L`essenza dell`uomo
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L`essenza dell`uomo
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Bioetica Religione ed etica medica Definizione della morte La morte cerebrale Morire con dignità: vincere la sofferenza della morte Di fronte alla morte La nascita La tecnologia riproduttiva 4. L’evoluzione della vita e la nascita dell’umanità L’origine della vita Le teorie dell’evoluzione biologica La nascita dell’umanità Opinioni diverse 123 132 139 141 152 160 169 177 186 200 207 209 221 235 243 5. L’alba del secolo della vita Patologia del nostro tempo Gli obiettivi dell’educazione La missione dell’università Aspetti etici dello sviluppo tecnico e scientifico Il secolo della vita 299 311 Poscritto 337 VI 259 261 278 291 Ringraziamenti Gli autori desiderano ringraziare tutti coloro i quali hanno dato un contributo ai dibattiti che si riflettono in queste pagine e quanti hanno collaborato a questa pubblicazione, in special modo Tadashi Ohira, vicepresidente della SGI Canada, che ha fatto da tramite fra Montreal e Tokyo, dedicandosi instancabilmente a sostenere e facilitare il nostro dialogo; il dottor Yoichi Kawada, direttore dell’Istituto di filosofia orientale di Tokyo; i traduttori Tsutomu Kano e Richard Gage; gli interpreti della SGI Ryoko Yakura e Rie Tsumura, che hanno fornito un’assistenza preziosa nel corso dei nostri incontri a Tokyo e a Montreal; Helen Kandarakis, che ha tradotto in inglese alcuni testi francesi per permettere ai nostri incontri di Tokyo di avere un agevole seguito; Jean Chapdelaine Gagnon, che ha brillantemente tradotto e curato l’edizione francese del volume; la Ushio Publishing Company, diretta da Kentaro Nishihara, che ha pubblicato i nostri colloqui in giapponese con il titolo Kenkoto-Jinsei-Shoro-Byoshi-o-Kataru; la direzione e la redazione de Les Presses de l’Université de Montréal, che hanno collaborato alla realizzazione del libro. VII Premessa La vita di ogni uomo è oggetto dell’arte di vivere. EPITTETO, Dissertazioni, libro I, cap. 15 All’alba del XXI secolo, la salute è una delle maggiori preoccupazioni dell’umanità, e su questo argomento mi sono spesso soffermato alla luce delle concezioni buddiste della vita. In questo volume sono lieto di riportare le opinioni dell’illustre medico e scienziato René Simard, rettore della University of Montreal dal 1993 al 1998, e dell’eminente specialista di bioetica Guy Bourgeault, docente di etica nel medesimo ateneo. I rapidi progressi scientifici e tecnologici hanno consentito alla civiltà moderna grandi passi avanti in direzione di quella che si potrebbe definire «felicità». Abbiamo debellato molti mali che da lungo tempo ci affliggevano, comprese numerose malattie infettive. In altri campi, in particolare nella chirurgia, tecniche specializzatissime ci permettono oggi di guarire patologie un tempo ritenute incurabili. Il XXI secolo è stato salutato come l’era della biotecnologia. Le cure delle patologie neoplastiche, dell’AIDS, dei disturbi cardiaci e di altre patologie croniche di difficile trattamento progrediscono continuamente, sostenute dalIX le conquiste della più recente tecnologia medica, studiata per intervenire sulle cellule e sui geni. La biotecnologia ha già sollevato seri e complessi problemi etici: ci troviamo infatti di fronte a questioni inerenti la morte cerebrale, la possibilità di morire dignitosamente, l’individuazione nei nascituri di condizioni genetiche predisponenti all’insorgenza di determinati disturbi e la fecondazione artificiale in vitro, solo per citarne alcune. A causa della sua influenza sulla nascita, la crescita, le malattie e la morte, la tecnologia ha fatto il suo ingresso nel regno più profondo della vita. Il ritmo sempre più rapido dei mutamenti sociali ci impone, in quanto esseri umani, un gravoso impegno mentale che, minando la nostra energia spirituale, conduce alla depressione e ad altri disturbi psichici, non esclusa quella che potrebbe essere definita «sofferenza dell’anima». Il torpore spirituale si insedia dove le persone si estraniano dalla natura, perdendo così il proprio luogo di rifugio e di riparo, e dove l’aggressione fisica diventa più diffusa. Dato il combinarsi di conseguenze negative e positive della moderna civiltà tecnologica, per gli uomini del nostro tempo è forse naturale sviluppare una sempre maggiore preoccupazione per la salute, uno dei fattori chiave della felicità. In quanto buddista, da molto tempo medito sulle vie per promuovere il benessere fisico, mentale e spirituale dell’umanità. I miei incontri con il dottor Simard e il dottor Bourgeault mi hanno fornito un’eccellente opportunità di approfondire