Appendice I – Aquileia A.A. 2008/2009 1 La colonia venne dedotta

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Appendice I – Aquileia A.A. 2008/2009 1 La colonia venne dedotta
Appendice I – Aquileia
A.A. 2008/2009
LE ANTICHITÀ CRISTIANE DI AQUILEIA
1. INTRODUZIONE STORICA
La colonia venne dedotta nel 181 a.C. dal Triumvirato allora al potere, come sappiamo dal racconti
di Tito Livio, suffragato dal rinvenimento di un’epigrafe conservata nel museo archeologico.
Giuliano l’Apostata fa derivare il nome dall’apparizione miracolosa di un’aquila durante la
cerimonia di fondazione, mentre lo storico tardo antico Zosimo l’attribuisce alla presenza del fiume
Aquilis, il Natisone, che unisce la città alla laguna di Grado.
Più probabilmente il nome della città deriva dal toponimo celtico akileja dell’insediamento
precedente.
Figura 1. Veduta satellitare del territorio Aquileiese
Il progressivo collegamento della città agli altri centri dell’impero mediante la costruzione di strade,
contribuì in maniera determinante alla sua rapida ascesa:
148 a.C. la via Postumia collega Aquileia con Cremona e il nord Italia
131 a.C. la via Annia collega Aquileia con Concordia, Altinum e quindi Roma
I sec. a.C. la via Iulia Augusta collega Aquileia con Iulium Carnicum sul Tagliamento e quindi con
l’Europa centro settentrionale
I sec. a.C. la via Gemina collega Aquileia con Aemona, l’attuale Lubiana e quindi con le province
orientali.
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Nell’89 a.C., dopo la guerra sociale, diventa un municipium con ampia autonomia amministrativa,
preludio alla grande rilevanza che acquista in età augustea.
Con la riforma amministrativa dell’impero infatti, rientra nella regio X Venetia et Histria di cui ne è
addirittura la capitale.
C Sede Comunale
B Basilica
MA Museo Archeologico
MP Museo Paleocristiano
Strutture archeologiche d’epoca romana
visibili
1 Foro
2 Porto fluviale
3 Abitazioni (ex Cossar)
4 Abitazioni (ex CAL)
5 zona commerciale (ex Pasqualis)
6 Sepolcreto
7 Terme imperiali
8 Mura difensive
9 Strada romana
10 Mura difensive
Figura 2. Planimetria della città con i principali siti archeologici
Ad Aquileia risiedevano il corrector Venetiarum et Histriae, cioè il governatore della regione X, il
praefectus classis venetum, cioè il comandante della flotta che presidiava l’Adriatico, il procurator
monetae aquileiensis, il preposto alla zecca che battè moneta ininterrottamente da Diocleziano a
Teodosio II.
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Figura 3. Resti del porto fluviale romano e veduta della basilica medievale
Dal punto di vista sociale la città, per il suo ruolo di ponte con l’oriente, era abitata da una forte
comunità orientale, proveniente dalla Siria, Palaestina, Arabia, Panfilia e Cilicia.
Forte era il legame con la cultura alessandrina ed assai numerosa la comunità ebraica. Un fertile
terreno per l’affermazione del cristianesimo in epoca assai precoce,
Nel secolo III Aquileia appare come una città fiorente, ma di rango politico secondario, un ricco
centro commerciale a cui la straordinaria ed efficace resistenza della sua popolazione civile di
fronte all'usurpatore Massimino il Trace descritta dallo storico greco Erodiano (238) ha conferito
singolare prestigio; l'episodio culminante della vicenda è raffigurato con ingenua semplicità anche
sul fianco di un'ara: Aquileia, assediata da Massimino, chiede aiuti a Roma e, dall'alto del suo trono,
la turrita matrona stende la mano alla città supplicante che porta sulla corona l'insegna simbolica
dell'aquila. Solo le riforme tetrarchiche elevano l'importanza politica di Aquileia al rango del suo
peso economico e, come è stato ultimamente osservato, favoriscono l'elaborazione di una coscienza
civica consolidatasi nella resistenza del 238 e destinata a pesare sulla storia della città.
L'Edictum de pretiis promulgato da Diocleziano sullo scorcio del sec. III per calmierare i prezzi in
un momento di crisi economica lascia intendere il ruolo di Aquileia nella rete del grande commercio
mediterraneo, confermando la sua prosperità e la continuità della sua funzione emporiale illustrata
già da Strabone per il periodo augusteo e da Erodiano per il sec. III.
