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ArcHistoR anno III (2016) n. 6
Craft dynasties as a historiographical dilemma
for the architecture of south-oriental Sicily
in the 16th century
Marco Rosario Nobile
[email protected]
The essay examines the case of the documented beginnings of
a dynasty of master builders (in south-east Sicily in the mid 16th
century): the Odierna family. The brevity and incompleteness
of the sources lead to an initial, superficial interpretation; a
simple artisan dimension with little real information. However,
it requires an additional – deeper interpretation to grasp the
true picture – of the first modern age of the Island. After the
1542 earthquake, a multi-disciplinary study of the surviving
monuments, of the patrons and of the relations with the
other artists reveal a moment of particular activity in the
area, enriched by the still mysterious but talented “external”
presences.
AHR III (2016) n. 6
ISSN 2384-8898
DOI: 10.14633/AHR032
Le dinastie artigiane come problema storiografico
per l’architettura della Sicilia sud-orientale del XVI secolo
Marco Rosario Nobile
L’attività nella Sicilia del Cinquecento di dinastie di costruttori è un tema che va emergendo con
una quantità di dati sempre più densi. Si tratta di un fenomeno che ha numerosi paralleli in Europa e
possiede una valenza di natura prioritariamente sociale e, prima che questo tipo di studio si amplifichi
ulteriormente, è necessario compiere alcune puntualizzazioni; non si tratta di introdurre componenti
di scetticismo su letture spesso documentariamente corrette, ma di offrire rappresentazioni meno
deformanti a partire da un più adeguato uso del linguaggio.
La terminologia adottata non è mai innocente; così definizioni come “clan” o “consorteria familiare”
appaiono inadatte: distorcono i dati, poiché spingono a presupporre l’esistenza di legami sodali tra
operatori con lo stesso cognome, addirittura anche a distanze temporali dilatate, individuano gerarchie
e ruoli di maggiore autorevolezza a partire dalla semplice anzianità dei maestri, ma la genetica
non è uno strumento adatto per spiegare la storia dell’architettura o la trasmissione dei saperi. Si
possono forse (e con molta cautela) ipotizzare meccanismi di formazione in bottega che non implicano
Questo saggio è frutto di un lavoro di ricerca finanziato dall’European Research Council, settimo programma quadro
(FP7/2007-2013), ERC grant agreement n. 295960-COSMED. Desidero ringraziare i dottori Maria Mercedes Bares,
Antonello Capodicasa, Sabina Montana, Maurizio Vesco per l’aiuto nella ricerca documentaria e nella corretta trascrizione e
interpretazione degli atti notarili.
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necessariamente contratti di apprendistato; si può supporre che i vincoli di parentela agevolino le
alleanze e le collaborazioni, che esista, soprattutto in piccole comunità, uno statuto di autorevolezza
dovuto a pregresse prestazioni di un avo o di una bottega. Tutti questi argomenti possono spiegare
processi di lunga durata, per esempio: il legame che unisce per generazioni una famiglia a un cantiere;
ma in linea di massima studiare la “famiglia”, per periodi superiori a due generazioni, anche in presenza
di una ricca documentazione superstite, rende l’interpretazione fragile: si tende a postulare nessi che
non sempre sono sicuri e che comunque non possiedono una consistenza e solidità tali da giustificare la
compattezza di intenti, i medesimi background. Se non si adotta una paziente lente di ingrandimento,
si finisce per far coincidere il destino individuale con quello della famiglia.
I paradigmi che gli storici più cauti hanno assunto finiscono per limitarsi a ipotizzare un flusso
costante di conoscenze artigianali che si trasmettono, si perpetuano, talora si affinano (il processo
lento che definiamo “tradizione”) e l’esistenza di interferenze, di ineluttabili fattori esterni che
incidono sui risultati per farli coincidere con la storia delle forme e degli stili. Le famiglie, anche quelle
di antico regime, non sono strutture chiuse, interessate solo dal travolgente flusso della storia e, come
sempre accade, la documentazione superstite individua solo puntuali istanti della vita e degli impegni
professionali. In molteplici casi si possono riconoscere le forme di collaborazione, le specializzazioni, i
parametri distintivi che definiscono i ruoli all’interno della famiglia e la scala gerarchica che ne deriva.