queste problematiche. Simard è un’autorità mondiale sul cancro, mentre Bourgeault è un esperto non solo di etica e del suo insegnamento, ma anche di teologia cristiana. X Prefazione Il mio primo contatto con il presidente Ikeda risale alla primavera 1990: ci incontrammo nell’ambito di uno scambio fra la Soka University e la University of Montreal, in occasione della firma di un protocollo d’intesa fra i due istituti. La Soka Gakkai Internazionale del Canada mi aveva offerto la possibilità di leggere un interessante libro del presidente Ikeda, intitolato La vita: mistero prezioso, ed ero stato colpito dall’analisi ardita e profonda che l’autore aveva compiuto sull’origine della vita e sulla diversità delle specie, e incuriosito dalla nuova prospettiva secondo cui la filosofia orientale contemplava le leggi dell’evoluzione. Quando il signor Ikeda e io ci conoscemmo, avemmo un prolungato colloquio sulle conseguenze che i recenti progressi della biologia molecolare e della genetica avrebbero prodotto sulle spiegazioni comunemente accettate dell’origine della vita e sulle risposte ad alcuni interrogativi fondamentali: da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Parlammo delle differenze tra armonia (crescita e sviXIII luppo normali) e caos (crescita anomala e aumentato rischio di patologie neoplastiche). Ci trovammo d’accordo sulla responsabilità sociale degli scienziati e sull’importanza dell’istruzione superiore. Il signor Ikeda, fondatore della Soka University, e io paragonammo contenuti e strutture dei programmi educativi, concordando sul significato degli scambi studenteschi, e discutemmo sulla necessità di dare una dimensione internazionale alle nostre istituzioni. Più tardi, quando visitai la Soka University, fui profondamente impressionato dal suo campus e dalle sue strutture. Scoprimmo di avere molto in comune, per quanto diverse fossero le rispettive formazioni culturale e scientifica. Il signor Ikeda mi colpì sia sul piano umano, per la sua grande sollecitudine verso chi soffre a causa di malattie, stress e degrado ambientale, sia come pensatore dai vasti orizzonti, impregnato di cultura. Giungemmo alla conclusione che un confronto tra un filosofo e un biologo avrebbe potuto condurre a un dialogo interessante: da un lato, la biologia compie numerose scoperte che ci portano alle frontiere dell’etica, esigendo un pensiero sociale illuminato; dall’altro, la filosofia è la radice di ogni disciplina. Le università del mondo ne riconoscono la supremazia dando al proprio grado accademico più elevato il titolo di «dottore in filosofia»: philosophiae doctor. Decidemmo che i suggerimenti di uno studioso eminente, dotato delle migliori credenziali tanto nella bioetica quanto nell’insegnamento, avrebbero apportato al nostro dialogo un’ulteriore, stimolante dimensione. Di conseguenza, invitammo a unirsi a noi il professor Guy Bourgeault della University of Montreal: il suo contributo si dimostrò di valore inestimabile. XIV Il presidente Ikeda insistette affinché, nelle nostre discussioni, ricorressimo a un linguaggio facilmente comprensibile. In un libro come questo alcuni particolari scientifici sono inevitabili, ma garantiamo al lettore che saranno esposti in termini accessibili a tutti. Questo volume tratta di salute, malattia, bioetica e cultura, con particolare attenzione ai problemi del cancro e dell’AIDS. Alla fine la nostra fatica è stata coronata dal successo, a dispetto della distanza che separava gli autori, delle diversità linguistiche e dell’ingente mole di lavoro. Il curatore ha considerevolmente alleggerito il nostro compito, e abbiamo nei suoi confronti un grande debito di gratitudine per il suo costante incoraggiamento e la sua sollecitudine. RENÉ SIMARD XV Introduzione Ikeda: Grazie alle sue ricerche sul cancro, il dottor René Simard, fino a non molto tempo fa rettore della University of Montreal, è divenuto un’autorità mondiale nel campo della fisiologia e della citobiologia, e in particolare un pioniere nelle ricerche sugli agenti antimetaboliti e anticancerogeni. Il dottor Bourgeault è docente di bioetica e di pedagogia. Nel secolo appena iniziato i loro ambiti di ricerca diventeranno di importanza vitale; hanno cortesemente accettato di dividere con noi le loro conoscenze e la loro esperienza per aiutarci ad approfondire la comprensione delle quattro fondamentali cause di sofferenza – la nascita, la vecchiaia, la malattia e la morte – e a imparare a condurre una vita sana. Simard: È mia opinione che questo dialogo offra una preziosa opportunità di dare coraggio a chi è affetto dal cancro o dall’AIDS, nonché a quanti si preoccupano dell’impatto esercitato sulla loro