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Dalla letteratura ecclesiastica della fine del sec. IV si ricava la vitalità dei collegamenti marittimi, le
regolari relazioni con l'Oriente e la frequenza degli scambi, attestata anche dall'abbondanza delle
ampolle di pellegrinaggio trovate ad Aquileia, oltre che da una considerevole quantità di anfore
africane del sec. IV e di ceramica africana e orientale. Il secolo IV segna dunque l'apogeo di
Aquileia, che, per la diversità di funzioni svolte, assurge al rango di vera metropoli, cerniera tra il
mondo mediterraneo e quello continentale europeo. Aquileia assume allora il ruolo di capitale della
provincia dioclezianea Venetia et Histria, mentre la presenza abituale del governatore con i suoi
uffici accresce il peso e il fasto della città, che consolida la sua importanza amministrativa anche
grazie all'istituzione della zecca, le cui emissioni sono destinate per lo più al pagamento delle truppe
sul fronte danubiano.
Tale prosperità si riflette anche sull'assetto urbano, già dotato delle strutture tipiche di un grande
centro cittadino (teatro, anfiteatro, terme, circo): in effetti il sec. IV, specialmente sotto la dinastia
costantiniana, è stato un momento di intensa attività edilizia e di modifiche del paesaggio urbano (si
è parlato anche di «rivoluzione urbanistica»), in seguito allo sviluppo del nuovo polo aggregato
intorno all'impianto della prima basilica episcopale nella zona sudorientale della città, dentro la più
ampia cinta delle mura tardoantiche. Anche il foro, riccamente monumentalizzato in età severiana,
ricevette una nuova sistemazione da parte del primo governatore cristiano della Venetia et Histria,
Septimius Theodulus, che, all'inizio del 360, avviò un restauro sistematico delle statue lì esposte nel
tentativo di riaffermare il culto di una memoria civica che poneva al primo posto la storia della città.
Stime demografiche non sono possibili per mancanza d'informazioni dirette, tuttavia si può dire che
la superficie compresa entro la cinta delle mura tardoantiche collochi Aquileia al livello delle città
di media grandezza piuttosto che a quello delle megalopoli dell'impero, come Roma e Alessandria1.
Vi sono attestati anche parecchi soggiorni di imperatori, mentre l'esistenza di un palazzo imperiale
alle Marignane, a ovest del circo, è ipotesi ancora bisognosa di conferme. Aquileia è presente anche
nelle opere degli storici antichi per il posto che occupa nella storia politica e militare del sec. IV,
quando, in più occasioni, manifesta ostilità per un potere ritenuto illegittimo e, come al tempo di
Massimino il Trace, è disputata tra i candidati all'impero: nel 313 essa tenta di resistere a
Costantino; nel 351-352 accoglie tra le sue mura il tiranno Magnenzio, celebrato nella
documentazione numismatica della zecca aquileiese come liberator rei publicae e restitutor
libertatis in linea con i valori ereditati dalla più veneranda tradizione romana; nel 360 si presta al
tentativo delle legioni di Costanzo per contestare la legittimità di Giuliano (l'Apostata); nel 387
l'usurpatore Magno Massimo, dopo la fuga di Valentiniano II verso l'Illirico e la sfida a Teodosio,
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Alla metà del IV secolo Ausonio (Ordo nobilium urbium IX, 2-4) la celebra come la quarta città d’Italia, dopo Roma,
Milano e Capua, la nona di tutto l’impero, ed un importante baluardo contro i barbari illirici.
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vi stabilisce il centro della sua resistenza, trovandovi la morte. Nonostante il ruolo passivo se non
ambiguo di Aquileia in tale frangente, il retore Decimo Magno Ausonio ritiene di doverla celebrare,
in linea con una tradizione letteraria ormai consolidata, come città moenibus et portu celeberrima,
assegnandole il nono posto fra le più nobili città dell'impero per gli eventi decisivi di cui è stata
spettatrice: alla città
reale si sovrappone dunque l'evocazione della città eroica.
Nel 394, Teodosio tornò ad Aquileia un'altra volta come difensore dei diritti dell'impero per
contrastare Arbogaste che aveva ucciso Valentiniano II e aveva proclamato imperatore Eugenio, di
cui anche Ambrogio riprovava l'azione filopagana tanto da abbandonare Milano per Bologna, prima
tappa del suo volontario esilio: perciò, mossosi da Costantinopoli, Teodosio si diresse verso
Aquileia, quartiere generale dei ribelli e nella valle del Frigido (Vipacco), favorito da un vento
improvviso, sbaragliò il nemico, fiaccando così la reazione pagana.
