofageo con alte probabilità di successo, come indicato nel protocollo di
Brumbaugh 5. È pertanto necessaria una rivisitazione del comportamento da osservare in caso di
ingestione di BB, in quanto in alcune condizioni la
rimozione endoscopica può risultare inadeguata.
Gli endoscopisti, i chirurghi generali e vascolari dovrebbero costituire una task force pronta a
fronteggiare, in un setting adeguato, ogni pos-
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:45-48
Arrigo Barabino1 (foto)
Silvia Vignola1
Paolo Gandullia1
Serena Arrigo1
Angela Calvi1
Luigi Dall’Oglio2
Filippo Torroni2
Paola De’Angelis2
Marta Bini3
Alfredo Rossi3
UO Gastroenterologia ed
Endoscopia digestiva, Istituto
G. Gaslini (IGG), Genova; 2 UO Chirurgia
digestiva ed Endoscopia, Ospedale Pediatrico
Bambino Gesù, Roma; 3 UO Endoscopia
digestiva, Ospedale Niguarda, Milano
1
Key words
Button battery ingestion • Children • Aortoesophageal fistula
Abstract
Two children with a lithium battery lodged
into esophagus are described. One died
because of aorto-esophageal fistula,
the other surviving despite esophageal
perforation. These experiences induced
specialists of two tertiary Italian pediatric hospitals and two adult’s gastroenterologists to upgrade a panel of experts in
the field. A new protocol for the management of disk battery ingestion in children
was developed, representing the opinion
of some members of the Italian Society
for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (SIGENP).
Indirizzo per la corrispondenza
Arrigo Barabino
via G. Gaslini 5, 16148 Genova
E-mail: [email protected]
45
A. Barabino et al.
sibile drammatica evenienza.
Due casi emblematici hanno
indotto specialisti di due ospedali pediatrici di terzo livello e
due endoscopisti dell’adulto a
costituire un “panel” sul trattamento dell’ingestione di BB
nel bambino. Dalle riunioni del
panel e dalla revisione della letteratura è scaturita la proposta
di un nuovo protocollo rappresentante l’opinione di esperti
appartenenti alla SIGENP.
Caso 1
Una bimba di 2 anni nel Giugno
del 2010 viene accompagnata
alle h. 8:30 al Pronto Soccorso (PS) dell’Istituto “Giannina
Gaslini” (IGG) per la comparsa, in pieno benessere, di un
unico vomito ematico insorto
circa un’ora prima. L’anamnesi
è muta per ingestione di corpo estraneo o altro. All’esame
obiettivo si riscontra solo una
modesta tachicardia; gli altri
parametri vitali sono nella norma, le indagini di laboratorio
rivelano: Hb 7,7 g/dl, piastrinosi, iperfibrinogenemia e ipoalbuminemia. Si programma
gastroscopia entro le 12 ore
dall’ematemesi e viene somministrato omeprazolo e.v. Alle
h. 13:30 si verifica un ulteriore
calo dell’Hb (6,6 g/dl), pur in
assenza di ulteriori sintomi, con
parametri vitali stabili. Si procede ad effettuare emotrasfusione e si infonde octreotide. Alle
h. 16:15, mentre la piccola è in
procinto di essere trasferita in
sala operatoria, compare ematemesi incontrollabile e successivo arresto cardio-respiratorio.
Nonostante le pronte manovre
rianimatorie da parte del team
di terapia intensiva, la bambina
46
muore alle h 19. L’autopsia rivela una fistola aorto-esofagea
dovuta alla presenza di una pila
al litio CR2032 incarcerata in
esofago.
Caso 2
Un bambino di 5 anni, a settembre 2012, viene accompagnato alle h. 19:30 al PS
dell’IGG per dolori epigastrici
persistenti. Per lo stesso motivo era stato visitato tre giorni prima con prescrizione di
omeprazolo. La madre sospetta l’ingestione di una moneta.
L’obiettività e gli esami di laboratorio sono negativi. L’Rx
torace-addome rivela una LB
in sede medio esofagea. Alle
20:30 si esegue gastroscopia
in sala operatoria con riscontro
di una CR2032 incarcerata in
un’ampia ulcera della parete,
con gemizio di sangue. La pila
non viene rimossa. Viene convocato d’urgenza il chirurgo
vascolare reperibile che, dopo
circa 25 minuti, esegue toracotomia laterale: non si evidenziano lesioni dell’aorta. A torace aperto si ripete l’endoscopia
e, mediante transilluminazione,
sono esclusi rapporti direzionali tra aorta e batteria, che
viene quindi spinta in stomaco
e recuperata. Il bambino viene
posto in nutrizione parenterale
totale con somministrazione
di antibiotici e omeprazolo ev.
Dopo 7 gg si assiste a perforazione spontanea dell’esofago trattata conservativamente,
senza alcuna sequela.
Protocollo
Il protocollo è schematicamente sintetizzato in Figura 1.
L’Rx torace-addome definisce localizzazione, diametro
e tipologia della batteria con
il caratteristico doppio anello
o “effetto alone”. Le LB sono
più piatte e più larghe (> 20
mm) rispetto alle BB alcaline.
Le prime sono più frequentemente intrappolate in esofago
nei bambini più piccoli. Solo in
caso di sanguinamento attivo
la localizzazione della BB non
è cruciale. Una batteria può
aver soggiornato in esofago il
tempo sufficiente per indurre
gravi lesioni prima di migrare
in altri organi. In accordo con
la presentazione clinica è necessario monitorare i parametri
vitali e allertare l’endoscopista,
il team di rianimazione e i chirurghi generale e vascolare. È
raccomandata
l’esecuzione
di emocromo, coagulazione e
prove crociate. L’otorino può
avere un ruolo nella rimozione
mediante esofagoscopio rigido
in caso di BB localizzate nel
terzo superiore dell’ esofago o
di severo edema mucoso.
Comparando il protocollo proposto con quello di Brumbaugh 5, i seguenti punti richiedono ancora conferme cliniche:
1)l’uso del tubo di Blakemore potrebbe non essere indicato quale trattamento di
emergenza del sanguinamento aortico;
2) la toracotomia potrebbe essere evitata in caso di sanguinamento sentinella, BB
non in esofago e angio-TC
negativa per compromissione vascolare;
3)in un bambino senza sanguinamento e BB in esofago
la rimozione immediata della pila è da considerare con
attenzione. È nostra opinio-
ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY
Ingestione di batterie a bottone
Figura 1.
Management operativo in caso di ingestione di “button battery” (BB) alcalina o litio.
47
A. Barabino et al.
ne che la presenza di ulcerazioni severe, sanguinanti,
con BB incarcerata nella
parete esofagea, anche in
assenza di emorragia sentinella, potrebbe controindicarne la rimozione per il
rischio di attivare una fistola
aorto-esofagea sottostante con immediate e fatali
conseguenze. L’endoscopia
dovrebbe essere interrotta
al fine di procedere alla toracotomia esplorativa.
4)I bambini senza sanguinamento e pila in stomaco
potrebbero essere approcciati a seconda della presenza o meno di sintomi.
Lesioni gravi possono essere riscontrate nella mucosa gastrica poche ore
dopo l’ingestione, soprattutto in età pediatrica 6. La
letteratura disponibile non
permette di stabilire un tempo limite prima di eseguire l’endoscopia. Tuttavia,
considerando la possibilità
di lesioni gravi ed evolventi
anche nello stomaco, il panel suggerisce una riduzione prudenziale del tempo
d’attesa.