esistenza dai progressi tecnologici. Ho avuto svariate possibilità di incontrarla e XVII scambiare opinioni con lei, signor Ikeda, e devo dire di avere trovato le nostre discussioni molto stimolanti. Ikeda: Nel 1994 la University of Montreal e la Soka University diedero inizio a un programma di scambi accademici e formativi. Da allora, con mia grande soddisfazione, le relazioni fra i due istituti sono diventate sempre più strette e profonde. Nell’aprile 1994 il Centre d’études de l’Asie de l’Est (Centro studi sull’Asia Orientale) della University of Montreal e l’Istituto di filosofia orientale, del quale sono il fondatore, conclusero un accordo di scambi fra docenti. Lei, dottor Simard, ci fece l’onore di intervenire in occasione della cerimonia per la firma dell’intesa. In quell’occasione disse: «L’armonia fra scienza e verità è un autentico contributo all’umanità». Quelle sue parole esprimono perfettamente lo spirito e il significato del nostro colloquio. Bourgeault: Le relazioni fra il Canada e il Giappone avevano gravemente sofferto in seguito alla seconda guerra mondiale, quando i nostri Paesi erano schierati su fronti opposti. Fortunatamente le cose sono cambiate, e sono lietissimo che il programma di scambi fra la Soka University e la University of Montreal ne sia testimonianza, soprattutto dal momento che le nostre discussioni rientreranno in questo quadro. Simard: Non dimenticherò mai la mia prima visita alla Soka University, nel 1990. Un coro studentesco femminile mi diede il benvenuto. Adesso quelle ragazze devono essersi laureate, ma conservo un vivo ricordo della giornata. XVIII La visita mi fornì un’idea dei grandi risultati da voi conseguiti. Nel campus della Soka si respira un’atmosfera di apertura al mondo, di benevolenza contagiosa e di armonia. Mi resi conto che l’università conferisce ben più che conoscenze: produce individui a tutto tondo. E in che meraviglioso ambiente culturale vivono gli studenti, che godono di un costante accesso a risorse come lo splendido Tokyo Fuji Art Museum, con la sua superba raccolta di opere d’arte! Ikeda: La ringrazio per la sua gentilezza. Anche la University of Montreal, però, è un’istituzione di livello mondiale. Simard: Con cinquantamila iscritti e tredici facoltà, nonché i corsi di specializzazione post laurea, è il più grande ateneo francofono d’America. Una delle sue caratteristiche distintive è l’impegno che dedichiamo agli scambi formativi. Con i movimenti economici globali che esercitano influenze così determinanti, anche le università sono chiamate a dare una risposta al bisogno di internazionalismo e di differenziazione tanto nel campo della ricerca quanto in quello dell’insegnamento. Facciamo del nostro meglio per rispondere a tali esigenze. Abbiamo già concluso accordi internazionali di scambio fra studenti con oltre novanta istituti di tutto il mondo, compresa, naturalmente, la Soka University. Ikeda: Ricordo anch’io con piacere la mia visita al vostro campus, nell’autunno 1993. La Soka Gakkai Internazionale stava presentando la sua prima mostra oltreoceano, Toward a Century of Humanity: An Overview of Human Rights in Today’s World (Verso un secolo di XIX umanità: una rassegna dei diritti umani nel mondo d’oggi), e fui presente alla cerimonia inaugurale. Voi foste entrambi di grande aiuto nella realizzazione della mostra. Simard: Fu un piacere, per noi, offrire lo spazio per quella splendida esposizione, che destò vivo interesse nell’ateneo. Oggi i diritti umani costituiscono uno dei problemi più importanti nel mondo occidentale, e l’obiettivo del movimento SGI è difenderli. A nessuno dovrebbe essere consentito di privare il prossimo dei suoi diritti. Ikeda: Finora la mostra della SGI è stata allestita in ventiquattro città di otto Paesi, ricevendo ovunque una buona accoglienza. Bourgeault: La gamma delle attività della SGI – spesso dedicate a studiare una soluzione per problemi cruciali – è davvero impressionante. Chiaramente lei e i suoi colleghi siete animati da un forte spirito missionario, e lei non ha timore né di discutere né di agire. Ikeda: In Dialoghi: l’uomo deve scegliere, la mia conversazione con Arnold J. Toynbee (1889-1975), fu lui a sostenere che il XX secolo sarebbe stato ricordato non come un periodo di contrasti politici o di progressi tecnologici, ma come un’epoca nella quale la comunità umana ha cominciato a considerare la salute di tutti i suoi membri un obiettivo raggiungibile. Oggi la società si occupa seriamente della questione: in parte perché la pace sta diventando sempre più una realtà per un crescente numero di persone e in parte perché livelli sempre maggiori di stress contribuiscono a incrementare