Questo è per esempio il caso di Simone e Cesare Giannetto (padre e figlio), nel 1559 tra i firmatari
della corporazione dei «mastri muraturi, mazuni, scarpellini et marmorarii» di Messina, che negli
anni Sessanta si spostano a Licodia e a Caltagirone e nel decennio successivo ottengono importanti
commesse a Modica1. Simone interpreta il suo ruolo come quello di un architetto che progetta e
controlla periodicamente più cantieri, Cesare, nel caso della chiesa di San Pietro a Modica, è invece
il maestro della fabbrica. Per quello che sappiamo, in questo caso specifico, la struttura parentale si
muove con schemi collaudati e lavora in concerto.
Il caso della dinastia degli Odierna in Sicilia orientale è uno dei più longevi dell’intera Europa;
praticamente per tre secoli è possibile registrare l’attività di maestri con lo stesso cognome (nelle
varianti anche di Dierna o Hodierna). In questa occasione ci limiteremo a riflettere sui limitati dati
relativi all’arco di due generazioni a cavallo della metà del Cinquecento, sia perché questa è la
documentazione più antica che si è conservata, sia perché le informazioni che se ne possono ricavare
finiscono per mettere in una luce più problematica l’idea della stirpe artigianale nella sua forma più
canonica e nella percezione comune.
1. Simone o Muni Giannetto – insieme al figlio Cesare e ai presumibili parenti Mariano e Nicolò – è fra i firmatari degli
statuti della corporazione di Messina. Si veda Novarese 1986; Nobile 2015b.
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Le dinastie artigiane come problema storiografico
Matteo Odierna è attualmente il più antico rappresentante della dinastia, ma la sua attività come
costruttore a Ragusa è praticamente ignota. A parte una perizia svolta nel marzo 1528, insieme con
il collega Jacopo de Saria2, per il resto la sua qualifica di murator non è al momento testimoniata
da prestazioni specifiche. Sappiamo che l’anno precedente aveva acquistato una vigna3, mentre le
ulteriori informazioni che lo riguardano sono indirette. In due occasioni (16 gennaio 1547 e 7 agosto
1548) il magister Antonuzzo Odierna viene indicato come figlio del quondam Matteo4. A complicare le
cose c’è una prestazione di un Matteo de Odierna che il 3 gennaio 1548 si alloga a un maestro (Crastia o
Aristia) per realizzare un muro nella sua residenza5. La modesta prestazione e il ruolo subalterno fanno
pensare tuttavia a un potenziale pronipote del primo Matteo, a un artigiano cioè di terza generazione.
Sono comunque altri gli Odierna attivi tra 1540 e 1560 che sembrano ampiamente coinvolti nella scena
costruttiva di Ragusa. Il già citato Antonuzzo è impegnato nella costruzione di una volta a crociera (una
lamia, forse senza costoloni) nel palazzo del nobile Antonio de Iurato (7 agosto 1548)6. Il suo nome
ricompare in perizie per conto del convento francescano della città7.
Più interessante appare l’attività di Girolamo Odierna, che con due altri colleghi nel 1540 si obbliga
per l’edificazione di un palacium extraurbano (nella contrada di Galermi) per conto di Filippo Giavanti
(o Javanti)8. La costruzione – che appare di notevole entità – potrebbe essere ancora celata in una
2. Archivio di Stato di Ragusa, sezione Modica (ASRMo), notaio F. Riggio, 352-4, c. 433, Ragusa, 21 marzo 1529, seconda
indizione.