Il protocollo presuppone un’organizzazione complessa allestibile solo in ospedali a
carattere regionale. Il comportamento dei sanitari di ospedali
non attrezzati a fronteggiare le
situazioni a rischio, dovrebbe
essere improntato a:
1)conoscere la gravità del
problema;
2) aver individuato il più vicino
centro di riferimento, con
il quale sia stato stabilito il
tipo di collaborazione ed il
canale più rapido per il trasferimento del bambino (attivazione di “reti regionali”);
3)provvedere al trasferimento
con la tempistica più adatta
in base alla presentazione
clinica ed al riscontro radiologico;
4)fornire un trasporto “protetto” utilizzando personale
coerente con questo tipo di
emergenza (team medicoinfermieristico di terapia intensiva).
Bibliografia
National Capital Poison Center:
http://www.poison.org/battery/fatalcases.asp
1
Jatana KR, Litovitz T, Reilly JS,
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Litovitz T, Whitaker N, Clark L.
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analysis of 8648 cases. Pediatrics
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3
Litovitz T, Whitaker N, Clark L,
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hazard: clinical implications. Pediatrics 2010;125:1168-77.
4
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Brumbaugh DE, Colson SB, Sandoval JA, et al. Management of button battery–induced hemorrhage
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6
Takagaki K, Perito ER, Jose FA,
et al. Gastric mucosal damage
from ingestion of 3 button cell
batteries. J Pediatr Gastroenterol
Nutr 2011;53:222-3.
• L’ingestione di batterie a bottone nei bambini sta diventando un problema emergente, soprattutto in seguito alla mes-
sa in commercio delle potenti pile al litio.
• Se localizzate nell’esofago le batterie a bottone (in particolar modo quelle al litio) possono causare in poche ore com-
plicazioni anche fatali, come nel caso di formazione di fistola aorto-esofagea.
• Sulla base dell’esperienza acquisita da due significativi casi clinici e dalla revisione della letteratura, un panel di
esperti ha redatto una proposta di un nuovo protocollo gestionale multidisciplinare.
• Anche se le emergenze prospettate dal protocollo possono essere fronteggiate solo in un centro di riferimento di terzo
livello, vengono forniti suggerimenti per guidare il comportamento dei sanitari operanti in strutture periferiche.
48
a cura di
Teresa Capriati
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST
FOR CLINICAL PRACTICE
Le nuove linee guida del National
Institute for Health and Care Excellence
(NICE) sul reflusso gastroesofageo:
quali sono le raccomandazioni?
Quali le considerazioni?
The new National Institute for Health and Care Excellence
(NICE) guidelines on gastroesophageal reflux: what are
the recommendations? What are the considerations?
Il primo numero di questa nuova rubrica è dedicato alle recentissime linee guida del National Institute for Health and Care Excellence (NICE) sul reflusso gastroesofageo e sulla malattia da reflusso
gastroesofageo. Tali linee guida suggeriscono al
pediatra, a cui sono principalmente dirette, un approccio chiaro e ragionato al problema. Il “format”
della rubrica prevede una presentazione, in forma
sintetica ma completa, delle linee guida esaminate affiancata da un commento critico e attento da
parte di un esperto nel settore. In questo primo
numero è la dottoressa Silvia Salvatore a mettere in luce punti di forza e di debolezza delle linee
guida presentate. Speriamo con questo di fare
cosa gradita a quanti, pediatri e specialisti, non si
stancano e non si stancheranno mai di esercitarsi
nella difficile e sottile arte di tradurre l’evidenza
scientifica in pratica clinica quotidiana.
Teresa Capriati
Quali sono
le raccomandazioni?
Nel mese di gennaio 2015 sono state pubblicate
le nuove linee-guida (LG) britanniche del National
Institute for Health and Care Excellence (NICE) su
reflusso gastroesofageo (RGE) e malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) in età pediatrica 1.
In queste LG, come già nelle precedenti europee
e americane (ESPGHAN-NASPGHAN e AAP) 2, 3,
si ribadisce che il RGE è un fenomeno frequente
e fisiologico e che la maggioranza dei lattanti con
RGE, in assenza di sintomi o segni di allarme, necessita unicamente di consigli e rassicurazioni per
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:49-54
Teresa Capriati
Unità Operativa Semplice di
Nutrizione artificiale, Ospedale
Pediatrico Bambino Gesù, Roma
Key words
Gastroesophageal reflux (GER) •
Endoscopy • PH-monitoring •
Thickened formula • Alginate •
Acid inhibitors
Abstract
A new (National Institute for Health
and Care Excellence (NICE) guideline
for gastroesophageal reflux (GER) has
recently been published. GER-disease
(GERD) is defined as GER complications
or symptoms severe enough to merit
treatment. Parental advices, “red flags”
symptoms, differential diagnosis, at
risk conditions and indications for endoscopy and pH(impedance)-monitoring
are presented. Initial management for
GER and GERD and nutritional, pharmacological and surgical treatment for
GERD are also illustrated.
Indirizzo per la corrispondenza
Teresa Capriati
piazza Sant’Onofrio 4, 00165 Roma
E-mail: [email protected]
49
T. Capriati
i genitori ed eventuali indicazioni su quando necessaria una
rivalutazione pediatrica o una
visita specialistica (Tab I). La discriminante fondamentale nella
valutazione di un bambino con
RGE è rappresentata dalla presenza di un’evidente sintomatologia di rigurgito/vomito.
In assenza di rigurgito/vomito
evidente non è indicato indagare di routine o trattare un neonato/bambino che presenti uno
solo dei seguenti segni/sintomi:
difficoltà inspiegabili di alimentazione (ad esempio rifiuto dei
pasti, conati di vomito o crisi
di soffocamento), agitazione,
scarsa crescita, tosse cronica,
raucedine o un singolo episodio di polmonite. Si prenderà in
considerazione, invece, una valutazione specialistica gastroenterologica, anche in assenza
di evidente rigurgito/vomito, in
alcuni casi bene definiti:
•neonati/lattanti con sindrome
di Sandifer (episodico torcicollo con estensione e rotazione del collo) o persistente
inarcamento della schiena
•adolescenti che riferiscono:
bruciore di stomaco, dolore retrosternale, dolore epigastrico.
•casi in cui si sospettino, sulla
base dei sintomi, complicanze
dovute al RGE: polmoniti ricorrenti da aspirazione, frequenti
otiti medie (più di 3 episodi in
6 mesi), erosione dentale in
bambini/adolescenti con handicap neuromotorio (in particolare con paralisi cerebrale).
•condizioni in cui è descritta
una aumentata prevalenza di
MRGE: parto prematuro, storia familiare di pirosi o rigurgito acido, obesità , ernia iatale,
storia di ernia diaframmatica
congenita (operata) o atresia
50
Tabella I.
Cosa fare in caso di rigurgito fisiologico?
Rassicurare i genitori/tutori dei lattanti, in buono stato di salute, con rigurgito con le
seguenti argomentazioni:
• il RGE è molto comune (colpisce almeno il 40% dei neonati)
• di solito inizia prima che il bambino abbia 8 settimane di vita
• può essere frequente (5% dei lattanti presentano 6 o più episodi al giorno)
• solitamente diventa meno frequente con il tempo (si risolve nel 90% dei bambini
affetti prima di 1 anno di età)
• generalmente non ha bisogno di ulteriori indagini o trattamenti
Dire ai genitori/tutori di far rivalutare il bambino se si verifica una delle seguenti
condizioni:
• il rigurgito diventa persistentemente a getto
• il vomito è biliare (verde o giallo-verde) o con sangue
• compaiono segni/sintomi nuovi quali agitazione o irritabilità importante, difficoltà
di alimentazione o arresto della crescita
• persiste un frequente rigurgito oltre il primo anno di vita.
esofagea congenita (operata), handicap neuromotorio,
asma (nei bambini asmatici il
RGE è più frequente ma non
c’è evidenza che esso causi
o peggiori l’asma), MRGE già
diagnosticata, eventi apparentemente pericolosi per la
vita (Apparent Life Treatening
Episodes, ALTEs) o apnee inspiegabili.