la sensibilità personale per il benessere fisiXX co. In un clima del genere la salute è divenuta un argomento di dibattito e discussione di primo piano. Alcune industrie, basandosi su teorie palesemente prive di fondamento scientifico, sfruttano anche le opportunità commerciali offerte dal boom della salute. Mi sembra necessario tracciare una rotta verso una corretta concezione del problema, fondata non sul proprio utile ma su valide basi filosofiche e scientifiche, per poi ampliare tali vedute in modo che ognuno possa comprenderle con facilità. Bourgeault: Le domande riguardanti la vita e la morte hanno un’estrema importanza. Mi ha sempre stupito che nel Nordamerica e in Europa la bioetica sembri tentare di evitarle, limitandosi ad argomenti più specifici e a questioni tecniche. Ikeda: Per fare del XXI secolo un «secolo della vita» i profani devono essere più consapevoli e meglio informati. Io sono pronto a fare tutto il possibile per raggiungere questo obiettivo. Di rado il grosso pubblico legge saggi e monografie: per questa ragione preferisco affrontare temi significativi con il dibattito, e ho suggerito che i nostri colloqui avessero questa forma perché rende le idee chiare e comprensibili. Il dialogo fu lo strumento tipico di Socrate (469-399 a.C.); se ne servirono anche Shakyamuni e Nichiren Daishonin (1222-82),* dei quali seguo gli insegnamenti. Continuando la loro tradizione, * Rispettivamente il fondatore del Buddismo, il Budda storico, e il fondatore del Buddismo Nichiren, il Budda dell’Ultimo Giorno della Legge. XXI ho avuto colloqui su tematiche contemporanee con numerose personalità eminenti. Bourgeault: All’inizio del suo saggio sulla morte cerebrale,* lei ha espresso il desiderio che un pubblico meglio informato possa prendere parte al dibattito sulla salute, che ci riguarda tutti. Senza dubbio i problemi che discuteremo – come la vita, la malattia e la morte – riguardano ogni essere umano. Credo che la forma del dialogo da lei suggerita sia un veicolo perfetto per dibattiti di un interesse così generale. Ikeda: Spero anche che le nostre discussioni giovino alle preoccupazioni femminili. In questo secolo le donne si porteranno di certo all’avanguardia. Mi auguro sinceramente che le lettrici trovino i nostri discorsi importanti e interessanti. Bourgeault: Lei solleva un argomento delicato, tanto più pertinente dal momento che i nostri colloqui si svolgono fra tre uomini. Sfortunatamente, i grandi problemi vengono spesso discussi solo tra uomini. Senza cadere in stereotipi semplicistici, credo si possa dire che di frequente le idee maschili si fondano sulla nozione di potere e vengono recepite in termini di dominio; forse le donne, in generale, sono meno ossessionate dal peso esercitato dagli interessi politici ed economici e sono più aperte ad analisi e azioni non direttamente influenzate * Daisaku Ikeda, Thoughts on the Problem of Death from the Viewpoint of the Buddhism of Nichiren Daishonin, The Institute of Oriental Philosophy, Tokyo. XXII dai giochi di potere. Ragionano più in termini di tutela e qualità della vita. Ikeda: È una teoria che merita di essere presa seriamente in esame. Per anni lei ha studiato come stimolare il «potere femminile» a migliorare la qualità dell’esistenza, suggerendo che si fondi più sulla condivisione, il dialogo e la comprensione che sul controllo. Approvo la sua fiducia in questo potenziale, da lei brillantemente espressa quando ha affermato che ci aspettiamo molto dai movimenti femminili, e non solo per le donne, ma anche per gli uomini. Simard: Nelle nostre facoltà di medicina ci sono molte studentesse. Una percentuale sempre più alta di ragazze porta a termine i corsi e si laurea, e un numero maggiore rispetto ai compagni maschi si dedica a compiti difficili e impegnativi. In Canada, se continuerà la tendenza attuale, presto il 65% dei laureati in medicina saranno donne. Avendo doti di comunicazione migliori degli uomini, con un aumento del loro numero credo che il rapporto medico-paziente migliorerà. Ikeda: Torneremo su questo importante argomento. Ma, per dare inizio al dibattito, vorrei in primo luogo porre qualche domanda personale a ciascuno di voi. Per favore, dottor Simard, ci parli della sua infanzia. Simard: Sono nato e cresciuto a Montreal, ultimogenito di una famiglia numerosa. I miei genitori credevano nell’importanza della cultura, e fecero in modo che andassimo tutti al college e all’università. Fin dalla prima giovinezza ebbi la fortuna di vivere in un ambiente culXXIII turalmente ricco, impregnato della tradizione umanistica degli studi classici. Ikeda: Mentre frequentava la University of Montreal, lei lasciò gli studi