3. ASRMo, notaio F. Riggio, 352-2, c. 322 (numerazione moderna), 25 marzo 1528, prima indizione.
4. ASRMo, notaio A. Mineo, vol. 354-1, c. 24v, Ragusa, 16 gennaio 1547; ASRMo, notaio B. La Mussa, vol. 353-1, c. 607r,
7 agosto 1548. Forse un errore di trascrizione o una omonimia è da considerarsi il maestro Antonuzio quondam Antoni de
Odierna che firma come testimone un atto del 1540. Si veda: ASRMo, notaio F. Riggio, 352-10, carta non numerata e data
illeggibile, ma post 12 maggio 1540.
5. ASMo, notaio F. Riggio, 352-15, c.n.n., 3 gennaio 1548.
6. ASRMo, notaio B. La Mussa, 353-1, c. 607r, 7 agosto 1548.
7. Veninata 2009, p. 92 (8 dicembre 1557), sono citati i periti muratori Antonio Dierna e Paolo La Rosa.
8. I lavori erano cominciati con ambizioni differenti nel 1527 (ASRMo, notaio F. Riggio, 352- 4, c. 177, 18 novembre 1527)
allorché i maestri Silvestro Cannata e Gianleonardo Di Martino si impegnano con Filippo de Giavanti a realizzare una casa
simile a una già realizzata in precedenza nella contrada Galermi; il 2 aprile 1540, i maestri muratori Girolamo de Odierna,
Antonuzzo de Oculopinto e Giovanni de Andisi (?), abitanti a Ragusa, si obbligano al magnificus Filippo de Giavanti, anch’egli
ragusano, per costruire il palazzo (devono tra l’altro prevedere delle volte per le quali s’impegnano a realizzare le armature).
ASRMo, notaio F. Riggio, 352-10, c. 428 (numerazione antica), 2 aprile 1540. Il 6 aprile successivo il maestro cavapietre
Gregorio de Gurreri di Ragusa vende al magnificus Filippo de Giavanti 5000 carichi di pietre insieme a 550 cantoni intagliati e
si impegna a realizzare una cisterna (l’acqua era indispensabile per la costruzione). ASRMo, notaio F. Riggio, 352-10, c. 433v.
(?) 6 aprile 1540. La costruzione del palacium probabilmente riscattava l’assenza di compattezza della residenza cittadina dei
Giavanti che, pur collocandosi, nei pressi della piazza Maggiore di Ragusa (la piazza del palazzo comunale) viene descritta nel
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delle masserie collocate sul pendio della Valle dell’Irminio che guarda verso Modica, anche se non è
facilmente individuabile. Nel gennaio 1547 Girolamo è impegnato nel completamento del campanile
della chiesa di San Francesco a Ragusa, che per i primi tre livelli risulta ancora esistente9. Anche
Girolamo offre la sua prestazione di estimatore per i francescani10. Filippo Rotolo ha riportato notizie
relative a un terzo Dierna, Mariano, che nel 1561 esercita la sua professione ancora come maestro di
fiducia dei Francescani della vicina cittadina di Comiso11. Nella seconda metà del secolo altri Odierna
compaiono a Ragusa nella documentazione trascritta nei cosiddetti “censi minuti” (Francesco e Iacopo
di Bartolo, forse però non coinvolto nel mondo della costruzione)12 e nelle perizie redatte per conto del
convento di San Francesco, dove compare in un paio di occasioni nei primi anni Ottanta un Vito Dierna,
probabilmente il padre del celebre Gian Battista13. Un Rogerio Dierna è infine registrato nel 1577 a
Comiso per la realizzazione di una finestra14.
Le storie possibili
I dati disegnano una stanzialità degli operatori, sostanzialmente gravitanti per tutto il XVI secolo
tra Ragusa e Comiso. Né nella vicina Modica, né a Noto, città per le quali si possiede una discreta
documentazione, ci sono cantieri in cui compaiano membri della famiglia (discorso diverso sarà
per il XVII secolo). Se ci si limitasse comunque solo alla documentazione superstite, le questioni in
campo si potrebbero limitare a un grado minimale di notazioni: operatori chiamati a costruire per
alcuni maggiorenti locali, così come in innumerevoli altri casi. Al limite, postulando anche relazioni
parentali tra gli Odierna di Comiso e quelli di Ragusa, si potrebbe ipotizzare un albero genealogico
che vede Matteo capostipite, tre coetanei (Girolamo, Antonuzzo e Mariano) forse fratelli o cugini
e una terza generazione che interseca il proprio lavoro con quella dei presumibili genitori (Matteo
1588 come: «corpi di fabbrica in elevazione e pianterreni con torre, magazzini e portici». Si veda Antoci, Blancato, Blancato
2012, p. 20.