In neonati/bambini/adolescenti
con vomito o rigurgito devono,
d’altra parte, essere esclusi segni/sintomi di allarme (le cosiddette “bandiere rosse”) possibili
indicatori di disturbi diversi dal
RGE. In particolare va posta attenzione alla presenza di segni/
sintomi gastrointestinali che possono rappresentare un’indicazione chirurgica: vomito ripetuto
nei primi mesi di vita o vomito
biliare, distensione o resistenza
addominale, presenza di una
massa palpabile. È indicata, inoltre, una valutazione gastroenterologica nel caso di ematemesi
(escludere preventivamente ingestione di sangue da epistassi nel bambino più grande o da
ragadi al seno negli allattati con
latte materno), di esordio tardivo
di rigurgito/vomito (> 6 mesi di
età) e/o sua persistenza oltre il
primo anno di età, di diarrea cronica e/o sangue nelle feci o di un
alto rischio di atopia (in questo
caso potrebbe essere indicata
anche una valutazione allergologica). Ci sono, inoltre, segni
generali di allarme che associati
al sintomo vomito/rigurgito devono sempre far pensare a patologie diverse dal RGE/MRGE
e pertanto spingere a indagini
e valutazioni non strettamente gastroenterologiche: aspetto
sofferente, malessere generale,
febbre, disuria, fontanella pulsante, rapido aumento della circonferenza cranica (più di 1 cm
a settimana), persistente cefalea, vomito mattutino, alterata
reattività (per es. letargia o irritabilità). Le indicazioni per esami
radiologici, endoscopia (EGDS)
e pH-(impedenzo) metria sono
illustrate nella Tabella II mentre
nella Tabella III sono riassunti i
principali suggerimenti di management medico, farmacologico,
nutrizionale e chirurgico secondo le linee guida NICE.
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE
Linee guida NICE sul GER
Tabella II.
Procedure diagnostiche per RGE/MRGE e loro indicazioni.
Indagini
diagnostiche
pH metria
(o pH-impedenzometria
laddove possibile)
Solo pH-metria
Quando effettuarle
• Sospetta ricorrente polmonite ab ingestis
• Inspiegabili apnee o infiammazione delle vie aeree superiori o episodi simil-convulsivi non epilettici
• Frequenti otiti medie (> 3 episodi in 6 mesi)
• Erosione dentale associata a neurodisabilità
• Qualora il bambino debba essere sottoposto a fundoplicatio
• In caso di sospetta sindrome di Sandifer
• Se clinicamente necessario provare l’efficacia della soppressione acida
Radiografia dell’apparato
digerente con pasto
baritato
• Non consigliato né per diagnosticare né per valutare la gravità della MRGE
• Da eseguire se vomito biliare (persistente e/o ricorrente) o disfagia
EGDS + biopsie
• Ematemesi non causata da sangue ingerito (epistassi o ragadi), melena o disfagia (con esame in
urgenza se clinicamente indicato)
• Non miglioramento del rigurgito dopo l’anno di vita
• Scarsa crescita persistente associata a rigurgito
• Agitazione inspiegabile in bambini/adolescenti con difficoltà di comunicazione
• Dolore retrosternale, epigastrico o addominale superiore che necessita di una terapia medica
continua o è refrattario alla terapia medica
• Rifiuto ad alimentarsi e storia di rigurgito
• Anemia sideropenica inspiegabile
• Sospetta sindrome di Sandifer
Tabella III.
Management medico-comportamentale, farmacologico, nutrizionale e chirurgico del RGE/MRGE.
Gestione iniziale di RGE e MRGE
Non utilizzare la posizione antireflusso per trattare il RGE durante il sonno nei lattanti (i lattanti dovrebbero dormire supini).
In lattanti allattati al seno con frequenti rigurgiti e distress o agitazione importante valutare se la modalità di allattamento al seno è corretta.
Nei lattanti allattati con formula con frequenti rigurgiti e distress o agitazione importante:
• rivedere l’alimentazione;
• ridurre i volumi dei pasti (solo se eccessivi per il peso del bambino) poi;
• offrire pasti più piccoli ma più frequenti (mantenendo una quantità giornaliera totale adeguata di latte);
• se i pasti sono già piccoli e frequenti, allora provare una formula ispessita (per esempio, contenente amido di riso, amido di
mais, farina o semi di carruba).
Nei lattanti sia allattati al seno sia con formula con frequenti rigurgiti e segni di distress o agitazione importante nei quali l’approccio precedente non abbia migliorato i sintomi si consideri la terapia con alginato per un periodo di 1-2 settimane. Se la terapia con
alginato ha successo continuare con questa, provando con intervalli di sospensione.
Trattamento farmacologico
Prendere in considerazione 1.In coloro che non sono in grado di riferire circa i loro sintomi (per esempio, i lattanti e bambini piccoli,
e quelli con neurodisabilità) che presentano rigurgito associato a 1 o più dei seguenti sintomi:
una terapia per 4 settima• difficoltà di alimentazione inspiegabili (ad es. rifiuto dei pasti, conati di vomito o soffocamento);
ne con inibitori di pompa
• agitazione;
protonica (PPI) o farmaci
• arresto o scarsa crescita.
anti recettori H2 dell’istamina (H2RA) nei casi se- 2.In bambini/adolescenti con pirosi persistente, dolore retrosternale o epigastrico.
guenti:
3.In caso di esofagite da reflusso diagnosticata con endoscopia (considerare l’ipotesi di ripetere
l’esame endoscopico se necessario per guidare il successivo trattamento).
Valutare la risposta alla terapia di 4 settimane con PPI o H2RA, e considerare di rivolgersi ad uno
specialista per una possibile endoscopia se i sintomi non si risolvono o si ripresentano dopo l’interruzione del trattamento.
segue
51
T. Capriati
continua Tabella
III.
Trattamento farmacologico
Come scegliere tra PPI e
H2RA?
Tener conto di:
• disponibilità di preparati adatti alla età;
• preferenza del genitore/tutore, bambino o adolescente;
• costo del farmaco.
Raccomandazioni sulla
terapia farmacologica
Non dare farmaci acido-soppressori (come PPI o H2RA), per il trattamento di lattanti e bambini in cui
il rigurgito sia un sintomo isolato.
Non dare metoclopramide, domperidone o eritromicina per trattare RGE o MRGE senza una consulenza specialistica e tenendo conto dei loro potenziali effetti avversi.
Nutrizione enterale (NE) per MRGE
Prendere in considerazione la nutrizione enterale solo per promuovere l’aumento di peso nei bambini con rigurgito e scarsa
crescita se:
• sono state escluse altre possibili cause di scarsa crescita e/o;
• le raccomandazioni nutrizionali e l’approccio terapeutico al rigurgito sono inefficaci.
Prima di iniziare la NE programmare:
• un piano nutrizionale specifico e personalizzato;
• una strategia per ridurre la NE quanto prima e una strategia di salvataggio nel caso in cui sia necessario arrestare in breve
tempo la NE.
Una volta avviata la NE ricordarsi di:
• continuare, durante la NE, a fornire una stimolazione orale con un’alimentazione per bocca nelle quantità tollerate;
• seguire un piano nutrizionale che permetta di raggiungere il peso target e poi di mantenere un adeguato incremento ponderale;
• ridurre e interrompere la NE appena possibile.
Considerare l’alimentazione digiunale per pazienti che hanno bisogno di NE ma che non possono tollerare i pasti intragastrici a
causa di importante reflusso gastroesofageo o della possibilità di una polmonite ab ingestis.
Chirurgia per MRGE
Prima di eseguire una fundoplicatio effettuare una EGDS con biopsie esofagee e considerare l’esecuzione di altre indagini (pHmetria esofagea o pH-impedenziometria esofagea se disponibile) e uno studio radiologico contrastografico
Considerare la fundoplicatio in pazienti con grave MRGE intrattabile se:
• un adeguato trattamento medico non ha avuto successo;
• il regime alimentare non riesce a gestire la MRGE: per esempio nel caso di NE continua e ispessita a lungo termine.