letterari per laurearsi in medicina. Negli anni seguenti iniziò una brillante carriera nell’ambito della patologia, della citobiologia e dell’oncologia. Che cosa la spinse a dedicarsi a quei campi? Simard: In origine, una profonda compassione per i sofferenti. Tuttavia, le spiegazioni mediche delle cause delle malattie mi lasciavano insoddisfatto, perciò scelsi come specializzazione la patologia, poiché questa disciplina formula le diagnosi sullo sviluppo delle malattie. Tuttavia, se è indubbio che le diagnosi sono fondamentali, ben presto mi resi conto che gli unici criteri per i vitali responsi dei patologi erano la conoscenza della biomorfologia e i dati accumulati grazie alle esperienze precedenti. Ma raramente i patologi mettono in discussione le cause della malattia. Alla fine, dunque, decisi di impegnarmi in due ambiti che, proprio allora, erano attivi e promettenti: la citobiologia e la genetica. Ikeda: Capisco. E, dopo avere terminato gli studi, continuò a praticare la ricerca a New York e a Parigi. Simard: Lasciai il Canada nel 1962, a ventisette anni, e andai a New York, dove svolsi l’internato alla Mt. Sinai Hospital and Medical School, che aveva fama di essere uno dei migliori centri degli Stati Uniti per la formazione dei medici. Sotto la direzione del defunto dottor Hans Popper (1903-88), il dipartimento di patologia era rinomato per l’altissima qualità e l’impegno nella ricerca. EbXXIV bi la fortuna di completare la specializzazione in patologia mentre lavoravo a un progetto sul controllo della divisione cellulare. Per uno come me, desideroso di immergersi in una cultura nuova e d’avanguardia, New York era l’ambiente perfetto. Ricordo quanto mi cambiò il semplice fatto di vivere in quella città, che tuttora, ai miei occhi, non ha perso nulla del suo splendore. Ikeda: Lei ne parla con accenti quasi poetici. E che cosa mi dice di Parigi? Simard: Vi andai nel 1965, per effettuare una ricerca sotto la direzione del dottor Wilhelm Bernhard (192078), uno scienziato del massimo livello, molto noto per il suo lavoro sul cancro, nonché uno dei primi biologi a descrivere il retrovirus ora conosciuto come causa dell’AIDS. Era anche un filosofo con una grande esperienza, che sapeva trovare un senso nella vita di ogni giorno. Quell’anno Jacques Monod (1910-76), François Jacob (1920) e André Lwoff (1901-94) avevano appena ricevuto il premio Nobel per la fisiologia, e Parigi era la Mecca della ricerca citobiologica. Ebbi il privilegio di frequentare le lezioni di quei giganti e di incontrarli personalmente in varie occasioni. Ikeda: Il caso e la necessità di Monod* fu tradotto in giapponese ed ebbe un notevole successo. Anch’io lo trovai estremamente interessante. * Jacques Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Mondadori, Milano 1974. XXV Ora, per cortesia, ci parli della University of Montreal, di cui lei è stato rettore. Come ne descriverebbe la filosofia di base? Che cosa la rende unica? Simard: Il motto dell’università è: «Fide splendet et scientia» (Possa risplendere con verità e sapienza). Per uno studioso, nulla potrebbe essere più stimolante di questa massima. All’inizio degli anni Novanta l’ateneo diffuse un documento ufficiale che specificava la sua missione, nel quale si definiva come priorità l’essere all’avanguardia in nuovi campi della conoscenza, insieme con criteri severissimi per gli studenti che intendevano conseguire la specializzazione e il dottorato di ricerca. Ai membri della nostra facoltà è richiesto di consacrarsi totalmente alla ricerca e di inserire nei propri corsi tutte le scoperte effettuate. Ogni anno l’università conferisce trecento dottorati e più di duemila lauree. Oltre a tredici facoltà e due istituti affiliati, vi sono circa centoventi cattedre, centri di ricerca e gruppi interdisciplinari. Alla University of Montreal vengono assegnati annualmente circa duecento milioni di dollari canadesi per la ricerca; in questo modo il nostro ateneo offre un importante contributo allo sviluppo economico della città, del Québec e del Canada. Circa un quarto dei fondi è impiegato in ricerche commissionate da imprese private e in iniziative organizzate in collaborazione con queste. Ricoprire la carica di rettore è stato un privilegio straordinario: mi sentivo sinceramente investito del compito di far «risplendere con verità e sapienza» la nostra università. Durante il mio mandato, il mio unico obiettivo è stato lavorare per realizzare questo ideale. XXVI Ikeda: Cambiando discorso, vorrei domandarle chi sono le persone che stima di più. Simard: Ho avuto la fortuna di conoscere numerosi docenti e scienziati di fama mondiale il cui esempio è meritevole di grande