9. ASRMo, notaio B. La Mussa, vol. 353-1, c. 222v, 12 gennaio 1547, V indizione.
10. Veninata 2009, p. 94 (18 ottobre 1551, perizia di Girolamo de Odierna e Francesco Landolina); p. 107 (13 luglio 1551,
viene citato un vignale appartenente al mastro Girolamo de Odierna, in contrada Chilluni).
11. Rotolo 2002, p. 33.
12. Montana 2012, p. 49.
13. Veninata 2009, pp. 94-95 (22 ottobre 1580 stima di Vito Dierna e mastro Bartolo de Oculopinto), p. 137 (3 settembre
1584, stima di Vito Dierna e altri).
14. ASMo, notaio P. Meli, 63-1, c. 208v.
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Le dinastie artigiane come problema storiografico
Figure 1-2. Ragusa, chiesa di San Francesco,
campanile e particolare della cornice marcapiano
(foto M.R. Nobile).
II, Francesco, Rogerio, Vito, mentre ai margini sembrano porsi altri personaggi come Iacopo e il
suo genitore Bartolo). Per operare uno scarto, ed evadere dai limiti di una visione circoscritta e
sostanzialmente sterile, bisogna cambiare punto di vista, partendo proprio dall’attività della
generazione intermedia.
Girolamo, Antonuzzo e Mariano non sembrano avere relazioni dirette né lavorano in società,
tuttavia possiedono tutti una stretta relazione con i Francescani, operando stime per conto dell’Ordine.
La costatazione potrebbe, in realtà, costituire un travisamento, dovuto alla conservazione soltanto di
un certo tipo di documentazione (in fin dei conti non sappiamo ancora nulla delle attività e degli
investimenti immobiliari svolti dal capitolo di San Giorgio o dai Domenicani e Carmelitani). Le relazioni
più stringenti che i maestri Odierna conservano con sicurezza riguardano invece alcuni committenti
aristocratici protettori dell’Ordine francescano: Filippo e Mariano Giavanti, Antonio Iurato, i conti di
Comiso (in particolare Baldassare II Naselli e la consorte di quest’ultimo Antonella de Jaen)15.
15. San Martino De Spucches 1926, pp. 67-72.
9
Un secondo aspetto su cui si può costruire qualche considerazione è legato all’architettura superstite.
Il campanile della chiesa di San Francesco a Ragusa (figg. 1-2), in cui interviene Girolamo, presenta
cornici con decorazioni bilingue16, una di queste (collocata nella fascia superiore e al di sopra di quella
con maggiori caratteri “classicisti”) possiede archetti ribassati e decorazioni a giglio. Naturalmente
non conosciamo che tipo di controllo potesse esercitare un maestro sui dettagli, se questi cioè fossero
stati scelti in accordo con la committenza o fossero stati frutto di un subappalto o dell’operato di un
collaboratore, fatto sta che questo tipo di iconografia è riscontrabile anche nei pennacchi della cappella
absidale della chiesa francescana di Sant’Antonino a Scicli (fig. 3), le cui date di edificazione sono
parallele. Un coinvolgimento del maestro o del team che opera al servizio di Girolamo in quest’ultima
fabbrica (anche in virtù dell’unità di committenza) diventa possibile. Se si riflette che Mariano Odierna
potrebbe essere stato coinvolto nella cappella Naselli di Comiso (completata nel 1555) si può dedurre
una qualche specializzazione nella costruzione di strutture cupolate con costoloni (fig. 4). Mariano,
infatti, firma alcune stime con Francesco de Leone, un maestro di provenienza probabilmente esterna
(Leon o Lione) che deve avere dato un contributo notevole negli intagli e nella scelta di alcuni temi (si
pensi ai capitelli appesi che non appartengono alla tradizione locale o alla sagome interrotte nei due