52
a cura di
Teresa Capriati
Quali sono le
considerazioni?
Le linee guida NICE sono focalizzate sull’iter diagnostico e sul management terapeutico del lattante/
bambino/adolescente con RGE/MRGE e offrono un
approccio pratico e delle precise indicazioni sia per
le valutazioni strumentali che per la terapia farmacologica, nutrizionale e chirurgica.
In queste nuove linee guida, come già in quelle
europee (ESPGHAN) e americane (NASPGHAN e
AAP) 2, 3, si ribadisce come il RGE sia un fenomeno
frequente e fisiologico e come la maggioranza dei
lattanti con RGE, in assenza di altri sintomi o segni
di allarme, non necessiti di valutazioni specialistiche,
esami o terapia ma unicamente di consigli e rassicurazioni rivolte ai genitori e/o a chi li accudisce.
D’altra parte nelle NICE troviamo una definizione di
MRGE che, pur differendo apparentemente solo leggermente da quella delle altre linee guida, porta con
sé ripercussioni pratiche importanti. La MRGE nelle
NICE, infatti, è definita come una condizione che è
determinata da un RGE con complicanze o sintomi tanto severi da meritare un trattamento medico.
Il trattamento delle complicanze del RGE nelle raccomandazioni NICE è simile a quello proposto nelle
precedenti LG sebbene nelle NICE tra le complicanze siano riportate l’esofagite, le ricorrenti polmoniti
ab ingestis, le erosioni dentali nei pazienti con neurodiasabilità e le otiti ricorrenti intese come più di 3 episodi in 6 mesi (nonostante la relazione delle otiti con
il RGE sia ancora poco chiaro) e non venga, invece,
citata la stenosi esofagea. L’indicazione ad avviare
una terapia sulla base del sintomo, invece, differenzia
queste raccomandazioni dalle precedenti linee guida. In effetti nelle LG ESPGHAN, NASPGHAN e AAP
la presenza di “troublesome symptoms” cioè “sintomi che determinano problemi” può indicare non un
semplice RGE bensì una MRGE ma in ogni caso la
condizione necessaria per avviare una terapia farmacologica rimane sempre la presenza di una esofagite documentata o di una pH(impedenziometria)
patologica o comunque di una indicazione strumentale mentre l’unica indicazione clinica all’avvio della
terapia rimane la presenza di pirosi. È stato ampiamente dimostrato, infatti, che nessun altro sintomo o
segno (esofageo o extraesofageo) risulta altamente
sensibile o specifico di MRGE. Il pianto, l’agitazione
e l’irritabilità possono accompagnare il rigurgito e il
vomito del lattante tuttavia, la loro intensità, frequenza o durata non sono predittivi di MRGE né di rispo-
GUIDELINES: WHAT IS THE BEST
FOR CLINICAL PRACTICE
Silvia Salvatore
Dipartimento di Medicina clinica
e sperimentale,
Università dell’Insubria
Pediatria, Ospedale “F. Del Ponte”
Indirizzo per la corrispondenza
Silvia Salvatore
via F. Del Ponte 19, 21100 Varese
E-mail: [email protected]
sta a terapia con acido-inibitori 2-4. Nelle NICE,
invece, si (re)introduce la possibilità di iniziare il
trattamento farmacologico anche solo sulla base
di sintomi aspecifici quali, per esempio, i disturbi
di alimentazione, la scarsa crescita ed il “marked
distress”, cioè il pianto/agitazione/irritabilità giudicato “eccessivo” che non rispondono all’approccio comportamentale e dietetico. In questo modo
si ritorna a considerare, come nelle vecchie linee
guida NASPGHAN del 2001 5, per il lattante ed il
bambino piccolo, un approccio empirico con inibitori dell’acidità gastrica (sia ranitidina sia inibitori di pompa protonica o PPI) per un periodo fino
a 4 settimane. La rilevanza del sintomo “distress”
è, tuttavia, molto soggettiva e diversi studi hanno dimostrato una scarsa relazione con il RGE
acido soprattutto nei primi mesi di vita 2, 6. Negli
ultimi anni l’utilizzo dei farmaci acido soppressori
è aumentato in modo enorme ed ingiustificato,
soprattutto nel bambino piccolo, e sono stati dimostrati importanti effetti collaterali (in particolare infezioni gastrointestinali e respiratorie) 2, 7. Se
le LG Europee e Americane cercano di ridurre
queste prescrizioni proponendo un approccio
terapeutico più limitato ed oggettivo (basato sui
risultati di endoscopia e pH(impedenzo)metria, le
linee guida NICE offrono un possibile nuovo “stimolo” ad un’ipertrattamento farmacologico nel
bambino più piccolo. Inoltre, in caso di miglioramento la durata della terapia (dopo l’iniziale
ciclo di 4 settimane) non è precisata, l’opportu-
53
S. Salvatore
nità della sua riduzione graduale prima della sospensione non
viene riportata e la scelta del tipo
di acido inibitori (ranitidina o PPI)
non viene analizzata in termini di
efficacia ma viene praticamente
equiparata e lasciata alla scelta individuale e alla disponibilità
della formulazione. Viene, invece, ribadita la mancanza di evidenza di efficacia dei procinetici
nel RGE/MRGE e la possibilità di
effetti collaterali di questi farmaci. Per quanto riguarda l’approccio dietetico non viene considerato e ritenuto giustificato nel
lattante, sia in termini clinici sia
economici, un trial con formule
idrolisate spinte, come invece
consigliato nelle LG ESPGHAN
e NASPGHAN 2, mentre assume
un maggiore ruolo terapeutico
iniziale l’alginato sia per gli allattati al seno sia per gli allattati con
latte formula che non rispondano ad un primo approccio comportamentale-dietetico.
Viene, inoltre, suggerita come
importante discriminante nell’approccio al lattante la presenza
di rigurgito, nonostante sia già
stato dimostrato come la MRGE
possa essere presente anche in
assenza di questo sintomo 2-4.
Una maggior prevalenza di
MRGE viene indicata nei pazienti con familiarità per MRGE, ernia
iatale o affetti da ernia diaframmatica, atresia esofagea, neurodisabilità, obesità e prematurità,
nonostante per queste due ultime condizioni i dati in letteratura
siano scarsi e controversi. Come
nelle linee guida precedenti, viene, inoltre, riportato che il RGE
è più frequente nei bambini con
asma (ma non è dimostrato che
la causi o la peggiori), che alcuni
sintomi dell’allergia alle proteine
del latte vaccino sono simili a
quelli della MRGE, e che il RGE
solo raramente causa apnee o
ALTE ma, qualora se ne abbia
il sospetto, dopo la valutazione
pediatrica generale andrebbero
considerate una valutazione clinica ed indagini strumentali specialistiche.
In termini di indagini viene confermato come la MRGE non
possa essere diagnosticata con
esami radiologici ma solo con
l’endoscopia (EGDS) associata a
biopsie o con la pH-(impedenzo)
metria esami per i quali vengono
chiaramente esplicitate le indi-
cazioni. Una sezione finale viene
dedicata anche alle raccomandazioni per la nutrizione enterale e vengono proposti ulteriori
studi per chiarire la correlazione
tra RGE/MRGE e neurodisabilità, tra RGE/MRGE e allergia alle
proteine del latte vaccino e per
definire meglio le indicazioni al
trattamento chirurgico.