ammirazione. Dovendo sceglierne uno solo, citerei Wilhelm Bernhard. Ikeda: Il suo maestro a Parigi? Ha accennato che fu uno dei primi biologi a descrivere il retrovirus che oggi sappiamo essere causa dell’AIDS e della leucemia. Simard: Esatto. Ricevetti una rigorosa formazione nel campo della metodologia scientifica nel suo laboratorio, dove condussi anche le mie prime ricerche sulla struttura e la funzione dei nuclei cellulari (citoblasti). Il dottor Bernhard era un entusiasta. La sua passione per la ricerca, l’arte, le piante e le persone era straordinaria, e coltivava tutti questi interessi simultaneamente; invece di tenere per sé il suo entusiasmo, lo comunicava in vivaci discorsi e animate discussioni. Chi si trovava accanto a lui veniva contagiato dal suo ardore prima ancora di rendersene conto. Il suo tono di voce, la dolcezza del suo sguardo, tutto in lui elettrizzava e ispirava. Ikeda: Nel Buddismo l’incontro con un maestro, con una persona della quale si condividono gli ideali e si raccoglie l’eredità, è considerata la via più certa verso un’autentica felicità. Lei è stato molto fortunato a entrare in contatto con una personalità del genere. Simard: Il dottor Bernhard non era solo uno scienziato di prim’ordine, ma anche un umanista, con un sinceXXVII ro amore per il prossimo. Aveva una vasta cultura, era uomo di interessi universali e di grande intuito, e per tutta la vita si impegnò in una significativa battaglia per un’autentica cittadinanza mondiale. Ripensando alla propria esistenza, scriveva: «Sono nato svizzero, su una frontiera linguistica. Per molti anni sono vissuto da francese, con profonde radici a Parigi. Penso da europeo, ma sogno da cittadino del mondo». Ikeda: Sognare da cittadino del mondo: è precisamente ciò che il mio maestro Josei Toda (1900-58) insegnava ai discepoli quando li iniziava alla propria concezione di famiglia globale. Sollecitava i giovani a edificare una comunità umana globale e a vivere da cittadini del mondo. Io ho consacrato la vita a realizzare il suo ideale. Simard: Nel laboratorio del dottor Bernhard imparai quanto apprezzasse i contatti e gli scambi con gli altri. Per più di trent’anni offrì le sue conoscenze a ricercatori e colleghi giunti da tutto il pianeta per imparare da lui. Riteneva che condividere il sapere fosse importante quanto acquisire nuove nozioni. In questo senso si dimostrò un grande educatore e scienziato. Ikeda: Lo spirito di abnegazione di Bernhard coincide con l’ideale buddista della compassione. Le persone autenticamente grandi dedicano l’intera esistenza all’amore per il prossimo, senza badare alle proprie condizioni o sofferenze. Il Mahatma Gandhi (1869-1948) e Rabindranath Tagore (1861-1941) erano uomini di questo genere, e oserei includere fra coloro che consacrarono la propria vita all’umanità anche Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), il XXVIII fondatore e primo presidente della Soka Gakkai, e Josei Toda, il suo secondo presidente. Spiriti nobili come il suo maestro, il dottor Bernhard, sono sani nel corpo, nella mente e nell’animo; irradiano attorno a sé l’umanesimo. Il termine buddista Bodhisattva designa personalità elette, che si dedicano ad assistere gli altri. Chi possiede questa natura probabilmente non risente né dell’ansia né del timore della morte, la sofferenza finale, perché la sua esistenza è colmata dalla gioia e dalla soddisfazione di essere vissuto per il bene degli uomini. Simard: È senza dubbio così. Come epitaffio, Bernhard scelse le seguenti parole del filosofo e storico francese Ernest Renan (1823-92), che riassumono mirabilmente il suo stesso pensiero: «Solo la fine merita attenzione: tutto il resto è vanità. È vissuto di più colui che più ha amato con lo spirito, il cuore e le azioni».* Ikeda: Una profonda verità. Nichiren Daishonin insegnava: «Prima imparare a conoscere la morte, poi le altre cose».** Secondo un proverbio, le persone muoiono come sono vissute. Sia come sia, l’intera esistenza di un uomo si rivela nel momento della resa dei conti. La dottrina buddista secondo la quale la qualità o la condizione di vita persiste anche dopo la morte non fa che sottolineare l’importanza dell’estremo capitolo dell’esistenza materiale. Chi ama con più dedizione vive al massimo, senza ba- * Ernest Renan, L’avenir de la science, Lévy, Parigi 1890. ** Gosho Zenshu, Soka Gakkai, Tokyo 1954, p. 1404. XXIX dare alla durata della propria permanenza terrena. Donarsi al prossimo anima e corpo, ardendo di un amore appassionato per l’umanità è ciò che il Buddismo chiama la Via del Bodhisattva. Credo che questo genere di perfezione costituisca la strada che conduce a un’ottima morte e