piedritti del catino). Il prestigio di Francesco de Leone è testimoniato dalla sua sepoltura nella stessa
chiesa-mausoleo dei conti di Comiso17. A Ragusa si conservano due chiavi di volta a otto costoloni:
la prima, in pietra asfaltica, attualmente conservata nel museo del duomo di San Giorgio, la seconda
in pietra nella chiesa di San Francesco (figg. 5-6). Il numero e la dimensione costante dell’attacco dei
costoloni è comune in Sicilia per le terminazioni di volte a cinque chiavi o per strutture cupolate, queste
ultime assimilabili a quelle presenti nelle terminazioni cupolate delle chiese francescane di Comiso e di
Scicli. La prima chiave va ricondotta con buona certezza alla cappella maggiore realizzata nella chiesa
di San Nicolò, successiva al ritrovamento delle reliquie di San Pietro e San Paolo (figure rappresentate
nella chiave) durante i lavori di ampliamento della chiesa (1527)18. Il prevalente sviluppo verticale
ricorda modalità costruttive d’oltralpe. Il secondo elemento è più problematico, ma per committenza
e cronologia si può pensare a una chiave destinata alla copertura di una cappella della stessa chiesa
16. Il prolungarsi del bilinguismo appare palese anche a partire dalla documentazione. Nel 1551 il maestro (pittore)
Vincenzo di Noto (Vincenzo De Ramundo) si impegna nella chiesa di San Giuseppe a Modica a decorare «un frixo a la romana».
La definizione implica naturalmente l’esistenza di un’alternativa. Si veda Nifosì 2015, p. 353.
17. Nobile 2009, p. 83. Un ulteriore maestro, pittore Sebastiano Deliuni, è registrato nel 1541 a Savoca, allorchè si
impegna per la realizzazione di una «cona», Archivo Ducal Medinaceli, Archivo Histórico, legajos 94, R.1, documento senza
numero. Ringrazio Alessia Garozzo per la segnalazione.
18. Solarino 1886, pp. 217-218, nota 1.
10
Le dinastie artigiane come problema storiografico
Figura 3. Scicli (RG), chiesa di Sant’Antonino, cappella absidale, particolare dei pennacchi (foto M.R. Nobile).
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di San Francesco, dove possedevano le loro sepolture gli appartenenti alle famiglie Giavanti e Iurato19.
Come si è visto, Girolamo appare il maestro di fiducia dei Giavanti. È un caso che uno dei rampolli
della famiglia (Carlo, nipote di Filippo e figlio di Mariano), in uno dei primi atti che denuncia il
trasferimento di interessi da Ragusa a Noto nel 1561, risulti protettore di un maestro argentiere, ma
esperto di architettura, come Claude La Page, naturale di Lione («de urbe Lugdonis regni Francie»)20?
Carlo Giavanti è cognato di Don Giovanni Antonio Cannizzo (avendone sposato una sorella), una
personalità interessante di intellettuale e uomo politico21, a partire dal 1547 più volte inquisito per
luteranesimo22. Il sospetto che sia esistita una rete di protezione aristocratica e politica che si stende
su un nucleo calvinista gravitante negli Iblei, tra la contea di Modica e Vizzini, comincia a prendere
forma, ma attende ulteriori conferme, mentre la presenza di artisti francesi può costituire una
controprova23.
Isolare gli Odierna dal contesto che li circonda sarebbe probabilmente un errore. Esistono altri
protagonisti che potrebbero avere agevolmente intrecciato la loro attività con il primogenito Matteo
e la sua presunta progenie. Per molti di loro non sappiamo niente; non sappiamo chi sia per esempio
Jacopo de Saria (o di Soria in Castiglia?), per altre personalità i documenti sono più eloquenti, come
nel caso del maestro Lorenzo de Cappello, attivo tra 1527 e 1547 in architetture civili24.