Nella misura in cui presidia i passaggi delle alpi Giulie e l'accesso all'Illirico, Aquileia diventa la
porta d'Italia: è stato detto che prendere Aquileia era una sfida, possederla garanzia di sicurezza.
Tuttavia dalle fonti dell'epoca si ricava l'impressione che la grandezza della città non dipenda più
solo dalle sue funzioni politiche e strategiche, ma si fondi su una storia gloriosa coltivata dai suoi
abitanti e tesa a giustificare la reputazione d'invincibilità militare e morale.
La situazione politica dell'Occidente si era andata particolarmente aggravando dopo la morte di
Teodosio, che aveva saputo ridare all'impero unità e coesione. Si era ormai alla vigilia delle
invasioni dei popoli migranti, quando, intorno al 396, S. Girolamo, che aveva veduto il suo paese
natale di Stridone distrutto dai Goti, scriveva a Eliodoro di Altino: «Sono più di vent'anni che tra
Costantinopoli e le Alpi Giulie scorre ogni giorno sangue romano… dovunque lutto, dovunque
gemito e immagine di morte. L'orbe romano crolla».
Sullo scorcio del 401 i Goti di Alarico, valicate le Alpi Giulie, avevano già cinto d'assedio Aquileia,
davanti a cui si ripresentarono nel 408: ignoriamo se allora la città abbia resistito, ma è certo che il
vescovo Cromazio si sforzava di confortare i suoi fedeli anche nell'azione liturgica, come quando,
nel sermone di una veglia pasquale, invitò l'assemblea a pregare il Signore affinché si degnasse di
liberare il suo popolo e di ricacciare le barbaras nationes.
La città subì un duro colpo nel 452 a causa dell'invasione attilana, le cui conseguenze morali e
sociali si rispecchiano nella celebre lettera Reversus ad nos inviata da S. Leone Magno al vescovo
aquileiese Niceta per risolvere i gravi problemi provocati da quell'improvviso flagello.
Nel 568 è conquistata dai Longobardi ed incorporata nel ducato del Friuli. In quest’occasione il
patriarca si rifugia a Grado.
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2. LE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO AD AQUILEIA
In un diploma carolino del 792 concesso al patriarca Paolino si definisce la chiesa aquileiese di
origine apostolica ed in particolare la legano alla presenza evangelizzatrice di san Marco.
Paolo Diacono nel suo Gesta episcoporum mittensium redatto nel 783-786, racconta in modo
dettagliato questa tradizione locale per cui Pietro da Roma avrebbe inviato ad evangelizzare san
Marco ad Aquileia, Apolllinare a Ravenna, Leucio a Brindisi, Anatolio a Milano.
Negli atti del Sinodo di Mantova del 827 si dice che Marco abrebbe condotto a Roma Ermagora
perché Pietro lo ordinasse primo vescovo della città, prima della partenza di Marco per Alessandria.
E’ degli inizi del IX secolo la redazione della Passio sanctorum martyrum Ermagorae et Fortunati.
Dalla cronologia di queste fonti possiamo affermare che l’affermarsi della fondazione apostolica sia
altomedievale ed in particolare andrebbe ricondotta alle vicende che tormentarono nel VI secolo la
Chiesa. Nello Scisma dei Tre Capitoli infatti la chiesa aquileiese si oppose a Roma e polemicamente
i vescovi dal 579 si attribuirono dal 579 il titolo di “patriarca” Venetiarum et Histiriae, dovuto solo
alle sede apostoliche cioè Roma, Antiochia ed Alessandria.2
Al di là dell’evidente leggendarietà di questa tradizione, è stato recentemente riconosciuto un
nucleo storico, ascrivibile ai forti legami ormai dimostrati fra la Chiesa aquileiese e quella
alessandrina.
E’ significativo comunque che né Eusebio di Cesarea, né Rufino di Concordia († 410), né san
Cromazio († 408), né san Girolamo († 420) accennino mai a questa tradizione nei loro scritti.
Anzi in una lettera a Narsete papa Pelagio I (556-561) si lamenta perché il metropolita, confictae
approbationes, cioè con documenti inventati, avesse assunto il titolo di patriarcha Venetiarum et
Histriae in contemptum apostolicarum sedium (cioè appunto Roma, Antiochia e Alessandria).