all’autentica longevità. Adesso vorrei porre qualche domanda personale al dottor Bourgeault. Anche lei è nato a Montreal? Bourgeault: Sì, e ho trascorso la maggior parte della vita in un ambiente urbano. Sono un vero ragazzo di città. Amo il mare, i laghi, i fiumi, i campi e le foreste, posso passare ore a osservare il mare calmo o agitato, ad ascoltare il vento fra gli alberi, ma dopo devo tornare al trambusto e all’operoso affollamento cittadino. Mi sento a mio agio nelle vie di Montreal, e più ancora in quelle di Roma, Parigi e Tokyo. Sono un uomo di lettere. Ho studiato filosofia e teologia. Il mio lavoro di ricerca e di insegnamento riguarda la morale, specialmente la bioetica e l’istruzione; tuttavia, rimango sempre un letterato. Spesso trovo i miei punti di riferimento morali ed educativi nella Bibbia, nelle grandi tragedie dell’antichità greca e nella letteratura francese. Le opere letterarie prendono in esame la complessità, l’ambiguità e le contraddizioni della realtà, aspetti spesso trascurati dalla scienza, che invece seziona la realtà. Ikeda: La narrativa, così come la poesia, è nata come percezione intuitiva della realtà in quanto totalità, che l’opera letteraria illustra nel suo dispiegarsi. D’altro canto, la scienza analizza il mondo, sforzandosi di individuarne le componenti e di comprenderne le relazioni. XXX La narrativa, la poesia, la filosofia, la religione e la scienza sono beni spirituali di valore incalcolabile, ma trovo più avvincenti la poesia e le altre forme di creazione letteraria. Bourgeault: Ho letto alcuni suoi libri e poesie, sfortunatamente in traduzione. In ogni sua opera è presente un tema comune: l’importanza della condivisione, il nostro far parte di una natura che ci trascende. Ikeda: Nulla esiste nell’isolamento, né nel mondo naturale né in quello degli uomini. Tutte le cose sono collegate e interdipendenti, e nel loro insieme formano la meraviglia del cosmo. La buona letteratura, sia in prosa sia in versi, mette l’individuo in relazione con la natura e il cosmo, integrandolo in essi in modo da curarne lo spirito quando il peso della realtà e della sofferenza diventa troppo greve. Credo che la poesia ci permetta di percepire la nostra presenza nell’immensità dell’universo, dove tutto è unità. Conclusi gli studi universitari, lei è divenuto sacerdote della Chiesa cattolica. Vent’anni dopo ha lasciato il sacerdozio per dedicarsi alle ricerche sull’etica, in particolare alla bioetica. Bourgeault: Gli stessi motivi che mi avevano condotto a prendere i voti, più tardi mi hanno spinto altrove: un insieme di libertà, a tratti di anticonformismo, e di impegno con – piuttosto che per – il prossimo. Probabilmente devo alle mie origini modeste e alle mie radici l’interesse per i problemi della società e per quelle che vengono definite giustizia sociale e difesa dei diritti e delle libertà. Sul piano professionale, cerco innanzitutto XXXI di concentrarmi sui risvolti sociali e politici delle questioni etiche ed educative. La mia carriera si è sviluppata lungo queste due direttrici. Penso che, in sostanza, insegnare sia un compito etico, e che etica significhi educare noi stessi, non gli altri. Non possiamo insegnare al prossimo: insegniamo a noi stessi insieme con il prossimo. Ikeda: Lei ha toccato un aspetto fondamentale dell’insegnamento. In un saggio su come migliorare la qualità dell’esistenza, ha posto un interrogativo cruciale per tutti noi: «Come dovrebbero vivere gli esseri umani?» Bourgeault: La vita è il piacere di vivere. È tensione, è un cammino verso qualcosa che non sappiamo identificare con esattezza perché la meta si allontana sempre. Non c’è significato nell’esistenza se non l’esistenza stessa, non c’è altro obiettivo se non la vita, con tutte le sue difficoltà e assurdità e la disperazione che talvolta comporta, ma anche con i suoi affetti, che costituiscono il tessuto e il pregio della nostra trama di incontri, scambi e conflitti. Ikeda: Credo di cominciare a comprendere la sua concezione della vita. Bourgeault: A volte l’impulso vitale è contorto. Gli assurdi orrori con i quali l’attualità ci bombarda giorno dopo giorno – guerre, catastrofi, violenze, massacri – sono intollerabili. Per molto tempo, malgrado tutte le indicazioni contrarie, ho coltivato l’idea che la coscienza dell’uomo migliorasse con il progresso della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, però sono stato costretto XXXII a dire addio a certe illusioni. Ho dovuto accettare che la storia possa essere – e sia – scritta dai fatti, senza necessariamente progredire dal peggio al meglio, o perlomeno al meno peggio, e senza alcuna direzione al di fuori di quella data da chi