Cosa si potrebbe dedurre dalla catena di intrecci che si sprigiona da dati apparentemente
19. Il 10 settembre 1543, Mariano de Javante, utroque jure doctore, accetta per sé e per i suoi la cappella comunemente
chiamata la sacrestia allo scopo di costruirne una nuova. Veninata 2009, p. 84.
20. Archivio di Stato di Siracusa, Sezione di Noto (ASSNo), notaio G. Nicolò, vol. 6536, c. 103r, 9 dicembre 1561. Ringrazio
Maria Mercedes Bares e Antonello Capodicasa per la segnalazione.
21. Garofalo 1980, pp. 80-81, nota 76.
22. Si veda per ultimo: Caponnetto 2006, pp. 34, 38, 56.
23. Nel maggio 1549, un maestro muratore di Vizzini, Juan Virga, è processato per luteranesimo a Palermo, lo stesso
accade all'intagliatore francese Jacono Spinis, attivo in una città siciliana non precisata (si veda Garufi 1978, pp. 22- 23).
Spinis è probabilmente il maestro di Orléans Jacobo de Spinis attivo qualche anno dopo a Dubrovnik, si veda per ultimo la
documentazione offerta in Zelić 2013, pp. 113-126.
24. Il 15 ottobre del 1527, Lorenzo con il figlio Jacopo si obbliga a costruire un palacium per Jacopo di Propenzio (?) alias
Lanza, nella contrada del «la torre di li Matarrusi», ASRMo, notaio F. Riggio, 352-2, c. 55 (numerazione moderna), 15 ottobre
1527. Il 18 ottobre 1547, i maestri Matteo Campo e Lorenzo de Cappello, si obbligavano con il nobile Antonio de Corla (?) «de
novo construere, fabricare et murare quandam eius camaram propinqua (?) la cammara de novo edificata et facta per ipsum
nobilem [lacuna]sumptibus et expensis […] cantuni tagliati videlicet: li cantuni tagliati ad rationem de unciis […] cum hoc chi
la finestra di tali cammara la dijanu fari di simili modu chi è l'altra finestra di la prima cammara di ipsu nobile et etiam la porta
dilu introytu di tali cammara la divinu fari undi la vurra ed adimandirà cum la sua girlanda et ultra chi divinu fari ultra dicta
maramma per amuri una petra di armi comu la vurrà et comu chi la dimandirà ipsu nobili et mectiria undi la vurra mectiri».
ASRMo, notaio F. Riggio di Ragusa, 1547-48, 352-15, cc. n.n., Ragusa, 18.10.1547, VI indizione.
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Le dinastie artigiane come problema storiografico
Figura 4. Comiso (RG), chiesa di San Francesco all’Immacolata, cappella Naselli, particolare della cupola costolonata
(foto M.R. Nobile).
13
Figure 5-6. Ragusa, museo del duomo
di San Giorgio (a sinistra), chiesa di San
Francesco (a destra), chiavi di volta
(foto M.R. Nobile).
inerti? Da quale nucleo si dipartono gli Odierna? Chi di loro ha intersecato personalità in grado di
spezzare l’immobile o la lenta continuità, che caratterizzano la nostra idea di tradizione nel cuore del
Mediterraneo? Sono anche loro dei maestri giunti da luoghi lontani25, come accade per altri protagonisti,
altrettanto misteriosi? Due generazioni dopo i documenti relativi a fabbriche di Modica ci consegnano
un predominio degli Odierna nella realizzazione di volte a crociera (“lamie”) con spigoli a pietra viva
con forma a coda di rondine (nei documenti denominati “respichi”)26. La straordinaria somiglianza della
tecnica utilizzata con casi cinquecenteschi del Nord della Francia (dove la variazione tra spigoli in pietra
e mattoni sulle unghie acquista una ricercata valenza cromatica non distante da quanto accade in Sicilia)
può rientrare nel più vasto problema che abbiamo delineato?