La prima testimonianza storica della presenza ad Aquileia di una gerarchia organizzata si ha con la
firma del vescovo Teodoro al Concilio di Arles nel 314, convocato da Costantino per risolvere la
questione donatista.
E’ lo stesso personaggio il cui nome si legge nell’epigrafe dedicatoria dell’aula sud del complesso
ecclesiastico aquileiese, dedicata appunto negli anni immediatamente contigui all’Editto di Milano.
In base alle due cronotassi episcopali redatte ad Aquileia e Grado nel IX secolo, la presenza di una
comunità organizzata risalirebbe alla metà circa del III secolo.
Ma un'attenta analisi dei rapporti fra la Chiesa di Aquileia e quella di Alessandria, cui già si è
accennato sopra, e una rinnovata lettura dell'antico Simbolo aquileiese trasmessoci da Rufino di
Concordia hanno indotto ultimamente Guglielmo Biasutti ad anticipare ipoteticamente alla seconda
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Papa Sergio I nel 699 riconosce questo titolo.
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metà del sec. II l'esistenza in Aquileia di una comunità cristiana organicamente costituita e di un
boni depositi custos con l'autorità di modificare la formula del Credo.
L'origine della leggenda marciana inoltre sarebbe in relazione non già con l'attività autonomistica
sviluppata dalla Chiesa aquileiese in aperto antagonismo con la Chiesa di Roma durante lo scisma
tricapitolino del sec. VI (Paschini), bensì con un nucleo storico costituito da intensi rapporti fra la
Chiesa di Aquileia e quella di Alessandria fin dai primordi cristiani: non pochi indizi infatti
additerebbero in missionari ebreo-cristiani, e anzi di estrazione alessandrina, i primi evangelizzatori
di Aquileia (Biasutti). Tali proposte bisognose di ulteriori verifiche sono le uniche, al momento, che
diano ragione di indizi altrimenti inspiegabili.
Un termine, tuttavia, oltre il quale riesce difficile ammettere una presenza massiccia di cristiani nel
tessuto della società romana locale pare offerto dagli avvenimenti del 238, in occasione dell'assedio
di Massimino il Trace che diede luogo nel momento di supremo pericolo a una dimostrazione non
solo di fiducioso consenso al nome romano, ma anche di unanime fedeltà alla tradizionale fede
religiosa e al culto del nume tutelare di Aquileia, Beleno.
Non mancarono i martiri, probabilmente pochi di numero, dei quali ad Aquileia erano noti i nomi e
venerate le tombe: i Sermoni del vescovo Cromazio, il Martirologio Geronimiano, compilato in area
veneto-aquileiese intorno alla metà del sec. V, e i materiali archeologici attestano appunto l'intensità
del culto martiriale e la solidità dei ricordi più ancora delle tarde incerte Passioni.
Oltre ad Ermagora e Fortunato, per la Passio di IX uccisi a Roma al tempo di Nerone e sepolto fuori
dalle mura di Aquileia in agello Alexandriae matronae, vanno ricordati il secondo vescovo Ilario
con Taziano suo diacono, uccisi al tempo di Numeriano (283-284), e soprattutto i tre Canziani,
Canzio, Canziano e Canzianilla, ricordati in un’omelia diversamente attribuita a sant’Ambrogio o a
Massimo di Torino, uccisi sotto Diocleziano a Roma. Ad essi accenna anche Venanzio Fortunato
nella sua Vita Sancti Martini.
3. LA BASILICA AQUILEIESE
L'attuale basilica di Aquileia è il risultato del sovrapporsi di numerosi interventi costruttivi e
ricostruttivi che hanno in parte obliterato, in parte hanno contribuito paradossalmente a conservare
l’importate complesso paleocristiano, risalente ai primi anni del IV secolo, splendidamente decorato
con un magnifico pavimento musivo.
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Figura 4. La basilica medievale di Aquileia
Figura 5. Particolare dell'interno
Questo complesso paleocristiano, per l'epoca unico nel suo genere, sarà la matrice di molti
complessi denominati come "basiliche doppie". Il patriarca Massenzio (811-833) dopo le distruzioni
attilana e longobarda, darà nuovo impulso ad Aquileia e a questo antico complesso religioso,
ristrutturando completamente al basilica sud e dandole, con l'aggiunta dei transetti laterali, la
caratteristica forma di croce latina che tuttora mantiene. Gli altri limitrofi edifici sacri (aula nord,
quadriportico, episcopio) non verranno più utilizzati.