In conclusione abbiamo sottolineato alcuni aspetti differenti
delle linee guida NICE 2015 rispetto alle LG ESPGHAN-NASPGHAN del 2009 2 le cui raccomandazioni principali sono
approvate e confermate anche
dall’AAP nel 2013 3. Queste differenze sono, almeno in parte,
determinate dalla metodologia
applicata (a differenza di quelle
ESPGHAN/NASPGHAN le NICE
non sono basate sulla revisione
sistematica della letteratura e su
raccomandazioni con grading e
livelli di evidenza) e dall’eterogeneità della tipologia di autori
coinvolti nella redazione delle LG
NICE rispetto alle altre (pediatri
gastroenterologi, neurologi, chirurgi, medici sul territorio, dietiste, infermiere, rappresentanti di
pazienti).
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7
CASE REPORT
a cura di
Mariella Baldassarre
Soluzione
del caso clinico
di pagina 34
Sviluppo del caso
clinico
e risoluzione
In questa sede, gli accertamenti eseguiti al fine di approfondire
la diagnosi comprendono,oltre
agli esami routinari biochimici,
infettivologici su sangue,feci ed
urine, l’esecuzione di IgE totali, che risultano molto elevate
(3000 UI), e la fenotipizzazione
linfocitaria, che evidenzia un
alterato rapporto tra linfociti T
CD4 + naive (37%) e linfociti T
CD4 + memoria (56%), a favore
di questi ultimi. L’espressione
di CD25 da parte dei linfociti T
risulta assente. I dati riscontrati suggeriscono una sindrome
IPEX-like.
Viene quindi avviato presso un
laboratorio specializzato il sequenziamento diretto del gene
IL2RA/CD25. e viene identificata una mutazione in omozigosi
a livello dell’esone 2 (presente
in eterozigosi in entrambi i genitori), a conferma della diagnosi
di immunodeficienza (deficit di
CD25)*.
Contemporaneamente le stesse ricerche venivano effettuate
ai genitori,assieme alla valutazione della loro compatibilità
nell’eventualità della necessità
della donazione di cellule staminali ematopoietiche.
Confermata la diagnosi di sindrome da deficit di CD25, il
Graziella Guariso1
Marco Gasparetto2
Università degli Studi di Padova; 2 Università
degli Studi di Padova, Cambridge University
Hospitals Paediatric Gastroenterology Unit
1 bambino viene trattato con
aplo-trapianto di cellule staminali ematopoietiche dal padre,
previo condizionamento con
Treosulfan e Fludarabina ed immunoprofilassi per GVHD con
globuline anti-timociti (ATG),
Rituximab e Ciclosporina.
Il decorso post-trapianto è
complicato da trombosi del
seno venoso trasverso, fortunatamente risolta con terapia
eparinica.
L’engraftment è completo e
parallelamente si osserva una
riduzione dell’output fecale ed
una progressiva normalizzazione del quadro gastrointestinale, cutaneo e sistemico, completo recupero ponderale con
sospensione della nutrizione
parenterale e progressiva completa tolleranza della alimentazione per os.
Punti critici
della diagnostica
differenziale
Nella gestione clinica di questo
piccolo paziente, il riscontro
iniziale di rotavirus nelle feci ha
portato a considerare, in prima
battuta, l’ipotesi di un episodio
di gastroenterite acuta virale.
La persistenza della diarrea ed
il peggioramento severo delle
condizioni cliniche in termini di
bilancio idro-elettrolitico-me-
tabolico hanno rappresentato
il primo campanello di allarme per il nostro lattantino, che
viene infatti trasferito ad una
terapia intensiva in un centro
di terzo livello per la stabilizzazione clinica e la prosecuzione
delle indagini. L’esecuzione di
uno screening infettivologico
completo su sangue, feci ed
urine (comprendente la ricerca
del CMV, di fondamentale importanza considerata l’età del
bambino) dà esiti negativi in
questa occasione.
A questo punto, diventa stringente considerare le altre
possibili diagnosi differenziali,
ponderandole in ordine di frequenza per età e considerandone la compatibilità con la
presentazione clinica.
L’allergia alle proteine del latte
vaccino può manifestarsi con
un esordio clinico molto severo 2 (1a, A). Nel nostro caso, i
trial con formula estesamente idrolisata – prima – ed elementare – in una seconda
fase – non hanno dimostrato
alcun sostanziale beneficio ed
è stato pertanto necessario
avviare nutrizione parenterale
totale,peraltro senza successo,
e considerare altre ipotesi.
Una malattia infiammatoria
cronica intestinale ad esordio precoce (< 2 anni di vita)
è un’altra diagnosi compatibile
* Dott.ssa Eleonora Gambineri, Dipartimento di “NEUROFARBA”, Sezione della Salute del Bambino, Università di Firenze; Dipartimento di Ematologia-Oncologia: Unità Trapianto di Midollo, Dipartimento di Medicina Fetale e Neonatale: Malattie Rare; Ospedale dei bambini “Anna Meyer”.
Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2015;VII:55-57
55
G. Guariso, M. Gasparetto
con la presentazione clinica
del nostro paziente, ma come
sappiamo questo sottogruppo
di MICI generalmente è sotteso da mutazioni monogeniche e l’infiammazione cronica
dell’intestino rappresenta solo
una parte di un complesso disordine immunologico. Tra le
varie forme descritte, un deficit del recettore dell’IL10 è
parso poco probabile data l’
assenza di patologia perianale, caratteristica frequente in
questi casi 3 (1b, A).
Le gravi condizioni cliniche
non avrebbero in ogni caso
permesso di eseguire uno studio morfologico della mucosa
intestinale,mentre risultava di
estrema urgenza la diagnosi.
Il sesso maschile, l’assenza di
dismorfismi facciali, la presenza di rash eczematoso, l’alto
valore delle IgE, la diarrea precoce ed intrattabile ci hanno
indotto a indagare tempestivamente il fenotipo delle sottopopolazioni linfocitarie, indirizzandoci verso accertamenti
più specifici per la conferma
della diagnosi, ovvero una rara
forma di immunodeficienza 1
(1b, A). Altre forme di enteropatie neonatali da difetti genetici non si presentano solitamente con il corredo di sintomi
del nostro piccolo paziente 4
(1a, A).
Commento
Il recettore dell’interleuchina 2
(IL-2) è costituito dalle subunità α (ILR-2A, CD25), β (IL2RB, CD122) e γ common (IL2RG, CD132). L’espressione di
CD25 sulla superficie cellulare
56
è fondamentale per mantenere
la funzione immunologica e l’omeostasi 1(1b, A).
CD25 è coinvolto nella via di
segnalazione dell’IL2 durante la risposta immunitaria.
Tale pathway molecolare include STAT5 come mediatore
e culmina nell’attivazione di
FOXP3 1 (1b, A).
Alla luce dei pochi casi riportati in letteratura, i pazienti
con deficit di CD25 manifestano per lo più già nel primo
mese di vita manifestazioni
cliniche importanti che possono inizialmente simulare una
grave allergia al latte vaccino
(dermatite,enteropatia) ed infezioni virali ricorrenti. Il quadro clinico di tale condizione
richiama le caratteristiche della
sindrome IPEX (Immunodisregolazione, Poliendocrinopatia,
Enteropatia, X-linked) causata
da mutazioni nel gene FOXP3,
coinvolto nello stesso pathway
molecolare 1 (1b, A).
Il deficit di CD25 si associa a
profonda alterazione dei sottogruppi cellulari dei linfociti
T periferici, con linfoproliferazione pronunciata dei linfociti
T CD8 positivi, espansione del
compartimento delle cellule T
della memoria, preservazione delle cellule T regolatorie
FOXP3 + ed aumento dei markers di attivazione dei linfociti
T e delle citochine plasmatiche. Le cellule B ed NK risultano significativamente deplete 1 (1b, A).