Tra la contea di Modica, Vizzini e Noto
Nel novembre 1570 il maestro Giovanni Lo Presti da Vizzini si impegnava a «manufacere, edificare et
magistraliter complere tres arcos […] ex quinque archis ad presens in dicta ecclesia existentibus»27 e a
completare un ulteriore arco già iniziato nella matrice di Chiaramonte. Oltre ai resti della chiesa (la prima
25. Il cognome Dierna o Di Dierna si ritrova già in Sicilia nel XIII secolo. Cancila 2010, p. 28 (Bonaiuto de Dierna). La
variante Odierna o Oderna tuttavia sembra molto più recente.
26. Nobile 2015.
27. ASRMo, notaio S. Amellis, 16-2, c. 113v, 18 novembre 1570.
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Le dinastie artigiane come problema storiografico
A sinistra, figura 7. Chiaramonte (RG), chiesa madre,
cantonale absidale, particolare (foto M.R. Nobile);
sopra, figura 8. Foglia d’acanto (da De Sagredo 1526,
f. 32v).
colonna inglobata nella facciata, le basi unghiate, le absidi e i pochi frammenti sfuggiti ai completamenti
della parte finale del secolo e ai drastici rinnovamenti del primo Ottocento) sono i dettagli del contratto,
relativamente alla scelta dei periti estimatori, a delineare l’eccezionalità del caso28. Poco si può dire del
linguaggio usato dal maestro, ma certamente il cantonale absidale con iscritta la data 1570 contiene
una foglia d’acanto che appare chiaramente ripresa da una tavola del Medidas del Romano (figg. 7-8)29.
28. Ibidem. Alcune clausole del contratto sembrano concepite per aggirare le regole corporative della contea di Modica,
come quella che prevede un quarto perito esterno alla contea: «extimabuntur per communes amicos fabricatores in talibus
expertos communiter eligendos. Itaque tres esse debeant ex Comitatu Mohac et altera exterus dommodo quod habitet ab
hac terra longius miliaria decem et octo ex pacto».
29. De Sagredo 1526. Il testo ebbe un vero successo editoriale con numerose ristampe: Paris 1539, Lisboa 1541, Lisboa
1542 (due distinte edizioni), Paris 1542, Toledo 1549, Paris 1550, 1552, 1555, Toledo 1564, Paris 1608. Si veda De Sagredo
1526 e, da ultimo, Marias, Bustamante 1986.
15
Sappiamo che alcuni anni prima, nel 1563, Giovanni Lo Presti era stato chiamato a Noto per la stima
dei lavori svolti per il nuovo palazzo comunale, progettato dal toscano Bartolomeo La Scala30. Due brevi
flash sull’operosità di un maestro non sono sufficienti per illuminare le zone d’ombra, ma se si allarga il
campo al presunto milieu familiare la rete di relazioni che compare diventa ancora più inquietante. La
società di maestri che a Noto nel 1552 si obbliga a costruire il nuovo bastione di Santa Barbara guidata dal
maestro Pietro Petita è composta in ordine da Iacobus Lo Presti, Antoninus de Augustino alias Barbaro,
Marianus de Leontini, Gabriel de Amato e Marianus Manuella31. Tranne l’ultimo maestro, erede del più
famoso Giovanni Manuella da Noto32, questa società è composta da sconosciuti, uno di essi proviene
da Lentini, se presumiamo che Iacobus Lo Presti sia di Vizzini, la squadra che si era raccolta intorno a
Petita appare composta da maestri di differenti centri della Sicilia orientale. Se con qualche dubbio i
Lo Presti sono dei locali – e la diffusione del cognome tra maestri attivi nel primo Cinquecento anche
in Sicilia occidentale sembra dimostrarlo33 –, il cognome Petita deve mettere in allarme; la possibilità
che si tratti di un maestro francese (Petit) sono molto elevate, mentre l’eterogeneità geografica degli
artigiani che si associano all’impresa ne delinea una implicita autorevolezza34. Petita o Petit, come il già
citato Francesco de Leone sono o potrebbero essere responsabili di scelte eterodosse che si possono
ritrovare in un consistente numero di fabbriche della Sicilia orientale? Potrebbero avere avuto una
quantità di apprendisti e di collaboratori tali da indirizzare una sostanziosa parte della produzione
architettonica, sino a imprimere nuove traiettorie nelle prassi operative? I documenti non trasmettono
passivamente la realtà, ma solo frammenti discontinui, talora anche apparentemente contraddittori se
interrelati agli esiti architettonici. I singolari frammenti che si possono ancora osservare a Vizzini – dal
gotico moderno di matrice castigliana del portale della chiesa madre (fig. 9) alle citazioni del Medidas