Le devastanti incursioni degli Ungari prima ed in secondo luogo il forte terremoto del 998
danneggiarono fortemente la basilica. Sarà il patriarca Poppone (1019-1042) che terminerà i lavori
di restauro e a edificare con le pietre dell'anfiteatro la possente torre campanaria che oblitera i
mosaici dell’aula nord teodoriana. Il nuovo complesso verrà solennemente consacrato il 13 luglio
del 1031, e dedicato alla Vergine Maria Assunta e ai SS.Ermacora e Fortunato, come si può leggere
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nella scritta dedicatoria sotto il grande affresco absidale in cui vi è rappresentato lo stesso patriarca,
l'imperatore Corrado e la moglie Gisella con il figlio Enrico III.
Figura 6. Planimetria del complesso. In rosso le
strutture medievali
Figura 7. Il complesso teodoriano
La basilica subirà un nuovo grande intervento di restauro, dopo il rovinoso terremoto del 1348, da
parte del patriarca Marquardo di Randeck (1365-1381). Verranno sostituiti gli archi romanici, sopra
i capitelli popponiani, con le arcate gotiche, a sesto acuto, che sosterranno le nuove murature della
navata centrale, e tutto il soffitto ligneo riceverà la forma caratteristica di "carena di nave
rovesciata" che ancora oggi possiede.
La cripta degli affreschi, sebbene sia d'epoca Massenziana (sec. IX), è conosciuta soprattutto per gli
affreschi con le scene della "passio" del protovescovo aquileiese Ermacora e del suo diacono
Fortunato, risalenti al XII secolo. Le scene della "passio" si trovano riproposte sia attorno all'abside
(affreschi del XIV sec.) sia nelle pitture sul dorso degli stalli dei canonici del Capitolo aquileiese
(sec. XV).
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4. IL COMPLESSO TEODORIANO
Il complesso paleocristiano aquileiese consta di due aule di culto parallele (aula nord e aula sud),
comunicanti tramite una terza aula, impropriamente definita atrio, di raccordo. E’ probabile che
tutto il complesso sia stato eseguito contemporaneamente al tempo del vescovo Teodoro nel
secondo decennio del IV secolo, come lascerebbero intendere le due iscrizioni recanti il suo nome,
ma anche considerazioni di tipo stilistico e stratigrafico.
Figura 8. Il complesso teodosiano
5. L’AULA SETTENTRIONALE
I
II
III
IV
Figura 9. L'aula nord
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L’aula teodosiana settentrionale, costruita su resti di età repubblicana ed adiacente ad una domus
tardo imperiale, misura 37,40 X 17, 14-25 metri; una porta d’ingresso la mette in comunicazione
con l’aula trasversale. Eventuali altri ingressi sono purtroppo perduti. La pavimentazione musiva è
fortemente danneggiata dall’inserimento della torre campanaria popponiana (al cui interno sono
stati comunque trovati ampi lacerti) e dai pilastri del rifacimento “post teodoriano” della fine del IV
secolo.
La decorazione è organizzata in quattro campi musivi trasversali realizzati con ampie fasce
geometriche.
La prima campata (I) è a sua volta divisa in tre scomparti, caratterizzati dall’uso di tessere calcaree
bianche e grigio scure (calcare del Carso) e dell’uso del rosso nei contorni.
Lo scomparto centrale è ad intreccio di ottagoni con uccelli, fronde, canestri, morivi floreali rivolti
verso il centro dell’aula. Ripartita in quattro ottagoni è l’iscrizione :
---ORE / FELIX / HIC CREVISTI / HIC FELIX
Che si può integrare con:
«THEODORE FELIX HIC CREVISTI HIC FELIX».
Il testo può essere tradotto in diversi modi ed anche il suo significato, commemorativo o
dedicatorio, è stato oggetto di discussione.
a. Qui, o Teodoro Felice, qui sei cresciuto felice
Isc. Commemorativa
b. Qui, o Teodoro, felice, qui sei cresciuto felice
Isc. Dedicatoria
Si discute anche sul significato del verbo “crevisti”, letteralmente “sei cresciuto” che alluderebbe
forse alla casa romana in cui Teodoro (che però sappiamo Trace e non aquileiese!) sarebbe vissuto,
in cui forse c’era la domus ecclesiae precostantiniana, magari al piano superiore, e che avrebbe poi
donato alla Chiesa3.