Nonostante la similarità nel fenotipo tra questa forma di immunodeficienza e la IPEX, sostanziali sono le differenze dal
punto di vista molecolare ed
immunologico. Nella IPEX, infatti, la linfoproliferazione coinvolge primariamente i linfociti
T CD4 + ed il meccanismo
principale consiste nella perdita di regolazione dei linfociti
T reg (FOXP3mut T reg). Non
si tratta quindi di un processo
mediato da citochine, come
avviene invece nel deficit di
CD25. Inoltre, la risposta a patogeni risulta preservata nella
IPEX e le infezioni si verificano
prevalentemente come evento
secondario alle compromesse
condizioni cliniche dei pazienti
o ad immunosoppressione dovuta alla terapia in atto 1 (1b, A).
Altra differenza sostanziale tra
le due forme, è che nel deficit
di CD25 non sono dosabili autoanticorpi, come avviene, invece, nella IPEX 1 (1b, A).
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4
CASE REPORT
Soluzione del caso clinico
• La diarrea cronica nel neonato e nel lattante rappresenta una condizione potenzialmente severa, che richiede stabilizza-
zione immediata al fine di prevenire lo scompenso idro-elettrolitico e metabolico con possibili esiti letali.
• L’inquadramento diagnostico della diarrea cronica nel neonato e nel lattante è complesso e si fonda su un’analisi
ponderata di molteplici diagnosi differenziali comprendenti cause infettive (da non dimenticare, il CMV), e condizioni
congenite (difetti di digestione, assorbimento, trasporto di nutrienti ed elettroliti, difetti della differenziazione e polarizzazione dell’enterocita o delle cellule entero-endocrine, difetti della modulazione della risposta immunologica).
• Indagini di primo e secondo livello mirate al sistema immunitario sono fondamentali al fine di indirizzare eventuali
ulteriori accertamenti (es. sequenziamento), qualora emerga il sospetto di un’immunodeficienza.
• L’aplotrapianto di cellule staminali ematopoietiche rappresenta una cura efficace per pazienti con difetto di IL-2RA
(CD25). I casi con sospetto deficit immunologico andrebbero pertanto inviati a centri provvisti di un’unità di Oncoematologia Pediatrica, provvista di un centro trapianti, al fine di una presa in cura globale.
errata corrige
Nel numero 4/2014 nell’articolo “Che fare se la diarrea riprende dopo un quadro di enterite”, a pagina 44, la frase del penultimo capoverso riporta erroneamente: “diosmectite: riduce la durata della diarrea, aumentando consistenza delle feci e numero di evacuazioni”.
La frase corretta è: “diosmectite: riduce la durata della diarrea, aumentando consistenza
delle feci e riducendo numero di evacuazioni”.
Ce ne scusiamo con i lettori.
57
Focus on
a cura di
Mariella Baldassarre
Il ruolo degli alginati nell’era
degli inibitori di pompa protonica
Antonio Dimauro, Mariella Baldassarre
L’ARNO, osservatorio multicentrico delle prestazioni sanitarie erogate dal SSN, registra
da tempo la tendenza a utilizzare anti-H2 e inibitori di pompa protonica (IPP) nei primi
anni di vita per far fronte a sintomi quali rigurgito frequente,
vomito, inarcamento, irrequietezza e pianto inconsolabile.
Tali sintomi sarebbero riferibili
alla manifestazione di una malattia da reflusso gastro esofageo (GERD) soltanto nell’1-2‰
della popolazione al di sotto
dei tre anni mentre,
nella maggior parte dei casi in
questa fascia d’età, sottendono ad un disturbo di tipo “funzionale”, in cui non vi è quindi
nessuna flogosi o patologia
ulcerosa da curare. L’approccio ai suddetti sintomi è tuttavia spesso quello di trattare
una “possibile” (ma, come già
sottolineato, piuttosto improbabile) GERD senza compiere indagini strumentali che ne
confermerebbero la diagnosi. Da qui deriva l’aumentata
prescrizione ex adjuvantibus
di farmaci quali anti-H2 e IPP,
a discapito di quelli che sono
i documentati effetti collaterali
associati al loro uso (in particolar modo un significativo aumento delle infezioni gastrointestinali e respiratorie).
Nel 2014 la Cochrane colla-
boration ha analizzato in una
meta-analisi quelle che sono le
evidenze disponibili riguardo al
trattamento farmacologico dei
bambini con reflusso gastroesofageo. è stato evidenziato
che l’utilizzo di farmaci a base
di alginato di sodio o di magnesio risulta essere efficace
nel migliorare la sintomatologia correlabile al rigurgito funzionale, in assenza di seri effetti avversi. Tale indicazione è
ugualmente riportata nelle piu’
recenti linee guida del National
Institute for Health and Care
Excellence (NICE) sul reflusso
gastroesofageo. Naturalmente
sia la Cochrane del 2014 che
le linee guida NICE confermano l’efficacia di PPIs e anti H2
nella GERD appropriatamente
diagnosticata.
Il pediatra, di fronte ad una sintomatologia riferibile a reflusso
gastro-esofageo, in assenza
di “segnali di allarme” tali da
ipotizzare una GERD, dovrebbe soltanto fornire istruzione
e sostegno ai genitori circa la
normale evoluzione fisiologica
di questo disturbo funzionale,
che migliora nel corso del primo anno, e scompare a 12-18
mesi di vita. Qualora poi la percezione dei genitori riguardo
alla gravità del sintomo dovesse spingere il pediatra ad effettuare una prescrizione medica,
la sua scelta dovrebbe ricadere su farmaci a base di alginato di sodio o di magnesio
(quest’ultimo di più recente introduzione, presenta maggiore
viscosità rispetto al primo), in
modo da ridurre, come dimostrato, la frequenza e l’intensità
degli episodi di rigurgito senza
incorrere in dimostrati effetti
collaterali. In assenza di una
diagnosi certa di GERD, infatti,
l’uso improprio di anti-H2 o di
IPP provoca, nella bilancia di
valutazione rischio/beneficio,
uno sbilanciamento eccessivo
verso il rischio.
Bibliografia
Vandenplas Y, Rudolph CD, Di
Lorenzo C, et al. Pediatric gastroesophageal reflux clinical practice
guidelines: joint recommendations of the North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition
(NASPGHAN) and the European
Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition
(ESPGHAN). Pediatr Gastroenterol Nutr 2009;49:498-547.
1
Tighe M, Afzal NA, Bevan A, et
al. Pharmacological treatment of
children with gastro-oesophageal
reflux. Cochrane Database Syst
Rev 2014;24;11:CD008550.
2
National Institute of Health and
Care Excellence (NICE) Clinical
knowledge summaries on gastroesophageal reflux disease in children. www.nice.org.uk/guidance/
NG1.
3
C'è vita nelle …Aree
a cura di
Mariella Baldassarre
Il Pediatric Nutrition Day
Sergio Amarri
Le aree tematiche della SIGENP
sono l’anima della nostra società. È nell’ambito delle Aree,
infatti, in cui avviene il “brainstorming”, in cui più spesso si
muovono idee e progetti, in cui
emergono forze giovani.
Sergio
Amarri,
Segretario
dell’area di Nutrizione, ci parla
di un importante progetto lanciato a livello nazionale, il SIGENP Pediatric Nutrition Day.
Save the date!
16 aprile 2015
Numerosi studi riconoscono
l’influenza della malnutrizione
su esiti come la durata della degenza, la mortalità, la morbilità
ed i costi sanitari di trattamento
dei pazienti malnutriti rispetto
ai pazienti normonutriti. La letteratura è ricca di spunti in tal
direzione: la mancanza di una
definizione uniforme e condivisa di malnutrizione è responsabile del mancato riconoscimento di questa condizione, della
apparente bassa prevalenza e
del suo impatto sugli esiti nei
bambini (JPGN 2013). La società nordamericana di nutrizione parenterale ed enterale
(ASPEN) incoraggia l’utilizzo
dello standard deviation score
(SDS) nella pratica clinica (sia
per il BMI che per il rapporto
peso su altezza – WFH).