30. Capodicasa 2013.
31. ASSNo, notaio G. Palminteri, 6517, c. 518r, 10 luglio 1552, X indizione.
32. Balsamo 2007-2008.
33. Per l’ampliamento della chiesa di San Giorgio a Modica, tra i testimoni dell’atto compare un maestro Antonino Lo
Presti (ASRMo, notaio M. Di Pietro, 170-2, c. 76v, 24 ottobre 1537). Per il maestro Diletto Lo Presti si veda: Gaeta 2005, pp.
125-169. Non si può escludere però che il Lo Presti della Sicilia orientale possa essere l’adattamento di un cognome francese
come Le Prestre, un’altra dinastia a cui fanno capo i maestri Blaise e Abel di Caen, attivi nella prima metà del Cinquecento. Ho
tratto queste informazioni dai ricchi volumi Beck et al. 2003.
34. Un maestro Jean Petit è documentato a Parigi a cavallo tra XV e XVI secolo (Hamon 2011, pp. 91-92, p. 198); un
omonimo Joan Petit è maestro della cattedrale di Tortosa nel primo Cinquecento e con lui collabora un maestro Jaume de
Pietrasancta, intagliatore del Regno di Sicilia (Vidal 2009). Non abbiamo ulteriori dati sul maestro Petita attivo in Sicilia tranne
che il 27 gennaio 1549 i mastri Nicolò Calcaterra e Pietro Pitita vengono pagati «pro reparacione pontis novi in feudo Rende».
ASSNo, notaio G. Rainaldo, vol. 6441, c. 167v, 27 gennaio 1549 e c. 188v, 14 febbraio 1549 (segnalazione di Maria Mercedes
Bares e Antonio Capodicasa).
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Le dinastie artigiane come problema storiografico
Figura 9. Vizzini (CT), chiesa
dei Santi Gregorio Magno e
Giovanni Evangelista, portale
laterale (foto M.R. Nobile).
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A sinistra, figura 10. Vizzini
(CT), chiesa di Sant’Agata,
portale laterale (foto M.R.
Nobile); sopra, figura 11.
Balaustre (da De Sagredo
1526, f. 18v).
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Le dinastie artigiane come problema storiografico
del Romano di Diego de Sagredo nel portale laterale della chiesa di Sant’Agata (figg. 10-11) – sono opere
prive di paternità, ma il mosaico comincia a comporsi. In realtà gli scarni resti e i documenti relativi
all’operato di maestri come gli Odierna o i Lo Presti sono drammaticamente insufficienti per definire
un quadro soddisfacente, eppure dall’incrocio dei dati non sembra sussistere dubbio che ancora alla
metà del XVI secolo in Sicilia sud orientale sussista una singolare e ancora vigorosa compresenza di
“lingue”, una concentrazione di esperienze (probabilmente incrementata da occasioni di lavoro come
la ricostruzione dopo il sisma del 1542 o la fondazione di Carlentini del 1550) che, a dispetto dei
modesti frammenti ancora esaminabili (quelli documentari e quelli legati alle distruzioni immani
del terremoto del 1693), appaiono utili a riequilibrare certezze (l’ineluttabile e travolgente avanzata
del Rinascimento) e retoriche (la superiorità della cultura “italiana”) e infine contribuire a incrinare
paradigmi interpretativi come il ritardo o definizioni riduttive, sempre meno convincenti, come il
Gotico-Catalano o il Plateresco.
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