Oppure vi è una seconda accezione del verbo che significa “crescere in dignità” e che alluderebbe
pertanto al percorso ecclesiastico vissuto in quella chiesa da Teodoro.4
Nella seconda campata (II) abbiamo un motivo di esagoni allungati e dodecagoni in forma di croce.
All’interno canestri, motivi floreali o animali (lince, cane, lepre, capra, ariete, etc. ) tutti rivolti
verso il centro. I colori sono più brillanti in quanto al posto del calcare sono state usate la pietra e
gli smalti.
3
Anche papa Damaso, vissuto da giovane nell’archivio della chiesa romana, trasformò quei vani in basilica. Teodoro
avrebbe fatto lo stesso.
4
Nel carme damasiano 57 il verbo “crevere” ha l’accezione di “crescere in dignità”.Damaso lo riferisce a se stesso.
“Hinc pater exceptor lector levita sacerdos creverat, hinc meritis quorum melioribus actis, hinc mihi provecto christus,
cui summa potestas seedes apostolicae voluit concedere honorem”.
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Anche qui leggiamo un’iscrizione all’interno di un ottagono:
IANUARIU--/ DE DEI DONO V----/P. DCCCLXXX—
che si può integrare con
«IANUARIUS CUM S(UIS) EPISCOPUS DE DEI DONO V(OTO FECIT /SOLVIT) P(EDES)
880».
Gennaro è secondo vescovo dopo Ermagora nella lista episcopale. E’ un’epigrafe votiva in cui il
nome del donatore è seguito dalla misura della superficie di mosaico donata (77 metri quatrati).
Tenendo conto che la campata è di 146 mq, Gennaro ne ha offerta circa la metà. Secondo alcuni
l’iscrizione è relativa ad un rifacimento di fine IV inizi V secolo del mosaico.
La terza campata (III) è caratterizzata da cerchi con nodi gordiani e fusi con fiori stilizzati o croci
gigliate. Nei riquadri motivi animali a volte araldicamente affrontati a coppie, vasi di fiori. Colori
molto vivaci su fondo bianco.
La III e la IV campata sono separate da un incavo in cui doveva trovare posto un cancellum. Tra gli
animali si evidenziano un’aragosta, un ariete e la celebre scena del gallo in lotta con la tartaruga che
ritroveremo anche nell’aula sud. Iscrizione sopra l’ariete (forse aggiunta successivamente?) in cui si
legge
CYRIACE VIBAS
Iscrizione commemorativa o di acclamazione ad un Cyriacus o una Ciriaca (nome declinato alla
greca).
Si sottointende l’espressione “in Deo”. Cioè «CIRIACO VIVI IN DIO!».
Fra i martiri aquileiesi ricordati dal Martirologio Geronimiano c’è una cerca Cyria (corruzione di
Ciriaca), ricordata il 17 giugno. Alcuni hanno ipotizzato un legame fra il simbolo del capro
espiatorio cui alluderebbe l’ariete e il personaggio nominato qui. E’ pur vero, come sottolinea il
Testini, che ai martiri in genere non si augura la vita eterna visto che già la stanno certamente
godendo, almeno secondo quella che è la tradizione dei formulari paleocristiani.
Testini suggerisce più che un martire, un ecclesiastico non diversamente noto e quindi il capro
alluderebbe al gregge di cui egli è pastore. Questo se l’epigrafe e l’ariete sono contemporanei.
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Figura 10. Mosaico della IV campata
Figura 11.Mosaico della III campata
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Figura 12. Iscrizione di Ciriaco e lotta del gallo e
della tartaruga
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Figura 13. L'aragosta
Analizzando nel loro insieme i mosaici delle quattro campate, emerge sostanzialmente come dal
punto di vista esse siano simili stilisticamente a due a due (I e II/ III e IV). Ciò fa pensare
all’intervento di diverse maestranze che abbiano lavorato contemporaneamente, piuttosto che al
reimpiego di I e II, precedentemente appartenenti ad una domus (di cui negli scavi qui non si è
ritrovato traccia), cui Teodoro avrebbe aggiunto III e IV.
L’interpretazioni quindi delle figure ricade pertanto in un contesto sostanzialmente unitario, cioè di
quel repertorio pastorale “cripto cristiano”, appartenente alla cultura ellenistica ed adottato in
diverse circostanze anche dai Cristiani.
Anche se un valore simbolico può essere rintracciato in alcune figure (ad esempio Fig. 12 con
iscrizione di cui si è parlato precedentemente), sembra difficile la lettura gnistico-alessandrina da
alcuni recentemente suggerita.5
Un valore simbolico doveva comunque certamente avere la scena della lotta del gallo con la
tartaruga, raffigurata in entrambe le aule.