SIGENP ritiene importante “investire” sulla malnutrizione pediatrica poiché questa ha un’elevata prevalenza e porta ad effetti
negativi anche a lungo termine.
Il 19 febbraio 2015 a Roma
presso l’ospedale Bambino
Gesù, alla presenza del Dr. Alberto Villani, vice-presidente
della Società Italiana di Pediatria (SIP) è stato presentato il
SIGENP Italian Pediatric Nutrition Day. Dopo le relazioni di
Antonella Diamanti sul ruolo del
team nutrizionale e di Angelo
Campanozzi sulla malnutrizione
ospedaliera, Sergio Amari ha
presentato obiettivi e modalità
di esecuzione del progetto.
Il SIGENP Italian Pediatric Nutrition Day è un progetto che,
ispirandosi al Nutrition Day proposto tutti gli anni a livello internazionale (solo per pazienti
di età superiore ai sette anni),
prevede la misurazione di peso,
altezza e la raccolta di alcuni
dati clinici e organizzativi esclusivamente il giorno 16 aprile
2015 in tutti pazienti di età 0-18
anni ricoverati presso i reparti
pediatrici del nostro paese per
valutare la prevalenza della malnutrizione nei bambini e adolescenti in ospedale. A partire dal
20 febbraio e fino al 14 aprile
sarà possibile registrarsi come
centro per aderire sul sito http://
nday.biomedia.net che contiene
il materiale informativo completo sul progetto.
Gli obiettivi di questa rilevazione sono:
a)valutare la nutrizione dei
bambini ricoverati in degenza ordinaria presso i reparti
pediatrici italiani, calcolare la
prevalenza di malnutrizione;
b)misurare l’entità della nutrizione artificiale erogata in
ospedale;
c) stimare i casi in cui si effettua nutrizione artificiale domiciliare;
d)
sensibilizzare le pediatrie
italiane sullo screening e
terapia della malnutrizione
correlata alle malattie.
Il gesto apparentemente semplice di raccolta dei parametri
di crescita per ogni bambino
ricoverato viene infatti spesso disatteso. La raccolta dati
avverrà chiedendo la collaborazione di medici, infermieri e
dietisti dei singoli reparti che
potranno accedere direttamente al database online sul
sito web. Una scheda informativa illustra le semplici modalità
di compilazione. La raccolta e
l’immissione dei dati è stata organizzata per garantire la non
riconoscibilità del singolo paziente, così da poter eseguire
questo studio senza autorizzazione di comitati etici.
I dati dell’Italian Pediatric Nutrition Day saranno raccolti
dalle singole pediatrie e reparti
pediatrici e immessi nel database online sul sito web, quindi sottoposti ad elaborazione
centralizzata. I dati saranno poi
analizzati generando lo SDS
per peso e altezza e saranno
valutate eventuali correlazioni
con patologie croniche o patologie d’organo; al termine
dell’analisi i singoli centri potranno visualizzare sul sito le
statistiche del proprio centro
rispetto ai dati nazionali.
Sarà interessante raccogliere
dati provenienti da tutti i reparti
di pediatria del nostro paese,
inclusi quelli di piccole dimensioni. Tutti i partecipanti contribuiranno a “fotografare” il
panorama nutrizionale attuale.
L’obiettivo è quello di ripetere
annualmente questo evento
per continuare a “scattare fotografie” sulla nutrizione dei
bambini in ospedale, e di creare un progetto permanente di
“crowdsourcing” presso i pediatri che si prendono cura dei
bambini italiani.
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Dalla ricerca
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Nutrition
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE.
DIOSMECTAL
3 g polvere per sospensione orale.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA. Una bustina contiene:
principio attivo: diosmectite 3 g. Per l’elenco completo degli eccipienti vedere
paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA. Polvere per sospensione orale. 4.
INFORMAZIONI CLINICHE. Numerose sono le esperienze cliniche condotte
con diosmectite nell’adulto e nel bambino, con affezioni del: - tratto digerente
superiore, che sono di tipo prevalentemente funzionale o iatrogeno: ipersecrezione
acida, associata a ridotta attività protettiva della mucosa gastroduodenale, reflusso
gastroesofageo e/o duodeno-gastrico, discinesie, assunzione di farmaci
potenzialmente lesivi a carico delle mucose; - tratto digerente inferiore, che sono di
tipo prevalentemente infettivo: virulentazione della flora batterica saprofita e/o
colonizzazione da parte di agenti patogeni. La patologia funzionale o iatrogena è più
frequente nell’adulto, mentre quella infettiva è dominante nel bambino. I risultati di
queste esperienze sono concordi nel riconoscere un’elevata incidenza di guarigioni o
di miglioramenti marcati della sintomatologia ottenuti con diosmectite rispetto a
quelli dei gruppi omogenei di confronto trattati con farmaci attivi di pari indicazione
e, soprattutto, a quelli trattati in doppio cieco con placebo. 4.1. Indicazioni
terapeutiche. • trattamento sintomatico orale della sintomatologia dolorosa delle
affezioni esofago-gastro-intestinali, quali reflusso esofageo e sue complicazioni
(esofagite), ernia dello hiatus, gastrite, ulcera gastroduodenale, bulbite, colite,
colopatie funzionali, meteorismo. • trattamento delle diarree acute e croniche nei
bambini (inclusi i neonati) e negli adulti, in aggiunta ai trattamenti con soluzioni
reidratanti saline. 4.2. Posologia e modo di somministrazione. Posologia
Trattamento della diarrea acuta: Bambini e neonati:- al di sotto di 1 anno: 2
bustine al giorno per 3 giorni, poi 1 bustina al giorno fino a completa risoluzione
della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di 14 giorni; se l’episodio di
diarrea acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento, si consiglia di consultare il
medico. - al di sopra di 1 anno: 4 bustine al giorno per 3 giorni, poi 2 bustine al giorno
fino a completa risoluzione della diarrea, per un periodo di trattamento massimo di
14 giorni; se l’episodio di diarrea acuta non si risolve dopo 7 giorni di trattamento, si
consiglia di consultare il medico. Adulti:- la dose giornaliera raccomandata è di 6
bustine al giorno Trattamento delle altre indicazioni: Bambini e neonati:- al di
sotto di 1 anno:1 bustina/die; - da 1 a 2 anni:1-2 bustine/die; - al di sopra dei 2 anni:23 bustine/die. Adulti: - in media 3 bustine al giorno. Modo di somministrazione: Il
contenuto della bustina deve essere disperso in sospensione poco prima dell’uso. Si
consiglia di somministrare preferibilmente dopo i pasti nella esofagite ed a distanza
dei pasti nelle altre indicazioni. Bambini e neonati: Il contenuto della bustina può
essere disperso in sospensione nel biberon in 50 ml di acqua e suddiviso in 2-3 dosi
nel corso della giornata o mescolato con qualsiasi altra bevanda o alimento
semiliquido. Adulti: Per ottenere una sospensione omogenea, versare lentamente la
polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare. 4.3. Controindicazioni.
Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti. 4.4. Avvertenze
speciali e precauzioni di impiego. La somministrazione di altri eventuali farmaci
orali deve essere effettuata a distanza dall’assunzione di DIOSMECTAL. Usare con
prudenza nell’adulto con storia pregressa di stipsi cronica grave. Il trattamento della
diarrea acuta nei bambini deve essere associato ad una somministrazione precoce di
sali minerali (integratori salini orali) per evitare la disidratazione. Negli adulti, il
trattamento con Diosmectal non esime dalla reidratazione, quando questa appaia
necessaria. L’entità della integrazione con sali minerali e della reidratazione,
eventualmente anche per via venosa, deve essere adattata sulla base della gravità
della diarrea ed in funzione dell’età e del quadro clinico del paziente. Il medicinale
contiene glucosio monoidrato quindi i pazienti affetti da rari problemi di
malassorbimento di glucosio-galattosio, non devono assumere questo medicinale.