vive, respira ed è fiducioso nonostante tutte le ragioni per disperare. Amo la testardaggine dell’esistenza. Ikeda: Le sue parole rendono quasi tangibile un nobile ideale. Ora vorrei porle la stessa domanda che ho fatto al dottor Simard: chi l’ha influenzata di più? Bourgeault: Due insegnanti del liceo hanno esercitato su di me un influsso profondo. Uno è Julien Laperrière, il mio professore di lettere. In seguito, quando divenni io stesso docente, lo incontrai in un contesto in cui si discuteva di teatro. Ricordo ancora i versi belli e appassionati che ci lesse un giorno. Era una poesia che amava particolarmente, e noi avremmo dovuto analizzarla; lui però ci fermò, temendo che la nostra analisi ne distruggesse la vitalità e la bellezza. Ikeda: Che aneddoto rivelatore! Forse il suo insegnante voleva farvi capire pienamente la differenza tra poesia e scienza. Come il dottor Simard, lei ha avuto una grande fortuna trovando un maestro di tale levatura. Poche cose sono straordinarie quanto incontrare un essere unico, che desta in noi il desiderio di imitarlo. Bourgeault: Anche Claude Labelle, un altro mio professore, ha lasciato su di me un’impronta marcata: probabilmente non tanto per ciò che di fatto insegnava, XXXIII quanto per l’attenzione da lui dedicata a ciò che pensavamo e facevamo, e per il suo desiderio di spingerci ad andare oltre. Senza dubbio parte delle mie idee sull’insegnamento deriva da lui. Ikeda: Shakyamuni sosteneva che raramente si ha il privilegio di imbattersi in un grande maestro. E aggiungeva: «Soltanto pochi ascoltano ciò che insegna un maestro; molti non prestano attenzione agli insegnamenti». È verissimo. Incontrare un uomo che possa esserci di esempio non garantisce che si impari; bisogna ascoltare, assimilarne i precetti e metterli in pratica. I discepoli dovrebbero manifestare gratitudine rispondendo e agendo in accordo con ciò che hanno appreso. Dottor Bourgeault, in gioventù lei ha avuto due grandi maestri, e oggi realizza ciò che ha imparato da loro. Bourgeault: Tuttavia, non ho imparato solamente dagli insegnanti di lettere. Per esempio, ho un grande debito di gratitudine anche con Léo Cormier (1924-84), un attivista sociale molto impegnato, che conobbi quando era presidente della Ligue des Droits et Libertés du Québec (Lega del Québec per i diritti e le libertà). Da lui, o con lui, ho imparato l’importanza di un ideale che si nutre di azione, e che a sua volta la orienta. Nella mia vita ho appreso, e sto tuttora apprendendo, da molte persone, sia allievi sia amici. Ikeda: Accanto ai suoi stimati maestri, lei ebbe alcuni buoni amici. La saggezza acquisita e arricchita nel contesto dell’esistenza quotidiana è propriamente ciò che s’intende con l’espressione «saggezza popolare». Sottili capacità intuitive, affinate dalle avversità e dalla necesXXXIV sità di affrontare i problemi reali, rendono possibile la percezione dell’essenza delle cose. Questa è l’autentica saggezza. Saper riconoscere e rispettare le diversità e individuare le doti altrui sono i segni caratteristici di una vera amicizia. Bourgeault: Sono lieto che questo dialogo mi offra la possibilità di conoscere le sue opinioni su numerose e importanti problematiche e di comprendere meglio che cosa la nostra epoca può trarre dalle tradizioni del Buddismo. Ikeda: Secondo la dottrina buddista «la vita, in quanto unità di spirito e corpo, dura in eterno (shikishinrenji)».* Quando lo spirito e il corpo operano insieme in armonia, l’esistenza procede verso il suo compimento, realizzandosi con maggiore completezza a ogni fase ascendente. Questo è l’ideale della vita umana. Certo, la salute fisica è importante, ma lo sono anche quella mentale e spirituale, per non parlare di quella sociale. Nel corso delle nostre discussioni ci porremo svariate domande: che cos’è un’esistenza veramente significativa? Come condurre una vita sana, condizione necessaria * «La vita, in quanto unità di spirito e corpo, dura in eterno»: il grande studioso cinese T’ien t’ai, celebre per il commento al Sutra del Loto, si serve di questa frase nell’ultimo capitolo del quarto volume del suo Parole e frasi del Sutra del Loto per spiegare l’impurità dell’esistenza. L’espressione descrive un importante aspetto del pensiero buddista, che presuppone che l’uomo mantenga, una vita dopo l’altra, la forma mutevole e incerta del proprio corpo e del proprio spirito. XXXV per la felicità? Che cosa può dirci in merito la medicina? Che cosa possiamo apprendere dalla saggezza del Buddismo? Spero che le nostre risposte a questi e ad altri interrogativi diano luogo a un dibattito vitale, capace di guadagnarsi l’interesse degli uomini del XXI secolo. XXXVI