5
La constatazione che le origini del cristianesimo aquileiese abbiano una forte componente alessandrina, mediata dal
giudaismo, ha fatto interpretare i mosaici dell’aula nord come una trasposizione grafica del testo gnostico a noi giunto
attraverso la tradizione copta, di derivazione alessandrina del II secolo, della "Pistis Sophia".
Questi mosaici rappresenterebbero simboliccamente il "percorso" dell'anima gnostica che per riuscire a ritornare al
Padre (la parte più ad Est, il Pleroma) deve attraversare il sistema cosmologico formato dai cieli planetari (Kerasmos)
e dallo Sterèoma (le costellazioni). Un'ascesi, quella gnostica, caratterizzata dall'influenza dei pianeti e dalle loro
congiunzioni. Dunque una salvezza o meno della propria anima,determinata a priori.
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Ambrogio e Prudenzio considerano il gallo simbolo della luce e del bene, perché con il suo canto
annuncia l’avvento dell’alba, mentre la tartaruga allude al mondo delle tenebre e del male, come il
suo stesso nome suggerisce (= abitante del tàrtaro).
San Gerolamo nel suo commentario ad Osea la assimila all’eretico gravato dai suoi peccati (guscio)
e quindi sarebbe un’allusione agli ariano o agli gnostici.
In questa simbologia della lotta fra il bene e il male si potrebbe pensare anche più genericamente a
Cristo, vero Dio, che prevale sugli idoli pagani.
6. L’AULA MERIDIONALE
L’aula sud misura 37,10 X 20,10 ed il tappeto musivo è suddiviso in quattro campate (I-IV) di cui le
prime tre sono a loro volta suddivise in tre riquadri. Ancora visibili le impronte delle base dei
pilastri o colonne che sostenevano l’originaria copertura. L’ottimo stato di conservazione è dovuto
al fatto che l’aula teodosiana ha fatto da pavimento alla successiva costruzione massenziana.
I
II
III
IV
Figura 14. L'aula meridionale
Nella figura in violetto le basi delle colonne che suddividevano la chiesa teodoriana in tre navate;
in giallo le basi del colonnato meridionale dell'attuale basilica; in rosa l'ubicazione del battistero per
aspersione del secolo XVI; in evidenza il comparto del "buon pastore".
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Nel campo I, 1 il tappeto musivo è realizzato da dodecagoni a forma di croce. Negli ottagoni
risultanti sono raffigurati quattro busti femminili, uccelli, delfini, seppie etc. al centro vi è un
pannello rettangolare, forse inserito posteriormente, secondo la modalità tradizionale dell’èmblema,
danneggiato dalla tomba medievale del vescovo Bertoldo (1218-1251) e raffigurante una barca con
remo e rete. Le figure femminili vestono una tunica attraversata da due clavi purpurei e al collo una
catenina con bulla. Una taenia raccoglie i capelli. La forte caratterizzazione fisiognomica dei volti
fa pensare a dei ritratti, forse di benefattrici.
Nel campo centrale (I,2) troviamo ancora lo spazio articolato da motivi geometrici (nodi di
Salomone e peltae falcatae) e la presenza di un pannello con la lotta fra il gallo e la tartaruga, forse
inserito posteriormente. Sulla colonna il sacculum, premio per il vincitore, su cui è scritta la cifra
∞CCC , cioè 1300 x 1000 (la sopralineatura), cioè una somma infinita.
Figura 15. Il campo I, 2
Figura 16. Lotta fra il gallo e la tartaruga
Dice Cromazio di Aquileia che il numero 1300 in greco si scrive con la lettera tau, simbolo della
croce, mentre le tre centinaia latine ben si addicono al simbolo della Trinità.
La decorazione di I,3 è completamente geometrica, fatta eccezione per una curiosa testa virile con
la lingua fuori.
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Figura 17. Il campo I, 3 ed evidenziato il particolare figurativo
Il pannello II, 4 evidenzia quattro busti di giovinetti ed al centro un busto femminile, interpretati
come una madre, vestita di tunica arancione con clavi purpurei e palliolum sul capo, coi suoi quattro
figli, abbigliati due con la tunica clavata, uno la contabulatio, gli altri con la paenula 8sopravveste
civile ornata di cordoni ricamati) che lascia intravvedere sulla spalla destra la decorazione della
tunica.