4.5. Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione. Il suo elevato
potere adsorbente può interferire con l’assorbimento gastrointestinale di alcuni
farmaci somministrati per via orale. Le altre eventuali terapie orali devono, pertanto,
essere assunte a distanza da DIOSMECTAL. 4.6. Fertilità, gravidanza e
allattamento. Diosmectal non viene assorbito. Pertanto, non presenta limitazione
d’impiego nelle suddette condizioni. 4.7. Effetti sulla capacità di guidare veicoli e
sull’uso di macchinari. Non pertinente. 4.8. Effetti indesiderati. Gli effetti
indesiderati riportati durante gli studi clinici con le seguenti frequenze, sono sempre
stati lievi e transitori ed hanno interessato il sistema gastrointestinale: - non comune
(≥ 1/1.000, ≤ 1/100): episodi di stipsi. Questi episodi sono migliorati dopo
aggiustamenti individuali della posologia. Ulteriori informazioni derivanti
dall’esperienza post-marketing includono casi molto rari (frequenza non nota) di
reazioni di ipersensibilità, inclusi orticaria, rash, prurito o angioedema. 4.9.
Sovradosaggio. Non sono segnalati casi di sovradosaggio o di intossicazione. 5.
PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE. 5.1. Proprietà farmacodinamiche.
Categoria farmacoterapeutica: adsorbenti intestinali, codice ATC: A07BC05.
DIOSMECTAL possiede proprietà gastroprotettive in quanto interagisce con le
glicoproteine del film mucoso che riveste la parete gastroduodenale, modificandone
le caratteristiche fisico chimiche in modo tale da accentuare le funzioni protettive nei
confronti dell’ipersecrezione acida, che è implicata nella patogenesi dell’ulcera
gastroduodenale, degli enzimi proteolitici, di talune sostanze gastrolesive e di
microrganismi patogeni. Possiede inoltre attività antifermentative, legate
essenzialmente alla sua struttura cristallina in lamelle sovrapposte che gli conferisce
un elevato potere adsorbente. Questo potere si esercita nei confronti di sostanze
neutre o ionizzate, della flora e delle tossine microbiche, dei gas intestinali. Infine ha
la proprietà di attivare alcuni fattori della coagulazione (VII, VIII, XII) che può
risultare utile in sede locale in caso di sanguinamento da erosioni o ulcerazioni della
mucosa. È radiotrasparente e non influisce sul tempo di transito gastrointestinale. I
risultati dei dati combinati di due studi clinici randomizzati in doppio cieco controllati
con placebo condotti su 602 bambini di età compresa tra 1 e 36 mesi con diarrea
acuta ai quali è stato somministrato Diosmectal o placebo in combinazione con
integratori salini orali, hanno mostrato una diminuzione significativa nelle prime 72
ore della emissione di feci nella popolazione complessiva: in media 94,5 (deviazione
standard 74,4) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con diosmectite rispetto a 104,1
(94,2) g / kg nel gruppo di pazienti trattati con placebo (p = 0,0016). Nella sottopopolazione (n = 91) positiva a rotavirus, la media di emissione di feci (g / kg di peso
corporeo) è 124,3 (deviazione standard 98,3) nel gruppo di pazienti trattati con
diosmectite rispetto a 186,8 (147,2) nel gruppo di pazienti trattati con placebo (p =
0,0005). Un terzo studio in doppio cieco controllato con placebo condotto su 243
bambini di età compresa tra 2 e 36 mesi con diarrea acquosa acuta trattato con
diosmectite in combinazione con integratori salini orali non ha mostrato alcuna
significativa differenza nell’emissione media di feci: la quantità media (± Deviazione
standard) cumulativa nelle prime 48 ore è stata di 98.5 ± 78.0 g/kg di peso corporeo
nel gruppo trattato con diosmectite rispetto a 112.1 ± 91.8 g/kg di peso corporeo nel
gruppo trattato con placebo (NS). Tuttavia, l’endpoint secondario “diminuzione della
durata degli episodi di diarrea” è stato raggiunto in maniera significativa nel gruppo
trattato con diosmectite: mediana [range] 43 ore (10-289) nel gruppo trattato con
diosmectite, 72 ore (12-287.5) nel gruppo placebo (p=0.0263). I risultati di uno
studio randomizzato in doppio cieco effettuato su 329 adulti con diarrea acquosa
acuta hanno evidenziato un significativo decremento della durata della diarrea nel
gruppo di pazienti trattati con la diosmectite (mediana di 53.8 ore [3,7 – 167,3]
rispetto al gruppo di pazienti trattati con placebo (mediana di 69 ore [2,2-165,2]),
p=0.029. 5.2. Proprietà farmacocinetiche. Studi sperimentali e clinici hanno
dimostrato che il preparato non supera la barriera gastroenterica neppure nei pazienti
con alterazioni funzionali e strutturali della mucosa gastroenterica, che potrebbero
costituire un fattore favorente sull’assorbimento. 5.3. Dati preclinici di sicurezza.
Gli studi di tossicità cronica condotti nel ratto e nel cane per un periodo di un anno,
dimostrano che il principio attivo del preparato anche a dosi 10-15 volte superiori a
quella terapeutica non induce modificazioni ed alterazioni specifiche a carico di
organi e funzioni, in considerazione anche del suo non assorbimento. Si sono
registrate in alcuni animali modificazioni a carico del metabolismo lipidico in
particolare aumento di trigliceridemia alle alte dosi che non trovano una spiegazione
ragionevole ma che in ogni caso non sono mai dose-dipendente, spesso regrediscono
nel tempo e non raggiungono livelli patologici. 6. INFORMAZIONI
FARMACEUTICHE. 6.1. Elenco degli eccipienti. Saccarina sodica, glucosio
monoidrato, aroma vaniglia, aroma arancio. 6.2. Incompatibilità. Nessuna, ad
esclusione delle interferenze in fase di assorbimento nei confronti di alcuni altri
farmaci somministrati contemporaneamente. 6.3. Periodo di validità. 3 anni a
confezione integra. 6.4. Precauzioni particolari per la conservazione. Questo
medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione. 6.5. Natura
e contenuto del contenitore. Astuccio di cartone contenente 30 bustine termosaldate
da 3,760 g. Astuccio di cartone contenente 20 bustine termosaldate da 3,760 g.
Astuccio di cartone contenente 10 bustine termosaldate da 3,760 g. È possibile che
non tutte le confezioni siano commercializzate. 6.6. Precauzioni particolari per lo
smaltimento e la manipolazione. Per ottenere una sospensione omogenea, versare
lentamente la polvere in mezzo bicchiere di acqua e mescolare regolarmente. 7.
TITOLARE
DELL’AUTORIZZAZIONE
ALL’IMMISSIONE
IN
COMMERCIO. Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A. - Via Lungo l’Ema, 7 Bagno a Ripoli FI. Su licenza: SCRAS S.A. - Parigi (Francia). 8. NUMERI
DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO. AIC n.
028852010 (30 bustine). AIC n. 028852034 (20 bustine). AIC n. 028852022 (10
bustine). 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO
DELL’AUTORIZZAZIONE. Data di prima autorizzazione: - 30 bustine:
31.10.1995. - 10 e 20 bustine: 18.11.1999. Data dell’ultimo rinnovo: 31.10.2010. 10.
DATA DI REVISIONE DEL TESTO. Luglio 2011.
CONFEZIONI: 3g 30 bustine
PREZZO AL PUBBLICO: € 14,30
CLASSE C
Concessionario per la vendita: F.I.R.M.A. S.p.A. - Via di Scandicci, 37 - Firenze
Titolare A.I.C.: Istituto Farmacobiologico Malesci S.p.A., via Lungo l’Ema, 7 Bagno a Ripoli, Firenze.
Su licenza SCRAS S.A. - Parigi (Francia)