Figura 18. Il campo II,4
Nei tondi del riquadro II, 5 sono visibile sei ritratti e negli altri pesci. Si tratta di cinque donne ed un
uomo che indossa la toga contabulata. Due delle figure femminili sono stagioni (primavera ed
estate), mentre le altre sono ritratti.
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Figura 19. Il pannello II, 5
L’esagono centrale del pannello II, 6 ha la celeberrima immagine del Buon Pastore in tunica exigua,
alicula (piccolo mantello), solea (sandali) e fasciae crurales. Nella destra tiene una sirinx.
Figura 20. Il Buon Pastore
I riquadri figurativi presenti in III, 8 rappresentano i vari mestieri, mentre nell’ èmblema centrale
troviamo descritta una figura femminile alata con un cesto, la palma e la corona.
Si tratta dell’iconografia tradizionale della vittoria alata, ma il particolare contesto ci induce a
ritenere come sia qui il simbolo della ricompensa destinata ai fedeli benefattori in cielo. Già nel
Pastore di Erma si accenna all’angelo che incorona i giusti.
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Figura 22. La ricompensa dei Giusti in III,8
Figura 21. Il gregge raffigurato in III, 7
L’ultima campata (IV, 10), corrispondente forse al presbiterio, è occupata da un’unica
raffigurazione: un mare pieno di pesci di ogni specie ed uccelli marini in cui pescano puttini alati su
cymbae (cioè barche dalla poppa e dalla prua rialzata) e su scaphae (barche con la poppa piatta).
All’interno di questo contesto marino trova spazio la notissima trilogia di Giona.
Al centro, in un tondo, l’iscrizione dedicatoria del vescovo Teodoro.
(crismon)
THEODORE FELI(X)
(A)DIUVANTE DEO (palma)
OMNIPOTENTE ET
POEMNIO CAELITUS TIBI
(TRA)DITUM OMNIA
(B)AEATE FECISTI ET
GLORIOSE DEDICAS
TI
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“ O felice Teodoro! Con l’aiuto di Dio onnipotente e del gregge a te affidato dal cielo hai condotto a
termine ogni cosa e gloriosamente l’hai dedicata”
Figura 23. L'iscrizione dedicatoria
L’iscrizione si inserisce armoniosamente nel contesto, senza danneggiare la tematica marina, per cui
è contemporanea al mosaico e probabilmente redatta ancora vivente Teodoro. Oltre al nome del
vescovo, che fornisce un importante elemento di datazione, va sottolineata l’espressione “omnia
fecisti”, in riferimento ad un’opera di grandi dimensioni e secondo alcuni è la prova della
contemporaneità di tutto il complesso.
Figura 24. Veduta dall'alto del presbiterio
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Figura 25. Particolare di Giona
Uno dei problemi interpretativi più importanti che si pongono nel considerare questo complesso è
quello della funzione dei vari spazi. In particolare nell’aula meridionale si è molto discusso
sull’ubicazione dell’altare e del seggio episcopale.
In due punti (sopra l’iscrizione e nei pressi della Vittoria alata) vi sono i segni della presenza o
dell’usura lasciata da quattro sostegni.
Secondo il Bovini è probabile che l’altare fosse nella navata e non nel “presbiterio”, considerando
che questa posizione era usuale nelle chiese nord africane e che Agostino nell’Omelia 132,1 dice
“mensa ipsius est illa in medio constituta”. In questo punto il mosaico allude proprio alle offerte
donate dai fedeli.
Per quanto riguarda la destinazione d’uso delle tre aule, restando fermo il ruolo sussidiario del
cosiddetto “atrio”, riportiamo in questa sede l’opinione del Mirabella Roberti che l’aula nord fosse
il cathecumeneum, da cui il catecumeni dopo aver fatto la professione di fede uscivano nell’aula
centrale (che risulta divisa in due da una cancellata), uscissero verso il battistero e poi rientrassero
passando per il cancello in un vano che fungeva da consignatorium e dove venivano unti con il
sacro crisma ed indossavano le vesti bianche. Di qui, attraverso le due porte di accesso all’aula sud
(è significativo invece che l’aula nord abbia una porta sola), entravano solennemente nell’aula di
culto vera e propria, che era appunto l’aula meridionale.
Bibliografia
G.BOVINI, Le antichità cristiane di Aquileia, Bologna 1972, Pàtron Editrice
G.BIASUTTI, La tradizione marciana aquileiese, Udine 1959
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